L'arte? Come una medicina. E la bellezza entra nella cura

13 NOV - Gentile Direttore,

L’Organizzazione di Volontariato Comunità Solidale Parma (ODV-RUNTS) promuove, in collaborazione con FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari) l’incontro sul tema “PRENDERSI CURA CON L’AIUTO DELL’ARTE” che si svolgerà venerdì 6 dicembre 2024 dalle ore 17:00 alle 17:40 nella sede situata nella sala d'aspetto dell’Ambulatorio San Moderanno di via Trieste 108/A.

Bruna Giordano, ingegnera ed esperta d’arte, presenterà commenti sulle  seguenti opere "Vaso con dodici girasoli", 1888 , di Vincent Van Gogh; "il  bacio", 1907-1908, di Gustav Klimt. Le riproduzioni delle opere rimarranno nella sala d’aspetto dell’Ambulatorio San Moderanno per alcuni mesi fino al successivo evento che coinvolgerà altri capolavori (è previsto un incontro ogni 6 mesi).

L’arte, nella sua accezione più ampia, può essere considerata come un insieme o un sottosistema che ha alcune caratteristiche descrittive, di evoluzione temporale non lineare, di interconnessioni e di fenomeni emergenti che vengono ben rappresentati dalla teoria dei sistemi complessi. Gli stessi principi sono utilizzabili per delineare la complessità della cura e del prendersi cura, in particolare, a livello di assistenza sanitaria territoriale.

La teoria della complessità rappresenta oggi un paradigma di riferimento culturale fondamentale. Aiuta a comprendere l’essere umano e il mondo che lo circonda rifuggendo il conformismo delle interpretazioni semplicistiche, preconfezionate, di corto respiro.

L’arte ha la forza di attivare il logos delle singole persone, la curiosità, l’azione, la potenza.  La salute ha le stesse caratteristiche. Di conseguenza sarebbe intelligente rivedere radicalmente numerose inadeguatezze organizzative/ assistenziali territoriali.  Vi sarebbero esperienze innovative efficaci,  generate dalla base, che non andrebbero sprecate anzi dovrebbero essere incentivate in quanto foriere di cambiamenti cognitivo comportamentali, nei professionisti e negli assistiti, capaci di promuovere il benessere comune.

Nella società contemporanea l’arte ha assunto un ruolo sempre più importante e pervasivo.  Anche coloro che pensano di non essere interessati a questo ambito ne sono inevitabilmente condizionati in quanto l’estetica (anche se spesso manipolata in senso ripetitivo, consumistico, edonistico, spettacolare, effimero, massificato) è onnipresente. Il contatto con il “bello” può creare emozioni capaci di dare senso all’esistenza grazie ad una percezione di soddisfazione, di benessere o di salute spesso difficilmente verbalizzabile ma che avvicina alla comprensione, non consolatoria, della condizione umana. Nella cura  questa “bellezza” è rappresentata in modo particolare dalla relazione.  Nella malattia si cercano elementi essenziali  sperimentati da ogni essere vivente razionale nella propria esistenza: il linguaggio, i riti, i gesti, la sacralità, l’accoglienza, l’accompagnamento… L’essenza della relazione mette vita nella vita  e così  il quotidiano prende colore, diventa abitudine, produce addirittura economia. L’arte e la cura hanno in comune la profondità, sono in grado di condividere i patrimoni culturali universali con la comunità di riferimento permettendo così  l’elaborazione dei misteri ontologici più importanti dell’uomo. Non è necessario essere esperti d’arte per riceverne i benefici: l’opera d’arte in qualche modo comunica. E’ sufficiente un po’ di curiosità e pazienza e l’opera inizierà a raccontare qualche cosa di singolare perché le fatiche o le gioie che prova lo spettatore sono le stesse che ha sperimentato l’artista nel realizzare la sua opera. Questo percorso esperienziale cambia sia l’artista che lo spettatore.

Da tempo le evidenze scientifiche e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno dimostrato e riconosciuto che esiste un rapporto diretto tra benessere/ salute e fruizione dell’arte in quanto questa può modificare, in senso positivo, fattori biologici, psicologici e sociali/ culturali (determinanti della salute). Gli esiti delle ricerche sono stati condensati nel rapporto dell’OMS del 2019 (arte e salute). La narrazione preferisce, comunque, far coincidere l’inizio de questo connubio arte/salute con gli anni 60 e con l’episodio che vede come protagonista il signor Frederick Weisman ricoverato all’ospedale Cedar-Sinai di Los Angeles. Da allora si sono diffuse numerose esperienze similari  nel mondo (tutte in ambito nosocomiale) e anche in Italia dove, a volte, la consuetudine  di vivere a contatto con l’arte è data  per scontata tanto da farne dimenticare il potenziale. Nel 2020 l’enciclopedia Treccani ha inserito il lemma “welfare culturale” nel suo vocabolario.  Non vi sono invece studi o esperienze strutturate che riguardino la funzione dell’arte in medicina generale (di base).

In ogni caso può essere utile ricordare che la documentazione storica originaria di un utilizzo consapevole dell’arte come cura è datata 1090 e si realizza  in Italia nel primo ospedale edificato a questo scopo, sulla via Francigena, a Siena. Infatti nell’ospizio di Santa Maria della Scala gli ammalati venivano allettati di proposito sotto gli affreschi di Domenico Bartolo al fine di dare sollievo alle sofferenze.

Oggi non è più possibile ignorare la mole di informazioni scientifiche relative all’alleanza tra salute ed arte e all’ incidenza  positiva sugli stili di vita, sulla prevenzione, sulle patologie croniche degenerative, sul dolore e sulla sofferenza. L’ideazione di strutture sanitarie assistenziali territoriali, soprattutto in periferia, dovrebbe tener conto di questi elementi prima ancora di iniziare ogni percorso decisionale.  In conclusione vorremmo segnalare un interessante ed inatteso fenomeno  che si è verificato durante la preparazione di questo incontro: vi è stata una condivisione no-profit , relativa alle  finalità dell’evento, molto alta da parte delle  attività commerciali e produttive (95%) di questa zona ristretta e limitata  alle  due arterie principali che si  incrociano tra via Trieste (fino al ponte-cavalcavia dell’intersezione alta velocità) e via Venezia ( dalla rotonda con via Naviglio Alto/Via Cuneo al sottopasso-cavalcavia  ferroviario di via Venezia).  E’ verosimile quindi che l’ambulatorio medico (Medicina di Gruppo San Moderanno) venga vissuto come reale punto di riferimento da cittadini ed imprenditori.   Questo palese consenso può rappresentare una importante indicazione relativa alle opportunità assistenziali- sanitarie di questa comunità- quartiere al fine di programmare ed investire energie e risorse organizzative, anche sperimentali, che siano coerenti con le complessità dei bisogni.

Il Direttivo di Comunità Solidale Parma

www.comunitasolidale-parma.it

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

13 novembre 2024

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DM71: sarà vera riforma?

DM71: sarà vera riforma?

di G.Campo, A.D’Ercole, A.Chiari, B.Bersellini, B.Agnetti

26 APR -

Gentile Direttore,

premessa impone di porre il testo del caro Prof. Cavicchi “La scienza Impareggiabile”, senza discussioni, caposaldo di ogni argomentazione che voglia affrontare ontologicamente la questione medica. Poi c’è la quotidianità (un recente esempio tra gli innumerevoli possibili è dato dall’articolo del collega Enzo Bozza: Ancora i peones?, arguto e tuttavia affranto). E’ la consuetudine di trascinare le “scarpe grosse” nei meandri limacciosi ed indecifrabili delle Aziende USL. Questi presidi “prefettizi” degli assessorati regionali, producono, ogni giorno, incremento dei compiti, piccole e apparentemente trascurabili disuguaglianze, differenziazioni assistenziali e professionali. Quando si addizionano gli avvenimenti apparentemente irrilevanti, azienda per azienda, la somma delinea una vera e propria calamità. Il paradosso è che comunque sono disparità operative assolutamente legali perché ogni azienda ed ogni assessorato bada molto bene a proteggersi con delibere e circolari votate a maggioranza schiacciante. Alcune aziende hanno attivato negli anni progetti assistenziali finanziati, formalmente ineccepibili ma inopportuni dal punto di vista politico sanitario, che hanno coinvolto un numero di colleghi rappresentati da meno delle 5 dita di una mano.  Altre aziende hanno dimostrato di non avere contezza dei diversi contratti stipulati negli anni, (variabili significative dal punto di vista economico), con le varie aggregazioni di mmg (es.: Case della Salute ora Case delle Comunità… ma quest’ultime non ancora entrate in produzione).

“Cosa è successo? Niente” racconta Jannacci nella canzone “il bonzo”.

Evidentemente è velleitario ipotizzare l’abolizione delle Ausl con un ritorno alle Usl e affidare a queste istituzioni compresi gli assessorati alla sanità (80% circa del bilancio di ogni regione) solo ruoli di garanzia e di salvaguardia dell’universalismo. Insieme dovrebbero essere cancellate tutte quelle occasioni sospette per pratiche consociativistiche che hanno alla fine sfigurato la professione. Occorrerebbe ritornare a riconoscere massimo valore alla meritorietà virtuosa abbandonando la tradizionale meritocrazia spesso autoreferenziale. Già solo questo rappresenterebbe una riforma minima ma indispensabile. Così come può essere considerata una parte di questa innovazione vitale il fatto che i colleghi medici e sanitari che desiderassero entrare a far parte di una aggregazione territoriale organizzata in team condividano preventivamente e in autonomia processi e progetti.

In caso contrario l’inevitabile sfacelo a cui forse assistiamo esige urgentemente una “quarta riforma” ma forse anche una quinta o una sesta e “po se sa no” direbbero a Milano. Sbalorditiva la recente accelerazione del Governo che ha dato il via libera al cosiddetto DM 71 pur senza l’intesa con le Regioni. Peccato che il nuovo Decreto trascinerà con sé tutte le contraddizioni che da anni porta i professionisti ad appellarsi ad una riforma che sia tale.

Ad esempio: una riforma reale dovrebbe sancire autonomia dal sistema  regionale e dalle AUSL;  riconoscere un trattamento  economico  adeguato; programmare una pianta organica corrispondente alla riduzione dei posti letto ospedalieri e alle sempre più precoci dimissioni;  ricercare una responsabilizzazione di impresa convenzionata con il SSN; garantire la libertà di aggregazione tra professionisti motivati;  offrire le tutele; garantire  libera scelta e rapporti fiduciari; abolire gli ambiti territoriali; inserire l’istituto dell’affiancamento paritario;  esortare le aggregazioni e i singoli, eventualmente collegati funzionalmente,   ad una sana concorrenza virtuosa nella sfera della qualità assistenziale in co-operazione con tutti gli attori  del territorio; dare un senso concreto alle Case della Salute (se diventeranno Case della Comunità) e offrire una logica a quelle strutture  che vengono definite “Ospedali di Comunità” che rischiano per davvero  di diventare un clamoroso ossimoro realizzativo in quanto l’OSCO, da quanto si legge, potrebbe non essere logisticamente posto all’interno del perimetro della comunità di riferimento.

Il paradosso sommo della questione DM71 sta poi nel fatto che il recente ACN, già a suo tempo firmato dalle OOSS, non è ancora stato pubblicato sulla GU così che ci si trova nella situazione incredibile di avere una normativa o un documento applicativo (DM) senza il testo ufficiale di riferimento (ACN).

La qualità assistenziale delle nostre comunità, sempre più complesse, richiede beni comuni accessibili universalmente “non rivali e non escludibili” senza l’inarrestabile incremento burocratico di ulteriori compiti. Le piccole comunità sono terreno fertile per possibili sperimentazioni riformatrici.  L’atteggiamento di certe istituzioni sovraordinate alle persone e ai professionisti richiama apertamente il concetto, (se consideriamo anche gli enti pubblici delle unità), dell’individualismo se non quello del singolarismo. Quando la gestione viene orientata da questi atteggiamenti si assiste ad una riduzione dei beni comuni fruibili (V. Pelligra, il Sole24Ore, 24 aprile 2022) e dello spirito di co-operazione con esiti sociali pessimi perché i beni pubblici/comuni vengono distrutti.

Così in una improbabile riforma che avversasse gli attuali decisori (Assessorati e Aziende) dovrebbe progettare da capo istituzioni e organizzazioni più rispettose e fiduciose dei professionisti e degli attori di tutte le assistenze primarie di per sé già in grado, da sole, di creare opportunità di co-operazione ed interazioni non gerarchiche tali da produrre ed arricchire il bene pubblico.

Anche una adeguata rivisitazione e relativa semplificazione della remunerazione è auspicabile prendendo atto che il “vecchio” sistema incentivante confuso e generatore di gravi differenziazioni, non più accettabili, ha completamente dimenticato che oltre agli incentivi economici relativi agli obiettivi regionali e aziendali esistono anche le incentivazioni immateriali fortemente originate dall’autonomia organizzativa e gestionale (equità, qualità, trasparenza, trasmissibilità, consenso, gradimento, apprendimento, complessità ecc.).

Se nel recente intervento del Presidente Nazionale della FNOMCeO è stato evidenziato come sia allarmante la volontà di molti colleghi di lasciare al più presto la professione, (in particolare nella medicina generale territoriale), è possibile che queste convinzioni siano avvalorate da una o due giustificazioni e, secondo quanto già elencato, alcune di quelle motivazioni che spingono i professionisti alla resa potrebbero superare di molto le problematiche (pur allarmanti) economiche.

Giuseppe Campo, Alessandro D’Ercole, Alessandro Chiari, Bruno Bersellini, Bruno Agnetti

CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)

FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

26 aprile 2022
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Medicina di base, aggregazioni territoriali e sistema vaccinale in 3° ondata

Il Covid ha palesato come il confronto pluriennale culturale in merito ad una necessaria revisione del sistema assistenziale sociale e sanitario territoriale a favore del decentramento di servizi sanitarie sociali in strutture che siano in grado di poter offrire tutte le risposte ai bisogni territoriali, non sia servito proprio a nulla. La prima ondata della pandemia ci ha colti di sorpresa ma comunque qualcuno ha sostenuto che siamo stati i migliori (…a tutt’oggi circa 99.000 morti come se una città come Ancona o Novara venisse cancellata dall’atlante …  e il numero di medici deceduti sul campo -260- resta quello più grande d’Europa). Purtroppo c’è stata anche la seconda ondata ed ora siamo in piena terza ondata.

Una legge di
riforma del SSN con particolari indicazioni per il territorio, pur disattesa,
c’è (2012), non è stata abrogata anche se, oramai, dopo il Covid potrebbe
mostrare tutta la sua vetustà. Nel frattempo la società ha cavalcato
velocemente  il tempo e la politica
sanitaria non è stata in grado di garantire una progressione corrispondente ai
professionisti “tutori della salute delle persone” e di conseguenza ai servizi.

Più o meno palesemente la visione ospedalocentrica (non loderemo mai abbastanza la prova di straordinaria professionalità che è stata offerta alla cittadinanza da parte di tutti i lavoratori coinvolti ad ogni livello) resiste con forza. L’ospedale dovrebbe svolgere il ruolo di punto di riferimento per il proprio territorio in merito alle acuzie e per gli approfondimenti di 2° e 3° livello ma per forza di cose (mancato riordino delle cure primarie) l’ospedale continua ad occuparsi di patologie croniche e la co-operazione con la medicina di base e i servizi sociali risulta ancora complessa (salvo rare eccezioni).  L’esternalizzazione al privato o alle società di servizi accreditate ha permesso di allargare l’offerta e l’opportunità di poter rispondere ai bisogni di salute sulle patologie non trasmissibili (es.: tumori, patologie cardiovascolari)  ma nello stesso tempo ha consentito sostanziali tagli  di posti letto nel pubblico improvvisamente resi evidenti dalla pandemia covid: in Italia nel 2012 vi erano 12,5 posti letto in terapia intensiva  per 100.000 abitanti mentre la Germania aveva 29,2 posti letto per 100.000 abitanti. Non dovrebbe più capitare che scellerate scelte etiche debbano sottostare alla scarsità di risorse causate da pregresse dissennate abolizioni di presidi territoriali che rappresentavano, anche nei nostri territori, punti di riferimento eccellenti per prestazioni e gradimento. Una recente indagine relativa ai primi 8 mesi del 2020 ha evidenziato come ad ogni posto letto in meno per 1000 abitanti è associato un 2% in più di aumento della mortalità generale (il dato comprende sia la riduzione dei posti letto in terapia intensiva che negli altri reparti ospedalieri coinvolti o meno nella pandemia covid. Anaao Assomed 2021).

Bisognerebbe ripartire da qui, cambiare passo da subito, modificare
radicalmente ciò che deve essere cambiato.  Ripensare 
a percorsi di cura assistenziali territoriali periferici  che in tempi celeri  possano essere sperimentati effettivamente
nei quartieri della città e nelle zone rurali/montane superando monotoni e
retorici modelli autoreferenziali  sconfitti  dai cambiamenti sociali o addirittura  paralizzati  da se stessi cioè dalle stesse delibere  che li proponevano come  innovazione in risposta ai bisogni dei
cittadini e alle deliberazioni delle Conferenze socio-santarie provinciali  (es.:  
Del Reg. n. 2128 del 5 dicembre 
2016). A volte
paradossalmente le iniziative così dette di innovazione del territorio vengono
dalle stesse voci che hanno partecipato a ridurre quei presidi territoriali
molto apprezzati dalla popolazione.

Le
aziende Ausl e Ao, tutt’ora concentrate verso l’obiettivo principale della
costruzione dell’azienda unica (progetto iniziato molti anni fa desueto anche
dal punto di vista economico), avrebbero un compito superiore se si dedicassero
alla salvaguardia dell’universalismo delegando il completo processo decisionale
e l’operatività ai professionisti e alle loro comunità. Il territorio in
autonomia può già da ora assumersi il compito di sorvegliare i processi di
screening, di prevenzione, di diagnosi, cura, la domiciliarità, l’attività ambulatoriale
di attesa e/o attiva, l’organizzazione operativa in team e riabilitazione così
come può governare eventuali ospedalizzazioni che considerino, per la maggior
parte dei casi, il reinserimento nel territorio.

In
periodo covid la medicina generale meglio conosciuta come medicina di base
sarebbe di gande aiuto e servizio alla popolazione (partecipazione dei Medici
di Base  al processo  vaccinale)  
se potesse svolgere   il proprio
ruolo e la propria funzione ambulatoriale e domiciliare di routine.  

I
centri vaccinali aziendali  che hanno
dimostrato  efficienza  ed efficacia 
dovrebbero senz’altro essere potenziati  
ed affidati  non ai medici di
base  ma  ad altri settori della medicina generale (
medici di medicina generale di continuità assistenziale o guardia medica,
medici di medicina generale USCA, medici di medicina generale Corsisti, medici
di medicina  generale della Medicina dei
Servizi, medici di medicina  generale con
Contratti ad Hoc, medici di medicina 
generale  della Medicina Penitenziaria,
medici di medicina  generale della
Emergenza Territoriale, medici di medicina generale Volontari ).

La
platea dei medici vaccinatori potrebbe quindi essere vastissima e più che
sufficiente per raggiungere gli obiettivi che il Ministero della Sanità e gli
Assessorati alla Sanità hanno dichiarato. In caso di necessità le prefetture
potrebbero concordare con le AUSL il reclutamento di medici pensionati
specialisti o di medicina generale.

Tutto
ciò potrebbe limitare la pratica degli annunci dissonanti e la confusione che può
 rischiare  di   generare conflitti tra professionisti e
assistititi.

La
retorica può nascondersi nelle pieghe dei così detti documenti ufficiali (anche
nei protocolli di intesa nazionali che stabiliscono il coinvolgimento dei
medici di medicina generale nella campagna vaccinale). I ricercati elenchi di
dichiarazioni di intenti delle  premesse
burocratiche dei vari accordi  possono
avallare  disegni molto più prosaici di
quelli annunciati così che, invece di semplificare o risolvere effettivamente
le problematiche che  vorrebbero
eliminare, nella pratica, complicano orrendamente  il fluire naturale delle operatività tipiche
del medico di base  che  potrebbe occuparsi  di quelle innumerevoli forme di  patologie 
che tutt’ora  esistono  e che il covid pare aver fatto evaporare.

Infatti
le liste d’attesa relative ai controlli periodici delle patologie croniche sono
significativamente aumentate. Se il medico di base viene distolto dalle sue
funzioni per occuparsi di vaccinazioni chi curerà le persone?   

I
dati derivati dalle rilevazioni sulla pandemia (guariti, vaccinati, contagi,
ricoverati e decessi) da più di un anno, quotidianamente, mostrano come la
fragilità conviva con noi e come stia crescendo il fenomeno dell’indifferenza
(involontaria) nei confronti dei problemi degli altri causata a sua volta da un
 timore generalizzato (di morire). 

E’
certamente vero che tutte le categorie esigono per se stesse (in quanto si
ritengono fondamentali per il funzionamento sociale) il vaccino con una
prelazione nei confronti di altri gruppi. 
Pare che durante la campagna vaccinale vi siano stati anche condotte di privilegio.
 Quel pezzo di paese che pensa di dove
rimanere ancora per molto tempo nell’isolamento a causa della paura potrebbe
vedere la parte di persone vaccinate, senza che ne avessero necessità
prioritarie, come usurpatori di un diritto. Tutto ciò potrebbe scatenare solchi
e rabbie profondissime se i principi di solidarietà sociale e di empatia venissero
travolti. 

E’ doveroso  a questo punto   avviare sperimentazioni coraggiose  perchè nella sanità, oggi, se  queste prove  sono reali e sollecite, possono rappresentare la base o il denominatore per progettare una città completamente diversa che si rialza dalle proprie macerie e che, come negli anni 50 e 60, è in grado di generare un nuovo miracolo economico e sociale.

Un
sistema assistenziale periferico di riferimento (e quindi autorevole) di
quartiere o di territorio così come è stato proposto innumerevoli volte cioè
completo, “grande”, bello, adatto per l’attività ambulatoriale ma anche
residenziale per le patologie della senilità e con letti osservazioni (Ospedale
di Comunità)  anche in pandemia covid avrebbe
potuto fare la differenza.

In questo momento di Covid, dove la vaccinazione delle persone è l’obiettivo principale, mancano strutture autonome ed adeguate al compito  (salvo rare singolarità) ma  la medicina di base  può  attualmente svolgere un importante  compito di prossimità accogliendo la sensazione di allontanamento dal SSN manifestato da numerosi assistiti convinti che il loro problema non interessi a nessuno.  I medici di base  punti di riferimento delle loro comunità sono in grado di pretendere dalle istituzioni  informazioni precise e dettagliate. In virtù delle indicazioni possono poi proporre, come “tutori della salute delle persone”, aggiustamenti e modifiche  delle comunicazioni affinche’ i cittadini  possano  percepire  che il “loro” problema è stato preso in carico e che  il professionista si adopererà con responsabilità decisionale affinchè  ogni assistito  possa conoscere in  quando potra’ essere vaccinato, in che luogo,  da chi e come.  Inoltre il rapporto fiduciario che lega assistito e medico di base permette di rassicurare l’assistito  che la platea dei vaccinatori è tale che i vari gruppi target verranno vaccinati a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. In un momento dove molti sono costretti a rinunciare a qualche cosa sviluppando timore o rabbia repressa poter contare su un medico di base di riferimento significa essere incoraggiato e rincuorato che  i comportamenti di protezione individuale ben noti saranno più che sufficienti a  proteggerli fino al momento   della vaccinazione. 

Questa condotta professionale, allo stato attuale della pandemia in 3° fase,  può rappresentare una effettiva  partica del farsi carico e del prendersi cura dell’assistito.  Da questo punto di vista vanno abolite tutte quelle comunicazioni o quegli annunci che non spiegano nulla di quello che le persone desiderano sapere o pensare. Occorre che anche la politica locale consideri necessario trovare soluzioni ai problemi delle persone che attendono di essere vaccinate.  Compresi quelli emotivi e psicologici. Se mancano i vaccini occorre dichiararlo apertamente e garantire la data in cui saranno disponibili perchè la politica è l’arte di fare accadere le cose e queste accadono se le intelligenze e le competenze si uniscono. In questo momento nessuno puo’ dirsi estraneo e mai come ora la scialuppa è una sola e deve contenere tutti.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti)
Regione Emilia-Romagna 07 marzo 2021


Prevenzione, Cronicità e Integrazione Sanitaria

Prevenzione, cronicità e integrazione sanitaria

Il servizio sanitario e' un bene prezioso per tutti. Anche per il nostro territorio.

In questo periodo di grandi cambiamenti e relative incertezze ci si chiede se, anche in questo ambito, potranno esserci modifiche alle prassi comuni più note  e se, nonostante il momento, si possa aspirare a significativi miglioramenti.

La storia sanitaria ci ricorda come, nello specifico, la medicina di base abbia subito,nel tempo, numerose trasformazioni.

Articolo di Bruno Agnetti

Pubblicato sulla Gazzetta di Parma - 22 maggio 2012

 


Quante ore si lavora in Uccp?

Obbiettivo:

Stabilite le risorse necessarie per un'assistenza 24 ore su 24

La medicina generale per anni, pur nell' arrettratezza strutturale del sistema, non ha mai avuto bisogno di rapporti gerarchici sovrastrutturali.

Ogni Mmg e' sempre stato considerato effettivamente uguale da tutti gli stessi colleghi.

I tempi evidentemente sono cambiati e il realismo impone di trovare e suggerire soluzioni contestuali.

Articolo di Bruno Agnetti

Pubblicato su Sanità del 12 aprile 2010 (Compiegato del 24 Ore)

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