welfare di comunità

Welfare di comunità e riordino delle cure primarie

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 20 maggio 2019

welfare di comunità

20 MAG - Gentile Direttore,
il dibattito sulle modifiche dei  paradigmi storici della professione coinvolge fatalmente anche i colleghi che   si   interessano    di  ri-organizzazione della medicina generale territoriale. Negli anni sono   state  pubblicate  numerose    ipotesi/proposte  di  “riordino”  dell’attività medica  di  base  anche “pronto uso”  finalizzate  soprattutto   a  ricomporre il distacco  esistente   tra   le richieste di benessere  delle persone e il sistema  sanitario di offerta quanto mai  superato. Il tempo, che pare essere galantuomo,  ha   dimostrato (Balduzzi 2012; Patto della Salute 2014) che fino ad ora non è emerso nessun ragno dal buco dei ragionamenti  della retorica ufficiale (la struttura dell’ACN è ancora quella del 2005 !). 
 
Questo è comunque il campo  dove ci si trova a zappare: continuiamo  quindi  con ostinazione a perfezionare  di volta in volta  il “nostro” progetto  di  innovazione  assistenziale  territoriale  pur visionario.

E’ stato  ampiamente argomentato su come la medicina nel suo complesso sia una disciplina composita in continua evoluzioni.  
Secondo il paradigma bio-psico-sociale la qualità della vita insieme alla personalizzazione delle cure (gestione della complessità)   sono  diventati i parametri più importanti  per determinare una validità  assistenziale e la medicina generale, ancora oggi,  svolge, pur a fatica, un ruolo  fondamentale   nel gestire questi criteri  nell’ambito  della  domanda di salute   e dell’offerta di sanità. 

Per permettere al  mmg  di  ritornare  ad essere il principale attore della salute pubblica territoriale  occorre ri-ordinare l’assistenza primaria con una riforma strutturale e una completa revisione dell’ ACN, secondo i dettami dei principi Wonca e del paradigma del Welfare di Comunità .

Il  “welfare di impresa”  consente ai lavoratori di una  azienda  di beneficiare di  una assistenza sanitaria (parziale e a volte contraddittoria)  e sociale  che non ha il carattere  dell’universalità ma è limitata ai dipendenti  di quel brand con conseguenti vantaggi nella crescita, nell’efficienza e nella produttività per l’azienda. 

Il “welfare state”, termine ancora valido teoricamente, aveva inizialmente la caratteristica dell’universalità e assicurava gratuitamente a tutti i  suoi cittadini  cure mediche, scuola e assistenza sociale ma, alla fine, ha mostrato il suo limite causato dalla dipendenza finanziaria. Il welfare state pur essendo un sistema creato per garantire  una equità sociale in fede di una crescita di capitali  considerati in espansione continua  è  diventato invece  inesorabilmente sempre più povero a causa di una crisi della crescita monetaria  associata ad un incremento “esponenziale”  delle spese sociali e sanitarie e ad un aumento solo  “proporzionale” della ricchezza finanziaria (attualmente stagnante e recessiva).  

Questo divario influisce direttamente sul “valore” dell’equità sociale e può causare conflitti  ed insicurezza diffusa. Un sistema ideato per i poveri non riesce più a rispondere ai poveri.  

Il “welfare di comunità”  può arginare gli squilibri del welfare state e quelli del welfare aziendale.  Il paradigma  del welfare di comunità si basa  soprattutto sull’economia reale ed è in grado di assicurare pace sociale  e aumento  del   senso di sicurezza.   Prevede un coinvolgimento dei vari stakeholder  (portatori di interesse) di una comunità che cooperano ed intervengono direttamente e responsabilmente nel “processo decisionale”  per la progettazione di servizi  in favore di quella comunità.     

La cooperazione o “sussidiarietà” caratteristica dell’operatività del welfare di comunità  è di tipo “circolare”  ed è   finalizzata a migliorare la qualità della vita ( bene comune) dei cittadini di un determinato territorio.  Le istituzione pubbliche   non intervengono  direttamente nel sistema e nel processo  decisionale  ma   operano  affinché  i vari portatori di interesse di un territorio  possano organizzarsi e caratterizzarsi per l’appartenenza. Nel welfare di comunità il ruolo delle  istituzioni diventa esclusivamente di garanzia, tutela e  vigilanza sui valori messi in campo  e sulle finalità dichiarate. 

In una raffigurazione   che comprenda un ipotetico triangolo toccato ai suoi vertici da un cerchio  che possa rappresentare la sussidiarietà circolare dovremmo immaginare  un vertice  occupato dalle istituzioni, un vertice  rappresentato dalla società civile e l’ultimo  vertice  presidiato dalle imprese generative in grado di procurare i finanziamenti necessari ma anche concretezza.  In questo disegno organizzativo le cure primarie  occupano  il ruolo  di leadership  dell’intero sistema in grado di  gestire completamente, a livello territoriale,   il “governo clinico”.

Secondo alcuni autori  riuscire oggi a  progettare una innovazione organizzativa  dell’assistenza  primaria territoriale efficace potrebbe avere   la stessa importanza dell’invenzione di un farmaco  che sia in grado di curare l’epatite o il cancro oppure potrebbe essere un evento paragonabile allo sbarco sulla luna.

Tutta la convenzione per la medicina generale  va ripensata  come “patto per un welfare di comunità” uscendo  dall’ambiguità rappresentata  dall’organizzazione in  distretti  che continuano a proporre   di fatto una logica ospedaliera   applicata  al territorio e alla medicina generale quando bisogni  espressi e non espressi sono fondamentalmente diversi.   

Sono necessari anche luoghi  dove medici e operatori possano  ritrovare,  grazie al nuovo paradigma/modello,  le  radici del  loro mestiere  (etica, cultura, formazione, deontologia, integrazione ecc.)  e  dove gli assistiti  possano diventare protagonisti con i professionisti dei percorsi    preventivi, di educazione sanitaria, di cura  e riabilitazione. In queste strutture la tecnologia e l’antropologia possono marciare di pari passo per ritrovare il vero   senso  della clinica e dell’assistenza.

Il senso dei percorsi assistenziali  è dato soprattutto dai “valori”. Oggi gli aspetti etici e deontologici,  professionali e sociali   non  sono più barattabili  con  ambigui progetti economicistici  che, come insegna quel galantuomo del tempo, non hanno  poi negli anni  risolto un granché. Se si opera per produrre valore  si potrà pensare anche  ad una crescita professionale, sociale ed economica in caso contrario si affonda o meglio  affondano coloro  che non hanno  risorse economiche proprie  ma questo irrimediabilmente innesca insicurezza e  conflitto sociale.

Occorre  però  che tutti gli attori salgano  convintamente  sulla  barca  sicura  dei “valori”così da trasformare un mare periglioso (globalizzazione incontrollata)  in opportunità, sicurezza, convivenza civile e pace sociale (valorizzazione della democrazia?).

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

20 maggio 2019
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Welfare di comunità

Le cure primarie, il loro riordino e la deontologia del 3° millennio

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 20 ottobre 2018

Social networking

20 OTT - Gentile direttore,
il carteggio generato dagli articoli del Prof. Ivan Cavicchi ha coinvolto a fondo  coloro che si occupano di organizzazione sanitaria. Il Professore e collega perdonerà se non verrà continuamente citato in questo  semplice elaborato  che vorrebbe argomentare, in particolare,  di cure primarie  e di assistenza territoriale.
 
Lo stesso dicasi per il Prof. Stefano Zamagni.  La medicina generale, a 40 anni dall’istituzione  del SSN, richiede  una  riforma generale. Oggi alcuni mmg     mostrano  disagio professionale che si manifesta attraverso la  sfiducia  verso  ogni azione o ideazione  di filosofia politica  sanitaria. Quelli vicino alla pensione sono portati  ad un disinteresse quasi accidioso.
 
Le nuove generazioni desiderano invece   fortemente  entrare  in un  “sistema lavorativo” convinti    di  approdare all’interno di una  professione  che svolga  anche il ruolo di   classe dirigente  di questo paese.

Nella realtà potrebbero ritrovarsi  improvvisamente inseriti in una organizzazione agonizzante che in breve potrebbe arrecare delusione.  I cultori della materia  hanno formulato  numerosi progetti  al fine di dare vita a  un nuovo patto-contratto tra i medici professionisti della sanità territoriale, i cittadini   e il Servizio Sanitario Nazionale basandosi  su una deontologia contestualizzata  e  una organizzazione del lavoro dove “ruoli e funzioni” potessero avere  più importanza in favore del bene comune.

La mancata attenzione a questi suggerimenti  di rinnovamento ha invece legittimato,   nel dibattito generale, le narrazioni  relative all’esternalizzazioni   e   alle  privatizzazioni,  considerate   addirittura modelli da imitare (Gruppi di Cure Palliative,  CreG,  Provider, iniziative  di CA e di ospedalizzazioni domiciliari private  ed altre proposte  organizzative  territoriali mutuate da esperienze   nate  oltre oceano  in regimi  assicurativi, strutturalmente diversi dal SSN italiano  e  protetti da brevetto).

A fronte di queste riflessioni vorremmo mettere a conoscenza dei suoi lettori alcune nostre riflessioni che le aghiamo alla presente.

Bruno AgnettiAlessandro Chiari

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) - Regione Emilia-Romagna

20 ottobre 2018
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Cure primarie

Quale futuro per le cure primarie? (terza parte e ultima parte)

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 20 aprile 2018

Cure primarie

Le Regioni potrebbero
 condividere con i professionisti  azioni   innovative
 anche sperimentali  (in particolare le  Regioni che hanno
firmato il patto per le autonomie). Ecco quali iniziative si potrebbero avviare
come esempio di possibili  moderni 
patti-contratti

20 APR - Le cure primarie territoriali oggi, in Italia,  sono statiche, paludose paralizzate da processi decisionali  in capo a Conferenze Territoriali fortemente autoreferenziali.
 
Altrove obiettivi specifici hanno prodotto discontinuità, cambiamenti ed investimenti, nuovi strumenti organizzativi, risorse non marginali finalizzate all’attività in team multi professionali, multidisciplinari e multisettoriali  connessi con strumenti informatici ma organizzati in modo da prevedere modalità di contatto diretto essenziali per una reale gestione coerente e condivisa dell’assistenza.
 
Da questo punto di vista  è necessario prevedere all’interno del tempo/lavoro dei medici e degli operatori sanitari una quota dedicata all’accesso  e alla condivisione  della  complessità dei dati disponibili  e al confronto diretto in team.
 
Il cambio generazionale prossimamente dirompente, volendo, potrebbe  diventare un ottima  occasione per il rilancio  spontaneo a costo zero del SSN. La competenza professionale  delle nuove generazioni  di medici può garantire una  moderna  qualificazione dell’assistenza in grado di far fronte alle sfide imposte dall’epidemia  della cronicità sia per le  innegabili abilità cliniche  ma anche   per  una corretta   visione  olistica-antropologica  della salute umana.

La paradossale  ipotesi del task-shifting  ossia il trasferimento delle competenze del medico ad altre figure professionali sanitarie confligge rovinosamente con la  preparazione  professionale  delle nuove generazioni  di medici di  medicina  generale formati ai principi di una  disciplina che  praticano quotidianamente  e che conoscono  molto bene  nella  specificità dell’ approccio epidemiologico, clinico e relazionale  (Wonca Europe).

Quando si attiveranno  gli AAIIRR  (Accordi  Integrativi Regionali) e per gli AAIILL (Accordi Integrativi Locali) le istituzioni che nel passato non hanno preso  in considerazione  le criticità   che attualmente  caratterizzano le cure primarie,  riusciranno a  fare un salto di qualità,  dimostrare una discontinuità, prospettare un prodotto di rottura?  C’è ancora tempo per agire su alcuni ambiti in attesa di una adeguata riforma.

A questo scopo le Regioni potrebbero  condividere con i professionisti  azioni   innovative  anche sperimentali  (in particolare le  Regioni che hanno firmato il patto per le autonomie)  ed è possibile, in questa sede,  elencare   solo alcune iniziative come  parziale esempio di possibili  moderni  patti-contratti:
- La legge Balduzzi 2012  rimane  il riferimento più recente in merito all’organizzazione territoriale della medicina generale

- Abolire  il carico burocratico   relativo alle attività domiciliari ADI/Cronicità in congruenza con un governo clinico completamente in carico al territorio e ai professionisti  che operano in team ( UCCP/ Case della Salute/AFT)   

- Valorizzare il ruolo e la funzione  dei mmg   

- Le strutture logistiche fondamentali in grado di realizzare un sinergismo di risorse e di erogazioni complesse  sono le UCCP/Case della salute. L’integrazione in queste strutture dei professionisti mmg  deve prevedere un progetto organizzativo innovativo prodotto dagli stessi  professionisti. L’appartenenza ad una UCCP/Casa della Salute non è obbligatoria.  L’UCCP è parte fondamentale del distretto, è una declinazione aziendale  delle  strutture  organizzative-operative  e richiede, come per i distretti,  norme legislative nazionali  e costi standard

- Le UCCP/Case della Salute in gado di erogare  prestazioni complesse, con la presenza di strutture  intermedie attive  H24 e di Continuità Assistenziale  ( definite  Grandi) rappresentano le vere e   reali alternative   ai ricoveri inadeguati e assolvono  gli impegni relativi ai programmi  nazionali della cronicità e della  prevenzione; al  contrasto  degli accessi  impropri al pronto soccorso, al governo delle liste d’attesa e all’appropriatezza   

- Una struttura  logistica per divenire effettivamente  punto di riferimento di una comunità di assistiti della medicina generale territoriale non deve superare un bacino di 30.000 abitanti

- Le AFT sono per definizione funzionali e non possono erogare in modo strutturato prestazioni complesse, restano aree territoriali-geografiche organizzative e funzionali della medicina generale. I professionisti mmg  delle AFT,  eventualmente non inseriti per scelta nelle UCCP/Case della Salute,   possono  essere coinvolti in  progetti  integrati ( UCCP/Casa della Salute/AFT) per erogazioni complesse.

- All’interno della organizzazione territoriale della medicina generale non si devono creare differenziazioni professionali o assistenziali  tenendo conto che la soddisfazioni dei bisogni sanitari collegabili alle funzioni della medicina generale   richiedono  sempre ambiti territoriali  contenuti mai superiori ai 30.000 abitanti (  corrispondenti a circa 20 mmg  massimalisti).   Per non creare  differenziazioni professionali e  assistenziali ogni AFT dovrebbe avere una sua UCCP di riferimento.

- I fattori di produzione dell’assistenza non devono essere confusi con i fattori di produzione del reddito o con fattori per lo svolgimento ( o acquisto)  di attività  diagnostiche

- Le società di servizio  o le cooperative  sociali    possono intervenire  a sostegno delle aggregazioni  ( UCCP/Case della Salute/AFT)   per quanto riguarda i fattori di produzione dell’assistenza

- I rappresentanti dei professionisti sono referenti eletti dagli stessi mmg.  Il termine coordinatore  non appartiene all’ambito  della medicina generale territoriale. I referenti  hanno funzioni di servizio e sono unici per  le aggregazioni complesse e per quelle funzionali dello stesso territorio  al fine di favorire l’integrazione tra i mmg dell’UCCP e dell’AFT . I mmg  che svolgono attività di consulenza per le aziende non sono rappresentanti dei mmg ma  fiduciari aziendali. Il mmg fiduciario aziendale che  riveste  cariche sindacali può incorrere in  conflitto di interessi.

- L’inserimento delle nuove generazioni nella medicina generale convenzionata   avviene per graduatoria  regionale. E’ possibile  ipotizzare diverse vie di accesso alla professione   convenzionata rifacendosi sempre alla graduatoria regionale in particolare per le strutture aggregate e in relazione  al massimale  (zone carenti anticipate attivate in tempo reale con sistemi informatici  da mmg ultra sessantacinquenni)

- I debiti formativi possono essere soddisfatti da attività autonome documentate ( attività di team che affrontano temi di appropriatezza, personalizzazione; incontri di briefing;  attività di tutor, attività di referente; partecipazione a tavoli professionali ed organizzativi locali, regionali e nazionali;  attività di coordinamento del volontariato, docenza di vari ordini e gradi, rappresentanza o ruoli istituzionale …)

- Occorre distinguere tra  l’assistenza primaria erogata da una équipe e  il lavoro  in team e/o in squadra. La caratteristica distintiva specifica e qualificante  dell’operabilità della mmg inserita all’interno di una struttura  in grado di erogare prestazioni complesse dovrebbe essere  quella del lavoro in team e/o di squadra e non in équipe. Il lavoro in équipe  si riferisce ad  enti o professionalità diverse  che operano insieme ( in modo coordinato e gerarchico) per affrontare  e risolvere un problema non risolvibile  dai singoli componenti o dalle loro funzioni aziendali di partenza (es.: équipe chirurgica).

Il lavoro in team e/o in squadra   è orientato ad un progetto e risponde nel suo complesso ad un  problema. E’ flessibile e i componenti  cambiano  in relazione alla domanda.  Questo tipo di approccio  rappresenta  una specificità assistenziale  che viene percepita dagli assistiti come personalizzazione della cura:  la collaborazione interna al team tra le diverse professionalità  è in grado di migliorare  i sistemi operativi e le dinamiche collaborative interdisciplinari che possono gestire i cambiamenti, gli apprendimenti, il problem solving e sostenere impegno e motivazione. Il coordinamento non è gerarchico ma  diluito e dettato dalla definizione di norme comuni di servizio ( tempo delle risposte, efficienza, precisione, dedizione , passione …).

ll team multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale (M&M&M)  risponde alle esigenze della programmazione  assistenziale in quanto attiva il processo della presa in carico degli assistiti occasionali/di opportunità  ma soprattutto  degli assistiti complessi e fragili attivando l’integrazione con  la specialistica, l’infermieristica;   l’integrazione H-T e socio sanitaria,  il coinvolgimento del farmacista/statistico, la collaborazione  con il volontariato,  il terzo settore  e con le nuove professionalità sanitarie. Il team si avvale di incontri estemporanei di  briefing ( incontri brevi, informali, di solito mattutini normalmente  in uso  nelle imprese  che generano prodotti di successo)

- Attività di team e di briefing, di educazione sanitaria,  di testimonianza pedagogica verso i corretti stili di vita  sono valorizzabili

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna 

(Fine seconda parte, leggi la prima parte e la seconda parte dell’articolo)

20 aprile 2018
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Cure primarie

Quale futuro per le cure primarie? (2ª parte)

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 18 aprile 2018

Cure primarie

L’attività operativa
del medico di famiglia è rimasta sostanzialmente quella antecedente al 1978
(convenzione, libera professione formale di fatto parasubordinato, rapporto
economico a quota capitaria, organizzazione del proprio ambulatorio) e quelli
che vengono pubblicizzati come cambiamenti rappresentano nella realtà
incrementi progressivi impositivi di obblighi contrattuali spesso di natura
burocratica che hanno in gran parte “impiegatizzato” il lavoro del medico

18 APR - Nonostante il diffuso utilizzo del termine “Clinical Governance” non è sempre agevole comprendere in senso univoco il significato del termine inglese. Anche gli “addetti ai lavori ” divergono in merito all’ esatta interpretazione. Per “Clinical Governance” si intende che... il “governo” (nel senso dell’Amministrazione o dell’Autorità Istituzionale, o dei Capi o dei Governanti, o delle Dirigenze Aziendali) riconosce l’autonomia professionale e il ruolo di dirigenza dei professionisti (e questo vale per tutti i professionisti che operano nell’azienda, qualunque sia la loro disciplina) nella gestione dei servizi, in cambio di una piena assunzione di responsabilità nell’uso delle risorse e nel miglioramento della qualità clinica.
 
Il governo clinico si basa su alcuni principi (valutazione e miglioramento continuo della qualità, autonomia professionale, responsabilità distribuita, rendicontazione e trasparenza, clima organizzativo favorevole, sorveglianza delle condizioni di rischio, monitoraggio delle performance assistenziali, appropriatezza) e su molti strumenti. Esistono comunque nette differenze tra le definizioni istituzionali di governo clinico ( clinical governance) con quello che la letteratura di settore ritiene debba essere considerato un governo clinico affidato effettivamente ai professionisti dell’assistenza territoriale e alle loro integrazioni in team multiprofessionali, multidisciplinari, multisettoriali.

I principi e gli strumenti di un governo clinico affidato effettivamente ai professionisti si discostano dal concetto di clinical governance aziendale in quanto i medici e i professionisti sanitari del territorio sono orientati ad una applicazione delle conoscenze della scienza all’interno di una concezione olistica di salute e di una visione dell’uomo complessa interdipendente secondo un paradigma bio-psico-sociale.

Con l’avvento della cultura manageriale in sanità (legge 502/1992) le logiche aziendali sono state assoggettate a modelli gerarchici monocratici (ampiamente superati da anni nelle imprese private di successo) e hanno ricondotto le categorie aziendali all’interno di una concezione squisitamente giuridica dell’amministrazione con governi (clinici) esercitati da organi apicali nominati dal soggetto politico che non hanno permesso una reale dialettica di rappresentanza degli interessi procurando di fatto una subordinazione della clinica alla gestione.

Le riforme sanitarie attuate dal 1978 ad oggi (833/1978; 502/1992; 229/1999 e la Legge Balduzzi) non sono mai riuscite a creare un prodotto nuovo e di qualità ma sono rimaste inglobate in primis all’interno in un concetto collegato agli interessi e al primato dell’agire amministrativo per poi applicare ai professionisti impegnati in trincea un pensiero sempre un po’ sospettoso e superato di tipo natural-scientifico riduzionista che, inserito nella cultura burocratica-aristocratica, ha mantenuto un modello sostanzialmente ospedalocentrico, specialistico, farmacologico completamente disconnesso dal sistema sociale.

Il salto di qualità ed il prodotto di rottura esige il recupero culturale di una concezione antropologica globale dell’uomo sano e malato contestualizzato nel suo mondo che permette di coniugare il principio del curare, derivante dalla medicina scientifica, con quello del prendersi cura olistico-antropologico-personalizzato.

Prendersi cura significa aiutare l’uomo ammalato ad un empowerment fortemente sostenuto dai sanitari, ove possibile, e incuriosire l’uomo sano ai vari apprendimenti finalizzati al mantenimento dello stato di salute. Il ruolo educativo del medico che opera in un team paritario con altri professionisti della salute acquisisce un ruolo formativo che consente al cittadino di trasformarsi da assistito in soggetto attivo per la gestione della propria salute così che, la condivisione della responsabilità, consente di prendere decisioni all’interno della comunità di appartenenza anche critiche in grado di contrastare effettivamente e produttivamente il tecnicismo estremo, il consumismo sanitario, l’ipermedicalizzazione e la mancanza diffusa del buon senso.

Per questo motivo si avverte in modo pressante la necessità di luoghi dove i professionisti della assistenza territoriale possano ritrovare le radici del loro mestiere (etica, cultura, formazione, deontologia, integrazione ecc.) e al tempo stesso gli assistiti possano diventare protagonisti, con i loro professionisti, dei percorsi preventivi, di educazione sanitaria, di cura, riabilitazione o di recupero delle funzioni residue. Non si tratta di “recinti” o di “ospedaletti” ma di reali strutture (UCCP/Case della Salute) in grado di aggregare per sinergia progetti preventivamente condivisi tra operatori e dove tecnologia e antropologia possano marciare di pari passo per ritrovare il vero senso della clinica e dell’assistenza.

La riforma ter prevede, tra le altre cose, l’aggiornamento obbligatorio (ECM) ma anche in questo caso è necessario un profondo rinnovamento che investa non solo i contenuti ma anche le metodologie che non possono esimersi da una analisi relativa al come si acquisiscono, interpretano e assimilano le informazioni. I professionisti dell’assistenza che operano in team devono poter determinare i propri obiettivi generali e tra questi anche quelli orientati all’ apprendimento. I bisogni informativi non sono uguali per tutti così che deve essere previsto un piano di apprendimento professionale personalizzato che deve essere strutturato in modo autonomo o in team per poter effettivamente produrre cambiamenti positivi nella attività culturale e assistenziale quotidiana.

Oggi la maggior parte delle funzioni assistenziali sono state interamente trasferite al territorio senza che vi sia stata una corrispondenza di investimenti adeguati. A fronte dei profondi mutamenti sociali e sanitari il riordino delle cure primarie è stato semplicemente un fallimento a causa della assenza di interlocutori così che i professionisti della salute non hanno avuto la possibilità di potersi sintonizzare col ritmo dei cambiamenti. Dovrebbe invece essere valorizzata la perizia nella capacità di interpretare la realtà e di immaginare il cambiamento magari partecipando alla sua realizzazione per produrre sevizi che alimentino il bene comune (cultura del progetto, Ezio Manzini, Politiche del quotidiano, Edizioni di Comunità, 2018). Le interminabili latenze che si creano tra una ipotesi progettuale e la sua realizzazione fanno si che eventuali progetti significativi vengano realizzati quando questi sono già ampiamente superati.

L’attività operativa del medico di famiglia è rimasta sostanzialmente quella antecedente al 1978 (convenzione, libera professione formale di fatto parasubordinato, rapporto economico a quota capitaria, organizzazione del proprio ambulatorio) e quelli che vengono pubblicizzati come cambiamenti rappresentano nella realtà incrementi progressivi impositivi di obblighi contrattuali spesso di natura burocratica che hanno in gran parte “impiegatizzato” il lavoro del medico (es.: la compilazione del modulo on line INAIL nella sua laboriosità e ridondanza, dove la componente medico professionale risulta essere residuale è l’emblema di una attività che prima di essere medica va, nella pratica, a sostituire l’attività impiegatizia dei dipendenti INAIL).   

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna 

(Fine seconda parte, leggi la prima parte dell'articolo)

18 aprile 2018
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Cure primarie

Quale futuro per le cure primarie? (1ª parte)

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 17 aprile 2018

Cure primarie

Una volta che l’Acn sarà definitivamente siglato riprenderanno le trattative decentrate che, fatalmente, trascineranno tutte le contraddizioni derivanti dalla mancanza di un vero disegno di riordino delle cure primarie di tipo culturale prima ancora che tecnico-amministrativo. In mancanza di una rielaborazione intellettuale strutturata il sistema tenderà inevitabilmente a conservare lo status quo attraverso modalità e regolamenti tipici della burocrazia lineare, protocollare, amministrata, economicistica.

17 APR - La firma dell’Ipotesi di ACN per la medicina generale avvenuta il 29 marzo 2018 alla Sisac ( Struttura interregionale sanitari convenzionati) ha fatto seguito al così detto Verbale di Preintesa che a sua volta è stato preceduto, nel tempo, da numerose versioni di Atti di Indirizzo. Il 2018 è anche l’ anniversario di quella Riforma Sanitaria che istituì, nel nostro paese, il Ssn 40 anni fa ( legge 833 del 23 dicembre 1978). Non è banale ricordare il 1978 perché, come ha scritto Ilvo Diamanti, le ricorrenze possono servirci per tornare indietro con gli occhi e con la mente oppure, al contrario, per proiettarci in avanti.

Questi suoi primi 40 anni il Ssn li dimostra tutti.

In particolare le rughe sono evidenti nell’organizzazione della medicina generale e dell’assistenza territoriale. Le riforme che si sono succedute negli anni ( 833/1978, 502/1992 e 229/1999 senza dimenticare la Legge Balduzzi del 2012 ) non sono riuscite a incidere in modo significativo sul riordino delle cure primarie tanto che si è costantemente tentato, in modo improvvido, di mettere in atto ulteriori riforme, improbabili ed inattuabili, attraverso gli ACN che per definizione dovrebbero solo regolare i rapporti di lavoro dei professionisti a fronte di una norma sovra ordinata.

Il pallido tentativo proposto nel 2012 dalla legge Balduzzi è ancora li che circola all’interno del suo affastellato Art. 1 come un pezzo di pane raffermo dimenticato nella madia tanto che nemmeno il Patto della Salute del 2014 è riuscito a ravvivarlo. Forse può essere comunque necessario evidenziare che la legge Balduzzi, magnificata a suo tempo da alcuni odierni detrattori, resta una legge che non è stata cancellata o sostituita. L’eventuale mancata osservanza di una certa norma non produce, nell’ordinamento italiano, alcun effetto abrogativo su leggi pubblicate in Gazzetta Ufficiale tanto che i suoi principi restano tutt’ora inseriti in quello che verosimilmente diventerà, entro il 2018, l’ACN.

A partire dall’ACN del 2005 a tutt’oggi gli Accordi continuano ad essere in gran parte sovrapponibili anche se nel frattempo i cambiamenti sociali sono stati vorticosi, fortemente condizionati da una contrazione spazio-temporale globale e da un pensiero unico e debole che ha acuito il conflitto, sempre più insanabile, tra scienza medica collegata agli aspetti operativi /organizzativi ( generati in modo autonomo e spontaneo dai professionisti della sanità grazie alla circolazione dei saperi e degli apprendimenti relativi alle buone pratiche operative) e gestione istituzionale della sanità soprattutto territoriale.

Una volta che l’ACN sarà definitivamente siglato riprenderanno le trattative decentrate che, fatalmente, trascineranno tutte le contraddizioni derivanti dalla mancanza di un vero disegno di riordino delle cure primarie di tipo culturale prima ancora che tecnico-amministrativo. In mancanza di una rielaborazione intellettuale strutturata il sistema tenderà inevitabilmente a conservare lo status quo attraverso modalità e regolamenti tipici della burocrazia lineare, protocollare, amministrata, economicistica basata su relazioni verticali e gerarchie piramidali che, come insegna l’esperienza, spesso sfociano nella sotto cultura dell’ appartenenza e dell’autoreferenzialità.

Tuttavia la congiuntura attuale di cui tanto si parla (“non ci sono i soldi”) non è completamente credibile e non ha motivazioni solo finanziarie. Forse è molto più pervasiva la crisi di fiducia. Nell’immaginario collettivo e in quello del consenso questo disagio coinvolge la così detta classe dirigente del paese considerata non in grado di dare risposte a temi etici di equità e di bene comune a fronte di una progressione inarrestabile della globalizzazione che, per certi aspetti, avrebbe anche potuto produrre opportunità se vi fosse stata una ingegnosa ri-organizzazione della sanità territoriale.

Le istituzioni storicamente preposte al welfare (es.: Pubblica Amministrazione) da sole non riescono più a fare fronte ai bisogni e alle complessità assistenziali attuali così che appare sempre più indispensabile il coinvolgimento delle varie componenti della società civile al fine di rendere sostenibile una assistenza territoriale di qualità. I fautori di questa ipotesi di ri-organizzazione di un Ssn pensano che alla Pubblica Amministrazione debba essere affidata la salvaguardia di valori sociali considerati fondamentali (es.: universalismo, equità, trasmissibilità, integrazione…) mentre la gestione del governo clinico dovrebbe essere consegnata, nel suo complesso, ai professionisti del territorio e alle organizzazioni della società civile che collaborano con loro. Le indispensabili risorse potrebbero derivare da una partnership tra pubblica amministrazione ed economia reale (imprese generative) che interagiscono e co-operano con gli attori, le organizzazioni e le professioni impegnate nell’ assistenza territoriale.

La prossimità periferica, posta al centro delle relazioni, diventa così un concreto strumento per ottimizzare le risorse, la qualità della vita ed il clima di rinnovata fiducia negli accordi e nei patti proprio perché vengono agite forme di scambio e collaborazione che portano a valorizzare la sinergia tra la diversità delle competenze che, oggi, rappresenta il presupposto per permettere alle nostre comunità di affrontare il futuro in modo sostenibile.

La contiguità interna favorisce inoltre azioni di educazione civica, testimonianza e consapevolezza che possono promuovere salute e benessere in modo diffuso e percepito (qualità tacita) e la personalizzazione della cura diventa il criterio principale per valutare una performance assistenziale di successo. In questo disegno i legami sociali, la condivisione delle responsabilità, l’alleanza tra clienti interni ed esterni non solo rendono possibili reali riallocazioni delle risorse ma permettono al mmg di ritrovare il ruolo di leadership nella collettività di riferimento in grado di orientare tutte le collaborazioni operative al fine di conseguire una conduzione responsabile e condivisa del governo clinico.

E’ possibile così realizzare ciò che vien definito un prodotto innovativo di rottura e di successo capace di superare l’attuale modello organizzativo territoriale in declino e non più adeguato al contesto. Un prodotto innovativo di successo implica una completa “gestione” autonoma del governo clinico territoriale con presa in carico dei bisogni dell’assistito (es.: cronicità) all’interno di un sistema integrato che sia abile nel gestire un processo decisionale in tutte le sue fasi tipiche che vanno dall’ideazione alla progettazione, dalla sperimentazione all’organizzazione per finire con la valutazione e la rendicontazione.

Una eventuale organizzazione moderna amalgama le conoscenze professionali, personalizza l’assistenza, gratifica la qualità percepita e tacita, valorizza l’aspetto economico e condivide le responsabilità senza sollecitare gerarchie piramidali. Le risorse aggiuntive provenienti dall’economia reale dimostrano sempre di più una forte disponibilità a collaborare in partnership con le istituzioni (“dall’indagine si conferma un offerta di capitali maggiore della domanda”; Startup sociali, la finanza chiama, Il Sole24Ore Domenicale del 15 Aprile 2018) per rendere concreto e sostenibile un disegno di riordino diretto non tanto al massimo ribasso dei costi ma al maggior rialzo della qualità e della trasparenza (reciprocazione).

Secondo la ricerca della Schcool of Management del Politecnico di Milano (2018) che ha considerato alcuni criteri per valutare la prontezza ad accogliere investimenti veri e propri ha evidenziato come la dimensione che ha ottenuto il risultato peggiore ha riguardato proprio le competenze organizzative inadatte ad una effettiva governance inclusiva delle qualità intellettuali e delle competenze professionali in grado di dare vita a “prodotti” attrattivi. (Fine prima parte)

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna 

17 aprile 2018
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Biotestamento

Biotestamento. I dubbi di un medico di famiglia

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 12 aprile 2018

Biotestamento

12 APR - Gentile Direttore,
la Legge del 22 dicembre 2017 n. 219,  comunemente definita DAT o  Biotestamento, non  riguarda il suicidio assistito e non è una modalità per attuare la così detta buona morte. Dopo la pubblicazione  della legge sulla   Gazzetta Ufficiale  sono apparsi  numerosi e prestigiosi  commenti   tra i quali  emergono per  lucida completezza  quelli pubblicati su questo giornale dei medici legali  Daniele Rodriguez e Anna Aprile i quali confermano, per molti aspetti, la  delicatezza   dell’argomento tanto che  potrebbero  essere   stati percepiti nondimeno alcuni punti  di sospensione …

Come  semplice medico di base  che nella quotidianità professionale  si trova da tempo, anche in vacanza legislativa, a  dover  affrontare situazioni molto simili a quelle inserite oggi nella legge,   credo possa essere appropriato  riconoscere che il tema delle Disposizioni Anticipate di Trattamento sia collegato  strettamente  alla filosofia  o alla pragmatica delle Cure Palliativa e alla sua  moderna fondatrice  Cicely Saunders  prima infermiera poi medico e  scrittrice.

Cicely Saunders  ha fondato il primo Hospice in Inghilerrra  nel 1967 (“più che un ospedale è  una casa”)   e ha fondato il così detto movimento hospice-cure palliative  basato  su  4 semplici principi etici di riferimento: Giustizia, Beneficità, Non Maleficità, Autonomia.   Cicely Saunders è morta per cancro nel 2005 nell’ospedale da lei stessa fondato.

Nell’Art. 1  della nuova legge viene affrontato il tema del Consenso Informato  strumento per altro  già applicato nella pratica clinica per  promuovere e valorizzare la relazione di cura.  Spesso, nei vari commi,    si sottolinea il fatto che le indicazioni  dell’assistito ( DAT)  dovranno anche  essere registrate nella cartella clinica e   nel fascicolo elettronico.

Le volontà  potranno essere acquisite nei modi e con gli strumenti più consoni  come a sostenere che deve essere  facilitata e semplificata ogni modalità di espressione e comunicazione di questi desideri personali ed intimi.

La problematica e la necessità di poter esprimere  “volonta’ anticipate” è avvertita  da tempo tra alcune tipologie di assistiti  e prima ancora  della promulgazione della legge  i pazienti avevano scelto la modalità di   presentare o di compilare insieme   al loro medico  di base,  che per definizione è scelto liberamente come medico di fiducia,  uno  scritto di pugno  su carta semplice che veniva affidato al medico  di famiglia  considerato come espressione  anche istituzionale  di  un rapporto fiduciario assoluto  tale da potergli confidare   volontà  estremamente  private.

La busta chiusa e firmata nelle linee di apertura dal soggetto proponente e dal medico veniva depositata, di comune accordo, in un posto  sicuro. La legge   ora riconferma che   le disposizioni  dell’assistito  devono essere  rispettate senza che il medico  possa in qualche modo  incorrere in responsabilità  civili o penali anche se viene riconosciuto  in ogni caso il rispetto della deontologia professionale del medico stesso nel senso che  non può essere chiesto al medico qualsiasi cosa.

Merita particolare evidenza l’affermazione  relativa al fatto che   il  tempo che  il medico  dedica ad una adeguata comunicazione su questi contenuti viene considerato tempo medico/atto medico (Art. 35 del Codice Deontologico  Medico 2014).

In effetti il Codice Deontologico è stato anticipatore  e premonitore  della attuale normative (Art. 35 Consenso e dissenso informato; Art. 36 Assistenza di urgenza e di emergenza; Art. 37 Consenso o dissenso del rappresentante legale; Art. 38 Dichiarazioni anticipate di trattamento;Art. 39 Assistenza  al paziente con prognosi infusta o con  definitiva compromissione dello stato di coscienza)  quando nei suoi articoli  considera il medico autorevole responsabile della cura e del progetto di cura condiviso con il paziente.

Di conseguenza  una  “ normazione” dei principi deontologici  e dell’alleanza terapeutica comporta  inevitabilmente  una ulteriore  burocratizzazione  dell’atto medico  e tende  a coinvolgere  altri co-attori  che forse, ad esempio sul territorio,  potrebbero non esserci.

Si tende inoltre, a volte,  anche  ex cathedra,   a sovrapporre  il Fascicolo Sanitario Elettronico, la Cartella Sanitaria e il  Patient  Summary    che  sono  strumenti elettronici con finalità e funzioni specifiche ma non sovrapponibili.

Permane  poi nel testo legislativo una certa insicurezza  riguardo al  ruolo del medico di base (di fiducia)  che non viene esplicitamente  previsto anche se non risulta palesemente escluso (secondo alcuni colleghi  Medici Legali è comunque compreso per estensione del termine medico)  così che nella  attuale  fattispecie  l’assistito potrebbe depositare un atto (DAT)  senza che il medico di famiglia possa esserne informato pur essendo, per esempio,  teoricamente in primis  il palliativista di riferimento per il proprio assistito soprattutto in caso di una assistenza domiciliare.

E’ prevedibile che da questo punto di vista  le normative regionali provvederanno a sanare questa problematicità. Alcune associazioni o enti hanno già predisposto moduli  o schemi che comportano  comunque  un certo aumento di procedure burocratiche anche se gratuite  che  si distaccano dalle pregresse  semplicissime abitudini “fiduciarie”  attuate da alcuni assistititi   che si relazionavano , su questo tema, solo con il proprio medico curante di fiducia.

La Legge affronta (art. 2) inoltre  in modo specifico il tema della terapia del dolore e delle cure palliative  rifacendosi per altro alla legge  15 marzo 2010, n.38.   Così come argomenta  con scrupolosità (Art. 4) e  con la necessaria prudenza   in merito  al comportamento da attuare  in presenza di minori o incapaci. Sono poi   affrontate le modalità operative (Art. 5)  per esprimere  le Disposizioni Anticipate di Trattamento  che   ora, con la  legge in vigore,  vengono redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o consegnate  personalmente all’Ufficio dello Stato Civile del Comune di residenza anche attraverso strumenti  o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di esprimere compiutamente le proprie volontà.

Come già ricordato il sistema fatalmente,  ogni volta che  una disposizione di legge deve affrontare un tema di natura  etica,  ha aumentato alcuni elementi o passaggi burocratici  che sembrano  influire  sull’autorevolezza del medico attore principale e insostituibile dell’atto medico già  regolamentato da tempo  dal proprio Codice Deontologico che, nel pieno rispetto delle volontà dell’assistito,  non può essere considerato uno dei componenti dell’ équipe  ma  depositario naturale  delle scelte dell’assistito  e colui che le può orientare.

La legge potrebbe quindi apparire come  un irrigidimento di una relazione  fondamentalmente   di affidamento  scarsamente dimensionabile se non al momento  della manifestazione della  scelta fiduciaria  anche se  vi è la possibilità   che ogni determinazione    dell’assistito resti  rinnovabile, modificabile o revocabile in qualsiasi momento e con modalità adeguate ad ogni contesto.

In osservanza alla normativa  il Ministero della Salute, le Regioni e le Aziende Sanitarie provvederanno  a diffondere  adeguata  informativa sul come redigere le DAT.  Il tema della Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC)  rappresenta una ulteriore  declinazione  delle Disposizioni Anticipate di Trattamento riferite  specificatamente  al processo di cure  che l’assistito o il paziente deve affrontare e anche in questo caso  si elencano  le modalità di espressione di questo parere che sono sovrapponibili a quelle già ricordate per le DAT .

Infine  si vincola il Ministro della salute  a   relazionare annualmente alle  Camere   sull’andamento  dell’applicazione della legge.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria Regione Emilia-Romagna
Sindacato dei Medici Italiani ( SMI)

12 aprile 2018
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declino cure primarie

Il lento ed inesorabile declino delle Cure Primarie

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 6 febbraio 2017

declino cure primarie

06 FEB - Gentile Direttore,
l’ultimo intervento di Ivan Cavicchi su QS del 27 gennaio  riporta una lievequasiimprecazione (… ma per quale diavolo di motivo … nulla che non produca conseguenze distruttive … regolarmente le peggiori). Risulta arduo non poter raccogliere lo spunto per la riflessione  che  proviene da un autorevole studioso della materia come è il Prof. Cavicchi.

Se anche  il Prof. Cavicchi  viene  scarsamente ascoltato  si conferma ancor più  fortemente il concetto (sperimentato in questi tribolati anni  di trattative romane e di  turbinanti  iniziative in libera uscita di regioni ed aziende) che sostiene    come  le elaborazioni  propositive  presentate   dai professionisti operanti  in  prima linea per quanto riguarda  ciò  che viene definito “riordino delle cure primarie”  restino  solo esercizi  letterari (Cavicchi : Il riformista che non c’è,  2013)  tra   quei  pochi colleghi che non hanno completamente abbandonato un atteggiamento positivo e con fatica cercano di valicare bandiere e tifoserie.  Intanto l’impero romano sta crollando senza nemmeno uno scricchiolio di avvertimento.

La nuova delibera della Lombardia in merito alle patologie croniche non è una sorpresa  ed era  ampiamente prevedibile prima  perché l’esternalizzazione, la privatizzazione ed il sistema degli accreditamenti  (inesistente nella medicina generale per la sua  residua componente libera professionale convenzionata)  è iniziato tanti anni fa  con i gruppi  dedicati alle cure palliative  (esperienza  che pare  non  aver prodotto particolari ripensamenti   ai professionisti delle Cure Primarie),  poi è continuata  con i CreG  anch’essi con budget   a provider ed  infine eccoci con l’affidamento  dell’assistenza  della  cronicità a gestori sanitari. 

Che dire?  Negli anni gran parte delle  stagioni  contrattuali  sindacali   si è spesso  basata  sulla ricerca di  benefit  (e non raramente business per pochi) piuttosto che puntare su una assoluta e condivisa  valorizzazione della professionalità diffusa  ( giustamente da gratificare ).  Ciò che avviene in Lombardia sta avvenendo in altre regioni con la diversità che non sempre,  questo passaggio tra welfare state  ad  altro welfare,  è immediatamente intellegibile  ai  più (es.: a Bologna ci sono più  Guardie  Medica privata che  evidentemente, per legge di mercato, soddisfano un bisogno. Vedi web).

Come dice Pina Onotri (Segretaria Nazionale SMI  su QS,  31 gennaio 2017)  sarebbe necessario un fronte comune, senza unanimismi di facciata,  in difesa del servizio pubblico … a meno che non sia però  troppo tardi e ilcountdown  sia inarrestabile  visto  comunque le tiepide reazioni  possibiliste all’iniziativa Lombarda  dichiarate dai  rappresentanti di alcune sigle sindacali. 
Come già altri colleghi hanno ricordato l’attuale organizzazione sanitaria comprende una attività assistenziale-erogativa  e una  amministrativa-gestionale-organizzativa-di controllo.  Le due aree  presentano diversità  di origine e  di  fondamenta: una arcaica e  plurisecolare, l’altra recente e collegata ad esigenze politiche-burocratiche-amministrative.  

Nel passato la parte  burocratica-amministrativa  si è dimostrata più  dimensionata  a fronte di una componente assistenziale forte. Attualmente la situazione si è ribaltata a favore di una  strutturazione aziendale  gerarchica, una burocrazia amministrativa  molto forte ed in grado di schiacciare e livellare ogni altra forma di pensiero che non sia unico.

Quindi queste  due aree hanno  consistenze numeriche e decisionali-politiche completamente sbilanciate  con interessi ed obiettivi non coincidenti.  La maggioranza dei mmg attualmente impegnati a garantire  la sostenibilità  dell’assistenza (dimissioni sempre più complesse con equilibri precari ed impossibilità di trovare soluzioni adeguate) è soggetta ad una frenetica iperattività ed iper-occupazione che supera di molto le 12 ore giornaliere tanto da poter ipotizzare due strade:  
A - il passaggio alla dipendenza di tutto il comparto dell’assistenza primaria;  
B - in alternativa occorre marciare  verso una convinta accettazione dell’autonomia e della libera professione dell’assistenza primaria sostenuta a sua volta  da una reale valenza politica.

Le istituzioni forse sceglierebbero l’opzione A ma non sembrano attualmente più in grado di sostenere il costo dell’operazione anche se perseguono tenacemente  con normative e delibere la finalità della parasubordinata spinta e soffocante. Nello stesso tempo non riescono a garantire un welfare state storico perché la globalizzazione e le modifiche socio-assitenziali  hanno portato ad un incremento esponenziale di nuovi bisogni ostentati dai clienti esterni.

In numerose  occasioni  è stata data la possibilità, su questo stesso quotidiano, al nostro Centro Studi  ma anche a tanti altri  professionisti,  di presentare  le  analisi critiche relative  ai  testi dei documenti nazionali e regionali/locali che argomentavano di Cure Primarie così come è stato acconsentito di elencare  contributi  e proposte costruttive al fine di sanare eventuali defaillance nella convinzione che l’interesse verso il bene comune non fosse definitivamente  esaurito e  lo strumento  del confronto potesse tutelare l’interesse professionale di molti (assistiti e medici)  senza rischiare di incunearsi in posizioni di rendita per pochi.   

Ciò nonostante  i  processi decisionali  sono afflitti  da pregiudiziali  tali  che  da anni  vengono riproposte soluzioni di tecnicismo esasperato  ed   inconfutabile ed in questi casi la rappresentatività resta di facciata. Questo sistema inoltre oltre tende  a  contrastare  ogni evidenza  statistica dove le competenze per stabilire le   “ragioni e i  torti” non  dovrebbero mai  appartenere ad una sola delle  parti. 

Non è questa  l’occasione di fare un elenco (lungo)  di proposte  argomentate  a favore di un riordino delle cure primarie già presentate più volte. Desta non poca meraviglia  però non poter più ritrovare, nei  numerosi documenti  nazionali e  regionali/locali, richiami introduttivi  alle caratteristiche e alle competenze valoriali della medicina generale enunciate dalla prestigiosa World Organization of National Colleges and  Academics (Wonca) sostituite, a sostegno delle scelte di politica sanitaria,   da  altre numerose  citazioni autoreferenziali  o di relativo  impatto effettivo culturale /scientifico assistenziale  (es.:  DG SANCO 2014) con il conseguente impoverimento  della credibilità dei documenti stessi.

Le istituzioni  sembrano comunque  aver esaurito la spinta propulsiva  per rivoluzionare la sanità nonostante  il poderoso apporto culturale accademico e  delle  agenzie.  In questa situazione diventa difficoltoso  attivare una  fase di ripensamento del welfare nel quale sia possibile, grazie al ruolo essenziale dei professionisti,  coniugare rigore,  universalismo e   scelte prioritarie   riportando  al centro  del dibattito culturale e politico la sanità come unico luogo in cui si sostanziano uguaglianza  dei cittadini e  principio di solidarietà. 

Dopo la riforma del 1978  si è esaurita la stagione dei dividendi  derivati dagli anni del boom economico  dove nel nostro paese gli imprenditori (anche con la terza elementare) superavano di gran lunga i dirigenti e il Pil correva a doppia cifra come quello cinese attuale. Ora ci sono molti più dirigenti che imprenditori (un mmg è un piccolo imprenditore ). Le difficoltà crescenti per coniugare il buon governo con i bisogni reali delle persone diviene addirittura oggetto di studio da parte delle neuroscienze (Il Sole24Ore,15 gennaio 2017). Nel complesso la Sanità Italiana è passata al 22° posto (Indagine dell’Health Consumer Powerhouse 2016 che valuta la soddisfazione  dei cittadini) su 35 paesi europei analizzati.

Eppure una organizzazione adeguata della sanità (con i suoi  determinanti di salute)   potrebbe essere un  solido fattore di sviluppo economico come dimostrato da numerose pregresse argomentazioni dove si richiama l’attenzione al rispetto delle  comunità reali. Oggi è un po’ di tendenza parlare di comunità  proprio perché le istituzioni si sono accorte che da sole non sono più in grado di affrontare i grossi capitoli  dell’assistenza territoriale. Ancora una volta però, a causa di un ritardo culturale incredibile, i centri decisionali non si sono accorti che le comunità non esistono più.  

Per dire più correttamente esistono residui di comunità  intorno alle massime istituzioni morali dei nostri territori (parrocchie)  e anche il mmg rappresenta, in molte realtà,  un punto di riferimento fondamentale. Le comunità non si creano con i finanziamenti o le sovvenzioni. Le persone desiderano autonomamente e fortemente partecipare  in modo reale e non virtuale.  Il MMG e le cure primarie  sono rimaste  effettivamente  forse  tra i pochi  punti  di riferimento delle comunità/società locali  che (anche se fortemente in crisi) grazie all’azione  di empowerment dei mmg   mostrano di poter  esercitare un  protagonismo crescente per far fronte  all’incrementi dei bisogni socio-assistenziale a cui le istituzioni non  riescono più a dare rispose. Inoltre   la personalizzazione delel cure   che solo  il medico di base   è in grado di assicurare   è  considerata   dai pazienti   criterio di valutazione della qualità assistenziale.

L’impegno economico consistente e necessario  sul medio periodo  per il riordino delle  cure primarie  resta   un investimento non un costo ma c’è la necessità di uscire  da sfere molto ampie per comunicare competenze ed abilità in modo raccolto (walled garden cioè giardino contenuto:  Colletti, Il Sole24Ore, 5 febbraio 2017). Potrebbe non essere coerente con i bisogni ipotizzare quindi ambiti territoriali che superino i 30.000 abitanti. Da questo punto di vista  occorre  individuare  con chiarezza   strutture  logistiche  all’interno dell’ambito territoriale geografico  contenuto  (mai più di  30.000 assistiti/popolazione/presenti)  identificabili  indiscutibilmente come  declinazione del distretto. La presenza  stanziale dei mmg  è fondamentale per offrire integrazione e gestione della  complessità.  

L’adesione  e la partecipazione  dei mmg che desiderano  affrontare questa esperienza  devono essere volontarie e devono comunque garantire  equità anche per coloro che desiderano  garantire  una capillarità territoriale continuando ad operare negli ambulatori singoli pernon creare differenziazioni tra professionisti e di conseguenza  diversità  tra potenzialità assistenziali territoriali.

Bruno Agnetti
Centro Studi  Programmazione Sanitaria CSPS
Sindacato dei Medici Italiani  (SMI)
Regione Emilia-Romagna

06 febbraio 2017
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declino cure primarie

Non basta la convenzione per riformare le cure primarie

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 25 ottobre 2016

declino cure primarie

25 OTT - Gentile direttore,
qualche giorno fa Il DG delle Professioni  Sanitarie del Ministero della salute Rosanna Ugenti ha riconosciuto  la necessità di un riordino delle cure primarie territoriali (dopo il riordino degli Ospedali) previa l’adozione di modelli in grado di garantire la sostenibilità.

A commento di questi autorevoli concetti pare opportuno poter estendere l’argomentazione  a qualche  tesi nodale emersa clamorosamente in questi anni di trattative per quello che viene definito in modo non appropriato “riordino delle cure primarie attraverso il rinnovo dell’ACN”.

Che qualche cosa di scomposto sia stato presentato sul tavolo delle trattative deve pur esserci se dalla aggrovigliata legge Balduzzi  del 2012 (tentativo instabile ma istituzionalmente corretto di affrontare una riforma sul riordino delle  cure primarie  attraverso una legge o un decreto) nonostante l’intervento  per districare la matassa compiuto  dal Patto della Salute  del 2014 (senza forza  legislativa) i tempi si sono dilatati a tutt’oggi ( 2016) e  alcune menti illuminate prevedono, alle condizioni attuali e per i contenuti più volte ripresentati dalla parte pubblica, tempi per nulla immediati.

Si possono all’uopo considerare solo due temi tra i tanti a disposizione e di analogo valore.

In tempi di globalizzazione non è avveduto pensare che il riordino delle cure primarie territoriali (che non riguarda solo la medicina generale ma tutta l’area della convenzionata, del territorio  fino all’ospedale se si vuole realizzare l’ integrazione e la sua complessità  come elemento indispensabile per una riforma  moderna in grado di dare risposte all’epidemia della cronicità e delle varie forme di fragilità)  possa realizzarsi attraverso la stipula  di  un ACN. Una Convenzione  (o ACN)  dovrebbe rappresentare  un insieme di normative “convenzionali” inerenti i rapporti  tra le richieste  che lo stato presenta ai liberi professionisti  e i loro oneri a fronte  di un regolamento  funzionale e  di una remunerazione concordata.

Una riforma (ad es.: un riordino delle cure primarie territoriali, una strutturazione dell’integrazione  multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale  a gestione  della complessità,  una sistematica modalità per far fronte alla fragilità e alle cronicità, una integrazione ospedale-territorio)  può essere originata  solo da una Legge, da un Decreto Interministeriale o da un DPCM.  All’interno di una reale  riforma è possibile, come  già ricordato,  ritrovare risorse fresche e reali previo l’essenziale  inserimento  nella Legge di Stabilità di un comma relativo alla possibilità di utilizzare  lo strumento dei Fondi di Rotazione  anche per le cure primarie:  l’Unione Europea ha accettato che i Fondi di Rotazione  possano essere utilizzati anche per i servizi  e non solo per le strutture e la Cassa Depositi e Prestiti  è stata riformata  nel luglio 2015  proprio a questo scopo.

Questo tipo di sostegno economico alla riforma del SSN e nello specifico  al riordino  delle cure primarie  non graverebbe sul bilancio dello stato in quanto,  dagli studi  eseguiti e dalle proiezioni,  l’intera somma utilizzata verrebbe restituita  nel periodo di 6-8 anni. A fronte di questo impegno si realizzerebbe sul territorio nazionale una uniformità di performance, di comportamenti  e di apprendimenti  destinati a produrre un considerevole risparmio generale  e quindi una forte sostenibilità del nostro SSN.  Sono forse maturati i tempi per affiancare la Formazione Continua  ECM all’apprendimento ( per adulti)  svolto  nell’attività di team multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale che deve essere accreditata  al 100% degli ECM  in grado di assicurare  appropriatezza e adeguatezza prescrittiva  in tempo reale e raggiungimento degli obiettivi anche economici  aziendali.

La questione generazionale. Qualcuno ha definito questa problematica “conflitto generazionale”.  Dal 2012  (legge Balduzzi) si argomenta di ruolo unico senza poi definire nei particolari cosa si intenda concretamente per ruolo unico. Le proiezioni Enpam hanno già da anni dimostrato come dal 2017  diventerà critica la copertura assistenziale  da parte della medicina generale territoriale  se non si facilita l’inserimento immediato (nello stesso anno del  conseguimento  il diploma) dei medici che escono dalla scuola di formazione in  medicina  generale senza l’irrazionale attesa  di un anno.  
Così come dev’essere data la priorità  agli stessi medici che frequentano il Corso di Formazione  in medicina generale  per  il servizio una volta denominato e conosciuto da tutti gli assistiti come Guardia Medica ma che oggi  viene istituzionalmente definito  Continuità Assistenziale. E’ anche possibile che la mancata programmazione di copertura assistenziale territoriale  adeguata, in tempi di globalizzazione e di cronicità in crescita esponenziale, possa suggerire una qualche forma di affiancamento strutturato  tra medici senior e junior nell’assoluto rispetto delle normative e delle graduatorie.

Bruno Agnetti
Centro Studi  Programmazione Sanitaria CSPS
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia-Romagna

25 ottobre 2016
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Cure primarie, la rifondazione che non c’è

Articolo a cura di Maurizio Andreolli, Bruno Agnetti, Ernesto Mola
(Centro studi Smi - Sindacato medici italiani)

Pubblicato su Sanità 24 - Il Sole 24 Ore il 30 giugno 2016

puzzle

La nuova “trovata” è l’assistenza medica h16. Ma possono l’atto di indirizzo prima, e l’Accordo di lavoro-Acn che ne consegue, contraddire il Patto per la Salute e la “Balduzzi”, che prevedono chiaramente un’assistenza territoriale H24, distinguendo tra 118 e guardia medica? Crediamo di no: la convenzione della medicina generale non può dettare norme in contrasto con la legislazione vigente. Le Aft partono così col piede sbagliato. Esse rappresentano, nei fatti, la generalizzazione obbligatoria dell’associazione monoprofessionale tra medici di medicina generale, più volte criticata per la sua inconsistenza, buttando alle ortiche la medicina di gruppo, che ha rappresentato fino a ora l’unica forma di aggregazione che ha funzionato.

Teoricamente la Aft potrebbe essere formata da medici che lavorano da soli, che si raccordano funzionalmente per garantire l’H16, per cui un cittadino, per poter ottenere assistenza in mancanza del proprio medico di famiglia, dovrebbe fare lo slalom tra più ambulatori per trovare quello disponibile. Il referente dell’Aft sarà remunerato attingendo a uno dei Fondi già in essere, determinando così per contratto una riduzione, anche se modesta, della retribuzione contrattuale. Il Fondo per gli accordi regionali (che ammonta attualmente a circa 40 milioni di euro) sarà infatti quasi completamente assorbito da questa voce. Una smaccata riallocazione di risorse in favore di pochi. Ma non è l’unica criticità sul piano retributivo. Mentre la quota capitaria rimane tristemente invariata rispetto al 2010 (e che rinnovo contrattuale è, senza un minimo incremento retributivo!), nella quota variabile delle Aft confluiscono tutti gli incentivi previsti per associazioni e personale di studio previsti dall’Acn 2005.

Queste risorse dovranno essere ripartite tra tutti i medici di medicina generale, dato che la partecipazione alle Aft è obbligatoria, mentre prima erano attribuite a coloro che garantivano più avanzati livelli assistenziali. Se la matematica non è un’opinione, se recupero risorse dal 50% dei medici che godevano delle indennità aggiuntive per ridistribuirle al 100%, per forza di cose la quota che ciascuno potrà ricevere si riduce alla metà.

È vero, c’è la norma che salvaguarda le retribuzioni attuali, che saranno dunque “cristallizzate” in un nuovo assegno ad personam, che non potrà però più incrementarsi né contrattualmente né per un eventuale aumento delle scelte. In pratica si sta programmando nel tempo, con il pensionamento dei medici più anziani, una rilevante contrazione della retribuzione contrattuale dei medici di medicina generale.

I nuovi assegni ad personam inoltre assorbiranno tutte le risorse che dovrebbero concorrere al fondo per le Aft che quindi come potrà essere finanziato? Le uniche risorse disponibili provengono dalla contrazione del numero di occupati in continuità assistenziale. Se i turni si riducono di circa 2/3, dato che i turni notturni copriranno dalle 20 alle 24 invece che dalle 20 alle 8 del mattino, avremo nel tempo un ridimensionamento di pari misura delle piante organiche a rapporto orario e nell’immediato il mancato rinnovo degli incarichi a tempo determinato. Nel contempo i cittadini subiranno la scomparsa dell’assistenza medica notturna e il Ssn l’intasamento delle chiamate al 118 e dei pronto soccorso ospedalieri. Il ruolo unico dei medici delle cure primarie, che dovrebbe essere inteso come inserimento a tempo pieno nella medicina generale, è stato ridimensionato a incarico di 24 ore, con le quali dovranno essere garantiti i turni serali e festivi e i “buchi” negli orari di apertura degli studi medici in modo da garantire la assistenza nell’intera giornata.

Le Uccp, poi, sono le grandi assenti in questa convenzione. Vengono genericamente definite “forme organizzative complesse” multi professionali (quindi con specialisti di varie discipline e altro personale), con sede di riferimento all’interno di strutture pubbliche individuate dalla Regione, e alle cui attività “partecipano” obbligatoriamente, non è ben chiaro come, i medici di delle cure primarie. L’articolo 7 dice poco sulle Uccp e glissa del tutto su organizzazione e finanziamenti di tali strutture, demandati quindi per intero alle Regioni. Ciò approfondirà il solco esistente tra i diversi Ssr. Ci sono poi altri aspetti criticabili: le tutele, gravemente carenti, se non peggiorative rispetto al precedente Acn (gravidanza ecc.), ma anche la formazione obbligatoria, i provvedimenti disciplinari, le regole della contrattazione e della rappresentanza.

Questa “bozza di Acn” è disarmante: la rifondazione delle cure primarie non è nemmeno accennata, riducendosi alla previsione di Associazioni funzionali territoriali che si riducono solo a un vuoto coordina- mento mono professionale. Ci auguriamo che si tratti solo di una ipotesi di massima, buttata lì per saggiare le reazioni, perché è evidente che non si prefigura nessun miglioramento dell’offerta assistenziale ai cittadini.
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http://www.slideshare.net/DottorAgnetti/progetto-mosaique-verona


Nuovo modello di Assistenza primaria territoriale nella medicina di base

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato sulla Gazzetta di Parma il 29 dicembre 2014

Assistenza primaria territoriale