La professione medica è ancora in grado di riprendere in mano il proprio destino
Gentile Direttore,
ancora una volta Ivan Cavicchi con il suo nuovo instant book (Medico vs cittadini, un conflitto da risolvere, Castelvecchi, 2024) ha regalato una profonda riflessione che parte dalla controversia della “colpa professionale medica” ed arriva ad affrontare un tema filosofico, etico, sociale semplicemente enorme.
Il professore e collega ha pensato di giocare d’anticipo senza aspettare la conclusione dei lavori della Commissione d’Ippolito costituita, ad hoc, dal Ministero di Giustizia con l’obiettivo di segnalare possibili errori e contraddizioni che potrebbero, se non rivisti, rendere la categoria e i cittadini “prigionieri di leggi sbagliate” difficilmente poi modificabili.
Già il titolo del libro pone un tema etico complesso: tutti i medici sono cittadini ma non tutti i cittadini sono medici: in una situazione di questo tipo chi riveste un ruolo sociale e professionale particolare? Come si può costruire o formare, oggi, una relazione pattizia medici e cittadini? Chi può svolgere la funzione educativa/pedagogica e quella di testimone del “contratto sociale”? Chi riconosce chi? Come può essere costruito un adeguato e contestuale rispetto reciproco?
Sono quindi in gioco “un mondo” di valori essenziali. Sia sufficiente, in questa sede, pensare a cosa capita quotidianamente nella realtà assistenziale: nelle cure palliative portate al letto del malato, al suo domicilio dal mmg che, proprio per il contratto sociale “immateriale”, l’assistito “elegge” come giusto, libero, veritiero, valido e in grado di assisterlo negli ultimi momenti. La situazione è incommensurabilmente diversa da un banale contratto d’opera, se non altro, perché si ha a che fare con il mistero della vita e della sua conclusione. Ha poca importanza, alla fine, la tecnologia o le altre competenze scientifiche. Ciò che è veramente richiesto è una avvolgente abilità relazionale (infatti il mmg è considerato il palliativista di riferimento per il proprio assistito).
Forse una attualizzazione degli storici criteri relativi alla “colpa” professionale (imperizia, imprudenza, negligenza) potrebbero essere più che sufficienti per poter archiviare o attivare le sanzioni, in tempi brevissimi. L’errore umano è sempre possibile a fronte di una realtà ancora sconosciuta nella sua essenza (la vita), che alcuni considerano sacra, e forse è anche corretto che chi deve prendere decisioni tenga conto di questo aspetto.
Non è compito della Commissione Ministeriale indicare le strategie per ridurre la conflittualità però, la stessa Commissione, potrebbe avventurarsi in qualche sapiente suggerimento. Se la problematica di fondo è la formazione generale dei professionisti affinché siano in grado di leggere le modifiche sociali e di ridurre di conseguenza i contrasti, quante cose devono cambiare per impostare ciò che sarebbe necessario? Che valore culturale e di maturazione professionale possono apprendere gli studenti di medicina sottoposti, per gli esami, a test scritti pieni di trucchetti e tranelli più che di una vera valutazione della maturità professionale in crescita? Che rapporto possono avere i futuri medici con il sociale o con il sapere se tutto viene ridotto ad un perfido e narcisistico superenalotto?
Siamo certi che non siano ormai fondamentali, durante il corso di laurea, più esami di psicologia, filosofia, etica, sociologia, antropologia, accorpando eventualmente, qualche esame che tende a ripetere ciò che è appena stato fatto al liceo?
Anche le istituzioni locali e regionali, seguite pedissequamente dai loro accoliti, hanno palesato una incapacità culturale assordante. E’ stato fatto di tutto per fare sprofondare la professione così che il rapporto professione-cittadini è diventato di fatto inagibile.
Il riconoscimento reciproco (patto sociale) resta fondamentale se i due “giocatori” in campo (medici e cittadini), non vogliono perdere.
Il tempo che stiamo vivendo potrebbe essere sintetizzato da alcune parole chiave: modernismo, postmodernismo (quarta rivoluzione), trans-umanesimo, post-umanesimo, consumismo, globalizzazione, neoliberalismo. Una bella complessità. Nemmeno il Covid è riuscito a stimolare pratiche di cambiamento radicale. In ogni caso i movimenti filosofici citati e l’inarrestabile avanzamento tecnologico obbligherà la professione a profonde modificazioni che la regressività di DM77, ACN, Regioni e Aziende non sono nemmeno in grado di immaginare (“cinismo dell’incapacità”). La “quarta rivoluzione” se non sarà gestita con intelligenza ed umanità darà valore non tanto ai professionisti ma ai contratti d’opera, ai formulari, alle procedure, agli algoritmi prescrittivi, ai nomenclatori, ai tariffari… ma dove sarà il medico amico sincero e disinteressato nei momenti importanti della vita? Alcune teorizzazioni del post umanesimo ipotizzano la definitiva scomparsa dei dualismi così che in un mondo di cyborg non ci sarà più posto (bisogno) per medici e cittadini e nemmeno per l’umanità.
La medicina generale può ancora diventare un valido strumento per ridurre la conflittualità sociale in ambito sanitario. Infatti nelle piccole comunità, ancora oggi, riesce a dare un senso alle cose fondando l’agire professionale sul contratto sociale “olistico". La scelta fiduciaria favorisce una azione educativa e formativa che permette di far fronte al dott. Google, ai robot, ai totem, all’assalto dei “malatisti” esperti in scorciatoie per il PS e per la specialistica/diagnostica.
Anni di discredito da parte delle aziende e delle regioni nei confronti delle competenze diagnostiche, terapeutiche, riabilitative dei mmg non poteva che portare tutti al punto in cui ci si trova. Il relativismo e l’economicismo hanno desertificato l’ambito dei valori ma il medico, se vuole, ha la sensibilità per ritornare a riconoscere il dolore umano (e il proprio) e ad ascoltare la sofferenza (che è l’elaborazione mentale del dolore). Questo anche se la società è imbibita di ansia, non riesce più a rallentare, l’amigdala è iperfunzionante mentre la corteccia prefrontale, razionale, è inibita. Le persone non sono più abituate ad affrontare certi temi che la tradizione aveva comunque inserito e mantenuto anche nel periodo della modernità e della postmodernità (il fine vita, la malattia, il dolore, la sofferenza, l’ansia). Il medico è ancora in grado di riprendere in mano il proprio destino e quello della professione perché la cura e il prendersi cura non rientrano solo nei diritti politici ma è l’espressione di una questione ontologica (medicina scienza coraggiosa e impareggiabile).
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
06 marzo 2024
© Riproduzione riservata
Per la sanità serve una riforma “epocale”
Gentile Direttore,
nonostante alcune incertezze palesate nei primi momenti, il nuovo Ministro della Salute potrebbe o dovrebbe avere un solo obiettivo: passare alla storia per aver avuto il coraggio di riformare radicalmente la sanità (“quarta riforma”) polverizzando le “peggiori cose” inventate dai suoi predecessori.
E’ palese che mai e poi mai si sente la necessità di un “meccanico”, come ci ha ricordato pochi giorni fa Cavicchi, qui su QS, e ora o mai più occorre uno statista che si dedichi al SSN pubblico anima e corpo.
Il privato (autonomo o convenzionato o accreditato) è già ben radicato ed organizzato in ogni regione italiana tanto che, paradossalmente, nessuna può definirsi effettivamente tenace sostenitrice della sanità pubblica.
E’ quindi fortemente auspicabile che il Ministro della Salute possa agire autonomamente dalle contingenze politiche ed economiche nell’elaborare un nuovo modello culturale-organizzativo con un orizzonte almeno decennale. Dopo i prossimi 10 anni il contesto sociale muterà di nuovo in modo rilevante e il modello di “riforma” dovrà quindi contenere e prevedere una importante flessibilità per reinventarsi.
Nello specifico le riflessioni rivolte alle cure primarie, al territorio e all’insieme degli attori di quello che viene oggi indicato come ambito delle PHC (Primary Health Care) devono superare un dualismo H-T (Ospedale-Territorio) che concettualmente non ha senso (se non dal punto di vista normativo-contrattuale) perché l’ospedale è comunque inserito in un territorio e il territorio stesso (che anch’esso contiene professionalità, discipline e settori con differenti accordi e regolamentazioni) ha generalmente un ospedale di riferimento.
La situazione (osservata dal punto di vista degli assistiti, del terzo settore e dei professionisti) è effettivamente spaventosa e l’intolleranza sociale è in procinto di esplodere. Negare la realtà sarebbe un atteggiamento suicida.
La via di uscita obbligata è proprio un rifacimento innovativo e drastico che prima di tutto modifichi sostanzialmente i presupposti filosofici, epistemologici e paradigmatici al fine risanare il campo di lavoro dalle infinità di contraddizioni minime, piccole o enormi che hanno caratterizzata la regressione professionale ed assistenziale in questi anni. Il relativismo, il pensiero unico e debole, una errata interpretazione della globalizzazione hanno poi esasperato le criticità.
Le inevitabili incrostazioni create da una abitudine consolidata di “potere” rischia di creare assolutismi autocratici animosi.
Solo imprenditori, capitani di vere aziende, del calibro di Peter Thiel (PayPal, Plantir, Founders Fund, SpaceX, Airbnb, Spotify… ) sono in grado investire in persone intelligenti che sappiano risolvere problemi difficili, anche in ambito medico, cambiando i ruoli dirigenziali ogni 60 giorni per non dare atto all’effetto dell’abituazione e alle sue conseguenze relazionali negative.
Un “Comitato di Salute Pubblica”, sempre auspicato da Cavicchi, appare vitale. Il numero dei componenti di questo collegio dovrebbe essere significativamente contenuto e non dovrebbe avere nessuna attinenza con chi, in questi 40 anni, ha gestito il processo decisionale o sia stato coinvolto nelle scelte sanitarie (burocrazie ministeriali, agenzie, consulenti accademici, alte dirigenze AUSL, assessorati regionali, conferenza stato regioni nella componente sanitaria…). In caso contrario si assisterà alla riproposizione delle solite finte soluzioni di interesse solo amministrativo che affosseranno definitivamente il SSN pubblico (“forfait”).
Nelle ipotizzate riunioni collegiali paritarie devono trovare voce solo persone che sappiano ricercare e costruire, in un tempo definito, una nuova ed intelligente “compossibilità” tra le problematiche economiche e quelle sanitarie. I componenti il comitato devono essere in grado di dare origine ad una reciprocazione pattizia tra servizi sanitari e cittadini all’interno di concetti maturati da tempo nella comunità scientifica che in questi anni si è occupata di organizzazione territoriale sanitaria: “impareggiabilità” della professione, medico “autore”, autonomia di impresa nel processo decisionale e nel governo clinico, abolizione delle AUSL, partecipazione decisionale effettiva delle comunità di cittadini e delle associazioni dedicate ( mission statutaria).
E’ di tutta evidenza che per ottenere una operatività efficace (ma anche estremamente meno costosa dell’organizzazione attuale) le dimensioni territoriali adeguate dovrebbero aggirarsi intorno a parametri di un quartiere cittadino o ad un area extraurbana/rurale corrispondente).
Molti professionisti delle cure primarie hanno sperimentato, in alcune regioni, dal 2005 a tutt’oggi, la progressiva pervasività della medicina amministrata aggravata da un grossolano abuso di algoritmi (per altro sempre più sofisticati) circolari, normative e protocolli orientati ad una enorme raccolta di dati per altro non ancora compresi ed utilizzati disastrosamente dalle tecnocrazie monocratiche per tornaconti sfortunati. Molto presto, entro 10 anni, l’intelligenza artificiale e gli algoritmi saranno in grado addirittura di produrre, automaticamente, ulteriori algoritmi “dopanti” che si adatteranno in modo parassitario ad ogni singolo paziente e ai professionisti.
Tutto ciò comunque non riuscirà a risolvere la problematica della complessità della persona in quanto l’Intelligenza Artificiale è un determinismo meccanico che ripete sempre e comunque schemi pur avanzati ma senza qualità. Non sa darsi un fine ma manifesta solo una funzionalità: non parla, non dice ma soprattutto non spiega. Funziona solamente. Il computer si può accendere o spegnere. Nelle persone l’interruzione della coscienza si chiama morte.
La qualità sta nella cura e nel prendersi cura in quanto la fragilità/vulnerabilità e la reciproca dipendenza è ontologica, unifica tutte le persone rivelando chiaramente la mancanza di sovranità sull’esistenza da parte dell’uomo e ancor di più da parte delle istituzioni meccanicistiche. La complessa relazione di cura è una necessità ineludibile che ci ha accompagna per tutto il tempo della vita essendo viventi “prorogati” di momento in momento.
Gli sviluppi tecnologici attuali e prossimi venturi funzioneranno finchè sono accesi ma non corrispondono a nessun sviluppo scientifico relativo allo spiegare e al conoscere millantando pretese di oggettività nelle relazioni di causalità. L’evoluzione dei sistemi complessi e la fisica quantistica sanciscono la provvisorietà delle teorie scientifiche e riconoscono il carattere problematico della conoscenza.
Recenti documenti come l’ACN, il Metaprogetto, il DM 77, le comunicazioni della Conferenza stato regioni continuano a perseverare in modo diabolico negli errori di comunicazione e nelle determinazioni calate in modo lineare dall’alto a fronte di una realtà assistenziale sempre più complessa.
Una riforma coerente, contestuale e coraggiosa nella considerazione della complessità della cura e del prendersi cura può invece rappresentare per la sanità pubblica un evento pari alla scoperta di un farmaco contro il cancro o ad uno sbarco sulla luna.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna
22 novembre 2022
© Riproduzione riservata