Mascherina

Il Pnrr è un piano economico in conto capitale non è una riforma del Ssn o delle cure primarie

Gentile Direttore,
ogni comunità (compresa quella dei medici) tende istintivamente a porre in atto iniziative (politiche/sindacali) per indicare migliorie collettive tentando così di orientare il governo (ad es.: della sanità nazionale o regionale o locale). Inoltre ogni cittadino (o medico) può esprimere la sua aspirazione a modificare ciò che considera una inefficienza amministrativa o gestionale e può tentare di conseguenza, politicamente, di sostituire gli attuali alti dirigenti se considerati inadeguati.

Il covid ha insegnato molte cose e al netto di tutte le narrazioni giustificanti, numerose istituzioni sanitarie nazionali, regionali e aziendali hanno palesato fallimenti organizzativi.

L’attuale situazione sanitaria origina dal lontano 1978 (43 anni fa) con la legge 833 che istitutiva il Servizio Sanitario Nazionale superando il sistema assicurativo-mutualistico allora vigente con l’intenzione di costruire e strutturare una sanità pubblica universale, uguale ed etica.

Negli anni successivi, in rapida successione, si assiste ad una florida attività legislativa minuziosamente orientata ad una perseverante limitazione degli spazi considerati eccessivamente flessibili e ampi individuati nella 833 da solerti e lungimiranti burocrati. Lentamente ma inesorabilmente i principi cardine dell’associazione di categoria allora unica (es. estremamente semplificato: orario/salario) svaniscono a fronte di una nuova organizzazione burocratica collegata ai ruoli e alle funzioni in grado di creare addirittura un nuovo ceto medio che piano piano occupa lo spazio trascurato dai professionisti della sanità.

Con il DL 502/1992 (aziendalizzazione come tributo all’idolo della globalizzazione così come le fusioni aziendali calate dai vertici ) e il DL 517 del 1993 si dà inizio alla fabbrica che costruirà l’enorme piramide del Servizio Sanitario Regionale che troverà il suo completamento con la L.3 del 2001 (riforma del titolo V della Costituzione).

La complessa produzione normativa e deliberativa delle singole Regioni e delle Ausl che seguono questi momenti topici rendono ancora più impenetrabile, inaccessibile, imponente la piramide monocratica spesso autoreferenziale.

Le premesse contengono comunque una loro fragilità celata dalle altisonanti normative che non hanno nulla a che fare con i bisogni espressi ed inespressi dai clienti interni ed esterni infatti, secondo il parere di Pietrangelo Buttafuoco, le regioni rappresenterebbero enti inutili nonché dannosi (per via dell’ingorgo burocratico e legislativo) nati per millimetrici calcoli di consociativismo. Nello stesso tempo il bilancio più importante di una regione è diventato quello sanitario che “cuba” a tutt’oggi il 70-80% dell’intero rendiconto.

Era inevitabile che qualche nodo molto ingarbugliato prima o poi arrivasse a bloccare il pettine.
La pandemia ha svelato quello che avrebbe dovuto essere e che invece è stato.

La piramide continuerà comunque ad essere solida, popolata da numerose persone, da funzionigrammi ed organigrammi. In questa situazione è praticamente impossibile riuscire ad innovare o a partecipare in modo attivo o intervenire da protagonisti nel processo decisionale (dalla ideazione, alla progettazione, alla sperimentazione, alla rendicontazione…) in quanto la protezione autoreferenziale del “monumento” lo impedisce. La Conferenza Stato-Regioni assomiglia ad un parlamento a sé stante che svolge tutte le funzioni tipiche di un consesso decisionale completo mentre pare che il Ministero della Salute e il Parlamento vengono coinvolti a processo quasi terminato.

I comitati consultivi locali, le Conferenze socio-Sanitarie territoriali hanno dimostrato un grado di partecipazione e di influenza sui processi decisionali istituzionali che sembrano praticamente inesistenti. Così come la tanto declamata governance non appare altro che un puro atto di governo monocratico grazie alla continua produzione di norme o delibere finalizzate soprattutto a rinforzare la struttura burocratica amministrativa già esistente.

Le missioni “sanitarie” (5 inclusione e coesione; 6 salute) del PNRR non comporteranno modifiche o riforme sostanziali essendo componenti di un piano con le caratteristiche dell’intervento economico classico per forza di cose orientato ad iniziative in conto capitale (una tantum) nella speranza che il possibile enorme sforzo strutturale-architettonico-ingegneristico modifichi in senso virtuoso il PIL.

Poi eventualmente si potrà pensare a innovazioni che incidano sulla spesa corrente (risorse umane o piante organiche) ma in questo caso sarebbe necessario avere in mente un modello innovativo già sperimentato nel coinvolgimento della popolazione e nei rapporti paritari (es.: welfare di comunità).

Forse in questo senso potrebbe essere interpretata la proposta del prof. Ivan Cavicchi che, nell’impossibilità di poter assistere ad una vera riforma, ipotizza almeno di “sbaraccare” le aziende e di mettere in piedi i consorzi per la salute delle comunità (vecchie Usl?) al fine di sperimentare davvero una gestione partecipata tanto dai cittadini che dagli operatori dei servizi sanitari territoriali.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

31 maggio 2021
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Welfare di comunità

Welfare di Comunità: sistema gestionale innovativo e completamente pubblico

Gentile Direttore,
ogni volta che il Prof. Cavicchi scrive un suo intervento conduce per forza di cose a riflettere in modo inatteso su temi che eventualmente sono già stati enunciati in altre occasioni. In uno dei suoi ultimi articoli (Il sogno di una riforma della sanità si infrange sulla “Missione 6” del Recovery Plan) il prof. Cavicchi concludeva la sua riflessione con una affermazione perentoria: se non si riconosce che la tragedia è immane e si continua a lamentarsi e ad offendersi per i graffietti senza accorgersi che il mondo crolla si può diventare enti “immorali”.
 
Narrazioni, episodi, esperienze, rendicontazioni in questo senso possono essere numerosissime ed emergeranno tutte al momento opportuno.  Pare proprio che i “padroni del forno” non si stiano rendendo conto di ciò che capita e l’unica cosa che sanno fare è serrare in fretta la bottega (si preoccupano delle mega-aziende iniziative  solo amministrative basate su documenti  normativi del secolo scorso e, in questo periodo, accorpano ruoli e funzioni dirigenziali con il rischio che i compiti specifici vengano svolti in modo demotivato quando, proprio ora, i rapporti con il sociale rappresentato dai clienti interni ed esterni sarebbe fondamentale per preservare la professione da una regressione irreversibile). Purtroppo credo che molto presto avremo numerose occasioni per riprendere il tema. 
Caro Prof. senz’altro molti guai partono dal “condottiero” ma anche le aziende e le regioni consumano tutte le loro energie per creare gineprai impenetrabili.
Per tornare a bomba, conosciamo molto bene la definizione nata nel 2010 con delibera regionale delle Case della Salute (la Ministra Turco aveva emanato un decreto ed un finanziamento sul tema nel 2007). Anche a causa di una infelice ulteriore delibera regionale del 2016 la potenzialità insita nel concetto originale di “Casa della Salute” è naufragata miseramente per altro procurando gravi differenziazioni professionali ed assistenziali… in questo caso i poliambulatori Inam sarebbero stati meno distruttivi!
 
Senza un vero modello ampiamente condiviso, che parta da un confronto e da un processo decisionale civico non c’è connotazione ma solo propaganda. Il poeta canta “… credo che ci voglia un Dio e anche un bar… per dare una identificazione, un senso di comunità, una empatia silenziosa ai 120.000 morti contati fino ad oggi. Questo numero sembra essere considerato inevitabile e trasparente!
 
Le comunità sono state frantumate, spezzettate, frullate dalla globalizzazione e tuttavia si continua a progettare le mega-aziende sanitarie su disegni normativi del secolo scorso! Anche le parrocchie si sono svuotate così come le chiese impregnate anch’esse dal singolarismo e dal relativismo. Queste realtà (comunità) hanno ricevuto l’ultimo scossone con la  chiusura dei piccoli presidi sanitari territoriali che rappresentavano comunque punti di riferimento e di identificazione. Ora proprio coloro che hanno partecipato alla operazione “chiusura dei piccoli presidi territoriali” vorrebbero diventare paladini delle Case della Comunità.
 
Solo qualche paese o piccolo centro, meglio se in montagna, isolato per quel  tanto che basta, sembra mantenere una identità e vivere un sentimento di comunità solidale.
 
E’ vero, come ricorda il Prof. Cavicchi, che per tentare una strada di innovazione  (e purtroppo non di vera riforma ) qualcuno si è rivolto alla teoria di riferimento del “welfare di comunità” molto tempo prima che nascesse il movimento “prima di tutto la comunità” e ben lontano da ipotizzare la “Casa della Comunità” come effettivo modello.
 
E’ altrettanto vero che entro la teoria del welfare di comunità  si  ricerchi una vera e diversa gestione che superi completamente e totalmente il fallimentare sistema aziendale pur mantenendo una struttura completamente e totalmente pubblica: il welfare di comunità (non welfare aziendale né tanto meno Case della Comunità)  ma un metodo gestionale pubblico che coinvolge le comunità (dove ci sono) oppure che partendo dalla sanità possa ricrearle, con molta fatica, dove queste sono state distrutte.  Il covid dovrebbe aver insegnato qualche cosa ma la burocrazia e le piramidi gerarchiche sono più forti delle pandemie.   
 
Il Prof.  Cavicchi sostiene con verità che da anni il mondo cattolico sta tentando di inserirsi nella sanità (welfare di Comunità, processo decisionale, sussidiarietà circolare, reciprocazione… temi da tempo trattati dal Prof. Stefano Zamagni).  Il motivo che potrebbe sottendere a questa incursione, per altro con una infinità di radici storiche, può ritrovare la giustificazione nella carenza da parte del sistema pubblico di una piramide gerarchica di criteri etici e morali fondamentali che sono invece reperibili nella tradizione religiosa (equità, meritorietà, qualità organizzativa, trasparenza, sostenibilità, trasmissibilità, consenso, gradimento, apprendimento, autonomia, complessità, assenza di regressione e contraddizioni, co-operazione, cambio di genere nella medicina generale del territorio…).
 
Infine non sarà una vera riforma ma è vitale un ritorno alle USL. E’ ormai necessario abbandonare le Ausl (aziende) che hanno abbondantemente dimostrato la loro inconsistenza. L’organizzazione territoriale sanitaria deve ritornare ai così detti consorzi per la salute delle comunità, pubblici, a conduzione generale politica ma attribuita a personaggi della vita politica locale, bel conosciuti dalla stessa comunità, che si possono trovare al bar o per strada e che eventualmente abitano proprio vicino a casa nostra e dove il controllo e le responsabilità siano realmente di comunità. 
 
Questo  potrebbe essere un ritorno al futuro cioè una visione generale innovativa per un periodo di almeno 5-10 anni (salvo riforma).
 
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

07 maggio 2021
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Casa della salute anteprima

Salute e assistenza al centro del webinar Parma 22 32

Si è svolto mercoledì sera il secondo dei tre webinar tematici dedicati al welfare di Parma 22 32, il laboratorio aperto che promuove l’elaborazione di alcuni tra i temi chiave per la Parma del futuro, coordinato da Caterina Bonetti, Chiara Bertogalli e Manuel Marsico.

Dopo il primo incontro dedicato al tema delle persone con disabilità, nella serata di mercoledì è stato affrontato l’argomento Case di quartiere – Case della salute con la partecipazione di Erika Mattarella, della rete Case di quartiere di Torino, il dottor Bruno Agnetti, medico e consigliere comunale, l’architetto Michele Ugolini, docente del Politecnico di Milano con il coordinamento di Caterina Bonetti.

Erika Mattarella ha introdotto l’argomento illustrando la case history delle case di quartiere: dalla loro nascita, in ottica di riqualificazione e attribuzione di nuove funzioni di spazi dismessi cittadini, ai servizi erogati al loro interno. Una storia di spazi aperti a tutta la cittadinanza, polifuzionali, dove trovare corsi di formazione, attività di doposcuola, appuntamenti ricreativi per tutte le età, servizi di prossimità, dove potersi incontrare per un caffè o un pranzo, ma anche per utilizzare una sala adibita ad auditorium per uno spettacolo o un incontro pubblico. Fra i servizi erogati da una di queste case anche quello delle docce pubbliche, un’esperienza fra le poche in Italia, che consente a tanti cittadini di fruire di un servizio essenziale garantito, in piena sicurezza, anche durante il periodo Covid.

L’argomento della pluralità delle funzioni è stato affrontato anche dall’intervento dell’architetto Michele Ugolini, che ha esposto alcune buone pratiche legate alla realizzazione di case della salute nel territorio emiliano, confrontando le esperienze e sottolineando come scelte improntate all’inserimento, all’interno dei "contenitori" di servizi di prossimità non solo di tipo sanitario, sia fondamentale per rendere davvero efficaci gli interventi e dare un senso a questi spazi.

"La salute è una nuova questione identitaria che tocca tutte le persone e si deve coniugare con la salubrità dell’ambiente in cui viviamo. L’obiettivo deve essere quello di ridefinire l’approccio alle Case della Salute per la comunità, in particolare quelle urbane: non più solo centri di erogazione di servizi sanitari ma nuove e importanti occasioni di rigenerazione sociale, urbana e ambientale dove coltivare salute nei quartieri in raccordo con un vasto mix funzionale di attività pubbliche. Nodi di innovazione sociale e sanitaria, nuovi spazi in città più salubri per rispondere alle tante fragilità fatte emergere dalla pandemia. Luoghi identitari, aperti ai cittadini, integrati con il volontariato e le associazioni. Potremmo definirle biblioteche di cultura della salute in cui promuovere il benessere psicofisico delle persone e corretti stili di vita. Con il Politecnico, attraverso il programma Polisocial Award, stiamo elaborando una ricerca dal titolo Coltivare_Salute.Com che vuole rispondere alle lacune e alle vulnerabilità di tipo spaziale, sociale, organizzativo e comunicativo delle Case della Salute per la Comunità al fine di rafforzare, attraverso la loro localizzazione e una ridefinizione degli spazi interni, nuove centralità urbane nelle periferie delle nostre città. Lo shock provocato dalla pandemia ne costituisce l’occasione fondamentale, anche dal punto di vista dei finanziamenti".

Il dottor Bruno Agnetti ha poi illustrato, grazie alla sua esperienza ormai di lungo corso nella progettazione di servizi sanitari di prossimità, le principali caratteristiche delle case della salute di grandi, medie e piccole dimensioni. Le attività che possono trovare spazio al loro interno, legate non solo alla cura, ma anche alla prevenzione e alla educazione ai corretti stili di vita, le opportunità che una gestione condivisa degli spazi e delle attività può offrire anche in ottica di un cambio di modalità relazionale fra medico e paziente.

"La riforma dell’assistenza territoriale di base nonostante l’importante innovazione culturale delle Case della Salute non è ancora compiuta, come anche la pandemia ha dimostrato, soprattutto per quanto riguarda la co-operazione tra le varie professionalità e l’inserimento nelle comunità di riferimento. In effetti trovare un’innovazione organizzativa territoriale della medicina di base contestuale alla comunità di riferimento corrisponderebbe a scoprire un nuovo farmaco efficace per la cura dei tumori o allo sbarco sulla luna" ha sintetizzato in chiusura  Agnetti, auspicando che un lavoro efficace, ma soprattutto di ampie vedute possa essere realizzato quanto prima, anche sulla scorta delle esperienze maturate in questo periodo pandemico.


Vaccinazione_nteprima articolo

No, non siamo messi bene…

Gentile Direttore,
il suo intervento sulla “soluzione all’italiana” per il vaccino Astra Zeneca ha dato prova di coraggio. A volte esprimere qualche dubbio sulla “comunicazione” (ma la comunicazione si fa così?) in merito al sistema vaccinale a questo punto era necessario. In alcuni casi riferire incertezza in questo ambito può produrre il rischio di essere tacciati di tendenze no-vax.
 
E’ però palese, considerate le continue informative contrastanti, che sia in atto una sperimentazione (superate la fase III necessaria per la commercializzazione) che evolve durante la stessa vaccinazione di massa.
 
La richiesta che la campagna vaccinale possa svilupparsi nel rispetto di tutti i criteri di sicurezza e di sollecitudine dovrebbe suggerire di scegliere il modello operativo detto hub and spoke che richiede la realizzazione di un centro vaccinale maggiore (aziendale/ospedaliero) e di molti altri centri, ad esempio di quartiere, definiti o autorizzati dalle aziende sanitarie e che siano in grado di replicare in tutto e per tutto i centri hub. In questi presidi possono operare medici volontari e USCA così come potrebbero dedicarsi alle vaccinazioni anche a livello domiciliare. 
Questo “semplice” sistema operativo favorirebbe il conseguimento degli obiettivi ipotizzati e limiterebbe al massimo, se non eliminerebbe, lunghe file, caos o conflitti.
 
L’adesione volontaria può raccogliere una numerosa platea di medici (mmg di CA, mmg di AP, mmg Corsisti, medici specializzandi, medici dell’emergenza territoriale, Medici dei Servizi, medici pensionati …) più che sufficiente per assicurare una vaccinazione di massa senza creare confusione tra chi “può aderire” e chi “deve aderire” causa di possibili differenziazioni e difformità professionali e assistenziali in grado di creare possibili conflitti tra assistiti e medici di base.
 
Non da ultimo questo schema operativo può prevedere la partecipazione volontaria dei medici di base alla campagna vaccinale molto più efficace di quella detta “obbligatoria” in quanto il medico di Assistenza Primaria “può partecipare” alla campagna eseguendo l’attività vaccinale vera e propria ma può anche scegliere di supportare gli assistiti nella compilazione dei moduli, nel perfezionare una anamnesi soprattutto se critica, nell’individuare elenchi particolari (fragili e non deambulabili), nel segnalare casi che per qualche motivo sono rimasti fuori dagli elenchi dedicati alla vaccinazione così da avvantaggiarsi della vaccinazione di massa per una azione di integrazione dell’intera popolazione presente sul suolo italiano, nell’osservazione e nel monitoraggio prudente di eventuali effetti collaterali o indesiderati o inattesi. Soprattutto il medico di base può partecipare attivamente alla campagna vaccinale continuando a mantenere accessibili gli ambulatori di medicina generale senza interruzioni determinate dalla partecipazione attiva al processo vaccinale.
 
Il valore deontologico ed etico in periodo pandemico del medico di base è pienamente compiuto se il medico assicura l’attività ambulatoriale, se si fa carico delle cronicità non covid, se provvedere per quanto possibile al diradamento dei controlli specialistici, se sostiene le persone quando presentano sintomi psicosomatici causati dalle chiusure e dalle distanze sociali. Potrebbe essere importante aiutare gli assistiti a non fare confusione e a non equivocare l’ambulatorio del medico con un centro vaccinale perché, in questo caso, inevitabilmente sarebbero ridotti i servizi caratteristici della assistenza primaria.
 
Non è stato semplice o possibile convincere le Alte Dirigenze Aziendali sulla opportunità di attivare il sistema hub and spoke per la campagna vaccinale forse perché l’attivazione delle unità Usca potrebbe avere un costo superiore al coinvolgimento dei medici di base ma in questo caso, visto che ci si indirizza verso una vaccinazione di massa prioritaria che deve avvenire nel più breve tempo possibile, non si dovrebbe ragionare in termini economicistici pena una svalutazione della narrazione relativa all’emergenza pandemica stessa.
 
La vaccinazione anti covid non è una vaccinazione antiinfluenzale e la così detta vaccinazione “leggera” svolta negli ambulatori o a domicilio, se in carenza dei carismi di sicurezza garantiti nei centri vaccinali hub o di quartiere/periferici, non sembra aver procurato particolari agevolazioni.
 
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

09 aprile 2021
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medicina di base

Il potenziamento delle Cure Primarie in tempo di Covid-19

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 17 Marzo 2020

medicina di base

17 MAR - Gentile Direttore,
i posti disponibili di terapia intensiva il Italia sono circa 5.000, di contro in Germania sono 28.000 su 80 milioni di abitanti. Eccoci ora di fronte ad un'altra emergenza sociale e sanitaria. Alcuni studi ipotizzano un utilizzo quasi totale, in periodo di picco Covid-19, di letti di terapia intensiva nel nostro paese. Come ex anestesista-rianimatore mi sento emotivamente immedesimato e profondamente commosso da quanto i colleghi ospedalieri stanno vivendo.
 
A fronte di tragedie, disastri, epidemie/pandemie pregresse anche la medicina generale ha tentato di studiare strategie orientate al potenziamento del 1° livello assistenziale territoriale al fine di svolgere un effettivo filtro per le strutture di 2° livello e impedire gli intasamenti di questi servizi che vengono indicati in questo momento come la vera emergenza.
 
Un territorio ben attrezzato e rafforzato con i nuovi giovani mmg, preparatissimi dal punto di vista clinico-diagnostico, già inseriti nelle graduatorie regionali per la medicina generale e per la Continuità Assistenziale, adeguatamente addestrati avrebbe potuto/potrebbe far fronte in tempo reale all’emergenza in affiancamento ai mmg senior per visite a persone sospette di contagio, per eseguire tamponi, per seguire a domicilio i paucisintomatici o i così detti “stabilizzati” dimessi dalle terapie post-intensive, per somministrare eventuali terapie domiciliari innovative o per uso compassionevole pur continuando la quotidianità e l’assistenza territoriale a tutte le altre persone ammalate non di Covid-19.  
In cambio di questo importantissimo servizio alla comunità sarebbe però necessario proporre ai giovani medici non solo una valorizzazione adatta ed incrementale della loro attività ma l’assicurazione di una strutturazione, pur sperimentale, dello strumento “affiancamento” e l’ideazione concreta di un sistema di reciprocazione che possa garantire ai giovani medici strutture territoriali adeguate, moderne e funzionali dove i professionisti possano elaborare, in autonomia e indipendenza, progetti assistenziali innovativi e flessibili in grado di rispondere anche a momenti emergenziali. 
 
La pandemia ci impone un cambio di passo e castiga ogni risposta alle nuove esigenze globali (COVID-19 e non COVID-19) attuate con modalità o culture arretrate e protocollari/normative. 

In questi giorni abbiamo avuto l’esempio emblematico di come i protocolli e le linee guida si modifichino di giorno in giorno a conferma del principio che il paradigma di riferimento è inevitabilmente bio-psico-sociale e che i macro fenomeni endemici strettamente collegati alla vita degli individui sono in grado di sovvertire algoritmi, protocolli, LG fino a ieri considerate verità immutabili. 
 
La situazione attuale (non solo della Lombardia che per altro rappresenta un servizio di 2° livello eccellente) è una rappresentazione di quello che significa non essere stati in grado di riformare le cure primarie partendo da pilastri fondamentali validi per un paese come l’Italia. 
 
Inoltre appare ora come sia stato dissennato ed insidioso il percorso che ha portato a chiudere un'infinità di ospedali della variegata periferia italiana per trasformare il servizio sanitario in qualcosa che avesse efficienza manageriale ed ottimizzazione ma che poi alla fine ha voluto a tutti i costi semplificare in un pensiero unico la complessità della vita reale. 
 
Le tematiche e le argomentazioni relative ai piccoli ospedali sono applicabili e completamente sovrapponibili alla medicina generale. Gli obiettivi aziendali sono ogni anno raggiunti ma qualunque forma di governo o gestione piramidale, lontano dalla realtà, dai bisogni e dai professionisti potrà certo imporre programmi o obiettivi ma non riuscirà mai a comporre (cum ponere) progetti solidi e trasmissibili. 
 
La relazione stretta tra professionisti e assistiti, esaltata da questa crisi, genera spontaneamente comportamenti collaborativi istintivi e responsabili, trova soluzioni efficaci, recupera la “calma” necessaria tra persone che si riconoscono e rispettano ciascuno con le proprie specifiche funzioni, doveri e diritti. 
 
Quanta pietà scorre nelle vene dei professionisti e dei parenti quando, per ragioni di sicurezza, non c’è più la possibilità di visitare i propri cari ricoverati nemmeno in caso di dipartenza. Ora abbiamo bisogno di senso.
 
Certe calamità superano gli individui e governanti. Il clamore finirà. La società civile saprà allora imporre un nuovo welfare sanitario che ponga il bene comune come valore superiore? 
 
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

17 marzo 2020
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Carenza medica

Sulla carenza medica...

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 20 maggio 2019

11 OTT - Gentile direttore,
il vorticoso cambiamento sociale coinvolge strutturalmente la nostra professione. La velocità con cui avvengono tali cambiamenti erano già stati preconizzati nel 1989 da D. Harvey con la teoria della compressione spazio-temporale sia a livello globalizzato che glocalizzato.
 
Tra i numerosi temi evidenziati, nonostante le numerose inevitabili contraddizioni interne, vi è la questione della carenza medica ( nella specialistica ma anche nella medicina di base). Senz’altro c’è stata una predizione dilettantistica generale nell’errata dimensionalibilità dei pensionamenti e dei pre-pensionamenti ma non può essere passata sotto silenzio la manifestazione dell’estrema fragilità psico-fisica degli stessi professionisti delle cure primarie che negli ultimi anni hanno sopportato l’incremento esponenziale dell’attività ambulatoriale rimasta, nel percepito degli assistiti, uno degli ultimi servizi di vero welfare gratuito e di libero accesso.
 
L’ACN per la medicina generale, tutt’ora in discussione, dimostra tutta la sua inadeguatezza a fronte della necessità vitale di una radicale riforma delle cure primarie. Anche in questo settore i paradigmi sono profondamente mutati e non sono più accettabili “influencer” che hanno condotto la medicina territoriale al punto criticissimo in cui si trova ora. C’è inoltre la legge Balduzzi, in vigore, non abrogata, tuttavia inapplicata che non può essere ignorata a meno che non venga promulgata un’ altra legge/riforma.

Dalle numerose elaborazioni si evince l’urgenza di individuare un nuovo modello di riordino delle cure primarie adeguato alle necessità (es.: welfare di comunità e processo decisionale affidato al territorio e al suo collegio del territorio nel rispetto delle indicazioni Wonca) da sperimentare secondo una progettazione consequenziale ( es.: AFT e UCCP).

Occorre ri-argomentare la “complessità” dell’agire medico scrollandosi di dosso gli errori/orrori “normativistici” accumulati dal 2005 a tutt’oggi.
La sfida lanciata dai cambiamenti in atto ( ad es.: la medicina di base quasi tutta al femminile) costringe l’assistenza territoriale e le cure primarie a trovare nuovi assetti in grado di continuare a garantire quella deontologia, equità e l’universalità che possa rispondere all’estrema e crescente problematicità delle persone e del contesto ( es.: relazioni con i diversi livelli istituzionali e le infinite diramazioni dell’attuale potere decisionale).

Sarà sempre più importante comporre squadre autonome ( territori o AFT o Nuclei di Cure Primarie) di colleghi in grado o disposti a lavorare in team ( il micro team può essere uno slogan congressuale o pubblicitario; l’équipe applicata operativamente in medicina generale è culturalmente errata ). Cambiare il modo di lavorare è imperativo ma questo richiede una profonda modifica dell’intero processo decisionale a livello territoriale. Solo una autonomia organizzativa professionale può migliorare la qualità. Ogni gruppo di mmg appartenenti ad un territorio ( quartiere, zona, AFT, NCP …) deve poter elegge, con modalità scelte dal gruppo stesso, un proprio referente che abbia essenzialmente funzioni di servizio per tutti i colleghi senza nessun altro ruolo gerarchico. Solo il referente liberamente eletto rientra in un disegno progettuale considerato adatto per le cure primarie e non possono essere individuate altre figure o modalità elettive ( contrariamente a quanto attualmente in discussione relativamente all’articolato dell’ACN) per il pericolo di creare, ancora una volta, anacronistici e destruenti conflitti di interesse.

Se l’attività del mmg non diventa inoltre attrattiva anche dal punto di vista occupazionale, organizzativo e remunerativo si continuerà a formare professionisti ( che costano allo stato circa 250.000-300.000 euro ciascuno) che svilupperanno una gran voglia di volare all’ estero ( ai test di medicina in inglese nel 2018 si sono presentati 7660 studenti; quest’anno 2019 si sono presentati 10450 aspiranti).

A fronte dell’emergenza dettata dalla carenza medica, nell’ambito delle cure primarie, è possibile recuperare una ipotesi di progetto organizzativo territoriale definito affiancamento pubblicato in epoca pre-Balduzzi (web 2011: Nuovo patto-contratto tra i medici professionisti della sanità territoriale e il SSN).

Percorso tradizionale per ottenere la convenzione in medicina generale:
- Graduatoria Regionale provvisoria ( prevista nel mese di settembre)
- Graduatoria Regionale definitiva ( prevista per il mese di dicembre)
- Pubblicazioni delle zone carenti ( prevista per il mese di marzo azienda per azienda)
- Graduatoria degli aventi diritto aziendale ( prevista per luglio con assegnazioni delle zone carenti per preferenza, accettazione o rifiuto). In caso di rifiuto di una zona carente il medico
avente diritto rientra nella graduatoria regionale con il punteggio già ottenuto al quale possono eventualmente essere aggiunti ulteriori aggiornamenti.
- Attivazione della convenzione con apertura dell’ambulatorio ( prevista entro l’autunno).
6 - Obbligo per il medico neo-convenzionato di rimanere c/o l’ambulatorio oggetto della convenzione per almeno 2 anni . Scaduti i due anni può richiedere trasferimento in una nuova zona
carente avendo priorità di scelta.

Percorso affiancamento:
1 - Un medico ultra 65 enne ( detto Senior) o un medico con problemi di salute documentati attiva la zona carente virtuale on line in tempo reale
2 - Secondo la graduatoria regionale e provinciale definitiva il medico avente diritto (detto Junior) può scegliere o non scegliere l’ipotesi affiancamento in regime di assegnazione di
Convenzionamento/borsa formativa
- Rinunciando all’ipotesi affiancamento il medico che si trova al primo posto della graduatoria regionale/provinciale definitiva non perde nessun diritto e resta nella stessa posizione già guadagnata
in graduatoria
- Il medico Senior può chiedere di attivare il medico ( Junior) inserito al secondo posto in graduatoria ed eventualmente, in caso di nuova rinuncia, progressivamente si scorre la graduatoria
- Il medico Junior può prendere servizio attivo istantaneamente
6 - Una volta che medico Junior sceglie la via dell’affiancamento svolge un colloquio orientativo ed esplicativo con il medico Senior al quale seguirà un periodo di prova di 6 mesi
7- Svolto il colloquio e il periodo di prova sarà il medico Junior a decidere se proseguire nell’esperienza oppure interromperla immediatamente dopo il colloquio o dopo i sei mesi o prima.
- I due professionisti conducono la gestione dell’ambulatorio in modo paritario, non esistono gerarchie se non una normale relazione deontologica tra collega esperto ed uno entrato da poco nel sistema convenzionale nello stesso modo ci si può accordare in colleganza per gli orari ( che possono essere ampliati quasi ad arrivare ad un H12 diffuso su tutto il territorio nazionale ) e per le visite domiciliari, le cronicità, la palliazione territoriale, le collaborazioni con altri colleghi e servizi ecc .
9 - Questo formula permette di poter seguire un numero maggiore di assistiti ( fino a 2000) semplificando od abolendo l’istituto del numero ottimale così come quello degli ambiti stabilendo una netta semplificazione del turnover in medicina generale di base detta “uno esce-uno entra”.
10 - La borsa formativa del medico Junior è stabilita dall’abolizione delle incompatibilità, dalla quota capitaria relativa all’aumento degli assistiti oltre i 1500 del medico Senior, dall’incremento delle
attività aggiuntive e dai programmi-obiettivo condivisi dai due medici ( Senior-Junior ) o dall’aggregazione di appartenenza
11 - Al momento del pensionamento o della cessazione dell’attività del medico Senior il medico Junior ha accumulato un punteggio tale da permettergli la prelazione relativa alla zona carente creatasi ( verosimilmente corrispondente ad un trasferimento) nello stesso ambulatorio singolo o AFT/NCP o aggregazione e può insediarsi immediatamente pur dovendo gradualmente rinunciare alla quota eccedente il massimale ( non può acquisire nuove scelte fino a che non viene raggiunto il massimale posto al momento a 1500 assistiti).
12 - Questo percorso differisce da quello tradizionale per il fatto che il medico Junior che ha esercitato la possibilità di prelazione dovrà rimanere in quell’ambulatorio/AFT/NCP o aggregazione per almeno 5 anni prima di poter chiedere un trasferimento.
13 - Il sistema dell’affiancamento può trovare un suo naturale posizionamento ottimale nelle aggregazioni ma è attuabile anche dai medici singoli. È’ applicabile su tutto il territorio nazionale e da questo punto di vista non crea differenziazioni professionali ed assistenziali come invece può capitare per altre iniziative/organizzazioni della medicina generale.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)

FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

11 ottobre 2019
© Riproduzione riservata


medicina di base

Quella medicina di base comunque dimenticata

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 24 settembre 2019

medicina di base

24 SET - Gentile Direttore,
l’estate che ci lasciamo or ora alle spalle è stata fantasmagorica per la velocità con cui sono stati rappresentati alcuni avvenimenti politici che, oltre ad aver confermato ancora una volta la teoria della velocissima contrazione spazio-temporale contemporanea, condizioneranno profondamente anche le varie “sensibilità” sindacali.  Ora c’è anche un nuovo Ministro della Salute. Le precedenti Ministre pare non abbiano lasciato opere da tramandare ai posteri.
 
Nonostante ciò appare quantomeno inopportuna la recente firma della pre-intesa, una delle tante, di ACN ( Accordo Collettivo Nazionale per la Medicina Generale) che frettolosamente ha preceduto di qualche ora la nomina di colui che attualmente è a Capo del Dicastero della Sanità. Si conferma così l’andamento negativo in merito al riordino della medicina generale che si trascina affannosamente da decenni senza idee e innovazioni a prescindere dalle dichiarazioni propagandistiche ed enfatiche proclamate da alcune OOSS più assuefatte a percorrere i corridoi dei palazzi per interessi parziali che impegnate ad affrontare le problematiche della professione nel suo complesso.

Segni e sintomi del malessere socio-sanitario professionale ( che esplicita anche la grande fragilità dello stesso medico di famiglia) sono stati analizzati in infinite occasioni da eccellenti commentatori ( invecchiamento, cronicità, contrazione spazio-temporale, modificazioni etiche ( P.Muzzetto, 2019), cambio generazionale, modifica di genere nella professione, rapidissima innovazione tecnologica bio-medica, priorità della finanza sull’economia, disorganizzazione e carenza professionale). Questi colleghi, volenterosi e inascoltati, per anni hanno argomentato in modo appassionato di riforma ( I.Cavicchi 2019), di nuovi paradigmi, di modelli di welfare di comunità ( da non confondere assolutamente con il welfare aziendale) e progetti ( processo decisionale in carico esclusivamente al territorio).
 
La salute e la sua organizzazione territoriale periferica ( sanità) rappresenta un banco di prova psico-sociale che può essere esplosivo e può produrre guai irreparabili se dovessimo trovarci in assenza di uno dei più importanti ammortizzatori sociali.

La politica continua a non interpretare l’investimento nel welfare ( A. Rosina 2019) di comunità come un reale e produttivo investimento sociale cioè come strumento che consenta ai cittadini non solo di creare benessere ma di contribuire a generarlo a costo di costruire accordi sociali con le imprese generative a garanzia delle caratteristiche distintive della medicina generale di base.. L’ assenza di una strutturazione consolidata di questi passaggi culturali politici/sindacali suggeriti a più riprese dagli esperti costringe tutto il sistema a navigare da tanto tempo a vista dimostrando l’incapacità della politica di programmare e di decidere saggiamente ( S. Zamagni, 2015), di leggere il fenomeno nella sua complessità tanto che le continue spinte emergenziali producono solo risposte semplificate ( sbagliate) e carenti di collaborazione leale tra istituzioni, società civile/comunità e imprese generative disposte a collaborazioni etiche socio-sanitarie.
 
Come molti cittadini anche i medici di medicina generale si sentono smarriti, fragili e disorientati dall’incapacità che le istituzioni dimostrano nel rispondere in modo adeguato ai bisogni assistenziali delle persone e all’incolumità esistenziale dei loro cittadini e dei medici stessi.

Tutto ciò ha palesato quanto oggi sia distaccato il potere ( la possibilità di fare le cose e di concluderle) dalla politica ( che dovrebbe decidere quali cose dovrebbero essere fatte dal potere). La politica non ha più il potere. A volte pare in grado di esprimere solo parole generatrici automatiche di documenti retorici. Alcune forme di potere sono completamente autonome dal controllo politico con percorsi decisionali indipendenti dal confronto e dalla discussione tanto che il parlamento viene coinvolto solo per ratificare decisioni prese in altri percorsi oppure la politica esprime elementi decisionali molto circoscritti, periferici, nepotistici sostanzialmente inutili ed inefficaci per l’economia sanitaria generale delle comunità.
 
La preoccupazione più grande è quella di perdere tutto ciò che è stato costruito in tempi lunghi e con responsabilità per lasciare una eredità di benessere e di qualità della vita per chi verrà dopo.  Non si può nascondere che qualche esperto o qualche medico di medicina generale testimone della professione vorrebbe poter ricoprire una posizione di potere per poter dimostrare cosa è possibile fare e come si possa portare a compimento un riordino appropriato delle cure primarie territoriali. Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi potrebbe riuscire (A. Einstein).

Il nostro SSN è uno degli ultimi al mondo ( W. Ricciardi, 2019) che offre , soprattutto nella medicina generale di base, una copertura universale, una completa gratuità (o quasi), l’assenza di discriminazioni per reddito ( o quasi), residenza, confessione, orientamenti sessuali e politici, libero accesso ( o quasi) ma è destinato all’estinzione se si continua a non ascoltare gli esperti e i testimoni che possono vantare una caratteristica esperienziale non improvvisata, più meritoria che meritocratica.
 
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria), FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti)

Regione Emilia-Romagna

24 settembre 2019
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Cure primarie, la rifondazione che non c’è

Articolo a cura di Maurizio Andreolli, Bruno Agnetti, Ernesto Mola
(Centro studi Smi - Sindacato medici italiani)

Pubblicato su Sanità 24 - Il Sole 24 Ore il 30 giugno 2016

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La nuova “trovata” è l’assistenza medica h16. Ma possono l’atto di indirizzo prima, e l’Accordo di lavoro-Acn che ne consegue, contraddire il Patto per la Salute e la “Balduzzi”, che prevedono chiaramente un’assistenza territoriale H24, distinguendo tra 118 e guardia medica? Crediamo di no: la convenzione della medicina generale non può dettare norme in contrasto con la legislazione vigente. Le Aft partono così col piede sbagliato. Esse rappresentano, nei fatti, la generalizzazione obbligatoria dell’associazione monoprofessionale tra medici di medicina generale, più volte criticata per la sua inconsistenza, buttando alle ortiche la medicina di gruppo, che ha rappresentato fino a ora l’unica forma di aggregazione che ha funzionato.

Teoricamente la Aft potrebbe essere formata da medici che lavorano da soli, che si raccordano funzionalmente per garantire l’H16, per cui un cittadino, per poter ottenere assistenza in mancanza del proprio medico di famiglia, dovrebbe fare lo slalom tra più ambulatori per trovare quello disponibile. Il referente dell’Aft sarà remunerato attingendo a uno dei Fondi già in essere, determinando così per contratto una riduzione, anche se modesta, della retribuzione contrattuale. Il Fondo per gli accordi regionali (che ammonta attualmente a circa 40 milioni di euro) sarà infatti quasi completamente assorbito da questa voce. Una smaccata riallocazione di risorse in favore di pochi. Ma non è l’unica criticità sul piano retributivo. Mentre la quota capitaria rimane tristemente invariata rispetto al 2010 (e che rinnovo contrattuale è, senza un minimo incremento retributivo!), nella quota variabile delle Aft confluiscono tutti gli incentivi previsti per associazioni e personale di studio previsti dall’Acn 2005.

Queste risorse dovranno essere ripartite tra tutti i medici di medicina generale, dato che la partecipazione alle Aft è obbligatoria, mentre prima erano attribuite a coloro che garantivano più avanzati livelli assistenziali. Se la matematica non è un’opinione, se recupero risorse dal 50% dei medici che godevano delle indennità aggiuntive per ridistribuirle al 100%, per forza di cose la quota che ciascuno potrà ricevere si riduce alla metà.

È vero, c’è la norma che salvaguarda le retribuzioni attuali, che saranno dunque “cristallizzate” in un nuovo assegno ad personam, che non potrà però più incrementarsi né contrattualmente né per un eventuale aumento delle scelte. In pratica si sta programmando nel tempo, con il pensionamento dei medici più anziani, una rilevante contrazione della retribuzione contrattuale dei medici di medicina generale.

I nuovi assegni ad personam inoltre assorbiranno tutte le risorse che dovrebbero concorrere al fondo per le Aft che quindi come potrà essere finanziato? Le uniche risorse disponibili provengono dalla contrazione del numero di occupati in continuità assistenziale. Se i turni si riducono di circa 2/3, dato che i turni notturni copriranno dalle 20 alle 24 invece che dalle 20 alle 8 del mattino, avremo nel tempo un ridimensionamento di pari misura delle piante organiche a rapporto orario e nell’immediato il mancato rinnovo degli incarichi a tempo determinato. Nel contempo i cittadini subiranno la scomparsa dell’assistenza medica notturna e il Ssn l’intasamento delle chiamate al 118 e dei pronto soccorso ospedalieri. Il ruolo unico dei medici delle cure primarie, che dovrebbe essere inteso come inserimento a tempo pieno nella medicina generale, è stato ridimensionato a incarico di 24 ore, con le quali dovranno essere garantiti i turni serali e festivi e i “buchi” negli orari di apertura degli studi medici in modo da garantire la assistenza nell’intera giornata.

Le Uccp, poi, sono le grandi assenti in questa convenzione. Vengono genericamente definite “forme organizzative complesse” multi professionali (quindi con specialisti di varie discipline e altro personale), con sede di riferimento all’interno di strutture pubbliche individuate dalla Regione, e alle cui attività “partecipano” obbligatoriamente, non è ben chiaro come, i medici di delle cure primarie. L’articolo 7 dice poco sulle Uccp e glissa del tutto su organizzazione e finanziamenti di tali strutture, demandati quindi per intero alle Regioni. Ciò approfondirà il solco esistente tra i diversi Ssr. Ci sono poi altri aspetti criticabili: le tutele, gravemente carenti, se non peggiorative rispetto al precedente Acn (gravidanza ecc.), ma anche la formazione obbligatoria, i provvedimenti disciplinari, le regole della contrattazione e della rappresentanza.

Questa “bozza di Acn” è disarmante: la rifondazione delle cure primarie non è nemmeno accennata, riducendosi alla previsione di Associazioni funzionali territoriali che si riducono solo a un vuoto coordina- mento mono professionale. Ci auguriamo che si tratti solo di una ipotesi di massima, buttata lì per saggiare le reazioni, perché è evidente che non si prefigura nessun miglioramento dell’offerta assistenziale ai cittadini.
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http://www.slideshare.net/DottorAgnetti/progetto-mosaique-verona