Bisogni, diritti e democrazia
24 FEB - Gentile Direttore,
sia concesso esprimere, in estrema sintesi, una riflessione sul tema dei bisogni e dei diritti in occasione della annunciata modifica dell’assetto organizzativo delle cure primarie. Il bisogno dovrebbe riguardare una necessità essenziale, naturale, ontologica per l’essere umano. Vi sono numerose situazioni definibili come bisogni. In questa sede si vorrebbe fare riferimento al bisogno “salute”.
Il diritto è un bisogno formalizzato. Il sistema sociale/giuridico (es.: il diritto alla salute) dovrebbe garantire il soddisfacimento di quel bisogno e assicurare che il suo godimento si realizzi in modo equo ed universale. I diritti, anch’essi numerosi, si possono modificare nel tempo perché strettamente collegati al contesto culturale e sociale.
La globalizzazione, il consumismo, il neoliberismo, la finanziarizzazione dell’economia, il secolarismo, gli scenari geopolitici conflittuali sono macrofenomeni “furiosi”, manifestatisi in poche decadi e precipitati come una tempesta perfetta sul diritto alla salute. Nondimeno hanno condizionato negativamente l’efficienza e l’efficacia del nostro SSN le numerose controriforme inserite nella normativa generale a dimostrazione dell’assenza di un’analisi della complessità. L’allontanamento centrifugo (l’assistito/cittadino è al centro!) da quanto sancito dal diritto tradizionale e culturale a protezione della salute è sempre più veloce in quanto i dettami economicistici portano a considerare la salute come se fosse una cosa, un prodotto da consumarsi al momento.
Il super store sanitario promuove in continuazione un turbinio di prodotti alla moda: preliste, Cau, mega aziende uniche, distretti, comitati consultivi misti, conferenze socio sanitarie territoriali, commissari e sub commissari, offerta ambulatoriale dei mmg ad orario pieno, CdC, dipendenza dei mmg, ruolo unico, liste d’attesa e risoluzioni delle liste d’attesa grazie ad interventi mediatici, community lab… Ogni costoso lancio pubblicitario comporta la nascita di tifoserie opposte. Eppure, come dimostrano le recenti dichiarazioni relative alle “voragini” nei bilanci sanitari regionali, ci si trova all’interno di un sistema di mercato molto instabile. Una sanità mercantesca non potrà mai essere per tutti.
Alcuni filosofi moderni ma anche contemporanei avrebbero asserito che l’individuo oggi sarebbe addirittura disposto a rinunciare, in parte, ad alcuni storici diritti (es.: la libertà) in cambio di una più stabile condizione di salute (migliore economia/benessere o più sicurezza come determinanti). La libertà, considerato un bene fondamentale, potrebbe essere quindi in parte sacrificata pur di far fronte alla sensazione di un servizio sanitario sempre più precario e impoverito. A conferma del fatto che una cattiva gestione della salute possa coincidere con una riduzione significativa della democrazia.
A baluardo di questa tossica gestione sanitaria le piccole comunità sembrano ambiti unici dove può essere possibile rigenerare diritti e democrazia, dove la tradizione di salute presenta ancora radici profonde e dove, nonostante tutto, continua a generarsi una solida cultura identitaria.
Le piccole comunità sono alternative ai supermercati sanitari, agli apparati e alle alte dirigenze aziendali: rimangono pietre d’angolo su cui è lecito tentare di ricostruire il diritto alla salute. Per sua natura il neoliberismo non considera le piccole realtà. È portato a globalizzare. A riunire consumatori intorno alle CdC. Ad incrementare regole su regole (es.: ipotizzata dipendenza dei mmg). A ricercare un economicismo esasperato che non verrà mai raggiunto nemmeno con “ulteriori finanziamenti”.
Una politica sanitaria solida si crea solo a contatto con le persone, in un territorio limitato. Quando i fatti massificati vengono imposti dall’alto si manifesta la mancanza di rispetto per le comunità e per le loro tradizioni, la democrazia si indebolisce, si svuotano le ricchezze intellettuali, si impoveriscono le persone.
Emblematico è l’episodio della controriforma sulle Case della Salute della regione Emilia-Romagna del 2016: un improvviso eccesso di governamentalità e di norme, per lo più incomprensibili, ha avuto l’effetto di bloccare (per quale motivo?) in toto lo sviluppo di un programma sulle Case della Salute “grandi” che avrebbe potuto portare, le piccole comunità, a sviluppi interessanti. Similmente nulla vieta che possa diventare più conveniente affrontare sanzioni o perdere finanziamenti europei che edificare strutture (CdC) che poi necessiterebbero di impegnativi interventi in conto corrente attualmente insostenibili e probabilmente inutili.
L’esagerazione regolamentale è funzionale solo all’apparato burocratico economicistico ma ostacola le comunità, il bene comune, la libertà e anche la democrazia (il processo decisionale aziendale/regionale è monocratico con l’obiettivo del pareggio di bilancio).
Pare che nei prossimi Accordi Regionali si tenti di riattivare le storiche AFT (Riforma Balduzzi 2012) più confacenti ai territori (non superiori alle 30.000 anime.) L’acronimo AFT è poi stato modificato in molte regioni. Nella regione Emilia-Romagna una circolare, emanata a suo tempo, ha certificato la sostanziale sovrapposizione tra Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) con i Nuclei di Cure Primarie (NCP), cioè i quartieri.
Questa riabilitazione, in ritardo colpevole, conferma che le piccole comunità possono rimediare ai gravi errori aziendali e offrire una originalità innovativa, presente nel loro spirito, grazie alla tradizione e alla cultura identitaria. L’autonomia dei territori risulta quindi fondamentale. Se questa non verrà formalizzata l’AFT/NCP sarà comunque invasa dalla burocrazia aziendale che tornerà a riprendersi i propri spazi e riproporrà gli stessi arcaici e superati metodi gestionali (“cadaveri concettuali”).
Nel tempo molte alte dirigenze sono passate davanti agli occhi di professionisti e pazienti più come comitati aziendali in gita premio che come persone preoccupate dei bisogni dei cittadini affidati alla loro gestione. Folle è stata la mancanza di autocritica.
Il fallimento dell’aziendalizzazione (Ausl) da tempo sostenuto da I. Cavicchi ora è finalmente riconosciuto da numerosi altri commentatori (es.: Jorio QS 19 febbraio 2025). Ne deriva che anche altri elementi funzionali alla piramide sovrastrutturale aziendale come i distretti palesino la loro inutilità. Tuttavia aziende e distretti, paradossalmente, costituiscano tutt’oggi l’elemento portante della c.d. riforma che intende riorganizzare le cure primarie sul “mantra” della prossimità edificata sulle insignificanti CdC spoke. Per trovare ipotesi innovative ed alternative di riordino delle cure primarie basterebbe essere in grado di guardare fuori dalle finestre (sigillate?) degli apparati e delle agenzie.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
24 febbraio 2025
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La medicina generale alla prova del Coronavirus
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 27 Febbraio 2020

27 FEB - Gentile Direttore,
tutti i protocolli inerenti il Covid-19 evidenziano che i percorsi dedicati a questa “nuova” virosi partono a livello territoriale dal mmg (paziente-mmg-igiene pubblica-118-repato infettivi-tampone-osservazione/quarantena) anche se criteri per accedere all’esecuzione del tampone ed i n. telefonici di riferimento dedicati ai sanitari di riferimento a volte cambiano.
Questo primo step del processo protocollare resta il più fragile, meno attrezzato, scarsamente o per nulla protetto, storicamente dedicato al front office diretto e alle problematiche relazionali con gli assistiti. Di fronte all’emergenza nessun mmg ha abdicato alle proprie responsabilità professionali assistenziali. Anzi è proprio durante le criticità, quando l’assistenza primaria può muoversi con una certa autonomia creata dalle urgenze e dalla necessità di trovare soluzioni nell’immediato, che la medicina generale dimostra tutto il suo valore e la sua indispensabilità (libero accesso, orario 8:00-20:00, gratuità) nonostante la scarsa considerazione raccolta dalla politica e dai decisori in questi anni.
Le drammatiche circostanze che sperimentiamo in questi giorni manifestano inoltre cosa significa non avere riformato l’Assistenza Primaria.
Una medicina generale indipendente nel formulare i propri obiettivi, che possa usufruire di un numero di colleghi ottimale per orientamenti organizzativi e motivazioni, adeguatamente organizzati in strutture logistiche funzionali avrebbe probabilmente trovato soluzioni per l’epidemia pronte, in grado di garantire sorveglianza, ipotesi diagnostiche e attivazione corretta dei percorsi ufficiali senza intasare i servizi di secondo livello.
Le progettualità e le innovazioni che i mmg hanno argomentato per anni sono state purtroppo bellamente ignorate. Come esempio è possibile evidenziare come i criteri di valutazione della performance dei medici di base siano rimasti per troppo tempo, nella completa indifferenza politica, strettamente collegati all’efficientamento e alla razionalizzazione (pensiero unico); nessun decisore ne academico ha mai tentato di individuare criteri relativi della meritorietà vs la meritocrazia smaccatamente autoreferenziale; l’educazione sanitaria, eterna incompiuta, diventa efficace quando il mmg (o il gruppo) rappresenta effettivamente un punto di riferimento per la propria comunità e quindi acquista quell’autorevolezza che permette di condividere con gli assistiti le responsabilità di programmi e obiettivi di salute; le motivazioni “altruistiche o di aiuto” testimoniali che si trovano alla base di una assistenza primaria autonoma ed indipendente si scontra continuamente con le disuguaglianze professionali e assistenziali amministrate che, a loro volta, hanno creato cambiamenti virtuali, inutili, costosi, non condivisi e senza nessuna varianza significativa nella fornitura dei servizi, nel clima organizzativo e nei modelli organizzativi.
Questi ultimi, per essere validi, devono poter essere trasmissibili e lasciare eredità consolidate al cambio generazionale (proprio ora in atto) composte da molte strategie utili agli operatori per porre le persone al centro dei progetti. L’impressione è che i giovani colleghi mmg siano completamente abbandonati, in balia di variabili normative imprevedibili, senza progettazione e programmazioni (affiancamento).
Una riforma dell’assistenza primaria non può non affrancarsi da certe onnipotenze e obbliga a posare una pietra angolare che sorregga un solenne patto d’onore tra cittadini e medici/operatori del territorio in grado di edificare l’innovazione sul principio che la salute e le cure primarie rappresentano un irrinunciabile bene comune. Questo fortifica le alleanze, le considerazioni reciproche, le relazioni e le responsabilità di tutti gli attori finalizzate a creare modelli sperimentali innovativi di “scambio altruistico” e di forte reciprocità.
Più di strumentazione specialistica negli ambulatori sarebbe necessario completare, con giustizia, il sistema informatico (non si capisce perché non si dovrebbero fornire computer e stampanti ad infermiere e a segretarie). Nell’ACN in discussione da anni non compaiono facilitazioni e semplificazioni relative all’assunzione di personale di segreteria e/o infermieristico per chi opera in gruppo o singolarmente.
Nessun accenno viene fatto alla detassazione delle attività sanitarie di base. Resta irrisolta ed ambigua la questione delle cooperative di medici che danno servizi ai medici stessi, spesso con costi vivi di entrata ed uscita, in perenne conflitto di interessi a fronte di una più confacente collaborazione con le società di servizi che non comportano costi aggiuntivi, conflitti (essendo clienti dei mmg come l’idraulico o il servizio di pulizie) e che potrebbero risolvere tutte quelle situazioni burocratiche che opprimono quotidianamente l’attività clinica (legge sicurezza, malattie del personale, competenze infermieristiche sugli obiettivi incentivati, TFR, buste paga, materiale di consumo, manutenzione, attività commercialistiche e di fatturazione…).
La sfavillante legge Balduzzi del 2012 e il Patto della Salute del 2014 hanno indicato come dovessero essere disponibili strutture moderne ed adeguate per tutti i medici che lo avessero desiderato (in grado di proporre programmi, progetti e modelli condivisi tra tutti i colleghi).
Purtroppo, documento dopo documento, in modo sinuoso, la medicina amministrata riesce a modificare a suo vantaggio (?) ipotesi in origine addirittura auspicabili ma poi burocraticamente e impercettibilmente mutate negli scritti tanto da arrivare a smarrire anche il senso di alcuni concetti: gli Ospedali di Comunità hanno senso se inseriti appunto nelle comunità ed in aree geografiche di prossimità in caso contrario non sono più Ospedali di Comunità.
Infine è la cooperazione tra medici, infermieri/operatori territoriali in team autonomi ed indipendenti in grado di gestire i processi decisionali e il governo clinico (i microteam sono assolutamente incomprensibili) che costruiscono il vero strumento (da valorizzare) in grado di rispondere ai nuovi bisogni e alle persone che desiderano fortemente partecipare e responsabilizzarsi in favore delle proprie comunità (collegio del territorio).
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna
27 febbraio 2020
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L’invarianza e l’inazione in Medicina generale
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 16 Dicembre 2019

16 DIC - Gentile
Direttore,
ogni essere vivente ha la tendenza bio-psico-sociale a perseguire
una “certa” stabilità che tende ad autoregolarsi in favore
della sopravvivenza. Lo stato di equilibrio però non viene mantenuto nemmeno
per un secondo. Si ricrea quindi un nuovo disordine (entropia) che poi ricerca
immediatamente un’ altra sua staticità. E così via per tutta la
vita. Ogni cellula svolge questa continua “vibrazione” tra catabolismo e
anabolismo, rinnovandosi continuamente: non è più quella di qualche secondo
prima e non è ancora quella che sarà dopo. Ora è un’alta cosa.
Comparando l’aspetto biologico a quello organizzativo della medicina generale
secondo il paradigma bio-psico-sociale l’interno di questa complessità
bio-psico-sociale, pur dinamica, fenomeni come l’invarianza e l’inazione
accelerano squilibri e minano l’autoregolazione. Se, ad esempio, stili
organizzativi e gestionali non adeguati persistono per numerosi decenni si
possono generare, con molta più celerità di quanto stabilito dalla fisiologia,
rigidità, riduzione di elasticità, indurimenti tissutali che possono diventare
così diffuse da configurare un “regime” patologico generalizzato.
Purtroppo quando il microcircolo periferico (es.: assistenza primaria) viene pesantemente colpito si determina un punto di non ritorno. In ambito psico-sociale differenziazioni e squilibri imposti e mantenuti costantemente in modo unilaterale generano al fine conflitti e rancori tra coloro che considerano di subire iniquità. Le cure primarie sono essenziali così come è ormai “rescue” una immediata riforma del SSN al fine di correggere criticità pluridecennali.
Karl Popper sosteneva che nessuna organizzazione istituzionale può modificare sostanzialmente un uomo. Sono le persone e i professionisti che danno origine, sostengono e migliorano una organizzazione. Istituzioni con “clima” o “stili di vita” non adeguati possono però alla fine frustrare tutti gli sforzi di un buon professionista.
La riforma, innovazioni, sperimentazioni, adeguate remunerazioni e potere d’acquisto, autonomia del processo decisionale affidato ai mmg, equità tra colleghi non sono più surrogabili con demagogie o slogan o incremento di compiti. Il modello di riordino delle cure primarie definito welfare di comunità ritiene lo storico “welfare state” agonizzante e considera possibile un patto di reciprocazione con le imprese generative al fine di mantenere una medicina di base innovativa, universale, gratuita, di libero accesso, meno costosa pur in un disegno di “convenzionamento” per la specialistica imprenditoriale accreditata (per altro modalità molto diffusa) ma che assicuri coerenza, cooperazione, condivisine dei processi decisionale anche tariffari con le esigenze assistenziali dei professionisti e degli assistiti.
L’ipotesi di una tale innovazione gestionale ed organizzativa non è però stata considerata urgente così ha prevalso l’invarianza e l’inazione nonostante vi siano regioni con alti rapporti tra abitanti e convenzionamenti privati. Altro plastico esempio (tra i tanti possibili) di mancanza di visioni innovative ma anche di clima di ostilità da parte della medicina amministrata, protocollare e algoritmica nei confronti dei mmg è rappresentato da quanto riportato nell’articolo 26 dell’ACN sulla Formazione Continua tutt’ora in discussione. Il testo insiste con assillo quasi molesto su una formazione eterodiretta, impositiva, punitiva oltre modo, completamente anacronistica e staccata dalle recenti evidenze e appropriatezze relative all’apprendimento dei professionisti adulti.
La presunzione è quella di definire cosa debba essere una formazione qualificante la professione quando invece è il singolo mmg (tutt’ora considerato dal fisco libero professionista) che è imprenditore di se stesso ed in concorrenza anche formativa con gli altri colleghi per offrire un prodotto di qualità o di rottura. Come tutti gli studiosi sanno molto bene l’apprendimento degli adulti è un processo complesso come è multiforme tutta l’attività di frontiera del mmg. Un articolato che pretende di normare con direttive semplici e soprattutto penalizzanti questo argomento evidenza solo animosità nei confronti della professione.
Non si può prescindere dal fatto che la formazione (cambiamento) del mmg è quotidiana e strettamente collegabile all’esperienza (medicina basata sull’esperienza) più volte modellata, rinforzata o eventualmente estinta nella stessa giornata di lavoro (8:00-20:00).
Si deve poi aggiungere il ruolo di responsabilità svolto dal professionista nella comunità dei pari e degli assistiti dove ricerca la condivisione dei significati e manifesta testimonianza.
Tutto ciò arricchisce continuamente l’apprendimento e la formazione grazie alle esperienze accumulate e condivise dal gruppo o dal team (briefing) che orientano verso soluzioni che nella medicina generale, nelle associazioni e nelle comunità non sono mai verità immutabili o definitive ma processi circolari. Il valore professionale del mmg è di grande peso perché non c’è apprendimento senza azione ne azione senza apprendimento.
I mmg senior attualmente operativi possiedono una risorsa o un patrimonio unico rappresentato dall’esperienza e dal contatto quotidiano con la realtà (rappresentata dagli assistiti, dai colleghi e dalle Istituzioni) che a sua volta crea inevitabilmente l’esigenza di sapere, di apprendere, di comprendere la realtà che li circonda non tanto per raggiungere scopi od obiettivi aziendali ma per appagare le proprie motivazioni profonde di professionisti responsabili della propria impresa e punto di riferimento per la comunità (Maslow).
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna
16 Dicembre 2019
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Medico di famiglia o specialista?
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 10 Novembre 2019

10 NOV - Gentile Direttore,
il Prof. Ivan Cavicchi ha affrontato la problematica scaturita dall’ipotesi di affidare al mmg una parte della “piccola” diagnostica. Questa pensata “Uovo di Colombo … incredibilmente banale” risulterebbe finanziata con 235,834 milioni di euro derivanti però dal maxi fondo per l’edilizia sanitaria oggi accreditata di 32 miliardi di euro.
Il finanziamento verrebbe trasferito alle Regioni che decideranno come applicare norme e incentivi. Il canovaccio rappresenta purtroppo una profezia auto-avverantesi “deja vu” in quanto la mancanza di una riforma complessiva e l’inconsistenza della cifra (circa 11 milioni per regione) non può che esitare in bilanci per nulla edificanti: esperienze locali imbarazzanti di diagnostica generalista; informatizzazione incompleta delle aggregazioni dove infermiere e segretarie non vengono rifornite di strumentazione e programmi; edilizia sanitaria tipo “Case della Salute” che creano gravi differenziazioni/disuguaglianze professionali e assistenziali sconcertanti; paletti e limitazioni di accesso a fondi con criteri detti “meritocratici” che alla fine favoriscono i soliti auto referenziati pochi noti; semplificazione grossolane atte ad offrire opportunità di business a qualche organizzazione cooperativistica non priva di conflitti di interessi.
La Medicina di Base di questi anni ha vissuto numerosi episodi sconfortanti collegati ad iniziative incentivanti che hanno mortificato dedizione e meritorietà. Se si frequenta una sala d’aspetto di un mmg ci si rende conto di come sia enorme l’afflusso di assistiti, la maggior parte anziani, con poli-patologie croniche e problematiche socio-sanitarie sempre più complesse, che considerano il medico di famiglia uno degli ultimi servizi di welfare sanitario gratuito e di libero accesso.
I dati dimostrano una attività professionale oltre al limite delle possibilità. In media possono essere servite circa 35 persone al giorno per medico: se il professionista opera in una medicina di gruppo, es.: composta da 5 medici, gli assistiti che accedono alla consultazione diventano in totale 175 al giorno, 875 la settimana e 3.500 in un mese ( 42.000 all’anno!).
Ha comunque ragioni da vendere il Prof. Cavicchi quando sostiene che una vera riforma, anche nella diagnostica generalista, deve prevedere alla base il concetto dell’integrazione/cooperazione multiprofessionale ma anche multidisciplinare e multisettoriale, unica modalità operativa che permette di affrontare seriamente le necessità assistenziali territoriali.
Con organizzazione in team di mmg di AP e di CA, specialisti territoriali ed ospedalieri, servizi, infermieri, assistenti sociali, società civile e volontariato, imprese generative … il processo diagnostico sarà veramente valido e “refertato”, produrrà appropriatezza prescrittiva e assistenziale, risparmio, riduzione dei ricoveri impropri e formazione/apprendimento radicato.
Ogni attore farà la propria parte senza inutili sovrapposizioni ed invasioni di campo. Più volte sono state indicate le road map da percorrere per affrontare in modo più strutturale ( paradigmi post-moderni e nuovi modelli di welfare con caratteristiche distintive a favore delle comunità) le note criticità diventate emergenze che si sommano quotidianamente ad ulteriori emergenze.
Sembrano però insormontabili le gravi impreparazioni istituzionali nell’ interpretare le vertiginose modifiche sociali e sanitarie in atto. Il Golem della medicina “amministrata” è un “iper-oggetto” che condiziona in modo unilaterale e stucchevole una gran parte delle scelte che sono sempre più scollegate (es.: conferenze socio sanitarie territoriali) dal bene comune e dalla complessità delle collettività. La contrazione spazio-temporale e la società in forte modificazione oltrepassa in velocità le istituzioni e genera “sua sponte” sperimentazioni autonome ed indipendenti dalle incertezze regressive delle istituzioni pubbliche : in alcune città come Milano, Brescia e nella stessa Bologna sono già nate forme di servizi di medicina generale o di base privatizzati !
Woncaè l'organizzazione internazionale dei medici di famiglia e ha titolo per definire cosa sia e cosa debba essere la medicina di base ( caratteristiche, competenze costitutive, aree di attività ed elementi fondanti). La medicina basata sull’esperienza, peculiarità del mmg, e sulle evidenze utilizza ovviamente la tecnologia ma anche storici metodi per formulare diagnosi e suggerire cure.
Queste modalità situazionali diventano fondamentali per favorire una copertura universale, per affrontare i rischi per la salute e per rafforzare i SSN soprattutto se si opera in team (G 20, Okayama, 2019) in quanto l’attività territoriale dei mmg è sempre più complessa.
E’ per questo che non servono approcci dilettantistici ma modelli (investimenti) veramente in grado di disegnare un riordino delle cure primarie (team) capace di sostituire vantaggiosamente il defunto welfare state.
Altri disegni pregressi annunciati come rivoluzionari per l’intera assistenza primaria hanno dato luogo a fallimenti professionali e assistenziali. In alcune regioni definite “esempi di eccellenza” la medicina generale di base è praticamente evaporata.
Maldestre e continue imitazioni (welfare aziendali) dell’originale (welfare di comunità) alla fine portano disuguaglianze, inappropriatezze ed incrementato della percezione di assenza del SSN e di inutilità delle istituzioni sanitarie regionali e locali.
Le strumentazioni tecnologicamente avanzate possono certamente permettere anche ai mmg di porre ipotesi diagnostiche (a volta generati anche automaticamente da sistemi esperti) e di formulare “pareri di primo livello” ma non referti specialistici!
Sarebbe oltremodo opportuno che tutto ciò venga regolato, secondo il principio del processo decisionale completamente affidato ai mmg, all’interno delle aggregazione (es.: AFT/NCP-UCCP ) in “favore dei colleghi” che richiedono questo tipo di aiuto in spirito di colleganza e reciprocazione garantendo così efficacia assistenziale di prossimità ed eliminazione di derive orientate alla creazione di ruoli/incarichi aziendali remunerati per i soliti pochi noti ben auto-referenziati.
Occorre comunque operare con molta prudenza considerati i dati relativi al carico di lavoro dei mmg e il pericolo che ulteriori incombenze riducano il tempo da dedicare ad attività olistiche e generalistiche (wonca) creando così paradossalmente liste d’attesa … in medicina generale !
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna
10 novembre 2019
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