L'arte? Come una medicina. E la bellezza entra nella cura
13 NOV - Gentile Direttore,
L’Organizzazione di Volontariato Comunità Solidale Parma (ODV-RUNTS) promuove, in collaborazione con FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari) l’incontro sul tema “PRENDERSI CURA CON L’AIUTO DELL’ARTE” che si svolgerà venerdì 6 dicembre 2024 dalle ore 17:00 alle 17:40 nella sede situata nella sala d'aspetto dell’Ambulatorio San Moderanno di via Trieste 108/A.
Bruna Giordano, ingegnera ed esperta d’arte, presenterà commenti sulle seguenti opere "Vaso con dodici girasoli", 1888 , di Vincent Van Gogh; "il bacio", 1907-1908, di Gustav Klimt. Le riproduzioni delle opere rimarranno nella sala d’aspetto dell’Ambulatorio San Moderanno per alcuni mesi fino al successivo evento che coinvolgerà altri capolavori (è previsto un incontro ogni 6 mesi).
L’arte, nella sua accezione più ampia, può essere considerata come un insieme o un sottosistema che ha alcune caratteristiche descrittive, di evoluzione temporale non lineare, di interconnessioni e di fenomeni emergenti che vengono ben rappresentati dalla teoria dei sistemi complessi. Gli stessi principi sono utilizzabili per delineare la complessità della cura e del prendersi cura, in particolare, a livello di assistenza sanitaria territoriale.
La teoria della complessità rappresenta oggi un paradigma di riferimento culturale fondamentale. Aiuta a comprendere l’essere umano e il mondo che lo circonda rifuggendo il conformismo delle interpretazioni semplicistiche, preconfezionate, di corto respiro.
L’arte ha la forza di attivare il logos delle singole persone, la curiosità, l’azione, la potenza. La salute ha le stesse caratteristiche. Di conseguenza sarebbe intelligente rivedere radicalmente numerose inadeguatezze organizzative/ assistenziali territoriali. Vi sarebbero esperienze innovative efficaci, generate dalla base, che non andrebbero sprecate anzi dovrebbero essere incentivate in quanto foriere di cambiamenti cognitivo comportamentali, nei professionisti e negli assistiti, capaci di promuovere il benessere comune.
Nella società contemporanea l’arte ha assunto un ruolo sempre più importante e pervasivo. Anche coloro che pensano di non essere interessati a questo ambito ne sono inevitabilmente condizionati in quanto l’estetica (anche se spesso manipolata in senso ripetitivo, consumistico, edonistico, spettacolare, effimero, massificato) è onnipresente. Il contatto con il “bello” può creare emozioni capaci di dare senso all’esistenza grazie ad una percezione di soddisfazione, di benessere o di salute spesso difficilmente verbalizzabile ma che avvicina alla comprensione, non consolatoria, della condizione umana. Nella cura questa “bellezza” è rappresentata in modo particolare dalla relazione. Nella malattia si cercano elementi essenziali sperimentati da ogni essere vivente razionale nella propria esistenza: il linguaggio, i riti, i gesti, la sacralità, l’accoglienza, l’accompagnamento… L’essenza della relazione mette vita nella vita e così il quotidiano prende colore, diventa abitudine, produce addirittura economia. L’arte e la cura hanno in comune la profondità, sono in grado di condividere i patrimoni culturali universali con la comunità di riferimento permettendo così l’elaborazione dei misteri ontologici più importanti dell’uomo. Non è necessario essere esperti d’arte per riceverne i benefici: l’opera d’arte in qualche modo comunica. E’ sufficiente un po’ di curiosità e pazienza e l’opera inizierà a raccontare qualche cosa di singolare perché le fatiche o le gioie che prova lo spettatore sono le stesse che ha sperimentato l’artista nel realizzare la sua opera. Questo percorso esperienziale cambia sia l’artista che lo spettatore.
Da tempo le evidenze scientifiche e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno dimostrato e riconosciuto che esiste un rapporto diretto tra benessere/ salute e fruizione dell’arte in quanto questa può modificare, in senso positivo, fattori biologici, psicologici e sociali/ culturali (determinanti della salute). Gli esiti delle ricerche sono stati condensati nel rapporto dell’OMS del 2019 (arte e salute). La narrazione preferisce, comunque, far coincidere l’inizio de questo connubio arte/salute con gli anni 60 e con l’episodio che vede come protagonista il signor Frederick Weisman ricoverato all’ospedale Cedar-Sinai di Los Angeles. Da allora si sono diffuse numerose esperienze similari nel mondo (tutte in ambito nosocomiale) e anche in Italia dove, a volte, la consuetudine di vivere a contatto con l’arte è data per scontata tanto da farne dimenticare il potenziale. Nel 2020 l’enciclopedia Treccani ha inserito il lemma “welfare culturale” nel suo vocabolario. Non vi sono invece studi o esperienze strutturate che riguardino la funzione dell’arte in medicina generale (di base).
In ogni caso può essere utile ricordare che la documentazione storica originaria di un utilizzo consapevole dell’arte come cura è datata 1090 e si realizza in Italia nel primo ospedale edificato a questo scopo, sulla via Francigena, a Siena. Infatti nell’ospizio di Santa Maria della Scala gli ammalati venivano allettati di proposito sotto gli affreschi di Domenico Bartolo al fine di dare sollievo alle sofferenze.
Oggi non è più possibile ignorare la mole di informazioni scientifiche relative all’alleanza tra salute ed arte e all’ incidenza positiva sugli stili di vita, sulla prevenzione, sulle patologie croniche degenerative, sul dolore e sulla sofferenza. L’ideazione di strutture sanitarie assistenziali territoriali, soprattutto in periferia, dovrebbe tener conto di questi elementi prima ancora di iniziare ogni percorso decisionale. In conclusione vorremmo segnalare un interessante ed inatteso fenomeno che si è verificato durante la preparazione di questo incontro: vi è stata una condivisione no-profit , relativa alle finalità dell’evento, molto alta da parte delle attività commerciali e produttive (95%) di questa zona ristretta e limitata alle due arterie principali che si incrociano tra via Trieste (fino al ponte-cavalcavia dell’intersezione alta velocità) e via Venezia ( dalla rotonda con via Naviglio Alto/Via Cuneo al sottopasso-cavalcavia ferroviario di via Venezia). E’ verosimile quindi che l’ambulatorio medico (Medicina di Gruppo San Moderanno) venga vissuto come reale punto di riferimento da cittadini ed imprenditori. Questo palese consenso può rappresentare una importante indicazione relativa alle opportunità assistenziali- sanitarie di questa comunità- quartiere al fine di programmare ed investire energie e risorse organizzative, anche sperimentali, che siano coerenti con le complessità dei bisogni.
Il Direttivo di Comunità Solidale Parma
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
13 novembre 2024
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La sindrome del burnout
Gli studi hanno dimostrato che la risposta disadattiva allo stress occupazionale nelle professioni d’aiuto ha una sua alta specificità definita “sindrome del burnout.”
La tempesta perfetta
Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Lunedì 03 OTTOBRE 2022
03 OTT -
Gentile Direttore,
l’ambito della medicina del territorio e le cure primarie rappresenta un area ( multiprofessionale ma anche multisettoriale) dove viene agita una assistenza di primo livello finalizzata alla prevenzione e ad una attività di diagnosi e cura che tenta, tra le numerose attività collegate al prendersi cura, di razionalizzare l’inclinazione degli assistiti ad accessi impropri al PS o alla richiesta di ricoveri.
Non si può non constatare come una tempesta perfetta o quasi si stia abbattendo sul nostro SSN e sull’assistenza territoriale: pandemia (tutt’ora in atto), guerra, crisi energetica ed economica-finanziaria, inflazione, disoccupazione, pensionamenti o dimissioni, un sistema di globalizzazione che inevitabilmente subirà modifiche da come l’abbiamo conosciuta fino ad ora.
Anche la stagione delle aziende sanitarie, dei distretti, degli assessorati sanitari regionali associati alla modifica del titolo V ha dimostrato il netto fallimento di questo impianto normativo/burocratico/economicistico. Sono stati evidenziati numerosi errori gestionali sostenuti da mancanza di visione e dalla riproposizione delle stesse contraddizioni note da anni. L’economicismo che risponde al contenimento dei costi alla fine proprio ora si dimostra non essere in grado di risolvere nulla e ci si trova quindi, dopo anni di cultura economicistica ad affrontare, in ambito sanitario territoriale, l’inflazione, la depressione, i disavanzi, gli sprechi, i consociativismi, le conseguenze della pandemia.
Una nota riflessione (Einstein) sostiene che non si possono risolvere i problemi con le attitudini cognitive di coloro che li hanno generati e che tutt’ora elaborano i testi degli ACN, delle normative, delle circolari, dei metaprogetti, dei DM, delle CdS, degli OdC o dei COT.
Una riforma radicale della sanità ( dell’assistenza e delle cure primarie) potrebbe essere un buon punto di partenza per generare innovazioni finalizzate a produrre più salute senza dimenticare come tutto ciò inevitabilmente coinvolge sistemi assistenziali e relazionali molto complessi.
Il dibattito da tempo in atto sulle varie ipotesi organizzative territoriali ha preso in considerazione alcune raffigurazioni principali per quanto riguarda la medicina generale:
1 - la dipendenza;
2 - la sovrapposizione contrattuale con la specialistica ambulatoriale interna SAI;
3 - la medicina amministrata (come da ACN, Note della Conferenza Stato-Regione, il DM 77, il Metaprogetto caratterizzati dall’assoluta invarianza, con documentazioni autoprotettive dello status quo normativo, tanto distanti dalla realtà dei professionisti e degli assistiti che incrementano oltremodo le contraddizioni storiche instabili e disfunzionali);
4 - il medico autore/autonomo/leader della comunità.
Le prime 3 ipotesi hanno fatto emergere, nel dibattito, numerosi dubbi e criticità culminate nella disapprovazione della prescrizione calata dall’alto dai decisori pubblici in merito alla medicina amministrata.
La 4 ipotesi è stata quella meno dibattuta dalla comunità professionale (eccezion fatta per i suoi ideatori che hanno diffuso questo tipo di riforma in numerose pubblicazioni ed articoli). La sua applicazione concreta in ambito delle cure primarie è chiaramente alternativa al modello della medicina amministrata ma anche infinitamente meno onerosa economicamente, garantisce una prossimità facilmente realizzabile, e’ in grado di stimolare il confronto anche concorrenziale tra le varie AFT per quanto riguarda la produzione di qualità ed di innovazione assistenziale. Con le seguenti diapositive si tenta di illustrare il sistema operativo territoriale completamente pubblico basato sulla centralità del mmg medico/autore/ autonomo/leader dell’impresa comunitaria (welfare di comunità).
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Regione Emilia-Romagna
Sostenibilità e salute
Di Bruno Agnetti
19 SET -
Gentile Direttore,
due termini di gran voga oggi nell’ambito sanitario sono perfetti ossimori: la sostenibilità e la salute (benessere/cura) perché si pretende di amministrare due essenze dell’esistenza umana: l’esserci e il non esserci, il vivere e il non vivere, da dove veniamo e dove andiamo come individui e come collettività.
Un parametro economicistico in questo campo è e sarà sempre perdente perché i conti non tornano mai quando si affrontano problemi ontologici.
Nell’ambito dell’essenza creano qualità solo i sistemi valoriali. Sono elementi mai gerarchici che tentano di dare risposte a domande semplici spesso arricchite da una creatività più narrativa che dimostrativa.
Così non sarà mai possibile confondere il complicato con la complessità, l’autonomia con l’amministrazione costi quel che costi, la libertà con la normativa assolutistica.
Il sistema sanitario sottomesso ad un processo decisionale parallelo al confronto sociale e parlamentare (conferenza Stato-Regioni con l’infinito corteo di fedeli consulenti ed agenzie) è complicato ma non ha la minima idea di cosa sia la complessità rappresentata dai professionisti e dai cittadini/pazienti/esigenti.
I lodevoli tentativi di numerosi gruppi spontanei della società civile, colleghi, opinionisti sopraffini volti a richiamare l’attenzione dei decisori ad un sistema valoriale audace cozza sempre con dogmi insuperabili: il potere politico economico/finanziario/sottogovernativo. Una miseria di fronte al bene ma ininterrottamente vincitore in assenza di un pensiero da statista riformatore.
Nulla è effettivamente cambiato in sanità (pur necessitando oggi di radicalità assoluta) a fronte degli eventi planetari noti a tutti perché semplicemente non si possono risolvere i problemi con le modeste attitudini cognitive di coloro che li hanno generati e che tutt’ora possiedono nelle loro mani il processo decisionale (da un concetto di Albert Einstein).
PNRR, DM70-77, ACN, Metaprogetti, Case della Salute trasformate in Case della Comunità senza uno straccio di contenuti che non siano già stati ampiamente disattesi dal 2010, Ospedali di Comunità previsti secondo traiettorie ellittiche alle comunità stesse costruendo quindi di nuovo le fondamenta di una contraddizione in sanità come se ce ne fossero poche, COT…insomma chi sono costoro? Chi ha scritto queste complicazioni? Chi, convegno dopo convegno, spiega ai professionisti e ai cittadini/pazienti/esigenti quello che “devono” fare in ottemperanza alle normative spacciate come innovazioni o riforme? Carneade ha elaborato pensieri molto più sofisticati al confronto.
Non si tratta, si badi bene, di mugugno o di un lamento senza assumersi responsabilità di studio e di proposte di alternative ( apparse numerose anche su QdS) ma di ripulire la stanza da disfunzioni non attribuibili ai professionisti o ai cittadini/pazienti/esigenti ma al contesto strutturale normativo aziendale, distrettuale, regionale, al consociativismo e alla modifica del titolo V: le aziende sanitarie ( Ausl) andrebbero abolite includendo nella cancellazione anche la nuova tendenza alle magafusioni probabilmente destinate ad essere ancora più energivore ed insaziabili delle singole strutture. Parafrasando una dichiarazione del gruppo di artisti che si qualificano “Contemplazioni” potrebbe essere considerata una azione meritoria costruire un museo delle “aziende AUSL” affinché i posteri possano comprendere come mai un SSN tra i migliori al mondo si sia poi dissolto lasciando solo qualche reperto vetusto di difficile comprensione.
Il museo potrebbe essere una risposta pratica che non avrebbe più bisogno di essere messa a problema cioè non avrebbe la necessità di creare nuovi perché.
E’ ipotizzabile una simile azione?
No perché le relazioni sovraordinate oggi sono economicistiche e finanziarie. Chi comanda è la così detta governance di queste attività. Non verrebbe mai accettato un processo decisionale completo affidato ad un comitato o un collegio di salute pubblica di fatto alternativo allo status quo.
Qual è il fine della sanità? Quello di creare o produrre salute. Più propriamente sarebbe quello di generare senza sosta cura, accesso alle cure e presa in carico. Ontologicamente è la necessità di cura dell’essere vivente che concepisce una organizzazione sanitaria. L’uomo è prima dell’istituzione.
Porre la struttura per ragioni economicistiche o finanziarie al di sopra del bisogno fondamentale delle persone crea un edificio fragilissimo facilmente polverizzabile come capita ad un reperto antico trascurato.
La persona singola trova inoltre sostanziosi vantaggi nella reciprocazione con la collettività proprio nella cura che edifica una unità tra differenze (pluralismo culturale) per convivere e dare senso alla vita stessa.
Avere l’attitudine cognitiva all’unità sostiene il bene (la cura) e la libertà sta proprio nella ricerca di ciò che si ritiene bene, cura, prendersi cura. E’ una necessità creatrice di libertà. Assolutamente semplice ed unificante. Economicamente e socialmente molto vantaggiosa.
La forza di un sistema sanitario è quella di ricercare sotto ogni forma il bene, la cura, la verità rifuggendo ogni possibile contraddizione creata da una molteplicità interpretativa nei confronti di una essenza che dovrebbe essere per principio unica. Contrariamente quando intervengono diverse volgarizzazioni, suddivisioni, scale gerarchiche, problemi comportamentali, suddivisioni regionali, alterità normative o deliberative, stucchevoli consociativismi già attivi per le nuove strutture CdS e OdC può capitare di allontanarsi sempre di più dall’unità facendo emergere mali e disfunzioni foriere di un fallimento di un SSN come lo abbiamo conosciuto fino a qualche decennio fa in favore di esternalizzazioni, privatizzazione, riduzione di servizi, assicurazioni, accreditamenti…
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU-Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti, Emilia Romagna
Altri indizi della privatizzazione della sanità
Quotidiano on line di informazione sanitaria
Giovedì 07 LUGLIO 2022
Bruno Agnetti
Gentile Direttore,
vorrei lanciare ai colleghi un messaggio positivo relativo alle così dette “riforme” che interessano le cure primarie (PNRR, ACN, DM 77, documenti ministeriali e di agenzie varie, interventi di opinionisti “solerti apologeti” dello status quo…ante). Purtroppo non ho nessun comunicazione positiva.
Di conseguenza però si crea un aumento del numero di indizi a riprova di una deriva verso una privatizzazione della sanità anche a livello territoriale. La stessa trasmissione Rai “Report” del 20 giugno 2022 ha ampiamente dimostrato come ci si stia orientando verso la collaborazione con professionisti in “affitto” e come le regioni non siano state in grado di utilizzare i considerevoli fondi (certi) del Decreto Ministeriale del 2020 per la verità destinati alle terapie intensive, ai letti di sub-intensiva, alle autoambulanze e ai Pronti Soccorsi.
Tuttavia una visione non manichea caratteristica di alcune elaborazioni culturali specifiche relative al riordino delle Cure Primarie (Welfare di Comunità) non distingue territorio ed ospedale in quanto il territorio ha un suo ospedale di riferimento e lo stesso ospedale è all’interno di un territorio e le due entità si influenzano continuamente e reciprocamente.
C’è poi da sperare che il PNRR non faccia la fine del Finanziamento Ministeriale del 2020 o peggio e che non venga prosciugato delle continue e ripetute emergenze che richiedono comunque aiuti economici.
I fenomeni contemporanei che hanno modificato il mondo non permettono ancora di poter intravedere cosa ne sarà della nostra società. Tuttavia gli obiettivi aziendali, anche durante la prima fase covid, hanno ricercato con un impegno straordinario il così detto “accorpamento o fusione” aziendale (es.: AUSL con Azienda Ospedaliera-Universitaria) con molta probabilità considerata come la soluzione (politica ed economica) dei problemi della Sanità Italiana e del SSN.
Alcune teorizzazioni relative a queste unioni aziendali partono dagli anni 80 (USA) o 90 (Inghilterra e Italia) e trovano la loro realizzazione nel 2022. Ciò potrebbe rappresentare una criticità in quanto queste iniziative potrebbero essere vissute come estranee al contesto o apparire superate ancora prima di nascere.
A supporto degli indizi del Prof. Ivan Cavicchi va evidenziato che le dichiarazioni rilasciate in favore di questa “innovazione” fanno frequentemente riferimento alla necessità di una stretta collaborazione con il privato accreditato.
Più che una novità sembra un tentativo di dare senso ai modelli amministrativi calati dall’alto (controriforme?) che potrebbero apparire ai cittadini come elementi separati dalla loro vita quotidiana. Le suddette vie di politica sanitaria adottate per si basano, per altro, su assunzioni teoriche riguardo agli specifici effetti delle “fusioni aziendali” che non sono ancora state completamente confermate o smentite dall’evidenza empirica.
Altro fenomeno che potrebbe andare ad arricchire il numero di indizi riguarda la sensazione che (sempre in conseguenza delle politiche straordinarie come il PNRR), improvvisamente gli assessorati o le deleghe alla sanità delle Amministrazioni Comunali, le Alte Dirigenze delle aziende “Uniche” e gli Assessorati Regionali stiano diventando cariche amministrative ancora più importanti. In passato il ruolo dell’Assessore alla Sanità e al Welfare di una Amministrazione Comunale era di gran lunga superato, come importanza, dall’Assessorato all’urbanistica o similari.
Oggi la situazione appare capovolta. Chissà che un ruolo così particolare ed “impareggiabile” non riesca a fare emergere l’interesse per il bene comune e per le comunità all’interno di un consesso politico-amministrativo.
Il tempo, che come si sa è galantuomo, permetterà di valutare se alcune iniziative in atto saranno riforme o si dimostreranno rovinose controriforme. E’ di tutta evidenza che il merito e il metodo di alcuni di questi processi tradiscano possibili pregiudizi contro i medici e manifestino simpatie preferenziali per altre professioni.
E’ possibile fare politica sanitaria con i pregiudizi?
Non credo che una complessità simile alla sanità e l’organizzazione territoriale delle Cure Primarie possa meritare conduzioni pregiudiziali pena il completo fallimento dell’assistenza di primo livello.
Fondamentale, necessario, vitale, una vera ultima spiaggia per la medicina generale è una crescita tangibile di fiducia e rispetto reciproco tra Alte Dirigenze completamente rinnovate e Professionisti/Operatori al fine di agevolare le visioni derivanti da maggiori e diverse complessità che richiedono forte autonomia.
La necessità che qualche cosa debba cambiare strutturalmente e radicalmente è indubbio.
Sulla carenza di visioni etiche sono stati versati fiumi di inchiostro ma oggi si può aggiungere che nei decisori della politica sanitaria sembra alquanto carente la presenza di una poetica ingegnosa capace di creare dal nulla utopie e quindi idee e concetti. Magari si potesse ascoltare un concerto di concetti esaltanti, concerti di concetti innovativi, rivoluzionari, straordinari.
Se alcuni noti commentatori esperti sulla valutazione degli indizi dichiarano di avere le prove di una deriva del SSN verso la privatizzazione e di non farsi più illusioni sulla sanità pubblica in Italia c’è molto da meditare. Ogni giorno di più e ad ogni documento ufficiale che viene pubblicato diventa sempre più faticoso intellettualmente e operativamente salvare la sanità territoriale che evidentemente non vuol dire “salva con nome” sul computer.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna
07 luglio 2022 © Riproduzione riservata
Il convitato di pietra
Il convitato di pietra
di G.Campo, A.Chiari, A.D’Ercole, B.Bersellini, B.Agnetti
Gentile Direttore,
la citazione dell’inatteso e sorprendente termine usato dal Prof. Ivan Cavicchi (Per la sanità arriverà di nuovo il tempo della “micragna”) aiuta a riflettere sull’inesorabile piano inclinato scivoloso che pende sempre di più verso la strisciante privatizzazione del SSN. Infatti il piano B non c’è e non c’è mai stato perché un sistema oligarchico comporta inevitabilmente un impoverimento di impulsi ingegnosi e innovativi.
L’esternalizzazione è ormai un dato di fatto, sarebbe necessario “prenderne atto” (formula di rito commerciale di risposta a clienti che segnalano disfunzioni) e apportare rigenerazioni intelligenti eventualmente ripartendo proprio dalla base (per quanto riguarda l’assistenza primaria) cioè dal rapporto fiduciario per tentare comunque di rianimare “la comunità” che al momento è ancora smarrita e liquida.
Paradossalmente proprio ora, a causa dell’assoluta mancanza di modelli rodati, qualche decisore illuminato potrebbe promuovere sperimentazioni reali sorrette da processi decisionali autonomi adatti ed esaurienti per le piccole comunità. Necessita inoltre un netto disconoscimento delle mega-aziende: fusioni o unioni di origine prettamente economicistiche lontane dai bisogni assistenziali dei cittadini. Una abolizione definitiva delle Ausl permetterebbe inoltre un recupero delle Usl più prossime e solidali e infinitamente meno burocratizzate.
Una analisi nitida di cause e conseguenze che hanno portato la sanità e l’assistenza primaria territoriale (una delle migliori al mondo) alla situazione attuale era già stata segnalata in un intervento preconizzatore “Il fallimento dell’Azienda Sanitaria Locale” (Cavicchi 2012). L’insuccesso delle AUSL (covid già obliato) è perfettamente noto alla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori e continua indisturbato ad aleggiare (indicibile) su tutte le documentazioni attuali ufficiali e su quelle interpretative.
Gli apologeti del prossimo “radioso” futuro sanitario (per quel che resterà del PNRR iniziale…) sembrano dimenticare le pesantissime differenziazioni, per non definirle discriminazioni, che si sono create nei decenni passati, in ambito assistenziale e professionale a causa dell’autoreferenzialità, dell’autoprotezione e del consociativismo.
Il piano 6 del già citato PNRR snocciola miliardi con aggiunte (React-Eu) e fondi complementari (nazionali) per “rammendare” gli strappi sulla prevenzione, l’assistenza primaria, l’integrazione, le liste d’attesa, il contesto ambientale, le tecnologie… C’è poi anche la missione 5 (inclusione e coesione) con una dote altrettanto consistente per favorire le comunità, le famiglie, il terzo settore.
Una montagna di soldi che dovrebbero essere spesi bene cioè portare a frutto l’albero della sanità perché dal 1 gennaio 2027 il PNRR non ci sarà più.
La riforma 833/1978 aveva una visione ma dopo quasi 45 anni quella non c’è più, ci sono le missioni.
Le missioni 5 e 6 dovrebbero viaggiare ben appaiate se non si vuole creare un nuovo strappo sociale irreparabile. Nella legge Turco del 2007 e nella Delibera Regionale dell’Emilia Romagna del 2010 i temi delle due missioni erano anticipatamente inserite nel disegno progettuale delle Casa della Salute “grande”. Infatti solo una struttura di quel tipo ha un senso innovativo e riformatore per una comunità. Ed ogni territorio, quartiere, ogni comunità ha il diritto di avere questo pieno servizio 24h/24h, 7gg/7gg. dove venga effettivamente attuata una co-operazione tra tutti gli attori delle cure primarie (detta integrazione), dove ci sia l’ospedale di comunità, i centri di riabilitazione, i centri diurni, la specialistica, la diagnostica leggera, i servizi territoriali, il volontariato, eventi culturali, spazi di socializzazione, ambienti attrattivi e ben inseriti nel contesto urbano o rurale…
Come mai dopo la 833 sono evaporate le “vision” a fronte di una enorme produzione di documenti e normative a difesa delle istituzioni e dei loro rappresentanti rinunciando a temi come il bene comune, l’assistenza primaria, la prossimità, l’autonomia…? Come mai le disposizioni e i decisori si sono dimostrati così fragili e dilettantistici quando avevano per le mani una “scienza impareggiabile”? Come mai gli impianti strutturali e gestionali ripercorrono gli stessi binari da circa 45 anni senza mai porsi dubbi sulla incrementale privatizzazione, palese, che forse avrebbe anche condiviso un patto intelligente a favore del bene comune?
Dopo la Costituzione (art. 32) e la legge 833/1978 arrivano, uno alla volta ma ben ponderati, una lunga serie di documenti che segnano profondamente il percorso del nostro SSN (502/1992 aziendalizzazione, 229/1999 legge Bindi, riforma del titolo V 2001, DL Balduzzi 189/2012 redivivo nelle bozze dell’ACN in via di pubblicazione ma anche deformato dal DM71 forse per baloccarsi con presunte riforme quasi come se si volesse vincere facile con il gioco degli hub e degli spoke) … Tutte queste pubblicazioni hanno qualche cosa in comune che le caratterizza: sono inadeguate al contesto ed è per questo che non possono reggere.
La embriogenesi/morfogenesi insegna come tante cellule, inizialmente tutte identiche, inizino ad un certo punto a raggrupparsi e a diversificarsi spontaneamente senza nessun coordinamento centrale. L’indefinito, senza caratteristiche iniziali peculiari può sviluppare numerose trame impreviste. Fenomeni biochimici possono mostrare autoregolazione spontanea. Un sistema apparentemente ben conosciuto può avere comportamenti imprevedibili anche senza interferenze esterne.
A volte sono sufficienti piccolissime differenze iniziali per provocare grandi modificazioni affrontabili solamente da chi vive ed opera in quel contesto: da una situazione apparentemente molto semplice (es.: un assistito entra in ambulatorio per presentare un problema al mmg; in una comunità si sviluppa una pandemia…) si può produrre una serie di infinite complessità inizialmente inattese...
Occorre essere esperti e inseriti nel territorio (come tutti gli attori delle cure primarie) per comprendere queste complessità, farsene carico, coltivare la prossimità e nello stesso tempo proporre e condividere scelte avvedute.
Giuseppe Campo, Alessandro Chiari, Alessandro D’Ercole, Bruno Bersellini, Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna
16 maggio 2022
© Riproduzione riservata
Casa della Salute/Casa della Comunità: una guida ad hoc
Un piccolo vademecum redatto da Bruno Agnetti medico di medicina generale, Parma, sulle strutture organizzative prossime venture su cui vertono ancora numerose incertezze e perplessità. Un racconto, ovvero la narrazione delle vicende che partono dall'ACN 2005 ed arrivano fino ai nostri giorni strettamente confinati al campo dell'organizzazione e delle relazioni tra Mg e istituzioni.
Come organizzare una Casa della Salute/Casa della Comunità senza massacrarsi la vita". Questo è il sottotitolo 'esaustivo' della "Guida alla Casa della Salute/Casa della Comunità da Pnrr 2021" redatto dal medico di medicina generale Bruno Agnetti di Parma e membro del Centro Studi Programmazione Sanitaria della Fismu dell'Emilia-Romagna.
Un vademecum sulle strutture organizzative che si potrebbe collocare alla fine della cascata epistemologica (paradigma, dottrina, disciplina) ispirandosi ad autorevoli
Autori tra cui il Prof. Ivan Cavicchi e alle sue argomentazioni sui problemi sanitari. Forse proprio all'interno dell'apprendimento applicato (disciplina) può essere inserito l'aspetto organizzativo dell'ambito medico-sanitario che oggi vede come "tendenza del momento"la questione delle Case di Comunità con le sue numerose incertezze, contraddizioni, affermazioni, ripensamenti, dilazioni e quant'altro.
Il Centro Studi di Programmazione Sanitaria della Fismu-Emilia Romagna ha raccolto un sintetico insieme di dati, esperienze e relazioni inerenti i temi delle aggregazioni monoprofessionali, pluriprofessionali e multisettoriali territoriali.
Si tratta in pratica di un racconto, della narrazione, delle vicende che partono dal ACN 2005 ed arrivano fino ai nostri giorni strettamente confinati al campo dell'organizzazione e delle relazioni Mmg/istituzioni. Tutta l'esposizione contenuta nella "Guida" è un resoconto dell'abitudine quotidiana "dello zappare la vigna" che è data ai Mmg (fino ad oggi).
L'argomento non viene sviscerato nella sua complessità, ma presenta, volutamente, qualche suggerimento schematico per chi si dovesse trovare ad intraprendere una simile avventura all'interno della ridda di documenti, a volte contrastanti, che intendono disegnare il futuro dell'assistenza socio-sanitaria territoriale. Raccontare la storia di alcuni colleghi che hanno operato in Emilia Romagna, in un arco temporale che copre circa 20-30 anni, può essere una modalità per conoscere l'ambiente lavorativo del medico di medicina generale che oggi si trova di fronte alla necessità (per la sua sopravvivenza) di affrontare un enorme trasformazione ontologica per riconquistare una propria impareggiabilità istituzionale considerato che il gradimento nei suoi confronti da parte dei cittadini rimane sempre molto alto.
• Come procurarsi la 'Guida'
La casa editrice "Lennesima" provvede alla distribuzione on line del testo cartaceo o della versione in PDF anche al di fuori dell'Emilia Romagna, con il sistema "Trainingweb" https://www.trainingweb.it/product/libro-cartaceo/
ed è contattabile al seguente indirizzo: LEN Golfo dei Poeti, 1/A, 43126 Parma; Tel.: 0521 028 455.
DM71: sarà vera riforma?
DM71: sarà vera riforma?
di G.Campo, A.D’Ercole, A.Chiari, B.Bersellini, B.Agnetti
26 APR -
Gentile Direttore,
premessa impone di porre il testo del caro Prof. Cavicchi “La scienza Impareggiabile”, senza discussioni, caposaldo di ogni argomentazione che voglia affrontare ontologicamente la questione medica. Poi c’è la quotidianità (un recente esempio tra gli innumerevoli possibili è dato dall’articolo del collega Enzo Bozza: Ancora i peones?, arguto e tuttavia affranto). E’ la consuetudine di trascinare le “scarpe grosse” nei meandri limacciosi ed indecifrabili delle Aziende USL. Questi presidi “prefettizi” degli assessorati regionali, producono, ogni giorno, incremento dei compiti, piccole e apparentemente trascurabili disuguaglianze, differenziazioni assistenziali e professionali. Quando si addizionano gli avvenimenti apparentemente irrilevanti, azienda per azienda, la somma delinea una vera e propria calamità. Il paradosso è che comunque sono disparità operative assolutamente legali perché ogni azienda ed ogni assessorato bada molto bene a proteggersi con delibere e circolari votate a maggioranza schiacciante. Alcune aziende hanno attivato negli anni progetti assistenziali finanziati, formalmente ineccepibili ma inopportuni dal punto di vista politico sanitario, che hanno coinvolto un numero di colleghi rappresentati da meno delle 5 dita di una mano. Altre aziende hanno dimostrato di non avere contezza dei diversi contratti stipulati negli anni, (variabili significative dal punto di vista economico), con le varie aggregazioni di mmg (es.: Case della Salute ora Case delle Comunità… ma quest’ultime non ancora entrate in produzione).
“Cosa è successo? Niente” racconta Jannacci nella canzone “il bonzo”.
Evidentemente è velleitario ipotizzare l’abolizione delle Ausl con un ritorno alle Usl e affidare a queste istituzioni compresi gli assessorati alla sanità (80% circa del bilancio di ogni regione) solo ruoli di garanzia e di salvaguardia dell’universalismo. Insieme dovrebbero essere cancellate tutte quelle occasioni sospette per pratiche consociativistiche che hanno alla fine sfigurato la professione. Occorrerebbe ritornare a riconoscere massimo valore alla meritorietà virtuosa abbandonando la tradizionale meritocrazia spesso autoreferenziale. Già solo questo rappresenterebbe una riforma minima ma indispensabile. Così come può essere considerata una parte di questa innovazione vitale il fatto che i colleghi medici e sanitari che desiderassero entrare a far parte di una aggregazione territoriale organizzata in team condividano preventivamente e in autonomia processi e progetti.
In caso contrario l’inevitabile sfacelo a cui forse assistiamo esige urgentemente una “quarta riforma” ma forse anche una quinta o una sesta e “po se sa no” direbbero a Milano. Sbalorditiva la recente accelerazione del Governo che ha dato il via libera al cosiddetto DM 71 pur senza l’intesa con le Regioni. Peccato che il nuovo Decreto trascinerà con sé tutte le contraddizioni che da anni porta i professionisti ad appellarsi ad una riforma che sia tale.
Ad esempio: una riforma reale dovrebbe sancire autonomia dal sistema regionale e dalle AUSL; riconoscere un trattamento economico adeguato; programmare una pianta organica corrispondente alla riduzione dei posti letto ospedalieri e alle sempre più precoci dimissioni; ricercare una responsabilizzazione di impresa convenzionata con il SSN; garantire la libertà di aggregazione tra professionisti motivati; offrire le tutele; garantire libera scelta e rapporti fiduciari; abolire gli ambiti territoriali; inserire l’istituto dell’affiancamento paritario; esortare le aggregazioni e i singoli, eventualmente collegati funzionalmente, ad una sana concorrenza virtuosa nella sfera della qualità assistenziale in co-operazione con tutti gli attori del territorio; dare un senso concreto alle Case della Salute (se diventeranno Case della Comunità) e offrire una logica a quelle strutture che vengono definite “Ospedali di Comunità” che rischiano per davvero di diventare un clamoroso ossimoro realizzativo in quanto l’OSCO, da quanto si legge, potrebbe non essere logisticamente posto all’interno del perimetro della comunità di riferimento.
Il paradosso sommo della questione DM71 sta poi nel fatto che il recente ACN, già a suo tempo firmato dalle OOSS, non è ancora stato pubblicato sulla GU così che ci si trova nella situazione incredibile di avere una normativa o un documento applicativo (DM) senza il testo ufficiale di riferimento (ACN).
La qualità assistenziale delle nostre comunità, sempre più complesse, richiede beni comuni accessibili universalmente “non rivali e non escludibili” senza l’inarrestabile incremento burocratico di ulteriori compiti. Le piccole comunità sono terreno fertile per possibili sperimentazioni riformatrici. L’atteggiamento di certe istituzioni sovraordinate alle persone e ai professionisti richiama apertamente il concetto, (se consideriamo anche gli enti pubblici delle unità), dell’individualismo se non quello del singolarismo. Quando la gestione viene orientata da questi atteggiamenti si assiste ad una riduzione dei beni comuni fruibili (V. Pelligra, il Sole24Ore, 24 aprile 2022) e dello spirito di co-operazione con esiti sociali pessimi perché i beni pubblici/comuni vengono distrutti.
Così in una improbabile riforma che avversasse gli attuali decisori (Assessorati e Aziende) dovrebbe progettare da capo istituzioni e organizzazioni più rispettose e fiduciose dei professionisti e degli attori di tutte le assistenze primarie di per sé già in grado, da sole, di creare opportunità di co-operazione ed interazioni non gerarchiche tali da produrre ed arricchire il bene pubblico.
Anche una adeguata rivisitazione e relativa semplificazione della remunerazione è auspicabile prendendo atto che il “vecchio” sistema incentivante confuso e generatore di gravi differenziazioni, non più accettabili, ha completamente dimenticato che oltre agli incentivi economici relativi agli obiettivi regionali e aziendali esistono anche le incentivazioni immateriali fortemente originate dall’autonomia organizzativa e gestionale (equità, qualità, trasparenza, trasmissibilità, consenso, gradimento, apprendimento, complessità ecc.).
Se nel recente intervento del Presidente Nazionale della FNOMCeO è stato evidenziato come sia allarmante la volontà di molti colleghi di lasciare al più presto la professione, (in particolare nella medicina generale territoriale), è possibile che queste convinzioni siano avvalorate da una o due giustificazioni e, secondo quanto già elencato, alcune di quelle motivazioni che spingono i professionisti alla resa potrebbero superare di molto le problematiche (pur allarmanti) economiche.
Giuseppe Campo, Alessandro D’Ercole, Alessandro Chiari, Bruno Bersellini, Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna
26 aprile 2022
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Una guida alla Casa della Salute/Casa della Comunità
di Giuseppe Campo e Alessandro Chiari
28 MAR - Gentile Direttore,
ci permettiamo di comunicare ai medici interessati l’uscita a stampa di un piccolo manuale (redatto dal collega Bruno Agnetti e pubblicato dalla casa editrice “Lennesima”) sulle strutture organizzative che potremmo collocare alla fine della cascata epistemologica (paradigma, dottrina, disciplina) riferendoci al Prof. Cavicchi e alle sue raffinate argomentazioni inserite nel suo ultimo libro presentato anche su QS.
Forse all’interno dell’apprendimento applicato (disciplina) può essere inserito l’aspetto organizzativo dell’ambito medico-sanitario che oggi vede come “tendenza del momento” la questione delle Case di Comunità con le sue numerose incertezze, contraddizioni, affermazioni, ripensamenti, dilazioni…
Per i colleghi della Regione Emilia Romagna il nostro Centro Studi di Programmazione Sanitaria ha voluto appunto raccogliere un sintetico insieme di dati, esperienze e relazioni inerenti i temi delle aggregazioni monoprofessionali, pluriprofessionali e multisettoriali territoriali funzionale e strutturale.
Si tratta soprattutto di un racconto, della narrazione delle vicende che partono dal ACN 2005 ed arrivano fino ai nostri giorni strettamente confinati al campo dell’organizzazione e delle relazioni mmg/istituzioni.
Le argomentazioni del testo “La scienza impareggiabile” sono ad altro livello tanto che qualche collega ha auspicato che questo libro debba diventare un testo base per il corso universitario di Medicina e chirurgia. Tuttavia l’esposizione contenuta nel manuale “Guida alla Casa della Salute/Casa della Comunità: come organizzare una CdS/CdC senza massacrarsi la vita” è un resoconto dell’abitudine quotidiana di zappare la vigna che è data ai mmg (fino ad oggi). L’argomento non viene sviscerato nella sua complessità ma presenta qualche suggerimento schematico per chi si dovesse trovare ad intraprendere una simile avventura all’interno della ridda di documenti, a volte contrastanti, che intendono disegnare il futuro dell’assistenza socio-sanitaria territoriale.
La piccola e coraggiosa casa editrice “Lennesima” provvede alla distribuzione on line del testo cartaceo o della versione in PDF, anche al di fuori della Regione E-R, con il sistema “Trainingweb” https://www.trainingweb.it/product/libro-cartaceo/ ed è contattabile al seguente indirizzo: LEN Golfo dei Poeti, 1/A, 43126 Parma; Tel.: 0521 028 455.
Raccontare la storia di alcuni colleghi che hanno operato in questa regione in un arco temporale che copre circa 20-30 anni può essere una modalità per conoscere l’ambiente lavorativo del medico di medicina generale che oggi si trova di fronte alla necessità (per la sua sopravvivenza) di affrontare un enorme trasformazione ontologica per riconquistare una propria impareggiabilità istituzionale considerato che il gradimento nei suoi confronti da parte dei cittadini rimane sempre molto alto.
Giuseppe Campo e Alessandro Chiari
CSPS (Centro Studi di Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti) Regione Emilia-Romagna
28 marzo 2022
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Lettere al direttore: Medicina territoriale. Il Re è nudo.
Gentile Direttore,
il decreto ministeriale DM71 ha “finalmente” svelato quale potrebbe essere lo sviluppo dell’assistenza territoriale una volta che lo stesso documento venisse approvato dalla Conferenza Stato-Regioni ed inparticolare dal Comitato di Settore. La ridda di documenti, atti di indirizzo, commenti ed argomentazioni (la montagna) alla fine è riuscita a partorire il topolino “prematuramente”. La fretta e la mancanza di riflessione approfondita sull’assistenza territoriale e sull’infinita letteratura in merito apparsa in questi anni autorizza a constatare ciò che è stato affermato infinite volte da numerosi commentatori ed esperti: è possibile non solo che ci sia il rischio di non trovare nulla sotto le apparenze ma che il re sia effettivamente e completamente nudo. Non si può pensare ad una riforma se la produzione delle norme “fondamentali” ripropongono (triste constatazione) la possibilità di spendere quel che resta del PNRR su definizioni accidentali, sigle organizzative improbabili foriere di sicuri fallimenti nel brevissimo tempo. Una controriforma non può essere esibita come riforma: superato per il momento la stagione del tormentone dipendenza/libero professionismo entriamo nell’epoca del neo-confusionismo. La retorica pluridecennale della “centralità del paziente” si è manifestata essere sostanzialmente una autodifesa autoreferenziale di regioni e Ausl. L’epicentro dell’assistito può essere assicurato solo da un rilevante ruolo dei professionisti delle cure primarie territoriali in quanto, professionisti e pazienti, hanno forti interessi comuni.
Distretto. È un perno debolissimo dell’hub and spoke, contradditorio, a volte inesistente dal punto di vista professionale e assistenziale. Durante la pandemia questi istituti sono stati addirittura chiusi per più di due anni e nessuno se ne è accorto. Ma il DM71 vuole ancora riproporre una minestra riscaldata. L’efficienza e l’efficacia della presa in carico della popolazione di riferimento è strettamente connessa con una autonomia decisionale professionale. Il distretto o l’Ausl dovrebbero essere a servizio e a sostegno di questa autonomia nell’intero processo decisionale ed è per questo che le Ausl dovrebbero ritornare ad essere Usl così come i distretti uffici di supporto ai professionisti.
Case della Comunità. Questo capitolo riabilita, dopo tanti anni, il Decreto Balduzzi (mai abrogato) e nello stesso tempo ne modifica i numeri definiti a suo tempo per le UCCP e le AFT. Clamorosa la destrezza con cui viene realizzato il sistema hub and spoke. È una storia già vissuta nella sua diversificazione assistenziale e professionale che alcuni colleghi definiscono palese discriminazione (medici e assistiti di serie A e di serie B): qualche hub degno di questo nome per pochi e gli spoke costituiti da ciò che già c’è cioè dagli ambulatori dei mmg singoli o in gruppo sparsi sul territorio. Piace vincere facile mettendo a profitto gli investimenti culturali, professionali, strutturali, auto-formativi realizzati, in tutti questi anni, dai professionisti. Per molti aspetti non vi sono differenze sostanziali tra Case della Comunità e Case della Salute vere e grandi dove numerosi mmg e co-operazioni multiprofessionali, multidiscilinari e multissettoriali possano effettivamente progettare innovazioni per quel dato territorio. Vengono infatti mantenuti fermi tutti gli elementi di differenziazione professionale e assistenziale.
Assistenza Domiciliare. Non può essere una attività a determinazione distrettuale ma a servizio degli attori del territorio che hanno l’autorevolezza professionale, in co-operazione, di attivare ogni tipo di ADI.
Infermiere di Famiglia e Comunità. Già sperimentato da anni nei così detti Nuclei di Cure Primarie (NCP) perfettamente sovrapponibili alle AFT. Infatti nei NCP vi sono gli infermieri di NCP.
Unità di Continuità Assistenziale. La pandemia ha tentato di far comprendere alle aziende la necessità di costituire questo servizio (su decreto legge) senza però che vi sia stato quell’apprendimento necessario che rende gli USCA un presidio qualificato e attivato dal mmg con cui devono restare in contatto diretto (libera scelta fiduciaria e gestione della privacy individuale e domiciliare).
Centro Operativo Territoriale. Dovrebbero coordinare i servizi del distretto, che per sua inconsistenza potremmo definire “virtuale” e prevede anche un accesso diretto telefonico da parte degli assistiti (per esigenze a bassa intensità assistenziale, assistenza domiciliare ed eventuale servizi di telemedicina). Al momento è il mmg che eventualmente attiva una assistenza domiciliare e che valuta l’intensità dei bisogni e chiede, se necessaria, la collaborazione di altri sanitari. Se invece il COT resta un coordinamento dell’emergenza urgenza in questo dovrà poter usufruire di una struttura informatizzata che permetta agli attori dell’assistenza territoriale dell’emergenza urgenza una informativa essenziale ed un aggiornamento in tempo reale su device portatili (cartella informatizzata).
Ospedali di Comunità. Il loro senso è quello di essere appunto nelle comunità (AFT/quartieri) e di svolgere una funzione dove il processo decisionale sia completamente predisposto in capo agli attori sanitari, sociali e plurisettoriali della comunità stessa. Inserire il concetto del post ricovero rischia di sottrarre dalla facoltà decisionale ai sanitari territoriali ed espone l’organizzazione assistenziale territoriale al fenomeno di vedere servizi di competenza (es.: gli hospice) diventare praticamente estensione dei reparti ospedalieri creando a livello territoriale le orribili liste d’attesa.
La rete delle cure palliative. Di norma, a livello territoriale sono, i professionisti sanitari ad osservare le evoluzioni dei loro pazienti ed in particolare è il mmg che deve attivare una assistenza ADI di 3° livello o palliativa. Il mmg dovrebbe rappresentare il 1° palliativista di riferimento per il proprio paziente soprattutto al domicilio ma anche nella Casa della Comunità/Hospice. Ciò non toglie, come in tante altre situazioni, che il medico di medicina generale possa richiedere una consulenza specialistica diretta o telefonica su alcuni aspetti operativi particolari.
Pubblicato da Quotidiano online di informazione sanitaria
Alessandro Chiari e Giuseppe Campo
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti),
Regione Emilia-Romagna_