Welfare di comunità e riordino delle cure primarie
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 20 maggio 2019
20 MAG - Gentile Direttore,
il dibattito sulle modifiche dei paradigmi storici della professione coinvolge fatalmente anche i colleghi che si interessano di ri-organizzazione della medicina generale territoriale. Negli anni sono state pubblicate numerose ipotesi/proposte di “riordino” dell’attività medica di base anche “pronto uso” finalizzate soprattutto a ricomporre il distacco esistente tra le richieste di benessere delle persone e il sistema sanitario di offerta quanto mai superato. Il tempo, che pare essere galantuomo, ha dimostrato (Balduzzi 2012; Patto della Salute 2014) che fino ad ora non è emerso nessun ragno dal buco dei ragionamenti della retorica ufficiale (la struttura dell’ACN è ancora quella del 2005 !).
Questo è comunque il campo dove ci si trova a zappare: continuiamo quindi con ostinazione a perfezionare di volta in volta il “nostro” progetto di innovazione assistenziale territoriale pur visionario.
E’ stato ampiamente argomentato su come la medicina nel suo complesso sia una disciplina composita in continua evoluzioni.
Secondo il paradigma bio-psico-sociale la qualità della vita insieme alla personalizzazione delle cure (gestione della complessità) sono diventati i parametri più importanti per determinare una validità assistenziale e la medicina generale, ancora oggi, svolge, pur a fatica, un ruolo fondamentale nel gestire questi criteri nell’ambito della domanda di salute e dell’offerta di sanità.
Per permettere al mmg di ritornare ad essere il principale attore della salute pubblica territoriale occorre ri-ordinare l’assistenza primaria con una riforma strutturale e una completa revisione dell’ ACN, secondo i dettami dei principi Wonca e del paradigma del Welfare di Comunità .
Il “welfare di impresa” consente ai lavoratori di una azienda di beneficiare di una assistenza sanitaria (parziale e a volte contraddittoria) e sociale che non ha il carattere dell’universalità ma è limitata ai dipendenti di quel brand con conseguenti vantaggi nella crescita, nell’efficienza e nella produttività per l’azienda.
Il “welfare state”, termine ancora valido teoricamente, aveva inizialmente la caratteristica dell’universalità e assicurava gratuitamente a tutti i suoi cittadini cure mediche, scuola e assistenza sociale ma, alla fine, ha mostrato il suo limite causato dalla dipendenza finanziaria. Il welfare state pur essendo un sistema creato per garantire una equità sociale in fede di una crescita di capitali considerati in espansione continua è diventato invece inesorabilmente sempre più povero a causa di una crisi della crescita monetaria associata ad un incremento “esponenziale” delle spese sociali e sanitarie e ad un aumento solo “proporzionale” della ricchezza finanziaria (attualmente stagnante e recessiva).
Questo divario influisce direttamente sul “valore” dell’equità sociale e può causare conflitti ed insicurezza diffusa. Un sistema ideato per i poveri non riesce più a rispondere ai poveri.
Il “welfare di comunità” può arginare gli squilibri del welfare state e quelli del welfare aziendale. Il paradigma del welfare di comunità si basa soprattutto sull’economia reale ed è in grado di assicurare pace sociale e aumento del senso di sicurezza. Prevede un coinvolgimento dei vari stakeholder (portatori di interesse) di una comunità che cooperano ed intervengono direttamente e responsabilmente nel “processo decisionale” per la progettazione di servizi in favore di quella comunità.
La cooperazione o “sussidiarietà” caratteristica dell’operatività del welfare di comunità è di tipo “circolare” ed è finalizzata a migliorare la qualità della vita ( bene comune) dei cittadini di un determinato territorio. Le istituzione pubbliche non intervengono direttamente nel sistema e nel processo decisionale ma operano affinché i vari portatori di interesse di un territorio possano organizzarsi e caratterizzarsi per l’appartenenza. Nel welfare di comunità il ruolo delle istituzioni diventa esclusivamente di garanzia, tutela e vigilanza sui valori messi in campo e sulle finalità dichiarate.
In una raffigurazione che comprenda un ipotetico triangolo toccato ai suoi vertici da un cerchio che possa rappresentare la sussidiarietà circolare dovremmo immaginare un vertice occupato dalle istituzioni, un vertice rappresentato dalla società civile e l’ultimo vertice presidiato dalle imprese generative in grado di procurare i finanziamenti necessari ma anche concretezza. In questo disegno organizzativo le cure primarie occupano il ruolo di leadership dell’intero sistema in grado di gestire completamente, a livello territoriale, il “governo clinico”.
Secondo alcuni autori riuscire oggi a progettare una innovazione organizzativa dell’assistenza primaria territoriale efficace potrebbe avere la stessa importanza dell’invenzione di un farmaco che sia in grado di curare l’epatite o il cancro oppure potrebbe essere un evento paragonabile allo sbarco sulla luna.
Tutta la convenzione per la medicina generale va ripensata come “patto per un welfare di comunità” uscendo dall’ambiguità rappresentata dall’organizzazione in distretti che continuano a proporre di fatto una logica ospedaliera applicata al territorio e alla medicina generale quando bisogni espressi e non espressi sono fondamentalmente diversi.
Sono necessari anche luoghi dove medici e operatori possano ritrovare, grazie al nuovo paradigma/modello, le radici del loro mestiere (etica, cultura, formazione, deontologia, integrazione ecc.) e dove gli assistiti possano diventare protagonisti con i professionisti dei percorsi preventivi, di educazione sanitaria, di cura e riabilitazione. In queste strutture la tecnologia e l’antropologia possono marciare di pari passo per ritrovare il vero senso della clinica e dell’assistenza.
Il senso dei percorsi assistenziali è dato soprattutto dai “valori”. Oggi gli aspetti etici e deontologici, professionali e sociali non sono più barattabili con ambigui progetti economicistici che, come insegna quel galantuomo del tempo, non hanno poi negli anni risolto un granché. Se si opera per produrre valore si potrà pensare anche ad una crescita professionale, sociale ed economica in caso contrario si affonda o meglio affondano coloro che non hanno risorse economiche proprie ma questo irrimediabilmente innesca insicurezza e conflitto sociale.
Occorre però che tutti gli attori salgano convintamente sulla barca sicura dei “valori”così da trasformare un mare periglioso (globalizzazione incontrollata) in opportunità, sicurezza, convivenza civile e pace sociale (valorizzazione della democrazia?).
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna
20 maggio 2019
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Le cure primarie, il loro riordino e la deontologia del 3° millennio
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 20 ottobre 2018
20 OTT - Gentile direttore,
il carteggio generato dagli articoli del Prof. Ivan Cavicchi ha coinvolto a fondo coloro che si occupano di organizzazione sanitaria. Il Professore e collega perdonerà se non verrà continuamente citato in questo semplice elaborato che vorrebbe argomentare, in particolare, di cure primarie e di assistenza territoriale.
Lo stesso dicasi per il Prof. Stefano Zamagni. La medicina generale, a 40 anni dall’istituzione del SSN, richiede una riforma generale. Oggi alcuni mmg mostrano disagio professionale che si manifesta attraverso la sfiducia verso ogni azione o ideazione di filosofia politica sanitaria. Quelli vicino alla pensione sono portati ad un disinteresse quasi accidioso.
Le nuove generazioni desiderano invece fortemente entrare in un “sistema lavorativo” convinti di approdare all’interno di una professione che svolga anche il ruolo di classe dirigente di questo paese.
Nella realtà potrebbero ritrovarsi improvvisamente inseriti in una organizzazione agonizzante che in breve potrebbe arrecare delusione. I cultori della materia hanno formulato numerosi progetti al fine di dare vita a un nuovo patto-contratto tra i medici professionisti della sanità territoriale, i cittadini e il Servizio Sanitario Nazionale basandosi su una deontologia contestualizzata e una organizzazione del lavoro dove “ruoli e funzioni” potessero avere più importanza in favore del bene comune.
La mancata attenzione a questi suggerimenti di rinnovamento ha invece legittimato, nel dibattito generale, le narrazioni relative all’esternalizzazioni e alle privatizzazioni, considerate addirittura modelli da imitare (Gruppi di Cure Palliative, CreG, Provider, iniziative di CA e di ospedalizzazioni domiciliari private ed altre proposte organizzative territoriali mutuate da esperienze nate oltre oceano in regimi assicurativi, strutturalmente diversi dal SSN italiano e protetti da brevetto).
A fronte di queste riflessioni vorremmo mettere a conoscenza dei suoi lettori alcune nostre riflessioni che le aghiamo alla presente.
Bruno AgnettiAlessandro Chiari
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) - Regione Emilia-Romagna
20 ottobre 2018
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Quale futuro per le cure primarie? (terza parte e ultima parte)
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 20 aprile 2018
Le Regioni potrebbero
condividere con i professionisti azioni innovative
anche sperimentali (in particolare le Regioni che hanno
firmato il patto per le autonomie). Ecco quali iniziative si potrebbero avviare
come esempio di possibili moderni patti-contratti
20 APR - Le cure primarie territoriali oggi, in Italia, sono statiche, paludose paralizzate da processi decisionali in capo a Conferenze Territoriali fortemente autoreferenziali.
Altrove obiettivi specifici hanno prodotto discontinuità, cambiamenti ed investimenti, nuovi strumenti organizzativi, risorse non marginali finalizzate all’attività in team multi professionali, multidisciplinari e multisettoriali connessi con strumenti informatici ma organizzati in modo da prevedere modalità di contatto diretto essenziali per una reale gestione coerente e condivisa dell’assistenza.
Da questo punto di vista è necessario prevedere all’interno del tempo/lavoro dei medici e degli operatori sanitari una quota dedicata all’accesso e alla condivisione della complessità dei dati disponibili e al confronto diretto in team.
Il cambio generazionale prossimamente dirompente, volendo, potrebbe diventare un ottima occasione per il rilancio spontaneo a costo zero del SSN. La competenza professionale delle nuove generazioni di medici può garantire una moderna qualificazione dell’assistenza in grado di far fronte alle sfide imposte dall’epidemia della cronicità sia per le innegabili abilità cliniche ma anche per una corretta visione olistica-antropologica della salute umana.
La paradossale ipotesi del task-shifting ossia il trasferimento delle competenze del medico ad altre figure professionali sanitarie confligge rovinosamente con la preparazione professionale delle nuove generazioni di medici di medicina generale formati ai principi di una disciplina che praticano quotidianamente e che conoscono molto bene nella specificità dell’ approccio epidemiologico, clinico e relazionale (Wonca Europe).
Quando si attiveranno gli AAIIRR (Accordi Integrativi Regionali) e per gli AAIILL (Accordi Integrativi Locali) le istituzioni che nel passato non hanno preso in considerazione le criticità che attualmente caratterizzano le cure primarie, riusciranno a fare un salto di qualità, dimostrare una discontinuità, prospettare un prodotto di rottura? C’è ancora tempo per agire su alcuni ambiti in attesa di una adeguata riforma.
A questo scopo le Regioni potrebbero condividere con i professionisti azioni innovative anche sperimentali (in particolare le Regioni che hanno firmato il patto per le autonomie) ed è possibile, in questa sede, elencare solo alcune iniziative come parziale esempio di possibili moderni patti-contratti:
- La legge Balduzzi 2012 rimane il riferimento più recente in merito all’organizzazione territoriale della medicina generale
- Abolire il carico burocratico relativo alle attività domiciliari ADI/Cronicità in congruenza con un governo clinico completamente in carico al territorio e ai professionisti che operano in team ( UCCP/ Case della Salute/AFT)
- Valorizzare il ruolo e la funzione dei mmg
- Le strutture logistiche fondamentali in grado di realizzare un sinergismo di risorse e di erogazioni complesse sono le UCCP/Case della salute. L’integrazione in queste strutture dei professionisti mmg deve prevedere un progetto organizzativo innovativo prodotto dagli stessi professionisti. L’appartenenza ad una UCCP/Casa della Salute non è obbligatoria. L’UCCP è parte fondamentale del distretto, è una declinazione aziendale delle strutture organizzative-operative e richiede, come per i distretti, norme legislative nazionali e costi standard
- Le UCCP/Case della Salute in gado di erogare prestazioni complesse, con la presenza di strutture intermedie attive H24 e di Continuità Assistenziale ( definite Grandi) rappresentano le vere e reali alternative ai ricoveri inadeguati e assolvono gli impegni relativi ai programmi nazionali della cronicità e della prevenzione; al contrasto degli accessi impropri al pronto soccorso, al governo delle liste d’attesa e all’appropriatezza
- Una struttura logistica per divenire effettivamente punto di riferimento di una comunità di assistiti della medicina generale territoriale non deve superare un bacino di 30.000 abitanti
- Le AFT sono per definizione funzionali e non possono erogare in modo strutturato prestazioni complesse, restano aree territoriali-geografiche organizzative e funzionali della medicina generale. I professionisti mmg delle AFT, eventualmente non inseriti per scelta nelle UCCP/Case della Salute, possono essere coinvolti in progetti integrati ( UCCP/Casa della Salute/AFT) per erogazioni complesse.
- All’interno della organizzazione territoriale della medicina generale non si devono creare differenziazioni professionali o assistenziali tenendo conto che la soddisfazioni dei bisogni sanitari collegabili alle funzioni della medicina generale richiedono sempre ambiti territoriali contenuti mai superiori ai 30.000 abitanti ( corrispondenti a circa 20 mmg massimalisti). Per non creare differenziazioni professionali e assistenziali ogni AFT dovrebbe avere una sua UCCP di riferimento.
- I fattori di produzione dell’assistenza non devono essere confusi con i fattori di produzione del reddito o con fattori per lo svolgimento ( o acquisto) di attività diagnostiche
- Le società di servizio o le cooperative sociali possono intervenire a sostegno delle aggregazioni ( UCCP/Case della Salute/AFT) per quanto riguarda i fattori di produzione dell’assistenza
- I rappresentanti dei professionisti sono referenti eletti dagli stessi mmg. Il termine coordinatore non appartiene all’ambito della medicina generale territoriale. I referenti hanno funzioni di servizio e sono unici per le aggregazioni complesse e per quelle funzionali dello stesso territorio al fine di favorire l’integrazione tra i mmg dell’UCCP e dell’AFT . I mmg che svolgono attività di consulenza per le aziende non sono rappresentanti dei mmg ma fiduciari aziendali. Il mmg fiduciario aziendale che riveste cariche sindacali può incorrere in conflitto di interessi.
- L’inserimento delle nuove generazioni nella medicina generale convenzionata avviene per graduatoria regionale. E’ possibile ipotizzare diverse vie di accesso alla professione convenzionata rifacendosi sempre alla graduatoria regionale in particolare per le strutture aggregate e in relazione al massimale (zone carenti anticipate attivate in tempo reale con sistemi informatici da mmg ultra sessantacinquenni)
- I debiti formativi possono essere soddisfatti da attività autonome documentate ( attività di team che affrontano temi di appropriatezza, personalizzazione; incontri di briefing; attività di tutor, attività di referente; partecipazione a tavoli professionali ed organizzativi locali, regionali e nazionali; attività di coordinamento del volontariato, docenza di vari ordini e gradi, rappresentanza o ruoli istituzionale …)
- Occorre distinguere tra l’assistenza primaria erogata da una équipe e il lavoro in team e/o in squadra. La caratteristica distintiva specifica e qualificante dell’operabilità della mmg inserita all’interno di una struttura in grado di erogare prestazioni complesse dovrebbe essere quella del lavoro in team e/o di squadra e non in équipe. Il lavoro in équipe si riferisce ad enti o professionalità diverse che operano insieme ( in modo coordinato e gerarchico) per affrontare e risolvere un problema non risolvibile dai singoli componenti o dalle loro funzioni aziendali di partenza (es.: équipe chirurgica).
Il lavoro in team e/o in squadra è orientato ad un progetto e risponde nel suo complesso ad un problema. E’ flessibile e i componenti cambiano in relazione alla domanda. Questo tipo di approccio rappresenta una specificità assistenziale che viene percepita dagli assistiti come personalizzazione della cura: la collaborazione interna al team tra le diverse professionalità è in grado di migliorare i sistemi operativi e le dinamiche collaborative interdisciplinari che possono gestire i cambiamenti, gli apprendimenti, il problem solving e sostenere impegno e motivazione. Il coordinamento non è gerarchico ma diluito e dettato dalla definizione di norme comuni di servizio ( tempo delle risposte, efficienza, precisione, dedizione , passione …).
ll team multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale (M&M&M) risponde alle esigenze della programmazione assistenziale in quanto attiva il processo della presa in carico degli assistiti occasionali/di opportunità ma soprattutto degli assistiti complessi e fragili attivando l’integrazione con la specialistica, l’infermieristica; l’integrazione H-T e socio sanitaria, il coinvolgimento del farmacista/statistico, la collaborazione con il volontariato, il terzo settore e con le nuove professionalità sanitarie. Il team si avvale di incontri estemporanei di briefing ( incontri brevi, informali, di solito mattutini normalmente in uso nelle imprese che generano prodotti di successo)
- Attività di team e di briefing, di educazione sanitaria, di testimonianza pedagogica verso i corretti stili di vita sono valorizzabili
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna
(Fine seconda parte, leggi la prima parte e la seconda parte dell’articolo)
20 aprile 2018
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Quale futuro per le cure primarie? (2ª parte)
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 18 aprile 2018
L’attività operativa
del medico di famiglia è rimasta sostanzialmente quella antecedente al 1978
(convenzione, libera professione formale di fatto parasubordinato, rapporto
economico a quota capitaria, organizzazione del proprio ambulatorio) e quelli
che vengono pubblicizzati come cambiamenti rappresentano nella realtà
incrementi progressivi impositivi di obblighi contrattuali spesso di natura
burocratica che hanno in gran parte “impiegatizzato” il lavoro del medico
18 APR - Nonostante il diffuso utilizzo del termine “Clinical Governance” non è sempre agevole comprendere in senso univoco il significato del termine inglese. Anche gli “addetti ai lavori ” divergono in merito all’ esatta interpretazione. Per “Clinical Governance” si intende che... il “governo” (nel senso dell’Amministrazione o dell’Autorità Istituzionale, o dei Capi o dei Governanti, o delle Dirigenze Aziendali) riconosce l’autonomia professionale e il ruolo di dirigenza dei professionisti (e questo vale per tutti i professionisti che operano nell’azienda, qualunque sia la loro disciplina) nella gestione dei servizi, in cambio di una piena assunzione di responsabilità nell’uso delle risorse e nel miglioramento della qualità clinica.
Il governo clinico si basa su alcuni principi (valutazione e miglioramento continuo della qualità, autonomia professionale, responsabilità distribuita, rendicontazione e trasparenza, clima organizzativo favorevole, sorveglianza delle condizioni di rischio, monitoraggio delle performance assistenziali, appropriatezza) e su molti strumenti. Esistono comunque nette differenze tra le definizioni istituzionali di governo clinico ( clinical governance) con quello che la letteratura di settore ritiene debba essere considerato un governo clinico affidato effettivamente ai professionisti dell’assistenza territoriale e alle loro integrazioni in team multiprofessionali, multidisciplinari, multisettoriali.
I principi e gli strumenti di un governo clinico affidato effettivamente ai professionisti si discostano dal concetto di clinical governance aziendale in quanto i medici e i professionisti sanitari del territorio sono orientati ad una applicazione delle conoscenze della scienza all’interno di una concezione olistica di salute e di una visione dell’uomo complessa interdipendente secondo un paradigma bio-psico-sociale.
Con l’avvento della cultura manageriale in sanità (legge 502/1992) le logiche aziendali sono state assoggettate a modelli gerarchici monocratici (ampiamente superati da anni nelle imprese private di successo) e hanno ricondotto le categorie aziendali all’interno di una concezione squisitamente giuridica dell’amministrazione con governi (clinici) esercitati da organi apicali nominati dal soggetto politico che non hanno permesso una reale dialettica di rappresentanza degli interessi procurando di fatto una subordinazione della clinica alla gestione.
Le riforme sanitarie attuate dal 1978 ad oggi (833/1978; 502/1992; 229/1999 e la Legge Balduzzi) non sono mai riuscite a creare un prodotto nuovo e di qualità ma sono rimaste inglobate in primis all’interno in un concetto collegato agli interessi e al primato dell’agire amministrativo per poi applicare ai professionisti impegnati in trincea un pensiero sempre un po’ sospettoso e superato di tipo natural-scientifico riduzionista che, inserito nella cultura burocratica-aristocratica, ha mantenuto un modello sostanzialmente ospedalocentrico, specialistico, farmacologico completamente disconnesso dal sistema sociale.
Il salto di qualità ed il prodotto di rottura esige il recupero culturale di una concezione antropologica globale dell’uomo sano e malato contestualizzato nel suo mondo che permette di coniugare il principio del curare, derivante dalla medicina scientifica, con quello del prendersi cura olistico-antropologico-personalizzato.
Prendersi cura significa aiutare l’uomo ammalato ad un empowerment fortemente sostenuto dai sanitari, ove possibile, e incuriosire l’uomo sano ai vari apprendimenti finalizzati al mantenimento dello stato di salute. Il ruolo educativo del medico che opera in un team paritario con altri professionisti della salute acquisisce un ruolo formativo che consente al cittadino di trasformarsi da assistito in soggetto attivo per la gestione della propria salute così che, la condivisione della responsabilità, consente di prendere decisioni all’interno della comunità di appartenenza anche critiche in grado di contrastare effettivamente e produttivamente il tecnicismo estremo, il consumismo sanitario, l’ipermedicalizzazione e la mancanza diffusa del buon senso.
Per questo motivo si avverte in modo pressante la necessità di luoghi dove i professionisti della assistenza territoriale possano ritrovare le radici del loro mestiere (etica, cultura, formazione, deontologia, integrazione ecc.) e al tempo stesso gli assistiti possano diventare protagonisti, con i loro professionisti, dei percorsi preventivi, di educazione sanitaria, di cura, riabilitazione o di recupero delle funzioni residue. Non si tratta di “recinti” o di “ospedaletti” ma di reali strutture (UCCP/Case della Salute) in grado di aggregare per sinergia progetti preventivamente condivisi tra operatori e dove tecnologia e antropologia possano marciare di pari passo per ritrovare il vero senso della clinica e dell’assistenza.
La riforma ter prevede, tra le altre cose, l’aggiornamento obbligatorio (ECM) ma anche in questo caso è necessario un profondo rinnovamento che investa non solo i contenuti ma anche le metodologie che non possono esimersi da una analisi relativa al come si acquisiscono, interpretano e assimilano le informazioni. I professionisti dell’assistenza che operano in team devono poter determinare i propri obiettivi generali e tra questi anche quelli orientati all’ apprendimento. I bisogni informativi non sono uguali per tutti così che deve essere previsto un piano di apprendimento professionale personalizzato che deve essere strutturato in modo autonomo o in team per poter effettivamente produrre cambiamenti positivi nella attività culturale e assistenziale quotidiana.
Oggi la maggior parte delle funzioni assistenziali sono state interamente trasferite al territorio senza che vi sia stata una corrispondenza di investimenti adeguati. A fronte dei profondi mutamenti sociali e sanitari il riordino delle cure primarie è stato semplicemente un fallimento a causa della assenza di interlocutori così che i professionisti della salute non hanno avuto la possibilità di potersi sintonizzare col ritmo dei cambiamenti. Dovrebbe invece essere valorizzata la perizia nella capacità di interpretare la realtà e di immaginare il cambiamento magari partecipando alla sua realizzazione per produrre sevizi che alimentino il bene comune (cultura del progetto, Ezio Manzini, Politiche del quotidiano, Edizioni di Comunità, 2018). Le interminabili latenze che si creano tra una ipotesi progettuale e la sua realizzazione fanno si che eventuali progetti significativi vengano realizzati quando questi sono già ampiamente superati.
L’attività operativa del medico di famiglia è rimasta sostanzialmente quella antecedente al 1978 (convenzione, libera professione formale di fatto parasubordinato, rapporto economico a quota capitaria, organizzazione del proprio ambulatorio) e quelli che vengono pubblicizzati come cambiamenti rappresentano nella realtà incrementi progressivi impositivi di obblighi contrattuali spesso di natura burocratica che hanno in gran parte “impiegatizzato” il lavoro del medico (es.: la compilazione del modulo on line INAIL nella sua laboriosità e ridondanza, dove la componente medico professionale risulta essere residuale è l’emblema di una attività che prima di essere medica va, nella pratica, a sostituire l’attività impiegatizia dei dipendenti INAIL).
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna
(Fine seconda parte, leggi la prima parte dell'articolo)
18 aprile 2018
© Riproduzione riservata
Quale futuro per le cure primarie? (1ª parte)
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 17 aprile 2018
Una volta che l’Acn sarà definitivamente siglato riprenderanno le trattative decentrate che, fatalmente, trascineranno tutte le contraddizioni derivanti dalla mancanza di un vero disegno di riordino delle cure primarie di tipo culturale prima ancora che tecnico-amministrativo. In mancanza di una rielaborazione intellettuale strutturata il sistema tenderà inevitabilmente a conservare lo status quo attraverso modalità e regolamenti tipici della burocrazia lineare, protocollare, amministrata, economicistica.
17 APR - La firma dell’Ipotesi di ACN per la medicina generale avvenuta il 29 marzo 2018 alla Sisac ( Struttura interregionale sanitari convenzionati) ha fatto seguito al così detto Verbale di Preintesa che a sua volta è stato preceduto, nel tempo, da numerose versioni di Atti di Indirizzo. Il 2018 è anche l’ anniversario di quella Riforma Sanitaria che istituì, nel nostro paese, il Ssn 40 anni fa ( legge 833 del 23 dicembre 1978). Non è banale ricordare il 1978 perché, come ha scritto Ilvo Diamanti, le ricorrenze possono servirci per tornare indietro con gli occhi e con la mente oppure, al contrario, per proiettarci in avanti.
Questi suoi primi 40 anni il Ssn li dimostra tutti.
In particolare le rughe sono evidenti nell’organizzazione della medicina generale e dell’assistenza territoriale. Le riforme che si sono succedute negli anni ( 833/1978, 502/1992 e 229/1999 senza dimenticare la Legge Balduzzi del 2012 ) non sono riuscite a incidere in modo significativo sul riordino delle cure primarie tanto che si è costantemente tentato, in modo improvvido, di mettere in atto ulteriori riforme, improbabili ed inattuabili, attraverso gli ACN che per definizione dovrebbero solo regolare i rapporti di lavoro dei professionisti a fronte di una norma sovra ordinata.
Il pallido tentativo proposto nel 2012 dalla legge Balduzzi è ancora li che circola all’interno del suo affastellato Art. 1 come un pezzo di pane raffermo dimenticato nella madia tanto che nemmeno il Patto della Salute del 2014 è riuscito a ravvivarlo. Forse può essere comunque necessario evidenziare che la legge Balduzzi, magnificata a suo tempo da alcuni odierni detrattori, resta una legge che non è stata cancellata o sostituita. L’eventuale mancata osservanza di una certa norma non produce, nell’ordinamento italiano, alcun effetto abrogativo su leggi pubblicate in Gazzetta Ufficiale tanto che i suoi principi restano tutt’ora inseriti in quello che verosimilmente diventerà, entro il 2018, l’ACN.
A partire dall’ACN del 2005 a tutt’oggi gli Accordi continuano ad essere in gran parte sovrapponibili anche se nel frattempo i cambiamenti sociali sono stati vorticosi, fortemente condizionati da una contrazione spazio-temporale globale e da un pensiero unico e debole che ha acuito il conflitto, sempre più insanabile, tra scienza medica collegata agli aspetti operativi /organizzativi ( generati in modo autonomo e spontaneo dai professionisti della sanità grazie alla circolazione dei saperi e degli apprendimenti relativi alle buone pratiche operative) e gestione istituzionale della sanità soprattutto territoriale.
Una volta che l’ACN sarà definitivamente siglato riprenderanno le trattative decentrate che, fatalmente, trascineranno tutte le contraddizioni derivanti dalla mancanza di un vero disegno di riordino delle cure primarie di tipo culturale prima ancora che tecnico-amministrativo. In mancanza di una rielaborazione intellettuale strutturata il sistema tenderà inevitabilmente a conservare lo status quo attraverso modalità e regolamenti tipici della burocrazia lineare, protocollare, amministrata, economicistica basata su relazioni verticali e gerarchie piramidali che, come insegna l’esperienza, spesso sfociano nella sotto cultura dell’ appartenenza e dell’autoreferenzialità.
Tuttavia la congiuntura attuale di cui tanto si parla (“non ci sono i soldi”) non è completamente credibile e non ha motivazioni solo finanziarie. Forse è molto più pervasiva la crisi di fiducia. Nell’immaginario collettivo e in quello del consenso questo disagio coinvolge la così detta classe dirigente del paese considerata non in grado di dare risposte a temi etici di equità e di bene comune a fronte di una progressione inarrestabile della globalizzazione che, per certi aspetti, avrebbe anche potuto produrre opportunità se vi fosse stata una ingegnosa ri-organizzazione della sanità territoriale.
Le istituzioni storicamente preposte al welfare (es.: Pubblica Amministrazione) da sole non riescono più a fare fronte ai bisogni e alle complessità assistenziali attuali così che appare sempre più indispensabile il coinvolgimento delle varie componenti della società civile al fine di rendere sostenibile una assistenza territoriale di qualità. I fautori di questa ipotesi di ri-organizzazione di un Ssn pensano che alla Pubblica Amministrazione debba essere affidata la salvaguardia di valori sociali considerati fondamentali (es.: universalismo, equità, trasmissibilità, integrazione…) mentre la gestione del governo clinico dovrebbe essere consegnata, nel suo complesso, ai professionisti del territorio e alle organizzazioni della società civile che collaborano con loro. Le indispensabili risorse potrebbero derivare da una partnership tra pubblica amministrazione ed economia reale (imprese generative) che interagiscono e co-operano con gli attori, le organizzazioni e le professioni impegnate nell’ assistenza territoriale.
La prossimità periferica, posta al centro delle relazioni, diventa così un concreto strumento per ottimizzare le risorse, la qualità della vita ed il clima di rinnovata fiducia negli accordi e nei patti proprio perché vengono agite forme di scambio e collaborazione che portano a valorizzare la sinergia tra la diversità delle competenze che, oggi, rappresenta il presupposto per permettere alle nostre comunità di affrontare il futuro in modo sostenibile.
La contiguità interna favorisce inoltre azioni di educazione civica, testimonianza e consapevolezza che possono promuovere salute e benessere in modo diffuso e percepito (qualità tacita) e la personalizzazione della cura diventa il criterio principale per valutare una performance assistenziale di successo. In questo disegno i legami sociali, la condivisione delle responsabilità, l’alleanza tra clienti interni ed esterni non solo rendono possibili reali riallocazioni delle risorse ma permettono al mmg di ritrovare il ruolo di leadership nella collettività di riferimento in grado di orientare tutte le collaborazioni operative al fine di conseguire una conduzione responsabile e condivisa del governo clinico.
E’ possibile così realizzare ciò che vien definito un prodotto innovativo di rottura e di successo capace di superare l’attuale modello organizzativo territoriale in declino e non più adeguato al contesto. Un prodotto innovativo di successo implica una completa “gestione” autonoma del governo clinico territoriale con presa in carico dei bisogni dell’assistito (es.: cronicità) all’interno di un sistema integrato che sia abile nel gestire un processo decisionale in tutte le sue fasi tipiche che vanno dall’ideazione alla progettazione, dalla sperimentazione all’organizzazione per finire con la valutazione e la rendicontazione.
Una eventuale organizzazione moderna amalgama le conoscenze professionali, personalizza l’assistenza, gratifica la qualità percepita e tacita, valorizza l’aspetto economico e condivide le responsabilità senza sollecitare gerarchie piramidali. Le risorse aggiuntive provenienti dall’economia reale dimostrano sempre di più una forte disponibilità a collaborare in partnership con le istituzioni (“dall’indagine si conferma un offerta di capitali maggiore della domanda”; Startup sociali, la finanza chiama, Il Sole24Ore Domenicale del 15 Aprile 2018) per rendere concreto e sostenibile un disegno di riordino diretto non tanto al massimo ribasso dei costi ma al maggior rialzo della qualità e della trasparenza (reciprocazione).
Secondo la ricerca della Schcool of Management del Politecnico di Milano (2018) che ha considerato alcuni criteri per valutare la prontezza ad accogliere investimenti veri e propri ha evidenziato come la dimensione che ha ottenuto il risultato peggiore ha riguardato proprio le competenze organizzative inadatte ad una effettiva governance inclusiva delle qualità intellettuali e delle competenze professionali in grado di dare vita a “prodotti” attrattivi. (Fine prima parte)
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna
17 aprile 2018
© Riproduzione riservata
Biotestamento. I dubbi di un medico di famiglia
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 12 aprile 2018
12 APR - Gentile Direttore,
la Legge del 22 dicembre 2017 n. 219, comunemente definita DAT o Biotestamento, non riguarda il suicidio assistito e non è una modalità per attuare la così detta buona morte. Dopo la pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale sono apparsi numerosi e prestigiosi commenti tra i quali emergono per lucida completezza quelli pubblicati su questo giornale dei medici legali Daniele Rodriguez e Anna Aprile i quali confermano, per molti aspetti, la delicatezza dell’argomento tanto che potrebbero essere stati percepiti nondimeno alcuni punti di sospensione …
Come semplice medico di base che nella quotidianità professionale si trova da tempo, anche in vacanza legislativa, a dover affrontare situazioni molto simili a quelle inserite oggi nella legge, credo possa essere appropriato riconoscere che il tema delle Disposizioni Anticipate di Trattamento sia collegato strettamente alla filosofia o alla pragmatica delle Cure Palliativa e alla sua moderna fondatrice Cicely Saunders prima infermiera poi medico e scrittrice.
Cicely Saunders ha fondato il primo Hospice in Inghilerrra nel 1967 (“più che un ospedale è una casa”) e ha fondato il così detto movimento hospice-cure palliative basato su 4 semplici principi etici di riferimento: Giustizia, Beneficità, Non Maleficità, Autonomia. Cicely Saunders è morta per cancro nel 2005 nell’ospedale da lei stessa fondato.
Nell’Art. 1 della nuova legge viene affrontato il tema del Consenso Informato strumento per altro già applicato nella pratica clinica per promuovere e valorizzare la relazione di cura. Spesso, nei vari commi, si sottolinea il fatto che le indicazioni dell’assistito ( DAT) dovranno anche essere registrate nella cartella clinica e nel fascicolo elettronico.
Le volontà potranno essere acquisite nei modi e con gli strumenti più consoni come a sostenere che deve essere facilitata e semplificata ogni modalità di espressione e comunicazione di questi desideri personali ed intimi.
La problematica e la necessità di poter esprimere “volonta’ anticipate” è avvertita da tempo tra alcune tipologie di assistiti e prima ancora della promulgazione della legge i pazienti avevano scelto la modalità di presentare o di compilare insieme al loro medico di base, che per definizione è scelto liberamente come medico di fiducia, uno scritto di pugno su carta semplice che veniva affidato al medico di famiglia considerato come espressione anche istituzionale di un rapporto fiduciario assoluto tale da potergli confidare volontà estremamente private.
La busta chiusa e firmata nelle linee di apertura dal soggetto proponente e dal medico veniva depositata, di comune accordo, in un posto sicuro. La legge ora riconferma che le disposizioni dell’assistito devono essere rispettate senza che il medico possa in qualche modo incorrere in responsabilità civili o penali anche se viene riconosciuto in ogni caso il rispetto della deontologia professionale del medico stesso nel senso che non può essere chiesto al medico qualsiasi cosa.
Merita particolare evidenza l’affermazione relativa al fatto che il tempo che il medico dedica ad una adeguata comunicazione su questi contenuti viene considerato tempo medico/atto medico (Art. 35 del Codice Deontologico Medico 2014).
In effetti il Codice Deontologico è stato anticipatore e premonitore della attuale normative (Art. 35 Consenso e dissenso informato; Art. 36 Assistenza di urgenza e di emergenza; Art. 37 Consenso o dissenso del rappresentante legale; Art. 38 Dichiarazioni anticipate di trattamento;Art. 39 Assistenza al paziente con prognosi infusta o con definitiva compromissione dello stato di coscienza) quando nei suoi articoli considera il medico autorevole responsabile della cura e del progetto di cura condiviso con il paziente.
Di conseguenza una “ normazione” dei principi deontologici e dell’alleanza terapeutica comporta inevitabilmente una ulteriore burocratizzazione dell’atto medico e tende a coinvolgere altri co-attori che forse, ad esempio sul territorio, potrebbero non esserci.
Si tende inoltre, a volte, anche ex cathedra, a sovrapporre il Fascicolo Sanitario Elettronico, la Cartella Sanitaria e il Patient Summary che sono strumenti elettronici con finalità e funzioni specifiche ma non sovrapponibili.
Permane poi nel testo legislativo una certa insicurezza riguardo al ruolo del medico di base (di fiducia) che non viene esplicitamente previsto anche se non risulta palesemente escluso (secondo alcuni colleghi Medici Legali è comunque compreso per estensione del termine medico) così che nella attuale fattispecie l’assistito potrebbe depositare un atto (DAT) senza che il medico di famiglia possa esserne informato pur essendo, per esempio, teoricamente in primis il palliativista di riferimento per il proprio assistito soprattutto in caso di una assistenza domiciliare.
E’ prevedibile che da questo punto di vista le normative regionali provvederanno a sanare questa problematicità. Alcune associazioni o enti hanno già predisposto moduli o schemi che comportano comunque un certo aumento di procedure burocratiche anche se gratuite che si distaccano dalle pregresse semplicissime abitudini “fiduciarie” attuate da alcuni assistititi che si relazionavano , su questo tema, solo con il proprio medico curante di fiducia.
La Legge affronta (art. 2) inoltre in modo specifico il tema della terapia del dolore e delle cure palliative rifacendosi per altro alla legge 15 marzo 2010, n.38. Così come argomenta con scrupolosità (Art. 4) e con la necessaria prudenza in merito al comportamento da attuare in presenza di minori o incapaci. Sono poi affrontate le modalità operative (Art. 5) per esprimere le Disposizioni Anticipate di Trattamento che ora, con la legge in vigore, vengono redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o consegnate personalmente all’Ufficio dello Stato Civile del Comune di residenza anche attraverso strumenti o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di esprimere compiutamente le proprie volontà.
Come già ricordato il sistema fatalmente, ogni volta che una disposizione di legge deve affrontare un tema di natura etica, ha aumentato alcuni elementi o passaggi burocratici che sembrano influire sull’autorevolezza del medico attore principale e insostituibile dell’atto medico già regolamentato da tempo dal proprio Codice Deontologico che, nel pieno rispetto delle volontà dell’assistito, non può essere considerato uno dei componenti dell’ équipe ma depositario naturale delle scelte dell’assistito e colui che le può orientare.
La legge potrebbe quindi apparire come un irrigidimento di una relazione fondamentalmente di affidamento scarsamente dimensionabile se non al momento della manifestazione della scelta fiduciaria anche se vi è la possibilità che ogni determinazione dell’assistito resti rinnovabile, modificabile o revocabile in qualsiasi momento e con modalità adeguate ad ogni contesto.
In osservanza alla normativa il Ministero della Salute, le Regioni e le Aziende Sanitarie provvederanno a diffondere adeguata informativa sul come redigere le DAT. Il tema della Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC) rappresenta una ulteriore declinazione delle Disposizioni Anticipate di Trattamento riferite specificatamente al processo di cure che l’assistito o il paziente deve affrontare e anche in questo caso si elencano le modalità di espressione di questo parere che sono sovrapponibili a quelle già ricordate per le DAT .
Infine si vincola il Ministro della salute a relazionare annualmente alle Camere sull’andamento dell’applicazione della legge.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria Regione Emilia-Romagna
Sindacato dei Medici Italiani ( SMI)
12 aprile 2018
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Il lento ed inesorabile declino delle Cure Primarie
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 6 febbraio 2017
06 FEB - Gentile Direttore,
l’ultimo intervento di Ivan Cavicchi su QS del 27 gennaio riporta una lievequasiimprecazione (… ma per quale diavolo di motivo … nulla che non produca conseguenze distruttive … regolarmente le peggiori). Risulta arduo non poter raccogliere lo spunto per la riflessione che proviene da un autorevole studioso della materia come è il Prof. Cavicchi.
Se anche il Prof. Cavicchi viene scarsamente ascoltato si conferma ancor più fortemente il concetto (sperimentato in questi tribolati anni di trattative romane e di turbinanti iniziative in libera uscita di regioni ed aziende) che sostiene come le elaborazioni propositive presentate dai professionisti operanti in prima linea per quanto riguarda ciò che viene definito “riordino delle cure primarie” restino solo esercizi letterari (Cavicchi : Il riformista che non c’è, 2013) tra quei pochi colleghi che non hanno completamente abbandonato un atteggiamento positivo e con fatica cercano di valicare bandiere e tifoserie. Intanto l’impero romano sta crollando senza nemmeno uno scricchiolio di avvertimento.
La nuova delibera della Lombardia in merito alle patologie croniche non è una sorpresa ed era ampiamente prevedibile prima perché l’esternalizzazione, la privatizzazione ed il sistema degli accreditamenti (inesistente nella medicina generale per la sua residua componente libera professionale convenzionata) è iniziato tanti anni fa con i gruppi dedicati alle cure palliative (esperienza che pare non aver prodotto particolari ripensamenti ai professionisti delle Cure Primarie), poi è continuata con i CreG anch’essi con budget a provider ed infine eccoci con l’affidamento dell’assistenza della cronicità a gestori sanitari.
Che dire? Negli anni gran parte delle stagioni contrattuali sindacali si è spesso basata sulla ricerca di benefit (e non raramente business per pochi) piuttosto che puntare su una assoluta e condivisa valorizzazione della professionalità diffusa ( giustamente da gratificare ). Ciò che avviene in Lombardia sta avvenendo in altre regioni con la diversità che non sempre, questo passaggio tra welfare state ad altro welfare, è immediatamente intellegibile ai più (es.: a Bologna ci sono più Guardie Medica privata che evidentemente, per legge di mercato, soddisfano un bisogno. Vedi web).
Come dice Pina Onotri (Segretaria Nazionale SMI su QS, 31 gennaio 2017) sarebbe necessario un fronte comune, senza unanimismi di facciata, in difesa del servizio pubblico … a meno che non sia però troppo tardi e ilcountdown sia inarrestabile visto comunque le tiepide reazioni possibiliste all’iniziativa Lombarda dichiarate dai rappresentanti di alcune sigle sindacali.
Come già altri colleghi hanno ricordato l’attuale organizzazione sanitaria comprende una attività assistenziale-erogativa e una amministrativa-gestionale-organizzativa-di controllo. Le due aree presentano diversità di origine e di fondamenta: una arcaica e plurisecolare, l’altra recente e collegata ad esigenze politiche-burocratiche-amministrative.
Nel passato la parte burocratica-amministrativa si è dimostrata più dimensionata a fronte di una componente assistenziale forte. Attualmente la situazione si è ribaltata a favore di una strutturazione aziendale gerarchica, una burocrazia amministrativa molto forte ed in grado di schiacciare e livellare ogni altra forma di pensiero che non sia unico.
Quindi queste due aree hanno consistenze numeriche e decisionali-politiche completamente sbilanciate con interessi ed obiettivi non coincidenti. La maggioranza dei mmg attualmente impegnati a garantire la sostenibilità dell’assistenza (dimissioni sempre più complesse con equilibri precari ed impossibilità di trovare soluzioni adeguate) è soggetta ad una frenetica iperattività ed iper-occupazione che supera di molto le 12 ore giornaliere tanto da poter ipotizzare due strade:
A - il passaggio alla dipendenza di tutto il comparto dell’assistenza primaria;
B - in alternativa occorre marciare verso una convinta accettazione dell’autonomia e della libera professione dell’assistenza primaria sostenuta a sua volta da una reale valenza politica.
Le istituzioni forse sceglierebbero l’opzione A ma non sembrano attualmente più in grado di sostenere il costo dell’operazione anche se perseguono tenacemente con normative e delibere la finalità della parasubordinata spinta e soffocante. Nello stesso tempo non riescono a garantire un welfare state storico perché la globalizzazione e le modifiche socio-assitenziali hanno portato ad un incremento esponenziale di nuovi bisogni ostentati dai clienti esterni.
In numerose occasioni è stata data la possibilità, su questo stesso quotidiano, al nostro Centro Studi ma anche a tanti altri professionisti, di presentare le analisi critiche relative ai testi dei documenti nazionali e regionali/locali che argomentavano di Cure Primarie così come è stato acconsentito di elencare contributi e proposte costruttive al fine di sanare eventuali defaillance nella convinzione che l’interesse verso il bene comune non fosse definitivamente esaurito e lo strumento del confronto potesse tutelare l’interesse professionale di molti (assistiti e medici) senza rischiare di incunearsi in posizioni di rendita per pochi.
Ciò nonostante i processi decisionali sono afflitti da pregiudiziali tali che da anni vengono riproposte soluzioni di tecnicismo esasperato ed inconfutabile ed in questi casi la rappresentatività resta di facciata. Questo sistema inoltre oltre tende a contrastare ogni evidenza statistica dove le competenze per stabilire le “ragioni e i torti” non dovrebbero mai appartenere ad una sola delle parti.
Non è questa l’occasione di fare un elenco (lungo) di proposte argomentate a favore di un riordino delle cure primarie già presentate più volte. Desta non poca meraviglia però non poter più ritrovare, nei numerosi documenti nazionali e regionali/locali, richiami introduttivi alle caratteristiche e alle competenze valoriali della medicina generale enunciate dalla prestigiosa World Organization of National Colleges and Academics (Wonca) sostituite, a sostegno delle scelte di politica sanitaria, da altre numerose citazioni autoreferenziali o di relativo impatto effettivo culturale /scientifico assistenziale (es.: DG SANCO 2014) con il conseguente impoverimento della credibilità dei documenti stessi.
Le istituzioni sembrano comunque aver esaurito la spinta propulsiva per rivoluzionare la sanità nonostante il poderoso apporto culturale accademico e delle agenzie. In questa situazione diventa difficoltoso attivare una fase di ripensamento del welfare nel quale sia possibile, grazie al ruolo essenziale dei professionisti, coniugare rigore, universalismo e scelte prioritarie riportando al centro del dibattito culturale e politico la sanità come unico luogo in cui si sostanziano uguaglianza dei cittadini e principio di solidarietà.
Dopo la riforma del 1978 si è esaurita la stagione dei dividendi derivati dagli anni del boom economico dove nel nostro paese gli imprenditori (anche con la terza elementare) superavano di gran lunga i dirigenti e il Pil correva a doppia cifra come quello cinese attuale. Ora ci sono molti più dirigenti che imprenditori (un mmg è un piccolo imprenditore ). Le difficoltà crescenti per coniugare il buon governo con i bisogni reali delle persone diviene addirittura oggetto di studio da parte delle neuroscienze (Il Sole24Ore,15 gennaio 2017). Nel complesso la Sanità Italiana è passata al 22° posto (Indagine dell’Health Consumer Powerhouse 2016 che valuta la soddisfazione dei cittadini) su 35 paesi europei analizzati.
Eppure una organizzazione adeguata della sanità (con i suoi determinanti di salute) potrebbe essere un solido fattore di sviluppo economico come dimostrato da numerose pregresse argomentazioni dove si richiama l’attenzione al rispetto delle comunità reali. Oggi è un po’ di tendenza parlare di comunità proprio perché le istituzioni si sono accorte che da sole non sono più in grado di affrontare i grossi capitoli dell’assistenza territoriale. Ancora una volta però, a causa di un ritardo culturale incredibile, i centri decisionali non si sono accorti che le comunità non esistono più.
Per dire più correttamente esistono residui di comunità intorno alle massime istituzioni morali dei nostri territori (parrocchie) e anche il mmg rappresenta, in molte realtà, un punto di riferimento fondamentale. Le comunità non si creano con i finanziamenti o le sovvenzioni. Le persone desiderano autonomamente e fortemente partecipare in modo reale e non virtuale. Il MMG e le cure primarie sono rimaste effettivamente forse tra i pochi punti di riferimento delle comunità/società locali che (anche se fortemente in crisi) grazie all’azione di empowerment dei mmg mostrano di poter esercitare un protagonismo crescente per far fronte all’incrementi dei bisogni socio-assistenziale a cui le istituzioni non riescono più a dare rispose. Inoltre la personalizzazione delel cure che solo il medico di base è in grado di assicurare è considerata dai pazienti criterio di valutazione della qualità assistenziale.
L’impegno economico consistente e necessario sul medio periodo per il riordino delle cure primarie resta un investimento non un costo ma c’è la necessità di uscire da sfere molto ampie per comunicare competenze ed abilità in modo raccolto (walled garden cioè giardino contenuto: Colletti, Il Sole24Ore, 5 febbraio 2017). Potrebbe non essere coerente con i bisogni ipotizzare quindi ambiti territoriali che superino i 30.000 abitanti. Da questo punto di vista occorre individuare con chiarezza strutture logistiche all’interno dell’ambito territoriale geografico contenuto (mai più di 30.000 assistiti/popolazione/presenti) identificabili indiscutibilmente come declinazione del distretto. La presenza stanziale dei mmg è fondamentale per offrire integrazione e gestione della complessità.
L’adesione e la partecipazione dei mmg che desiderano affrontare questa esperienza devono essere volontarie e devono comunque garantire equità anche per coloro che desiderano garantire una capillarità territoriale continuando ad operare negli ambulatori singoli pernon creare differenziazioni tra professionisti e di conseguenza diversità tra potenzialità assistenziali territoriali.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria CSPS
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia-Romagna
06 febbraio 2017
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Non basta la convenzione per riformare le cure primarie
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 25 ottobre 2016
25 OTT - Gentile direttore,
qualche giorno fa Il DG delle Professioni Sanitarie del Ministero della salute Rosanna Ugenti ha riconosciuto la necessità di un riordino delle cure primarie territoriali (dopo il riordino degli Ospedali) previa l’adozione di modelli in grado di garantire la sostenibilità.
A commento di questi autorevoli concetti pare opportuno poter estendere l’argomentazione a qualche tesi nodale emersa clamorosamente in questi anni di trattative per quello che viene definito in modo non appropriato “riordino delle cure primarie attraverso il rinnovo dell’ACN”.
Che qualche cosa di scomposto sia stato presentato sul tavolo delle trattative deve pur esserci se dalla aggrovigliata legge Balduzzi del 2012 (tentativo instabile ma istituzionalmente corretto di affrontare una riforma sul riordino delle cure primarie attraverso una legge o un decreto) nonostante l’intervento per districare la matassa compiuto dal Patto della Salute del 2014 (senza forza legislativa) i tempi si sono dilatati a tutt’oggi ( 2016) e alcune menti illuminate prevedono, alle condizioni attuali e per i contenuti più volte ripresentati dalla parte pubblica, tempi per nulla immediati.
Si possono all’uopo considerare solo due temi tra i tanti a disposizione e di analogo valore.
In tempi di globalizzazione non è avveduto pensare che il riordino delle cure primarie territoriali (che non riguarda solo la medicina generale ma tutta l’area della convenzionata, del territorio fino all’ospedale se si vuole realizzare l’ integrazione e la sua complessità come elemento indispensabile per una riforma moderna in grado di dare risposte all’epidemia della cronicità e delle varie forme di fragilità) possa realizzarsi attraverso la stipula di un ACN. Una Convenzione (o ACN) dovrebbe rappresentare un insieme di normative “convenzionali” inerenti i rapporti tra le richieste che lo stato presenta ai liberi professionisti e i loro oneri a fronte di un regolamento funzionale e di una remunerazione concordata.
Una riforma (ad es.: un riordino delle cure primarie territoriali, una strutturazione dell’integrazione multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale a gestione della complessità, una sistematica modalità per far fronte alla fragilità e alle cronicità, una integrazione ospedale-territorio) può essere originata solo da una Legge, da un Decreto Interministeriale o da un DPCM. All’interno di una reale riforma è possibile, come già ricordato, ritrovare risorse fresche e reali previo l’essenziale inserimento nella Legge di Stabilità di un comma relativo alla possibilità di utilizzare lo strumento dei Fondi di Rotazione anche per le cure primarie: l’Unione Europea ha accettato che i Fondi di Rotazione possano essere utilizzati anche per i servizi e non solo per le strutture e la Cassa Depositi e Prestiti è stata riformata nel luglio 2015 proprio a questo scopo.
Questo tipo di sostegno economico alla riforma del SSN e nello specifico al riordino delle cure primarie non graverebbe sul bilancio dello stato in quanto, dagli studi eseguiti e dalle proiezioni, l’intera somma utilizzata verrebbe restituita nel periodo di 6-8 anni. A fronte di questo impegno si realizzerebbe sul territorio nazionale una uniformità di performance, di comportamenti e di apprendimenti destinati a produrre un considerevole risparmio generale e quindi una forte sostenibilità del nostro SSN. Sono forse maturati i tempi per affiancare la Formazione Continua ECM all’apprendimento ( per adulti) svolto nell’attività di team multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale che deve essere accreditata al 100% degli ECM in grado di assicurare appropriatezza e adeguatezza prescrittiva in tempo reale e raggiungimento degli obiettivi anche economici aziendali.
La questione generazionale. Qualcuno ha definito questa problematica “conflitto generazionale”. Dal 2012 (legge Balduzzi) si argomenta di ruolo unico senza poi definire nei particolari cosa si intenda concretamente per ruolo unico. Le proiezioni Enpam hanno già da anni dimostrato come dal 2017 diventerà critica la copertura assistenziale da parte della medicina generale territoriale se non si facilita l’inserimento immediato (nello stesso anno del conseguimento il diploma) dei medici che escono dalla scuola di formazione in medicina generale senza l’irrazionale attesa di un anno.
Così come dev’essere data la priorità agli stessi medici che frequentano il Corso di Formazione in medicina generale per il servizio una volta denominato e conosciuto da tutti gli assistiti come Guardia Medica ma che oggi viene istituzionalmente definito Continuità Assistenziale. E’ anche possibile che la mancata programmazione di copertura assistenziale territoriale adeguata, in tempi di globalizzazione e di cronicità in crescita esponenziale, possa suggerire una qualche forma di affiancamento strutturato tra medici senior e junior nell’assoluto rispetto delle normative e delle graduatorie.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria CSPS
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia-Romagna
25 ottobre 2016
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Cure primarie, la rifondazione che non c’è
Articolo a cura di Maurizio Andreolli, Bruno Agnetti, Ernesto Mola
(Centro studi Smi - Sindacato medici italiani)
Pubblicato su Sanità 24 - Il Sole 24 Ore il 30 giugno 2016
La nuova “trovata” è l’assistenza medica h16. Ma possono l’atto di indirizzo prima, e l’Accordo di lavoro-Acn che ne consegue, contraddire il Patto per la Salute e la “Balduzzi”, che prevedono chiaramente un’assistenza territoriale H24, distinguendo tra 118 e guardia medica? Crediamo di no: la convenzione della medicina generale non può dettare norme in contrasto con la legislazione vigente. Le Aft partono così col piede sbagliato. Esse rappresentano, nei fatti, la generalizzazione obbligatoria dell’associazione monoprofessionale tra medici di medicina generale, più volte criticata per la sua inconsistenza, buttando alle ortiche la medicina di gruppo, che ha rappresentato fino a ora l’unica forma di aggregazione che ha funzionato.
Teoricamente la Aft potrebbe essere formata da medici che lavorano da soli, che si raccordano funzionalmente per garantire l’H16, per cui un cittadino, per poter ottenere assistenza in mancanza del proprio medico di famiglia, dovrebbe fare lo slalom tra più ambulatori per trovare quello disponibile. Il referente dell’Aft sarà remunerato attingendo a uno dei Fondi già in essere, determinando così per contratto una riduzione, anche se modesta, della retribuzione contrattuale. Il Fondo per gli accordi regionali (che ammonta attualmente a circa 40 milioni di euro) sarà infatti quasi completamente assorbito da questa voce. Una smaccata riallocazione di risorse in favore di pochi. Ma non è l’unica criticità sul piano retributivo. Mentre la quota capitaria rimane tristemente invariata rispetto al 2010 (e che rinnovo contrattuale è, senza un minimo incremento retributivo!), nella quota variabile delle Aft confluiscono tutti gli incentivi previsti per associazioni e personale di studio previsti dall’Acn 2005.
Queste risorse dovranno essere ripartite tra tutti i medici di medicina generale, dato che la partecipazione alle Aft è obbligatoria, mentre prima erano attribuite a coloro che garantivano più avanzati livelli assistenziali. Se la matematica non è un’opinione, se recupero risorse dal 50% dei medici che godevano delle indennità aggiuntive per ridistribuirle al 100%, per forza di cose la quota che ciascuno potrà ricevere si riduce alla metà.
È vero, c’è la norma che salvaguarda le retribuzioni attuali, che saranno dunque “cristallizzate” in un nuovo assegno ad personam, che non potrà però più incrementarsi né contrattualmente né per un eventuale aumento delle scelte. In pratica si sta programmando nel tempo, con il pensionamento dei medici più anziani, una rilevante contrazione della retribuzione contrattuale dei medici di medicina generale.
I nuovi assegni ad personam inoltre assorbiranno tutte le risorse che dovrebbero concorrere al fondo per le Aft che quindi come potrà essere finanziato? Le uniche risorse disponibili provengono dalla contrazione del numero di occupati in continuità assistenziale. Se i turni si riducono di circa 2/3, dato che i turni notturni copriranno dalle 20 alle 24 invece che dalle 20 alle 8 del mattino, avremo nel tempo un ridimensionamento di pari misura delle piante organiche a rapporto orario e nell’immediato il mancato rinnovo degli incarichi a tempo determinato. Nel contempo i cittadini subiranno la scomparsa dell’assistenza medica notturna e il Ssn l’intasamento delle chiamate al 118 e dei pronto soccorso ospedalieri. Il ruolo unico dei medici delle cure primarie, che dovrebbe essere inteso come inserimento a tempo pieno nella medicina generale, è stato ridimensionato a incarico di 24 ore, con le quali dovranno essere garantiti i turni serali e festivi e i “buchi” negli orari di apertura degli studi medici in modo da garantire la assistenza nell’intera giornata.
Le Uccp, poi, sono le grandi assenti in questa convenzione. Vengono genericamente definite “forme organizzative complesse” multi professionali (quindi con specialisti di varie discipline e altro personale), con sede di riferimento all’interno di strutture pubbliche individuate dalla Regione, e alle cui attività “partecipano” obbligatoriamente, non è ben chiaro come, i medici di delle cure primarie. L’articolo 7 dice poco sulle Uccp e glissa del tutto su organizzazione e finanziamenti di tali strutture, demandati quindi per intero alle Regioni. Ciò approfondirà il solco esistente tra i diversi Ssr. Ci sono poi altri aspetti criticabili: le tutele, gravemente carenti, se non peggiorative rispetto al precedente Acn (gravidanza ecc.), ma anche la formazione obbligatoria, i provvedimenti disciplinari, le regole della contrattazione e della rappresentanza.
Questa “bozza di Acn” è disarmante: la rifondazione delle cure primarie non è nemmeno accennata, riducendosi alla previsione di Associazioni funzionali territoriali che si riducono solo a un vuoto coordina- mento mono professionale. Ci auguriamo che si tratti solo di una ipotesi di massima, buttata lì per saggiare le reazioni, perché è evidente che non si prefigura nessun miglioramento dell’offerta assistenziale ai cittadini.
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http://www.slideshare.net/DottorAgnetti/progetto-mosaique-verona
Nuovo modello di Assistenza primaria territoriale nella medicina di base
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato sulla Gazzetta di Parma il 29 dicembre 2014