Quale futuro per le cure primarie? (terza parte e ultima parte)
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 20 aprile 2018
Le Regioni potrebbero
condividere con i professionisti azioni innovative
anche sperimentali (in particolare le Regioni che hanno
firmato il patto per le autonomie). Ecco quali iniziative si potrebbero avviare
come esempio di possibili moderni patti-contratti
20 APR - Le cure primarie territoriali oggi, in Italia, sono statiche, paludose paralizzate da processi decisionali in capo a Conferenze Territoriali fortemente autoreferenziali.
Altrove obiettivi specifici hanno prodotto discontinuità, cambiamenti ed investimenti, nuovi strumenti organizzativi, risorse non marginali finalizzate all’attività in team multi professionali, multidisciplinari e multisettoriali connessi con strumenti informatici ma organizzati in modo da prevedere modalità di contatto diretto essenziali per una reale gestione coerente e condivisa dell’assistenza.
Da questo punto di vista è necessario prevedere all’interno del tempo/lavoro dei medici e degli operatori sanitari una quota dedicata all’accesso e alla condivisione della complessità dei dati disponibili e al confronto diretto in team.
Il cambio generazionale prossimamente dirompente, volendo, potrebbe diventare un ottima occasione per il rilancio spontaneo a costo zero del SSN. La competenza professionale delle nuove generazioni di medici può garantire una moderna qualificazione dell’assistenza in grado di far fronte alle sfide imposte dall’epidemia della cronicità sia per le innegabili abilità cliniche ma anche per una corretta visione olistica-antropologica della salute umana.
La paradossale ipotesi del task-shifting ossia il trasferimento delle competenze del medico ad altre figure professionali sanitarie confligge rovinosamente con la preparazione professionale delle nuove generazioni di medici di medicina generale formati ai principi di una disciplina che praticano quotidianamente e che conoscono molto bene nella specificità dell’ approccio epidemiologico, clinico e relazionale (Wonca Europe).
Quando si attiveranno gli AAIIRR (Accordi Integrativi Regionali) e per gli AAIILL (Accordi Integrativi Locali) le istituzioni che nel passato non hanno preso in considerazione le criticità che attualmente caratterizzano le cure primarie, riusciranno a fare un salto di qualità, dimostrare una discontinuità, prospettare un prodotto di rottura? C’è ancora tempo per agire su alcuni ambiti in attesa di una adeguata riforma.
A questo scopo le Regioni potrebbero condividere con i professionisti azioni innovative anche sperimentali (in particolare le Regioni che hanno firmato il patto per le autonomie) ed è possibile, in questa sede, elencare solo alcune iniziative come parziale esempio di possibili moderni patti-contratti:
- La legge Balduzzi 2012 rimane il riferimento più recente in merito all’organizzazione territoriale della medicina generale
- Abolire il carico burocratico relativo alle attività domiciliari ADI/Cronicità in congruenza con un governo clinico completamente in carico al territorio e ai professionisti che operano in team ( UCCP/ Case della Salute/AFT)
- Valorizzare il ruolo e la funzione dei mmg
- Le strutture logistiche fondamentali in grado di realizzare un sinergismo di risorse e di erogazioni complesse sono le UCCP/Case della salute. L’integrazione in queste strutture dei professionisti mmg deve prevedere un progetto organizzativo innovativo prodotto dagli stessi professionisti. L’appartenenza ad una UCCP/Casa della Salute non è obbligatoria. L’UCCP è parte fondamentale del distretto, è una declinazione aziendale delle strutture organizzative-operative e richiede, come per i distretti, norme legislative nazionali e costi standard
- Le UCCP/Case della Salute in gado di erogare prestazioni complesse, con la presenza di strutture intermedie attive H24 e di Continuità Assistenziale ( definite Grandi) rappresentano le vere e reali alternative ai ricoveri inadeguati e assolvono gli impegni relativi ai programmi nazionali della cronicità e della prevenzione; al contrasto degli accessi impropri al pronto soccorso, al governo delle liste d’attesa e all’appropriatezza
- Una struttura logistica per divenire effettivamente punto di riferimento di una comunità di assistiti della medicina generale territoriale non deve superare un bacino di 30.000 abitanti
- Le AFT sono per definizione funzionali e non possono erogare in modo strutturato prestazioni complesse, restano aree territoriali-geografiche organizzative e funzionali della medicina generale. I professionisti mmg delle AFT, eventualmente non inseriti per scelta nelle UCCP/Case della Salute, possono essere coinvolti in progetti integrati ( UCCP/Casa della Salute/AFT) per erogazioni complesse.
- All’interno della organizzazione territoriale della medicina generale non si devono creare differenziazioni professionali o assistenziali tenendo conto che la soddisfazioni dei bisogni sanitari collegabili alle funzioni della medicina generale richiedono sempre ambiti territoriali contenuti mai superiori ai 30.000 abitanti ( corrispondenti a circa 20 mmg massimalisti). Per non creare differenziazioni professionali e assistenziali ogni AFT dovrebbe avere una sua UCCP di riferimento.
- I fattori di produzione dell’assistenza non devono essere confusi con i fattori di produzione del reddito o con fattori per lo svolgimento ( o acquisto) di attività diagnostiche
- Le società di servizio o le cooperative sociali possono intervenire a sostegno delle aggregazioni ( UCCP/Case della Salute/AFT) per quanto riguarda i fattori di produzione dell’assistenza
- I rappresentanti dei professionisti sono referenti eletti dagli stessi mmg. Il termine coordinatore non appartiene all’ambito della medicina generale territoriale. I referenti hanno funzioni di servizio e sono unici per le aggregazioni complesse e per quelle funzionali dello stesso territorio al fine di favorire l’integrazione tra i mmg dell’UCCP e dell’AFT . I mmg che svolgono attività di consulenza per le aziende non sono rappresentanti dei mmg ma fiduciari aziendali. Il mmg fiduciario aziendale che riveste cariche sindacali può incorrere in conflitto di interessi.
- L’inserimento delle nuove generazioni nella medicina generale convenzionata avviene per graduatoria regionale. E’ possibile ipotizzare diverse vie di accesso alla professione convenzionata rifacendosi sempre alla graduatoria regionale in particolare per le strutture aggregate e in relazione al massimale (zone carenti anticipate attivate in tempo reale con sistemi informatici da mmg ultra sessantacinquenni)
- I debiti formativi possono essere soddisfatti da attività autonome documentate ( attività di team che affrontano temi di appropriatezza, personalizzazione; incontri di briefing; attività di tutor, attività di referente; partecipazione a tavoli professionali ed organizzativi locali, regionali e nazionali; attività di coordinamento del volontariato, docenza di vari ordini e gradi, rappresentanza o ruoli istituzionale …)
- Occorre distinguere tra l’assistenza primaria erogata da una équipe e il lavoro in team e/o in squadra. La caratteristica distintiva specifica e qualificante dell’operabilità della mmg inserita all’interno di una struttura in grado di erogare prestazioni complesse dovrebbe essere quella del lavoro in team e/o di squadra e non in équipe. Il lavoro in équipe si riferisce ad enti o professionalità diverse che operano insieme ( in modo coordinato e gerarchico) per affrontare e risolvere un problema non risolvibile dai singoli componenti o dalle loro funzioni aziendali di partenza (es.: équipe chirurgica).
Il lavoro in team e/o in squadra è orientato ad un progetto e risponde nel suo complesso ad un problema. E’ flessibile e i componenti cambiano in relazione alla domanda. Questo tipo di approccio rappresenta una specificità assistenziale che viene percepita dagli assistiti come personalizzazione della cura: la collaborazione interna al team tra le diverse professionalità è in grado di migliorare i sistemi operativi e le dinamiche collaborative interdisciplinari che possono gestire i cambiamenti, gli apprendimenti, il problem solving e sostenere impegno e motivazione. Il coordinamento non è gerarchico ma diluito e dettato dalla definizione di norme comuni di servizio ( tempo delle risposte, efficienza, precisione, dedizione , passione …).
ll team multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale (M&M&M) risponde alle esigenze della programmazione assistenziale in quanto attiva il processo della presa in carico degli assistiti occasionali/di opportunità ma soprattutto degli assistiti complessi e fragili attivando l’integrazione con la specialistica, l’infermieristica; l’integrazione H-T e socio sanitaria, il coinvolgimento del farmacista/statistico, la collaborazione con il volontariato, il terzo settore e con le nuove professionalità sanitarie. Il team si avvale di incontri estemporanei di briefing ( incontri brevi, informali, di solito mattutini normalmente in uso nelle imprese che generano prodotti di successo)
- Attività di team e di briefing, di educazione sanitaria, di testimonianza pedagogica verso i corretti stili di vita sono valorizzabili
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna
(Fine seconda parte, leggi la prima parte e la seconda parte dell’articolo)
20 aprile 2018
© Riproduzione riservata
Quale futuro per le cure primarie? (2ª parte)
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 18 aprile 2018
L’attività operativa
del medico di famiglia è rimasta sostanzialmente quella antecedente al 1978
(convenzione, libera professione formale di fatto parasubordinato, rapporto
economico a quota capitaria, organizzazione del proprio ambulatorio) e quelli
che vengono pubblicizzati come cambiamenti rappresentano nella realtà
incrementi progressivi impositivi di obblighi contrattuali spesso di natura
burocratica che hanno in gran parte “impiegatizzato” il lavoro del medico
18 APR - Nonostante il diffuso utilizzo del termine “Clinical Governance” non è sempre agevole comprendere in senso univoco il significato del termine inglese. Anche gli “addetti ai lavori ” divergono in merito all’ esatta interpretazione. Per “Clinical Governance” si intende che... il “governo” (nel senso dell’Amministrazione o dell’Autorità Istituzionale, o dei Capi o dei Governanti, o delle Dirigenze Aziendali) riconosce l’autonomia professionale e il ruolo di dirigenza dei professionisti (e questo vale per tutti i professionisti che operano nell’azienda, qualunque sia la loro disciplina) nella gestione dei servizi, in cambio di una piena assunzione di responsabilità nell’uso delle risorse e nel miglioramento della qualità clinica.
Il governo clinico si basa su alcuni principi (valutazione e miglioramento continuo della qualità, autonomia professionale, responsabilità distribuita, rendicontazione e trasparenza, clima organizzativo favorevole, sorveglianza delle condizioni di rischio, monitoraggio delle performance assistenziali, appropriatezza) e su molti strumenti. Esistono comunque nette differenze tra le definizioni istituzionali di governo clinico ( clinical governance) con quello che la letteratura di settore ritiene debba essere considerato un governo clinico affidato effettivamente ai professionisti dell’assistenza territoriale e alle loro integrazioni in team multiprofessionali, multidisciplinari, multisettoriali.
I principi e gli strumenti di un governo clinico affidato effettivamente ai professionisti si discostano dal concetto di clinical governance aziendale in quanto i medici e i professionisti sanitari del territorio sono orientati ad una applicazione delle conoscenze della scienza all’interno di una concezione olistica di salute e di una visione dell’uomo complessa interdipendente secondo un paradigma bio-psico-sociale.
Con l’avvento della cultura manageriale in sanità (legge 502/1992) le logiche aziendali sono state assoggettate a modelli gerarchici monocratici (ampiamente superati da anni nelle imprese private di successo) e hanno ricondotto le categorie aziendali all’interno di una concezione squisitamente giuridica dell’amministrazione con governi (clinici) esercitati da organi apicali nominati dal soggetto politico che non hanno permesso una reale dialettica di rappresentanza degli interessi procurando di fatto una subordinazione della clinica alla gestione.
Le riforme sanitarie attuate dal 1978 ad oggi (833/1978; 502/1992; 229/1999 e la Legge Balduzzi) non sono mai riuscite a creare un prodotto nuovo e di qualità ma sono rimaste inglobate in primis all’interno in un concetto collegato agli interessi e al primato dell’agire amministrativo per poi applicare ai professionisti impegnati in trincea un pensiero sempre un po’ sospettoso e superato di tipo natural-scientifico riduzionista che, inserito nella cultura burocratica-aristocratica, ha mantenuto un modello sostanzialmente ospedalocentrico, specialistico, farmacologico completamente disconnesso dal sistema sociale.
Il salto di qualità ed il prodotto di rottura esige il recupero culturale di una concezione antropologica globale dell’uomo sano e malato contestualizzato nel suo mondo che permette di coniugare il principio del curare, derivante dalla medicina scientifica, con quello del prendersi cura olistico-antropologico-personalizzato.
Prendersi cura significa aiutare l’uomo ammalato ad un empowerment fortemente sostenuto dai sanitari, ove possibile, e incuriosire l’uomo sano ai vari apprendimenti finalizzati al mantenimento dello stato di salute. Il ruolo educativo del medico che opera in un team paritario con altri professionisti della salute acquisisce un ruolo formativo che consente al cittadino di trasformarsi da assistito in soggetto attivo per la gestione della propria salute così che, la condivisione della responsabilità, consente di prendere decisioni all’interno della comunità di appartenenza anche critiche in grado di contrastare effettivamente e produttivamente il tecnicismo estremo, il consumismo sanitario, l’ipermedicalizzazione e la mancanza diffusa del buon senso.
Per questo motivo si avverte in modo pressante la necessità di luoghi dove i professionisti della assistenza territoriale possano ritrovare le radici del loro mestiere (etica, cultura, formazione, deontologia, integrazione ecc.) e al tempo stesso gli assistiti possano diventare protagonisti, con i loro professionisti, dei percorsi preventivi, di educazione sanitaria, di cura, riabilitazione o di recupero delle funzioni residue. Non si tratta di “recinti” o di “ospedaletti” ma di reali strutture (UCCP/Case della Salute) in grado di aggregare per sinergia progetti preventivamente condivisi tra operatori e dove tecnologia e antropologia possano marciare di pari passo per ritrovare il vero senso della clinica e dell’assistenza.
La riforma ter prevede, tra le altre cose, l’aggiornamento obbligatorio (ECM) ma anche in questo caso è necessario un profondo rinnovamento che investa non solo i contenuti ma anche le metodologie che non possono esimersi da una analisi relativa al come si acquisiscono, interpretano e assimilano le informazioni. I professionisti dell’assistenza che operano in team devono poter determinare i propri obiettivi generali e tra questi anche quelli orientati all’ apprendimento. I bisogni informativi non sono uguali per tutti così che deve essere previsto un piano di apprendimento professionale personalizzato che deve essere strutturato in modo autonomo o in team per poter effettivamente produrre cambiamenti positivi nella attività culturale e assistenziale quotidiana.
Oggi la maggior parte delle funzioni assistenziali sono state interamente trasferite al territorio senza che vi sia stata una corrispondenza di investimenti adeguati. A fronte dei profondi mutamenti sociali e sanitari il riordino delle cure primarie è stato semplicemente un fallimento a causa della assenza di interlocutori così che i professionisti della salute non hanno avuto la possibilità di potersi sintonizzare col ritmo dei cambiamenti. Dovrebbe invece essere valorizzata la perizia nella capacità di interpretare la realtà e di immaginare il cambiamento magari partecipando alla sua realizzazione per produrre sevizi che alimentino il bene comune (cultura del progetto, Ezio Manzini, Politiche del quotidiano, Edizioni di Comunità, 2018). Le interminabili latenze che si creano tra una ipotesi progettuale e la sua realizzazione fanno si che eventuali progetti significativi vengano realizzati quando questi sono già ampiamente superati.
L’attività operativa del medico di famiglia è rimasta sostanzialmente quella antecedente al 1978 (convenzione, libera professione formale di fatto parasubordinato, rapporto economico a quota capitaria, organizzazione del proprio ambulatorio) e quelli che vengono pubblicizzati come cambiamenti rappresentano nella realtà incrementi progressivi impositivi di obblighi contrattuali spesso di natura burocratica che hanno in gran parte “impiegatizzato” il lavoro del medico (es.: la compilazione del modulo on line INAIL nella sua laboriosità e ridondanza, dove la componente medico professionale risulta essere residuale è l’emblema di una attività che prima di essere medica va, nella pratica, a sostituire l’attività impiegatizia dei dipendenti INAIL).
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna
(Fine seconda parte, leggi la prima parte dell'articolo)
18 aprile 2018
© Riproduzione riservata
Quale futuro per le cure primarie? (1ª parte)
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 17 aprile 2018
Una volta che l’Acn sarà definitivamente siglato riprenderanno le trattative decentrate che, fatalmente, trascineranno tutte le contraddizioni derivanti dalla mancanza di un vero disegno di riordino delle cure primarie di tipo culturale prima ancora che tecnico-amministrativo. In mancanza di una rielaborazione intellettuale strutturata il sistema tenderà inevitabilmente a conservare lo status quo attraverso modalità e regolamenti tipici della burocrazia lineare, protocollare, amministrata, economicistica.
17 APR - La firma dell’Ipotesi di ACN per la medicina generale avvenuta il 29 marzo 2018 alla Sisac ( Struttura interregionale sanitari convenzionati) ha fatto seguito al così detto Verbale di Preintesa che a sua volta è stato preceduto, nel tempo, da numerose versioni di Atti di Indirizzo. Il 2018 è anche l’ anniversario di quella Riforma Sanitaria che istituì, nel nostro paese, il Ssn 40 anni fa ( legge 833 del 23 dicembre 1978). Non è banale ricordare il 1978 perché, come ha scritto Ilvo Diamanti, le ricorrenze possono servirci per tornare indietro con gli occhi e con la mente oppure, al contrario, per proiettarci in avanti.
Questi suoi primi 40 anni il Ssn li dimostra tutti.
In particolare le rughe sono evidenti nell’organizzazione della medicina generale e dell’assistenza territoriale. Le riforme che si sono succedute negli anni ( 833/1978, 502/1992 e 229/1999 senza dimenticare la Legge Balduzzi del 2012 ) non sono riuscite a incidere in modo significativo sul riordino delle cure primarie tanto che si è costantemente tentato, in modo improvvido, di mettere in atto ulteriori riforme, improbabili ed inattuabili, attraverso gli ACN che per definizione dovrebbero solo regolare i rapporti di lavoro dei professionisti a fronte di una norma sovra ordinata.
Il pallido tentativo proposto nel 2012 dalla legge Balduzzi è ancora li che circola all’interno del suo affastellato Art. 1 come un pezzo di pane raffermo dimenticato nella madia tanto che nemmeno il Patto della Salute del 2014 è riuscito a ravvivarlo. Forse può essere comunque necessario evidenziare che la legge Balduzzi, magnificata a suo tempo da alcuni odierni detrattori, resta una legge che non è stata cancellata o sostituita. L’eventuale mancata osservanza di una certa norma non produce, nell’ordinamento italiano, alcun effetto abrogativo su leggi pubblicate in Gazzetta Ufficiale tanto che i suoi principi restano tutt’ora inseriti in quello che verosimilmente diventerà, entro il 2018, l’ACN.
A partire dall’ACN del 2005 a tutt’oggi gli Accordi continuano ad essere in gran parte sovrapponibili anche se nel frattempo i cambiamenti sociali sono stati vorticosi, fortemente condizionati da una contrazione spazio-temporale globale e da un pensiero unico e debole che ha acuito il conflitto, sempre più insanabile, tra scienza medica collegata agli aspetti operativi /organizzativi ( generati in modo autonomo e spontaneo dai professionisti della sanità grazie alla circolazione dei saperi e degli apprendimenti relativi alle buone pratiche operative) e gestione istituzionale della sanità soprattutto territoriale.
Una volta che l’ACN sarà definitivamente siglato riprenderanno le trattative decentrate che, fatalmente, trascineranno tutte le contraddizioni derivanti dalla mancanza di un vero disegno di riordino delle cure primarie di tipo culturale prima ancora che tecnico-amministrativo. In mancanza di una rielaborazione intellettuale strutturata il sistema tenderà inevitabilmente a conservare lo status quo attraverso modalità e regolamenti tipici della burocrazia lineare, protocollare, amministrata, economicistica basata su relazioni verticali e gerarchie piramidali che, come insegna l’esperienza, spesso sfociano nella sotto cultura dell’ appartenenza e dell’autoreferenzialità.
Tuttavia la congiuntura attuale di cui tanto si parla (“non ci sono i soldi”) non è completamente credibile e non ha motivazioni solo finanziarie. Forse è molto più pervasiva la crisi di fiducia. Nell’immaginario collettivo e in quello del consenso questo disagio coinvolge la così detta classe dirigente del paese considerata non in grado di dare risposte a temi etici di equità e di bene comune a fronte di una progressione inarrestabile della globalizzazione che, per certi aspetti, avrebbe anche potuto produrre opportunità se vi fosse stata una ingegnosa ri-organizzazione della sanità territoriale.
Le istituzioni storicamente preposte al welfare (es.: Pubblica Amministrazione) da sole non riescono più a fare fronte ai bisogni e alle complessità assistenziali attuali così che appare sempre più indispensabile il coinvolgimento delle varie componenti della società civile al fine di rendere sostenibile una assistenza territoriale di qualità. I fautori di questa ipotesi di ri-organizzazione di un Ssn pensano che alla Pubblica Amministrazione debba essere affidata la salvaguardia di valori sociali considerati fondamentali (es.: universalismo, equità, trasmissibilità, integrazione…) mentre la gestione del governo clinico dovrebbe essere consegnata, nel suo complesso, ai professionisti del territorio e alle organizzazioni della società civile che collaborano con loro. Le indispensabili risorse potrebbero derivare da una partnership tra pubblica amministrazione ed economia reale (imprese generative) che interagiscono e co-operano con gli attori, le organizzazioni e le professioni impegnate nell’ assistenza territoriale.
La prossimità periferica, posta al centro delle relazioni, diventa così un concreto strumento per ottimizzare le risorse, la qualità della vita ed il clima di rinnovata fiducia negli accordi e nei patti proprio perché vengono agite forme di scambio e collaborazione che portano a valorizzare la sinergia tra la diversità delle competenze che, oggi, rappresenta il presupposto per permettere alle nostre comunità di affrontare il futuro in modo sostenibile.
La contiguità interna favorisce inoltre azioni di educazione civica, testimonianza e consapevolezza che possono promuovere salute e benessere in modo diffuso e percepito (qualità tacita) e la personalizzazione della cura diventa il criterio principale per valutare una performance assistenziale di successo. In questo disegno i legami sociali, la condivisione delle responsabilità, l’alleanza tra clienti interni ed esterni non solo rendono possibili reali riallocazioni delle risorse ma permettono al mmg di ritrovare il ruolo di leadership nella collettività di riferimento in grado di orientare tutte le collaborazioni operative al fine di conseguire una conduzione responsabile e condivisa del governo clinico.
E’ possibile così realizzare ciò che vien definito un prodotto innovativo di rottura e di successo capace di superare l’attuale modello organizzativo territoriale in declino e non più adeguato al contesto. Un prodotto innovativo di successo implica una completa “gestione” autonoma del governo clinico territoriale con presa in carico dei bisogni dell’assistito (es.: cronicità) all’interno di un sistema integrato che sia abile nel gestire un processo decisionale in tutte le sue fasi tipiche che vanno dall’ideazione alla progettazione, dalla sperimentazione all’organizzazione per finire con la valutazione e la rendicontazione.
Una eventuale organizzazione moderna amalgama le conoscenze professionali, personalizza l’assistenza, gratifica la qualità percepita e tacita, valorizza l’aspetto economico e condivide le responsabilità senza sollecitare gerarchie piramidali. Le risorse aggiuntive provenienti dall’economia reale dimostrano sempre di più una forte disponibilità a collaborare in partnership con le istituzioni (“dall’indagine si conferma un offerta di capitali maggiore della domanda”; Startup sociali, la finanza chiama, Il Sole24Ore Domenicale del 15 Aprile 2018) per rendere concreto e sostenibile un disegno di riordino diretto non tanto al massimo ribasso dei costi ma al maggior rialzo della qualità e della trasparenza (reciprocazione).
Secondo la ricerca della Schcool of Management del Politecnico di Milano (2018) che ha considerato alcuni criteri per valutare la prontezza ad accogliere investimenti veri e propri ha evidenziato come la dimensione che ha ottenuto il risultato peggiore ha riguardato proprio le competenze organizzative inadatte ad una effettiva governance inclusiva delle qualità intellettuali e delle competenze professionali in grado di dare vita a “prodotti” attrattivi. (Fine prima parte)
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna
17 aprile 2018
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Il lento ed inesorabile declino delle Cure Primarie
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 6 febbraio 2017
06 FEB - Gentile Direttore,
l’ultimo intervento di Ivan Cavicchi su QS del 27 gennaio riporta una lievequasiimprecazione (… ma per quale diavolo di motivo … nulla che non produca conseguenze distruttive … regolarmente le peggiori). Risulta arduo non poter raccogliere lo spunto per la riflessione che proviene da un autorevole studioso della materia come è il Prof. Cavicchi.
Se anche il Prof. Cavicchi viene scarsamente ascoltato si conferma ancor più fortemente il concetto (sperimentato in questi tribolati anni di trattative romane e di turbinanti iniziative in libera uscita di regioni ed aziende) che sostiene come le elaborazioni propositive presentate dai professionisti operanti in prima linea per quanto riguarda ciò che viene definito “riordino delle cure primarie” restino solo esercizi letterari (Cavicchi : Il riformista che non c’è, 2013) tra quei pochi colleghi che non hanno completamente abbandonato un atteggiamento positivo e con fatica cercano di valicare bandiere e tifoserie. Intanto l’impero romano sta crollando senza nemmeno uno scricchiolio di avvertimento.
La nuova delibera della Lombardia in merito alle patologie croniche non è una sorpresa ed era ampiamente prevedibile prima perché l’esternalizzazione, la privatizzazione ed il sistema degli accreditamenti (inesistente nella medicina generale per la sua residua componente libera professionale convenzionata) è iniziato tanti anni fa con i gruppi dedicati alle cure palliative (esperienza che pare non aver prodotto particolari ripensamenti ai professionisti delle Cure Primarie), poi è continuata con i CreG anch’essi con budget a provider ed infine eccoci con l’affidamento dell’assistenza della cronicità a gestori sanitari.
Che dire? Negli anni gran parte delle stagioni contrattuali sindacali si è spesso basata sulla ricerca di benefit (e non raramente business per pochi) piuttosto che puntare su una assoluta e condivisa valorizzazione della professionalità diffusa ( giustamente da gratificare ). Ciò che avviene in Lombardia sta avvenendo in altre regioni con la diversità che non sempre, questo passaggio tra welfare state ad altro welfare, è immediatamente intellegibile ai più (es.: a Bologna ci sono più Guardie Medica privata che evidentemente, per legge di mercato, soddisfano un bisogno. Vedi web).
Come dice Pina Onotri (Segretaria Nazionale SMI su QS, 31 gennaio 2017) sarebbe necessario un fronte comune, senza unanimismi di facciata, in difesa del servizio pubblico … a meno che non sia però troppo tardi e ilcountdown sia inarrestabile visto comunque le tiepide reazioni possibiliste all’iniziativa Lombarda dichiarate dai rappresentanti di alcune sigle sindacali.
Come già altri colleghi hanno ricordato l’attuale organizzazione sanitaria comprende una attività assistenziale-erogativa e una amministrativa-gestionale-organizzativa-di controllo. Le due aree presentano diversità di origine e di fondamenta: una arcaica e plurisecolare, l’altra recente e collegata ad esigenze politiche-burocratiche-amministrative.
Nel passato la parte burocratica-amministrativa si è dimostrata più dimensionata a fronte di una componente assistenziale forte. Attualmente la situazione si è ribaltata a favore di una strutturazione aziendale gerarchica, una burocrazia amministrativa molto forte ed in grado di schiacciare e livellare ogni altra forma di pensiero che non sia unico.
Quindi queste due aree hanno consistenze numeriche e decisionali-politiche completamente sbilanciate con interessi ed obiettivi non coincidenti. La maggioranza dei mmg attualmente impegnati a garantire la sostenibilità dell’assistenza (dimissioni sempre più complesse con equilibri precari ed impossibilità di trovare soluzioni adeguate) è soggetta ad una frenetica iperattività ed iper-occupazione che supera di molto le 12 ore giornaliere tanto da poter ipotizzare due strade:
A - il passaggio alla dipendenza di tutto il comparto dell’assistenza primaria;
B - in alternativa occorre marciare verso una convinta accettazione dell’autonomia e della libera professione dell’assistenza primaria sostenuta a sua volta da una reale valenza politica.
Le istituzioni forse sceglierebbero l’opzione A ma non sembrano attualmente più in grado di sostenere il costo dell’operazione anche se perseguono tenacemente con normative e delibere la finalità della parasubordinata spinta e soffocante. Nello stesso tempo non riescono a garantire un welfare state storico perché la globalizzazione e le modifiche socio-assitenziali hanno portato ad un incremento esponenziale di nuovi bisogni ostentati dai clienti esterni.
In numerose occasioni è stata data la possibilità, su questo stesso quotidiano, al nostro Centro Studi ma anche a tanti altri professionisti, di presentare le analisi critiche relative ai testi dei documenti nazionali e regionali/locali che argomentavano di Cure Primarie così come è stato acconsentito di elencare contributi e proposte costruttive al fine di sanare eventuali defaillance nella convinzione che l’interesse verso il bene comune non fosse definitivamente esaurito e lo strumento del confronto potesse tutelare l’interesse professionale di molti (assistiti e medici) senza rischiare di incunearsi in posizioni di rendita per pochi.
Ciò nonostante i processi decisionali sono afflitti da pregiudiziali tali che da anni vengono riproposte soluzioni di tecnicismo esasperato ed inconfutabile ed in questi casi la rappresentatività resta di facciata. Questo sistema inoltre oltre tende a contrastare ogni evidenza statistica dove le competenze per stabilire le “ragioni e i torti” non dovrebbero mai appartenere ad una sola delle parti.
Non è questa l’occasione di fare un elenco (lungo) di proposte argomentate a favore di un riordino delle cure primarie già presentate più volte. Desta non poca meraviglia però non poter più ritrovare, nei numerosi documenti nazionali e regionali/locali, richiami introduttivi alle caratteristiche e alle competenze valoriali della medicina generale enunciate dalla prestigiosa World Organization of National Colleges and Academics (Wonca) sostituite, a sostegno delle scelte di politica sanitaria, da altre numerose citazioni autoreferenziali o di relativo impatto effettivo culturale /scientifico assistenziale (es.: DG SANCO 2014) con il conseguente impoverimento della credibilità dei documenti stessi.
Le istituzioni sembrano comunque aver esaurito la spinta propulsiva per rivoluzionare la sanità nonostante il poderoso apporto culturale accademico e delle agenzie. In questa situazione diventa difficoltoso attivare una fase di ripensamento del welfare nel quale sia possibile, grazie al ruolo essenziale dei professionisti, coniugare rigore, universalismo e scelte prioritarie riportando al centro del dibattito culturale e politico la sanità come unico luogo in cui si sostanziano uguaglianza dei cittadini e principio di solidarietà.
Dopo la riforma del 1978 si è esaurita la stagione dei dividendi derivati dagli anni del boom economico dove nel nostro paese gli imprenditori (anche con la terza elementare) superavano di gran lunga i dirigenti e il Pil correva a doppia cifra come quello cinese attuale. Ora ci sono molti più dirigenti che imprenditori (un mmg è un piccolo imprenditore ). Le difficoltà crescenti per coniugare il buon governo con i bisogni reali delle persone diviene addirittura oggetto di studio da parte delle neuroscienze (Il Sole24Ore,15 gennaio 2017). Nel complesso la Sanità Italiana è passata al 22° posto (Indagine dell’Health Consumer Powerhouse 2016 che valuta la soddisfazione dei cittadini) su 35 paesi europei analizzati.
Eppure una organizzazione adeguata della sanità (con i suoi determinanti di salute) potrebbe essere un solido fattore di sviluppo economico come dimostrato da numerose pregresse argomentazioni dove si richiama l’attenzione al rispetto delle comunità reali. Oggi è un po’ di tendenza parlare di comunità proprio perché le istituzioni si sono accorte che da sole non sono più in grado di affrontare i grossi capitoli dell’assistenza territoriale. Ancora una volta però, a causa di un ritardo culturale incredibile, i centri decisionali non si sono accorti che le comunità non esistono più.
Per dire più correttamente esistono residui di comunità intorno alle massime istituzioni morali dei nostri territori (parrocchie) e anche il mmg rappresenta, in molte realtà, un punto di riferimento fondamentale. Le comunità non si creano con i finanziamenti o le sovvenzioni. Le persone desiderano autonomamente e fortemente partecipare in modo reale e non virtuale. Il MMG e le cure primarie sono rimaste effettivamente forse tra i pochi punti di riferimento delle comunità/società locali che (anche se fortemente in crisi) grazie all’azione di empowerment dei mmg mostrano di poter esercitare un protagonismo crescente per far fronte all’incrementi dei bisogni socio-assistenziale a cui le istituzioni non riescono più a dare rispose. Inoltre la personalizzazione delel cure che solo il medico di base è in grado di assicurare è considerata dai pazienti criterio di valutazione della qualità assistenziale.
L’impegno economico consistente e necessario sul medio periodo per il riordino delle cure primarie resta un investimento non un costo ma c’è la necessità di uscire da sfere molto ampie per comunicare competenze ed abilità in modo raccolto (walled garden cioè giardino contenuto: Colletti, Il Sole24Ore, 5 febbraio 2017). Potrebbe non essere coerente con i bisogni ipotizzare quindi ambiti territoriali che superino i 30.000 abitanti. Da questo punto di vista occorre individuare con chiarezza strutture logistiche all’interno dell’ambito territoriale geografico contenuto (mai più di 30.000 assistiti/popolazione/presenti) identificabili indiscutibilmente come declinazione del distretto. La presenza stanziale dei mmg è fondamentale per offrire integrazione e gestione della complessità.
L’adesione e la partecipazione dei mmg che desiderano affrontare questa esperienza devono essere volontarie e devono comunque garantire equità anche per coloro che desiderano garantire una capillarità territoriale continuando ad operare negli ambulatori singoli pernon creare differenziazioni tra professionisti e di conseguenza diversità tra potenzialità assistenziali territoriali.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria CSPS
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia-Romagna
06 febbraio 2017
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Il format delle cure primarie: il Territorio della Salute
Articolo a cura di Bruno Agnetti, Presidente Regionale SMI Emilia Romagna e Alessandro Chiari, Segretario Regionale SMI Emilia Romagna
Pubblicato su M.D. Medicinae Doctor - Anno XXI numero 2 - 20 marzo 2014
Un Patto tra Generazioni. L'Esperienza del Mmg al Servizio dei Giovani Medici
Un Patto tra Generazioni.
L'Esperienza del Mmg al Servizio dei Giovani Medici.
L’inserimento di un giovane collega junior nello studio del Mmg senior già convenzionato, non solo si può collegare perfettamente con il progetto di integrazione territoriale e con la funzione di “Mmg primario del territorio”, ma può essere una opportunità per l’inserimento di nuove leve nell’esercizio della medicina generale.
Articolo di Bruno Agnetti, Alessandro Chiari
Pubblicato su M.D. Medicinae Doctor - Anno XIX numero 1 - 20 gennaio 2012
Mmg soli o in Team pari sono
MMg soli o in team pari sono
Gli utenti sono ugualmente soddisfatti, ma serve un supplemento d'indagine
Una ricerca di customer satisfaction condotta a Parma non rileva differenze di gradimento
Articolo di Bruno Agnetti, Davide Dazzi, Alessandro Chiari, Lucia Monari, Lorella Marinucci, Maria Antonioni
Pubblicato su Il Sole 24 Ore - Sanità del 25 - 31 Maggio 2010