Un attimo, per riprendere fiato dal soffocante pensiero unico
Gentile Direttore,
le note controriforme e le ingarbugliate innovazioni, pur consacrate dal soffocante pensiero unico, mostrano già l’inconsistenza a causa di fondamenta costruite sulla sabbia. Alcuni ricorderanno i contenuti del art. 1 della legge Balduzzi (2012) dove si declinavano le funzioni delle AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali). Le regioni hanno poi generato caos inventando numerosi acronimi per marcare il loro territorio. Il DM 77 è una legge che sembra fatta su misura per creare confusione. Fa eco il recente ACN.
Il PNRR sollecita espressamente l’attuazione dell’assistenza di prossimità ma considera le CdC e gli Ospedali di Comunità (tutt’altro che di Comunità) come esempi e non come modelli unici. Ex cathedra si ammette infatti che le CdC (prevalentemente “spoke”) non siano adeguate ai reali bisogni delle popolazioni e dei professionisti.
Nonostante l’inesorabile penetrazione del privato nel SSN, le alte dirigenze (Regionali e Aziendali) si sono cullate nella certezza della loro perenne esistenza e del fatto che alcuni servizi non sarebbero mai stati appetibili al privato-privato e il ruolo di dominio istituzionale, in quei settori, non sarebbe mai stato conteso. In pochi mesi si sono moltiplicati PS, Sert, pronti interventi di base h/24, rianimazioni… il tutto rigorosamente privato-privato!
Alcuni commentatori hanno osservato che le gerarchie di potere (“sappiamo cosa è meglio” per voi) potrebbero essere le prime a non volere mai nessuna vera innovazione proprio perché sarebbe più conveniente, per loro, un orientamento sulla malattia piuttosto che sul cittadino. Così appaiono come “grande finzione” anche le CdC conformi alle contraddizioni contro-riformistiche e ai consociativismi. Questi ultimi probabilmente non più attribuibili a convergenze storiche (es.: istituzioni e sindacato) ma a solide collaborazioni tra istituzioni e/o gruppi che condividono interessi particolari e comuni.
L’urgenza riformatrice desiderata da cittadini e professionisti è contrastata dalla smisurata quantità di tempo gestionale a disposizione delle alte amministrazioni dove il neoliberalismo ed il consumismo sembrano essere proprio di casa.
Il potere di Regioni e Aziende è talmente possente che non c’è spazio per elaborazioni che non siano più che allineate in quanto ciò che una regione delibera, in ambito sanitario, diventa legge. Le Aziende Locali, poi, applicano il mandato avendo come principali o unici referenti politici e datori di lavoro gli Assessorati Regionali.
Si ricorderà l’enorme pressione comunicativa messa in atto nel periodo in cui gli apparati avevano deciso di chiudere i piccoli ospedali territoriali spesso presidi “gioiello” e vere scuole di integrazione con il territorio. Anche allora (USL) i referenti erano politici ma facilmente raggiungibili ed individuabili. I piccoli ospedali sono stati chiusi con la promessa di istituire presidi territoriali “equivalenti”. Ciò poteva sembrare, in un primo momento, accettabile per professionisti e cittadini ma poi è stata varata la controriforma sulle CdS del 2016.
Il Covid ha ricordato tutto ciò ma, al momento, il sistema è immodificabile a causa della legislazione vigente.
Una riflessione a parte merita la questione “comunità”. Non vi sono dubbi che il senso di appartenenza e i legami sociali siano stati fortemente provati dalla globalizzazione finanziaria. Dal punto di vista sociologico-sanitario, per la prima volta, si verifica un elemento inedito. Si può osservare la compresenza, in ambito occupazionale, di nette stratificazioni generazionali che manifestano dirompenti differenze culturali.
Nello specifico i giovani colleghi che intraprendono, oggi, la professione di mmg si trovano a confrontarsi in modo nuovo con istituzioni a struttura medioevale e con le comunità di riferimento (assistiti coetanei ma anche “silenti” o “boomer” che li hanno scelti fiduciariamente). Cosa ricercheranno nei giovani medici questi cittadini? Come considereranno i mmg il loro inquadramento professionale-giuridico, la loro autonomia, l’essere all’interno di una sempre più diffusa complessità, l’aumento delle tensioni sociali e le smisurate ansie individuali di molti assistiti?
Forse la generazione precedente dei medici di famiglia non si è preoccupata di organizzare una adeguata trasmissibilità esperienziale ai giovani colleghi così, è possibile, che gli stessi nuovi mmg non si siano particolarmente interessati a questo aspetto. Non di meno la professione sarà coinvolta nel far fronte ad alcuni strati della popolazione che manifesterà sindromi da sradicamento culturale e che frequenteranno l’ambulatorio del medico di base.
Considerato questo stato di cose i giovani colleghi potrebbero rappresentare un valore aggiunto in grado di comporre una sintesi tra professione e società. Dal punto di vista antropologico si può sostenere che i giovani professionisti abbiano un “cervello” nuovo, una professionalità e una intellettualità immersa nella marea tecnologica in grado di far fronte alle criticità sanitarie burocratiche-amministrative e di affermare una autonomia professionale coerente con il paradigma della complessità.
Questa potrebbe essere la vera “casa” abitata da giovani dottoresse (maggioranza in ambito delle cure primarie) e dottori abili nel costruire i principi per una riforma strutturale nazionale che necessita, per forza di cose, di una partecipazione bipartisan se si desidera finalmente superare tutte le assunzioni controriformiste. Tra queste vanno ricomprese anche gli improbabili modelli esteri o esotici molto pubblicizzati (come nella più classica delle promozioni neo-liberali) dimenticando, colpevolmente, la presenza, nel nostro paese, di questa nuova generazione di medici, inimmaginabile fino a poco tempo fa.
Non a caso l’ultima fatica del Prof. Ivan Cavicchi (“Medici vs Cittadini”, Castelvecchi, 2024) affronta il tema della ridefinizione giuridica del medico ma immette anche, all’interno del dibattito e della riflessione, la questione della complessità come nuovo “archè” che non può più essere tralasciato (Byung-Chul Han, “La crisi della narrazione”, Einaudi, 2024) se si desidera rappresentare la “questione medica” e una cultura assistenziale coerente con l’attualità post-moderna.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
25 marzo 2024
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La gerarchia è ineluttabile?
31 LUG - Gentile Direttore,
è nozione diffusa che il nostro sistema democratico sia di tipo rappresentativo. Non è una democrazia diretta. Per temperare una certa incompiutezza del sistema rappresentativo l’organizzazione politica/sociale prevede l’esistenza di molti enti finalizzati a mitigare l’inevitabile distacco che si crea tra cittadini e istituzioni (es.: corpi intermedi e organi sussidiari) affinché questi rappresentino nel modo il più diretto possibile le esigenze popolari. Questo processo acquista un valore particolare in sanità.
Non si può dire che il tema “partecipazione” sia stato realizzato se molti cittadini non conoscono (fatto salvo per gli addetti ai lavori) cosa significhi commissariamento o sub-commissariamento e per quali motivi vengano attivati. Oscure per la maggior parte delle persone sono le definizioni e le funzioni dei Comitati Consultivi Misti e delle Conferenze Socio Sanitarie Territoriali o dei Piani di Zona. A volte il turbinio degli avvicendamenti intra-regionali tra componenti delle alte e medie dirigenze non permettono nemmeno agli addetti di avere interlocutori.
L’esaustiva recente indagine di D. Caldirola (Welfare comunitario o Casa della Comunità: dal PNRR alla riforma dell’Assistenza Sanitaria Territoriale, 2022) non rimuove infine le “antinomie” più volte rappresentate sulle colonne di QS.
Un Welfare di Comunità disegnato così come è raffigurato dai recenti decreti e dai vari documenti non è un vero Welfare di Comunità, infatti il processo decisionale autonomo a livello territoriale in favore di professionisti e cittadini resta un esercizio manierato senza reali innovazioni strutturali; incombe quasi minaccioso su ogni ipotesi di riordino l’idea della assoluta necessità del Distretto come se fosse un mantra intoccabile; i consorzi, molto più comunitari sia dal punto di vista geografico che relazionale e politico, sono inconfessabili.
Il tema del Welfare di Comunità, le traversie del PNRR, la complessità, la gerarchia, la governance, il volontariato e l’auto-organizzazione nelle Cure Primarie possono rivelare alcuni elementi in comune.
Il volontariato.
L’enfasi post Covid mostrata nei confronti del volontariato sembra ora essersi convintamente incanalata verso un ruolo che vede l’associazionismo civile come soggetto “conveniente” per possibili esternalizzazioni dell’offerta sanitaria al massimo ribasso possibile se non alla gratuità. Tuttavia il coinvolgimento del Terzo Settore avviene, nella maggior parte dei casi, rigorosamente “ex-post” secondo la più classica delle interpretazioni aziendali di governance (altra formula magica) a cui si vorrebbe dare un significato opposto a ciò che è nella realtà delle cose cioè un governo monocratico/oligarchico e verticistico.
Cure Primarie.
E’ eclatante come si perseveri (diabolicamente) nel calcolare la medicina di base come baluardo per gli accessi al PS e per i ricoveri impropri quando questo effetto dovrebbe essere un conseguenza secondaria ad una assistenza primaria che, secondo quanto definito da Wonca (2011-2012-2022), venga esercitata secondo caratteristiche specifiche proprie.
Auto-organizzazione.
Tra le varie ipotesi di riforma l’autonoma organizzazione di professionisti “autori” all’interno di comunità “contenute” (mai superiori ai 30.000 abitanti) può rappresentare uno “strumento chiave” per gestire un sistema complesso come è quello della salute (L’auto-organizzazione quale strumento di gestione della complessità, De Toni, 2021).
Complessità.
Lo stesso E. Morin (2005) ha sostenuto che, in un sistema complesso, le azioni alla fine sfuggono alle volontà di chi le ha generate a causa del meccanismo di autoregolazione o feedback (retroazione) così come avviene anche nelle reazioni biologiche o cellulari (catabolismo, anabolisismo, entropia, entalpia). Il principio della retroazione è fondamentale per comprendere la complessità. Quando manca la consapevolezza dei fenomeni correlati alla complessità non potranno mai essere approfondite le conseguenze che le azioni che insistono su questi stessi sistemi possono avere. Ogni azione può modificare l’evoluzione di un sistema complesso con esiti assolutamente inaspettati tanto che è possibile affermare che non esistono spiegazioni definitive ma solo contestuali.
Le strategie storicamente utilizzate dalle Aziende Sanitarie vengono guidate dagli esiti finali attesi perché l’assistenza di base viene considerata come un sistema semplice e lineare (appropriatezza prescrittiva e di diagnostica strumentale, riduzione degli accessi al PS e dei ricoveri definiti inappropriati, Assistenza Domiciliare Integrata/Programmata ecc.). Se invece l’assistenza viene pensata come un sistema complesso la strategia è ispirata dalle condizioni e dal contesto senza che si possa prevedere o attendere un esito ex-ante.
L’organizzazione gerarchica piramidale monocratica/oligarchica è assolutamente inadeguata per far fronte ai sistemi complessi.
Conclusione (leadership, presidio di riferimento, gerarchia, periferia)
Le Cure Primarie Territoriali richiedono la conoscenza del funzionamento dei sistemi complessi. La strategia organizzativa più adatta sembra essere quella dell’auto-organizzazione territoriale (patti tra professionisti e cittadini/assistiti) senza la presenza di controlli o modelli gerarchici centralizzati ( Ausl, Distretti, Assessorati).
Parafrasando il fisico premio Nobel Philip Warren Anderson (1977) si potrebbe sostenere che l’auto-organizzazione territoriale rappresenta il futuro più affascinante per un SSN in ragione della sua infinita varietà! L’autonomia organizzativa/gestionale richiede da parte dei professionisti impegno, innovazioni, intelligenza anche per esercitare una “self-leadership” vocazionale (Chris Lowney 2005) dove la gestione della responsabilità cliniche, relazionali e sociali crea benessere nei professionisti e nei cittadini. In questo modo si crea un “presidio” contestuale di riferimento per la comunità. Un vero Welfare di Comunità. La cultura del controllo centralizzato (es.: dipendenza dei mmg) non potrà mai risolvere le attuali criticità che aggrediscono le Cure Primarie perché ciò che è necessario è la comprensione della complessità e la soluzione è data dall’autonomia e dall’auto-organizzazione dei professionisti a livello territoriale. La gerarchia non è ineluttabile. Al centro non si risolve. Il futuro è in periferia (De Toni 2021).
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
31 luglio 2023
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Welfare di Comunità: sistema gestionale innovativo e completamente pubblico
Gentile Direttore,
ogni volta che il Prof. Cavicchi scrive un suo intervento conduce per forza di cose a riflettere in modo inatteso su temi che eventualmente sono già stati enunciati in altre occasioni. In uno dei suoi ultimi articoli (Il sogno di una riforma della sanità si infrange sulla “Missione 6” del Recovery Plan) il prof. Cavicchi concludeva la sua riflessione con una affermazione perentoria: se non si riconosce che la tragedia è immane e si continua a lamentarsi e ad offendersi per i graffietti senza accorgersi che il mondo crolla si può diventare enti “immorali”.
Narrazioni, episodi, esperienze, rendicontazioni in questo senso possono essere numerosissime ed emergeranno tutte al momento opportuno. Pare proprio che i “padroni del forno” non si stiano rendendo conto di ciò che capita e l’unica cosa che sanno fare è serrare in fretta la bottega (si preoccupano delle mega-aziende iniziative solo amministrative basate su documenti normativi del secolo scorso e, in questo periodo, accorpano ruoli e funzioni dirigenziali con il rischio che i compiti specifici vengano svolti in modo demotivato quando, proprio ora, i rapporti con il sociale rappresentato dai clienti interni ed esterni sarebbe fondamentale per preservare la professione da una regressione irreversibile). Purtroppo credo che molto presto avremo numerose occasioni per riprendere il tema.
Caro Prof. senz’altro molti guai partono dal “condottiero” ma anche le aziende e le regioni consumano tutte le loro energie per creare gineprai impenetrabili.
Per tornare a bomba, conosciamo molto bene la definizione nata nel 2010 con delibera regionale delle Case della Salute (la Ministra Turco aveva emanato un decreto ed un finanziamento sul tema nel 2007). Anche a causa di una infelice ulteriore delibera regionale del 2016 la potenzialità insita nel concetto originale di “Casa della Salute” è naufragata miseramente per altro procurando gravi differenziazioni professionali ed assistenziali… in questo caso i poliambulatori Inam sarebbero stati meno distruttivi!
Senza un vero modello ampiamente condiviso, che parta da un confronto e da un processo decisionale civico non c’è connotazione ma solo propaganda. Il poeta canta “… credo che ci voglia un Dio e anche un bar… per dare una identificazione, un senso di comunità, una empatia silenziosa ai 120.000 morti contati fino ad oggi. Questo numero sembra essere considerato inevitabile e trasparente!
Le comunità sono state frantumate, spezzettate, frullate dalla globalizzazione e tuttavia si continua a progettare le mega-aziende sanitarie su disegni normativi del secolo scorso! Anche le parrocchie si sono svuotate così come le chiese impregnate anch’esse dal singolarismo e dal relativismo. Queste realtà (comunità) hanno ricevuto l’ultimo scossone con la chiusura dei piccoli presidi sanitari territoriali che rappresentavano comunque punti di riferimento e di identificazione. Ora proprio coloro che hanno partecipato alla operazione “chiusura dei piccoli presidi territoriali” vorrebbero diventare paladini delle Case della Comunità.
Solo qualche paese o piccolo centro, meglio se in montagna, isolato per quel tanto che basta, sembra mantenere una identità e vivere un sentimento di comunità solidale.
E’ vero, come ricorda il Prof. Cavicchi, che per tentare una strada di innovazione (e purtroppo non di vera riforma ) qualcuno si è rivolto alla teoria di riferimento del “welfare di comunità” molto tempo prima che nascesse il movimento “prima di tutto la comunità” e ben lontano da ipotizzare la “Casa della Comunità” come effettivo modello.
E’ altrettanto vero che entro la teoria del welfare di comunità si ricerchi una vera e diversa gestione che superi completamente e totalmente il fallimentare sistema aziendale pur mantenendo una struttura completamente e totalmente pubblica: il welfare di comunità (non welfare aziendale né tanto meno Case della Comunità) ma un metodo gestionale pubblico che coinvolge le comunità (dove ci sono) oppure che partendo dalla sanità possa ricrearle, con molta fatica, dove queste sono state distrutte. Il covid dovrebbe aver insegnato qualche cosa ma la burocrazia e le piramidi gerarchiche sono più forti delle pandemie.
Il Prof. Cavicchi sostiene con verità che da anni il mondo cattolico sta tentando di inserirsi nella sanità (welfare di Comunità, processo decisionale, sussidiarietà circolare, reciprocazione… temi da tempo trattati dal Prof. Stefano Zamagni). Il motivo che potrebbe sottendere a questa incursione, per altro con una infinità di radici storiche, può ritrovare la giustificazione nella carenza da parte del sistema pubblico di una piramide gerarchica di criteri etici e morali fondamentali che sono invece reperibili nella tradizione religiosa (equità, meritorietà, qualità organizzativa, trasparenza, sostenibilità, trasmissibilità, consenso, gradimento, apprendimento, autonomia, complessità, assenza di regressione e contraddizioni, co-operazione, cambio di genere nella medicina generale del territorio…).
Infine non sarà una vera riforma ma è vitale un ritorno alle USL. E’ ormai necessario abbandonare le Ausl (aziende) che hanno abbondantemente dimostrato la loro inconsistenza. L’organizzazione territoriale sanitaria deve ritornare ai così detti consorzi per la salute delle comunità, pubblici, a conduzione generale politica ma attribuita a personaggi della vita politica locale, bel conosciuti dalla stessa comunità, che si possono trovare al bar o per strada e che eventualmente abitano proprio vicino a casa nostra e dove il controllo e le responsabilità siano realmente di comunità.
Questo potrebbe essere un ritorno al futuro cioè una visione generale innovativa per un periodo di almeno 5-10 anni (salvo riforma).
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna
07 maggio 2021
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