La sanità pubblica nazionale e locale dopo il Covid, quale futuro?
Articolo di Bruno Agnetti pubblicato su La Repubblica Parma il 17/11/2021
Il ruolo del Governo Draghi nei fondi per la sanità
La questione sanitaria incalzata da una parte da un governo tecnico di salute pubblica e dall’altra dalle criticità organizzative regionali e aziendali per altro accresciute significativamente dalla pandemia (tuttora in atto).
Quando si legge che vi saranno sostanziosi finanziamenti per il Servizio sanitario nazionale che per effetto del noto titolo V può essere considerato essenzialmente regionale è necessario eseguire una severa azione di ragioneria contabile in quanto la quota a disposizione di regioni e Ausl sarà molto inferiore a quella annunciata in quanto una importante fetta di queste risorse dovrà essere utilizzata per risanare i debiti causati dalla pandemia.
Nella condizione di fuoco in cui il paese si trova questo Governo è costretto a mettere in essere un sistema per distribuire ricchezza ma prima di poterla elargire, questa dovrà essere prodotta.
Un presidente del Consiglio come Mario Draghi non ha particolari interessi a perseguire un consenso politico a breve termine e quindi non è costretto a spendere soldi per procacciarsi voti ma appunto è orientato ad investire per aumentare ricchezza per il paese e così poter governare la ripartizione. Questa è la direzione che pare aver imboccato questo Esecutivo.
Credere quindi che un incremento del Fondo sanitario nazionale corrisponda a realtà significa coltivare un’illusione se si analizza il bilancio passivo creato dal Covid che riassorbirà in larga parte almeno per quest’anno l’incremento previsto di due miliardi.
Le tante criticità del sistema sanitario locale
Tutto ciò è palesato dalle continue e incomprensibili scelte organizzative aziendali: apertura e chiusura dei centri vaccinali, ricerca confusa di un coinvolgimento dei medicina di medicina generale per le vaccinazioni domiciliari che in alcuni casi hanno creato l’obbrobrio delle liste d’attesa nella medicina generale per le altre patologie non Covid sia ambulatoriali che domiciliari e intasamento dei Ps, incertezza sul ruolo futuro degli Usca che una lungimirante visione governativa aveva istituito forse per rimediare a mancanze strategiche locali e per proteggere la professionalità olistica dei medici di medicina generale verso tutti gli altri assistiti, ricerca del prezioso contributo strutturale e operativo del privato che pare diventato determinate per i cittadini ora e domani, negligenza nel ricercare suggerimenti operativi variegati ancorché non ufficialmente ricompresi nei tavoli trattanti proprio perché in regime di commissariamento straordinario, completa superficialità e disattenzione che ha condotto a non concludere assetti organizzativi/contrattuali convenzionali fondamentali per poter ottenere una serenità professionale e assistenziale, un commissariamento aziendale ancora oscuro e tuttavia riconfermato quando in momenti di criticità la trasparenza dovrebbe essere imperativa, aziendalizzazione e unione tra le due aziendale cittadine pubblicizzati come se fossero bisogni fondamentali espressi e non espressi dai cittadini e dai clienti interni ed esterni.
Il commissariamento dell'Ausl
Alcune delle pregresse osservazioni meritano di essere comunque ri-evidenziate: a Parma ci sono molte problematiche irrisolte, irrisolvibili o confuse riportate in quasi tutti i Consigli comunali od oggetto di numerosi confronti tra maggioranza e minoranza ma nulla rimane più allucinante nella sua incomprensione politica del commissariamento dell’Ausl.
Cosi come inizia a essere tediosa la ripetuta filastrocca spesso centrotavola delle narrazioni delle alte dirigenze delle due aziende cittadine che sostiene che tutto va bene, tutto funziona bene e che le soluzioni organizzative attuate sono le migliori possibili. Sarebbe interessante poter svolgere un referendum popolare su queste affermazioni.
A questo punto con una sanità pubblica che appare smobilitata è lecito supporre che non ci siano risorse e nemmeno strategie per la medicina generale detta di base a livello locale e a livello nazionale in quanto, nella prossima finanziaria non ci saranno le condizioni dignitose per rinnovare i contratti del pubblico impiego, tanto meno quelli del personale sanitario, dei dirigenti medici e, buoni ultimi, dei medici convenzionati che dovrebbero essere il fondamento del servizio sanitario nazionale.
La vacanza contrattuale perdura ormai da otto anni: è una situazione che non si è mai vista nella storia del lavoro e delle professioni e che lascia senza parole. Senz’altro vi saranno interessi opachi atti a mantenere una situazione di questo tipo che permette alle regioni e alle aziende di diramare normative e delibere autonomamente come surrogati di rinnovo di pezzi di contratti lasciati inevasi nella loro completezza.
Un politico che si rispetti e che abbia a cuore il bene comune non si comporta così. Ed è quindi prevedibile che la sfiducia e la delusione possano tradursi in una riduzione dei consensi ( come la drastica diminuzione della partecipazione al voto fa chiaramente comprendere).
Infatti alla fine di questa partita governativa prettamente tecnica e con obiettivi ben determinati al governo del paese succederà inevitabilmente un governo politico. Questi governi e chi li guiderà saranno espressione di maggioranze più o meno composite, potenzialmente anche eterogenee, in un sistema elettorale proporzionale, che comunque guarderanno ai vari interessi economici e sociali rappresentati dal loro elettorato.
Non bisogna dimenticare che il welfare (sicurezza e benessere) e il servizio sanitario nazionale rappresentano la più formidabile macchina di consenso elettorale ancora in mano ai partiti. Nonostante la pessima figura di cui alcuni assessorati e aziende (con distretti e dipartimenti di cure primarie) danno prova, va comunque chiarito che la modifica del titolo V, l’abolizione delle aziende sanitarie, l’autonomia delle aggregazioni territoriali, l’innovazione del sistema assistenziale integrato di tutto il territorio, il riordino delle funzioni degli assessorati perché diventino istituzioni di garanzia dell’universalità dell’accesso al servizio sanitario, non sono al momento all’ordine del giorno.
Al posto di sorpassate certezze di apparato (che potrebbero illudersi di concorrere per ruoli di primo cittadino) occorre diventare illuminati statisti che sappiano costruire strategie e linee politiche molto inclusive e trasversali, prospettive programmatorie di lungo respiro e che sappiano indicare la strada migliore possibile per il futuro del bene comune.
Il ruolo della medicina generale di base
Si è dimostrata fasulla l’informativa diffusa come una sorta di strumento di distrazione di massa, o una apparente minaccia, quella di operare al fine di trasferire tutta la medicina generale convenzionata alla dipendenza (comunicazione delle Regioni) ipotizzando così una quadratura del cerchio a soluzione di tutte le disfunzioni territoriali (attribuiti nei documenti alla medicina generale quando in realtà probabilmente dipendono da un disordine organizzativo delle aziende stesse).
Quel documento delle Regioni non solo affermava baggianate offensive insinuando che i disservizi avvenuti durante il Covid dipendessero dalla scarsa governabilità dei medici di famiglia che essendo convenzionati e liberi professionisti non si potevano obbligare a svolgere le mansioni ideate monocraticamente o testardamente o consociativamente dalla regione o dalle aziende (ma quanti medici di medicina generale si sono ammalati di covid e quanti sono morti?).
Anche una persona senza nessun titolo politico capirebbe come possa essere velleitaria il passaggio a dipendenza della medicina generale convenzionata a causa dell’enorme impegno economico che partirebbe dall’allineamento contributivo con l’Inps e proseguirebbe con una revisione della attività dipendente della guardia medica a 38 ore settimanali e che comporterebbe un costo complessivo a un datore di lavoro di un dipendente medico cioè di un professionista (nella normativa in vigore si definisce dirigente) che può oscillare dai 70mila ai 100mila euro annui per soggetto.
È evidente che l’operazione oggi appare estremamente velleitaria, impossibile e, forse irresponsabilmente provocatoria (causa di disagio sociale) al fine di ipotizzare nel breve periodo una esternalizzazione e una privatizzazione di molti servizi assistenziali di base.
Una illuminata parte pubblica (Governo e Regioni) dovrebbe invece pensare a modelli innovativi e a tappe intermedie che possano fare avvicinare l'organizzazione delle cure primarie e della medicina generale alle risposte necessarie rispetto alle nuove domande di salute.
Nel secondo millennio la conformazione sociale e le esigenze sanitarie o socio-sanitarie sono radicalmente cambiate ed è nozione diffusa quanto i determinanti di salute e il prolungamento dell’aspettativa di vita, spesso in buona salute, abbiano una importanza sostanziale sul benessere stesso e sulla componente economica (Covid docet).
La sanità e il Pnrr
Il Pnrr richiama con più precisione il tema della domiciliarità, della fragilità, della presa in carico dei pazienti non autosufficienti.
Encomiabile valutazione che forse, la solita persona senza cariche politiche avrebbe già affrontato ai primissimi segnali di globalizzazione e delle conseguenze che stavano avvenendo proprio sotto casa, nel suo quartiere (glocalizzazione) già dalla fine del primo millennio.
Sorge spontanea una domanda: quale strutturazione organizzativa potrebbe accollarsi questo onere e questa responsabilità?
È innegabile che le soluzioni non possano essere quelle di provvedere a un progetto in conto capitale che prevede presidi ingegneristici architettonici (case della comunità) ma di processi decisionali che mettano in campo spesa corrente cioè finanziamenti strutturati nel tempo, poste di bilancio dello Stato, perché le risorse umane necessarie ad assicurare i servizi di prossimità alla nuova domanda di salute possano condividere saperi ed esperienze in continuo apprendimento e quindi costantemente aggiornate e adeguate al mutare della scienza medica e della complessità sociale.
Le pregresse esperienze delle Case della Salute o di alcuni Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, che potevano rappresentare un pallido esordio di una innovazione assistenziale territoriale e di prossimità, sono stati deludenti.
Non è il luogo per proporre una disanima di questi esiti che richiederebbe ulteriore spazio ma certamente il fallimento di certe prove tecniche dipende da tre-quattro elementi: lo smaccato consociativismo; la cattiva abitudine gestionale culturale di costruire muri e inserire poi i professionisti alcuni si e altri no; la discriminazione o la differenziare che in questo modo si è prodotta in professionisti e assistiti; il non considerare fondamentale la costituzione di aggregazioni che primariamente si scelgano tra di loro (tra professionisti) in base a un patto/progetto iniziale di vera integrazione tra operatori che possa poi gradualmente svilupparsi nel tempo in relazione alle esperienze; la mancata sperimentare di una forte autonomia dei sistemi aggregati; il non aver mai pensato di risolvere storture normative banali che trascinandosi nel tempo hanno impedito lo sviluppo delle potenzialità delle aggregazioni (informatizzazione imperfetta); il non promuovere una forte autonomia delle varie categorie di professionisti nella costruzione dei progetti assistenziali, calando dall’alto normative e regole troppo distanti dal contesto operativo quotidiano.
Come bisogna rispondere alle nuove domande di salute? Che impegno economico comporta? Qual è il modello organizzativo più coerente alla teoria della complessità?
Sono temi che solo una visione sistemica/olistica può affrontare e che può abbozzare una possibile standardizzazione di prodotto che non vagheggia protocolli o algoritmi custodi assoluti di verità ma che siano tracce per costruire percorsi di team in grado di affrontare una complessità assistenziale territoriale impareggiabile proprio in quanto olistica e molto lontano dalle impostazioni riduzionistiche aziendali e regionali (la teoria della complessità, Giorgio Parisi premio Nobel per la fisica 2021).
Di tutta questa problematica non può essere in qualche modo incolpato il Governo attuale a forte trazione tecnica. Quando Draghi legge che l’Italia è al di sotto del 10%, rispetto all’Europa, nell’assistenza domiciliare è inevitabile che deliberi immediatamente un investimento perché si raggiunga la percentuale di riferimento poi, essendo un economista, non ha importanza per lui come questa percentuale europea venga raggiunta oppure esternalizzata o glacialmente protocollata o privatizzata.
Perché non è Draghi che deve indirizzare le scelte di ordine politico sanitario ma è compito di un ministro che eventualmente ascolta con molta attenzione la prima linea operativa.
La piramide gerarchica politica (in particolare regionale e aziendale) oggi fa altro, è distante anni luce da quello che giornalmente affronta la categoria dei sanitari di trincea.
Tutti oggi parlano di ridistribuire la ricchezza ma qual è la finalità di questa distribuzione: quella di rinforzare la Ausl, i distretti, i dipartimenti di cure primarie comunque sideralmente distanti dalla realtà e dispensatori di certezze e verità assolute e lineari?
Queste esperienze in gran parte fallimentari non potrebbero aspirare a designare un sindaco per la città. Occorre uno statista che sia in grado di affrontare la solitudine, la povertà, la famiglie mononucleari eventualmente con disabilità fisiche o mentali, gli appartamenti mono-bilocali inadatti spesso per Adi complesse, le cure palliative, l’assistenza comune quotidiana di attesa e di iniziativa, l’estremo rispetto per gli operatori ed i professionisti.
La strada futura (saranno necessari 2-4-6 anni ma quella sarà la via) dovrà considerare come distribuire la ricchezza all’interno del welfare intercettando in modo adeguato un contesto complesso e non lineare ricercando in piena collaborazione, rispetto reciproco, abolizione completa del consociativismo gli strumenti più adeguati quali autonomia, progettualità condivisa, aggregazioni eccellenti nelle relazioni e nell’apprendimento reciproco.
Come è già capitato con le case della salute anche con le case della comunità ci si potrebbe trovare difronte a cattedrali nel deserto rischiando, ancora una volta, di non rispondere ai bisogni espressi e non espressi e di buttare soldi dalla finestra.
E’ necessario comunque chiarire che questo aspetto non è un problema di questo Governo. All’esecutivo interessa mettere in piedi i canteri, l’edilizia, gli stipendi, l’aumento del Pil e degli occupati che alla fine useranno i loro soldi perché aumenti la ricchezza collettiva, il prodotto interno lordo e conseguentemente la possibilità di redistribuire la ricchezza prodotta in servizi per la collettività.
Per evitare che le risorse che saranno investite, vengano sperperate in operazioni di bassa cucina politica, è necessario coinvolgere gli esperti nel campo della complessità assistenziale (ad esempio i medici di medicina generale) e affidarsi alle loro idee innovative e sempre orientate alla tutela degli interessi comuni.
Nessuna riforma della medicina generale se non si capisce la sua complessità
di Bruno Agnetti
10 NOV - Gentile Direttore,
non vi sono dubbi che il momento è estremamente favorevole al germogliare (tardivo) di numerose trattazioni sulle questioni relative alla medicina generale territoriale e alla sua organizzazione (scatenate dai contenuti del PNRR e da altri documenti di regioni, conferenze, agenzie e gruppi apparentemente spontanei/indipendenti ma con pregresse precise bollinature) a seguito della globale deturpazione pandemica.
Per anni illustri e apprezzati commentatori hanno perorato, inascoltati, la necessità di addivenire a una riforma in grado di affrontare la questione medica nelle sue molteplici fenomenologie al fine di rendere la categoria abile a contrastare le sfide organizzative ed assistenziali che inevitabilmente sono determinate da strutturazioni sociali globalizzate e multiformi.
Tuttavia molti di questi recenti elaborati non riescono a superare il nucleo critico (complesssità) che dovrebbe essere a denominatore di ogni argomentazione perseverando in una sostanziale estrema debolezza culturale e scientifica. In particolare sono i documenti istituzionali a trascinare nel baratro delle panzane anche coloro che sventolano la bandiera dell’indipendenza intellettuale in ambito delle cure primarie.
Giuseppe Giusti affermava che “Il fare un libro (o un documento, aggiungo io) è meno che niente, se il libro fatto non rifà la gente”.
Il tema della complessità di questa “impareggiabile” professione non può essere più tralasciato (nella 833/78 il termine “complessità” non compare mai una volta) nelle analisi e nelle ipotesi progettuali attuali sulla medicina generale territoriale pena il pericolo di stratificare interminabili banalizzazioni ben rappresentate dall’espressione “bla, bla, bla”.
Occorre essere consapevoli come la teoria della complessità (Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica 2021) manifesti l’essenza della medicina generale territoriale e della sua funzione “incomparabile” per non rischiare l’incuneamento verso opinioni insignificanti.
Durante il periodo Covid molti uffici collegati alla medicina generale sono stati ridotti o chiusi. Anche alcuni Distretti o funzioni (il Distretto è una articolazione territoriale fondamentale del governo aziendale, il luogo della formulazione della committenza, dove si esprime il fabbisogno di assistenza territoriale in forma residenziale, ambulatoriale, domiciliare ed ospedaliera, ricompresa nei Livelli Essenziali di Assistenza, e funzionale allo sviluppo di nuove e più incisive forme di collaborazione e di relazione tra Azienda ed Enti Locali) sono state chiuse ma pare che nessuno se ne sia accorto.
Sorge spontanea una domanda in parole poverissime: a cosa serve un Distretto?
Una comunità (“titolare del diritto alla salute”) attraverso i propri rappresentanti non può negoziare direttamente con il SSN (non con il SSR) la promozione della “sua” salute.?
Il quesito è palesemente retorico in quanto l’applicabilità del titolo V e la maestosa produzione di delibere regionali e aziendali a strenua difesa di questo “privilegio” rendono impossibile qualsivoglia modifica o una compiuta dialettica democratica partecipativa in campo sanitario.
Don Lisander (Alessandro Manzoni) sosteneva di conversare con 25 lettori. Come già ricordato più volte queste nostri modesti esercizi letterari non hanno l’ardire di andare oltre ad un ben più ristretto numero di colleghi cultori della medicina generale territoriale e del riordino delle cure primarie.
Ora il fondamento del problema (che tra le altre cose palesa anche una certa ambiguità insita nel terzo capoverso dell’art.12 del Codice Deontologico Medico 2021) è inevitabilmente dato dall’essenza della professione medica (in questa riflessione riferita in particolare alle cure primarie) che è ontologicamente “complessa” più di ogni qualsiasi altro sistema.
La contraddizione più eclatante deriva dal fatto che i sistemi complessi non hanno ancora trovato una intellegibilità determinante e la sola modalità di lettura scientificamente accettabile al momento resta quella sistemica/olistica.
Da questo punto di vista nasce l’importanza dell’idea progettuale organizzativa del welfare di comunità, della medicina basata sull’esperienza e sull’apprendimento continuo e di un sistema di verifica (rendicontazione) collegato ad esso attraverso il meccanismo della collegialità ma fatalmente fa emergere anche la riduttiva posizione del concetto di “appropriatezza”. Al di fuori di questi strumenti di lettura restano solo le teorie scientifiche relativistiche e probabilistiche ma indeterministiche.
Pensare di rappresentare sistemi complessi (spesso composti da più complessità sovrapposte e concomitanti) attraverso descrizioni di tipo lineari alle quali vengono attribuite valori di verità e di capacità previsionale senza considerare la loro insita approssimazione ( protocolli, algoritmi, linee guida, EBM su cui si basano scelte politiche programmatiche “invarianti”) significa compiere operazioni di divulgazione o semplificazione estremamente fragili che si avvicinano di molto ad affermazioni irrazionali false ( che secondo Popper andrebbero gradualmente eliminate per avvicinarsi il più possibile alla verità).
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna
10 novembre 2021
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Dopo il Covid nulla sarà come prima...sarà peggio
Dopo il Covid nulla sarà come prima...sarà peggio
28 OTT - Gentile Direttore,
il pessimismo del collega Enzo Bozza (Il Pessimismo della Ragione) può tormentare ma ricordando il breve attribuito ad Andreotti: a pensar male si fa peccato ma…All’elenco delle ragioni oggettive proposte dal collega (anamnesi e esame obiettivo) è possibile aggiungere una ipotesi diagnostica e una conseguente terapia.
L’ipotesi diagnostica coinvolge necessariamente i responsabili della situazione organizzativa in atto (abbondante consociativismo fruito negli anni, gestioni aziendali e regionali sventurate). La terapia suggerisce la produzione di una quantità massiccia di anticorpi a difesa dalla malasorte. Il prodotto amministrativo guasto di questi anni dovrebbe essere relegato in un museo storico a futura memoria di ciò che non si dovrebbe mai nemmeno ipotizzare di fare nel terreno dell’assistenza primaria.
Oculati mmg anche con minime infarinature di economia spicciola avrebbero dato per scontato che una intelligente organizzazione della medicina generale avrebbe creato rendimento e influenza concreta sul PIL in tempi medio-lunghi. Qualcuno infatti ha affermato che immaginare una efficace riforma del territorio sarebbe stato sovrapponibile alla scoperta di un nuovo efficace farmaco per os contro ogni forma tumorale (senza effetti collaterali) o ad uno sbarco sulla luna. Il riordino/riforma territoriale riveste una importanza tale che non può essere lasciata in mano alle stesse alte dirigenze, agenzie, istituzioni, assessorati che sono riusciti a ridurre questa parte del Sistema Sanitario nello stato in cui si trova. Tuttavia sono proprio questi enti che emanano un documento al giorno per spiegare ossessivamente che ci si deve tutti armare ma solo quelli in trincea partiranno e periranno. Per scaravoltare l’iceberg (Bozza) occorre agire su forze naturali enormi molto resistenti a cambiamenti di equilibrio stabiliti da leggi fisiche.
I corposi documenti “correnti” fanno molto affidamento su elementi che si sono strutturati nel tempo e con dovizia di ripetizioni spiegano ai mmg come fare per annullare le propria professione controriformando sviluppi culturali, professionali e assistenziali passati completamente nel dimenticatoio (nessun confronto). Tutto ciò evidenzia comunque una fragilità culturale indicibile che è attestata dal continuo reiterare concetti “obbligatori” finalizzati a inculcare l’inevitabile contro-riforma che è stata già messa in forno.
La superficialità e l’arroganza dell’insipiente è presa in grande considerazione e scambiata per arguto decisionismo. Così la professione è condotta per mano dai ”dotti, medici e sapienti” approssimati, impreparati, carenti di valori imprescindibili. (da una riflessione di Gianfranco Ravasi). Non si può pretendere o pensare che le cose possano cambiare se la produzione dei documenti “fondamentali” ripropongono la stessa minestra riscaldata messa in forno dagli stessi cucinieri che da 20 anni propongono lo stesso menu (da una riflessione di Albert Einstein).
C’è però anche l’ottimismo di chi è convinto di influire sui processi decisionali già confezionati (ed infornati) e che afferma che non sarà più come prima (Nulla sarà più come prima. QdS, Asiquas, 25 ottobre 2021). Basta guardarsi attorno e partecipare alla vita quotidiana dei mmg per essere certi che sarà sicuramente peggio perchè nessun apprendimento virtuoso è derivato dal covid.
Una attenta lettura dell’articolo (Nulla sarà come prima…) vorrebbe rappresentare plasticamente quello che i mmg potrebbero attendersi nel prossimo futuro ma tutto ciò richiede una trattazione a parte per lo spazio a disposizione e per le argomentazioni contenute nel testo che si presentano estremamente eloquenti (gestione “convenzionata” territoriale da parte di soggetti del Terzo Settore o della Cooperazione Sociale, ma anche di Assicurazioni e Fondazione Bancarie, intermediazioni tra il “welfare aziendale” e le reti sanitarie private, quando non gestiscono a presa diretta ospedali o strutture diagnostiche) ed insieme alla “sanità integrativa” si “aprirebbe così positivamente una nuova porta per un ingresso organizzato del privato nei SSR.
Il che potrebbe essere anche utile se le condizioni di confronto o competizione tra pubblico e privato convenzionato fossero giocate alla pari mettendo i manager pubblici nelle condizioni di gestire in modo efficiente, efficace e appropriato e soprattutto sostenibile le aziende sanitarie” (Nulla sarà come prima…).
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna
28 ottobre 2021
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L'integrazione multiprofessionale e multidisciplinare territoriale vs l'epidemia della cronicità
Elaborato multimediale utilizzato a supporto dell’intervento del relatore Dott. Bruno Agnetti durante gli stati generali della Sanità in Emilia Romagna.
A cura di Bruno Agnetti e Alessandro Chiari
Centro Studi Programmazione Sanitaria – SMI Emilia Romagna Sindacato Medici Italiani
Con la partecipazione di: Bruno Agnettti, Maria Antonioni, Barbara Bezzi, Alessandro Chiari, Eugenio Isgro, Michela Mirandola, Luisa Vastano e Giuseppe Campo.
Prima pubblicazione: anno 2014
Per la parte di temi di più forte attualità, consiglia la visualizzazione dal minuto 3:15
Tutti parlano dei Mmg ma pochi sanno di cosa parlano
Tutti parlano dei Mmg ma pochi sanno di cosa parlano
19 OTT - Gentile Direttore,
vorrei soffermarmi sulla fregola diffusa in queste ultime settimane di organizzare convegni o incontri sui capisaldi contenuti nelle note documentazioni istituzionali di “successo” relative al PNRR, al DM70, al Documento della Commissione Sanità della Conferenza Stato-regioni, al famigerato Art. 8 che risorge dalle proprie ceneri di tanto in tanto, al lunare regionalismo differenziato tutt’altro che sopito.
In questi seminari numerosi relatori ex-cathedra o le varie alte dirigenze aziendali ammaestrano su chi sia il mmg, cosa faccia e cosa debba fare senza avere spesso la minima idea, essendo laici della pratica professionale, di cosa fa un medico di base tutti i giorni (pandemia compresa).
Un collega racconta che molti anni fa aspirando, ingenuamente, ad una politica sindacale partecipativa e collaborativa in favore della professionalità dei colleghi e del miglioramento delle problematiche assistenziali aveva presentato, per le regolari vie burocratiche, 10 ipotesi di progetti innovativi (quasi piccole riforme locali) avvalendosi dalle norme che avrebbero potuto facilitare iniziative sperimentali.
Essendo una proposta che appariva nel complesso non banale, l’azienda propose un percorso di valutazione da parte di una commissione composta da tanti professionisti aziendali specialisti nelle singole materie coinvolte dalle 10 proposte.
Superata con completo successo questa fase di verifica, la pratica è arrivata al Comitato Aziendale. In quella occasione un alto funzionario aziendale ha bocciato l’iniziativa sostenendo in pubblico che l’elaborato non avesse consistenza. Il funzionario o la funzionaria non sapeva però che le idee sperimentali derivavano, pur adattate al contesto locale, da 5 corsi master svolti alla Bocconi in periodo non sospetto cioè quando l’influenza economicistica non aveva ancora invaso le aziende e portato il SSN all’attuale situazione.
Qualche anno più tardi un altro collega con le stesse caratteristiche motivazionali, dopo un lungo lavoro di studio e un coinvolgimento della propria comunità di riferimento, ha presentato all’azienda un intero progetto di Casa della Salute innovativo dal punto di vista strutturale, gestionale e organizzativo in favore di un miglioramento riformativo locale professionale ed assistenziale.
La risposta proveniente dal Distretto (quella struttura che rimane come un menhir inamovibile e dogmatico in ogni progetto di riordino dell’assistenza primaria che apparentemente dovrebbe mediare tra bisogni e produzione dei servizi ma che nella pratica rappresenta l’egemonia prefettizia del mandato regionale… senza Distretto, senza Aziende, senza Assessorati pare crearsi in alcuni commentatori un horror vacui invece di incitare ad un incremento di autonomia e responsabilità professionale) è stata di questo tipo: “no, non si può, voli troppo alto”.
In una delle tante riunioni/convegni ho avuto la fortuna di assistere ad una dissertazione esegetica di un caro amico e collega che, divertendosi, ha argomentato sul tema del “volare troppo alto”. Pare che non esistano criteri e parametri oggettivi per definire in un senso o nell’altro questa dimensione tanto che alla fine la conclusione è stata addirittura imbarazzante: e se fossero, i Distretti, le Alte Dirigenze o gli Assessorati o la Conferenza Stato Regioni ed i loro prodotti documentali a volare troppo basso?
Per ultimo non si può tralasciare una caratteristica trasversale e distintiva della attività professionale del mmg: la complessità.
Nel lavoro del medico di base tutto si muove all’interno di una complessità non completamente evasa dalla medicina basata sulle evidenze, da linee guida, protocolli o algoritmi, da norme, delibere, determine o dalle immancabili circolari. La complessità ingloba la sostenibilità, l’integrazione, la trasmissibilità, la coerenza compossibile tra riforme e valori di riferimento e sancisce a priori il fallimento delle finte innovazioni contro-riformiste (regressività). E’ per questo che non è dato per scontato il saper fare il medico e che i professionisti di questo settore sono sempre disponibili a illustrare possibili soluzioni che non siano rigidamente incatenate alla dipendenza o ad una convenzione ad invarianza organizzativa che non lascia spazio a sperimentazioni di riforma (3ª via).
La prassi e la filosofia epistemologica della medicina generale territoriale contiene aspetti estremamente multiformi in quanto la complessità intrinseca non può mai essere analizzata con modalità lineari perché le numerosissime variabili influiscono costantemente l’una sull’altra in condizioni dinamiche (anabolismo, catabolismo, entropia, entalpia, infiniti feedback…).
Una cultura normativa che non consideri questi aspetti approccerà i sistemi con quella estrema semplificazione che vanificherà, renderà non intellegibile o molto fragile ogni sua possibile ipotesi predittiva sia di processo che di esito (economicismo, appropriatezza, criteri di performance, linee guida, protocolli, algoritmi). L’unico metodo di studio efficace e coerente per osservare i sistemi complessi e i suoi comportamenti emergenti è il metodo sistemico/olistico caratteristico del medico di medicina generale che professionalmente è in grado, anche in pochi attimi, di considerare tutte le possibili variabili in gioco.
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna
19 ottobre 2021
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Dopo il Covid riemergono temi e problemi storici della sanità
Gentile Direttore,
tra evidenze numeriche e nuove incertezze l’emergenza sanitaria, molto lentamente, si sta ridimensionando, se è possibile sperare questo.
Oltre ai temi covid, tamponi, vaccinazioni, decessi (sempre troppi) riprende timidamente a riaffiorare il confronto tra colleghi sulle problematiche professionali: cosa significa essere medico, come sta sviluppandosi la professione nella contemporaneità, perché è necessaria una riforma radicale subito per il breve e poi per il medio periodo.
Come già altre volte è stato possibile evidenziare nella maggioranza dei casi gli elaborati che vengono pubblicati su QS hanno un notevole spessore culturale professionale ma purtroppo una scarsa o nulla influenza su coloro che governano i processi decisionali. I ragionamenti di numerosi colleghi hanno la caratteristica di illuminare e rendere concreto il mondo della sanità invaso ormai da una presunzione salottiera di apparato incapace di slanci, di sguardi che vadano oltre, di prodigi di cui avremmo un insaziabile bisogno.
Una intera pandemia tutt’ora presente pare non aver insegnato nulla. Non si possono rendere facili le cose difficili ma è inutile renderle “inutilmente” più difficili ad es.: non imparando dall’esperienza. Il consenso non potrà più contare su manovre clientelari in quanto gli apparati appaiono inadeguati alla fluidità sociale. Gli scritti rimangono quindi al momento, in attesa di una riforma radicale, esercizi letterari per una ristretta cerchia di medici che mantengono uno spirito critico, restii agli applausi al potere, preoccupati del degrado etico, che tentano di coltivare caparbiamente un punto di vista ulteriore come se fossero artisti di una avanguardia concettuale.
Il mondo della medicina generale territoriale o di famiglia è uno dei tanti rivoli della galassia sanitaria ma dove si è seminato (spero), tocca zappare.
L’aziendalismo ha dimostrato ampiamente la sua inadeguatezza. L’autoreferenzialità e l’autotutela che emergono egemoni da ogni delibera che sia regionale o aziendale ha consolidato l’impossibilità di un ricambio dirigenziale così che da numerosi anni i professionisti territoriali si devono confrontare, inutilmente, con gli stessi soggetti che volteggiano tra una azienda e l’altra di uno stesso territorio o con commissariamenti misteriosi ed inspiegabili che esprimono priorità progettuali dirigenziali sui generis (vedi il Direttore Assistenziale nuovo componente delle Alte Dirigenze AUSL oppure la fusione tra aziende territoriali e ospedaliere).
Sembra la giostra del Monopoli … puoi continuare a giocare ma alla fine girerai sempre in tondo (dopo aver cancellato per delibera le caselle scomode) senza andare mai da nessuna parte. Di tanto in tanto viene riesumato il mitico Art. 8 (Riordino delle cure primarie: modifiche dell’articolo 8 comma 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni) tutt’ora in vigore che ipotizza il passaggio a dipendenza dei mmg.
Nello stesso tempo un’altra legge (legge Balduzzi) tutt’ora in vigore, mai abrogata, non viene mai citata. Su questo tema credo che l’intervento di Giuseppe Belleri (QS del 13 settembre, MMG verso la dipendenza? Sarebbe un guaio) sia oltremodo dirimente.
Puntuale, come sempre elegante e ineccepibile, le riflessioni del Prof. Ivan Cavicchi vanno a chiarire, per chi ne avesse bisogno, le reali ragioni che portano il SSN alla privatizzazione (QS, Le vere ragioni della privatizzazione del SSN, 17 settembre 2021). Potrà apparire paradossale ma in alcune città della Regione Emilia-Romagna la presenza di strutture private convenzionate può superare la percentuale di privatizzazione che può essere rilevata il Regione Lombardia.
Non è il caso di ripetere i temi condivisibili messi in evidenza nell’elaborato ma in estrema sintesi agli autori dell’articolo oggetto delle attenzioni del Prof. Cavicchi (importanti attori del processo decisionale sanitario negli anni topici), potrebbe essere attribuita una nota espressione dell’avanguardia artistica concettuale “Quando mi vidi non c’ero”.
Infine non è possibile non registrare un’altra questione di interesse per il mmg (palliativista di riferimento per il proprio paziente) portata alla ribalta dall’iniziativa di raccolta firme per indire un referendum sull’ Eutanasia legale. Già ne hanno scritto proponendo riflessioni ed approfondimenti alcuni colleghi (Bruno Nicora, QS 15 settembre 2021; Marco Ceresa, QS 1 settembre 2021; Guido Giustetto, QS 3 settembre 2021).
Le informative parlano di percentuali elevate di raccolta firme pro eutanasia legale tanto da ipotizzare un grande numero di persone anche laiche che manifestano solide certezze su questo tema. Coloro che mantengono perplessità o insicurezze rischiano concretamente di diventare una minoranza (nella stagione dei diritti vi sarà uno spazio a protezione delle minoranze?).
Pietro Cavalli con il suo pezzo intitolato “Il dovere morale del medico di procurare la morte” QS, 1 settembre 2021 ci offre considerazioni disamanti, intense e acute (salti “mortali” verosimilmente irrealizzabili) che lo stesso Cavalli definisce meno rilevanti (sic!) e più pragmatiche rispetto ad altre importanti discussioni etiche/deontologiche.
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna
20 settembre 2021
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Eutanasia, referendum e legislazione. Fondamentale il rapporto medico-paziente
(Argomenti, Gazzetta di Parma, Domenica 4 Luglio 2021)
Riprende la raccolta firme al fine di indire un referendum per rendere completamente legale o depenalizzata l'eutanasia. Ci si trova tuttavia ancora in piena pandemia ed è tutt’ora bruciante il disastro bellico subito e la mancata elaborazione di una infinità di addii.
Le coscienze sono ancora scosse.
Dal punto di vista normativo la raccolta firme si inserisce nel tema dei diritti civili che coinvolgono profondamente l’etica di ognuno di noi. Qualsiasi sarà il risultato di questa azione se alla raccolta firme seguirà un referendum e poi una legge gli organizzatori saranno certi di aver arricchito la vita sociale di un diritto in più. Coloro che non condividono questo diritto considereranno di essere stati espropriati di alcune certezze in merito al mistero che avvolge nonostante tutto alcuni aspetti della nostra vita umana. Forse non c’è tema sui diritti civili effettivamente esigibili più divisivo di questo. Sorge spontanea una domanda: "Quante DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento) sono state formalmente depositate negli uffici di competenza dopo l’approvazione della legge del 2017?". Forse la nostra società, dopo la terribile esperienza del covid, meriterebbe probabilmente una grande stagione di pacificazione che potrebbe favorire il pieno utilizzo delle risorse messe a disposizione per la ripresa che dovrebbero corrisponde a tre volte quello dello storico piano Marshall.
A fronte di un sereno rapporto con il mistero «sora nostra morte corporale» indicato dai mistici l’eutanasia resta tuttavia un diritto molto difficile da reggere. L’atto eutanasico non ha orizzonti. Solo il nulla. Il nulla è il nulla.
Lo stesso Dio biblico che mette alla prova il suo fedele
favorito ad un certo punto ferma la mano di Abramo. Ma nulla può fermare il
nulla.
In Canada l’eutanasia è stata legalizzata da poco e già nella letteratura medica (mercatornet) si può leggere che questa pratica ha comportato un significativo risparmio per le casse dello stato tanto che si ipotizza che, se in Canada l’eutanasia si diffondesse ai livelli di Belgio e Olanda, il SSN risparmierebbe fino a 139 milioni di dollari all’anno dovendo curare 8.000 pazienti in meno (in assenza di un adeguato sistema di cure palliative).
In Belgio i minorenni possono accedere all’eutanasia. Non ha
importanza il parere dei genitori. Sono gli esperti e i magistrati a decidere.
Siamo proprio sicuri che in questo campo, tutt’oggi
misterioso come è la morte, si possa ottenere giustizia, equità, imparzialità
da un sistema legislativo/giudiziario?
Lo stesso Bauman considera l’eutanasia un prodotto del
disagio arrogante della post modernità occidentale che nel tentativo di
sopprimere o nascondere la morte cerca di padroneggiarla. Invano.
Cosa si intende per eutanasia (dolce morte)?
C’è l’EUTANASIA PASSIVA che consiste nella sospensione delle
cure necessarie per sopravvivere. Questa pratica è tutelata dal punto di vista
normativo dalla Costituzione e dalla Legge del 2017 (che considera come terapie
oggetto di possibile rifiuto anche l’idratazione e la nutrizione).
C’è la così detta EUTANASIA ATTIVA che consiste in un intervento
medico di somministrazione di un farmaco letale ad un “paziente”che
ne faccia richiesta. Questa pratica è vietata dal Codice Penale. C’è una
azione molto vicina all’EUTANASIA ATTIVA che è il SUICIDIO MEDICALMENTE
ASSISTITO dove i sanitari mettono a disposizione del “paziente”gli strumenti
per togliersi la vita ed è quindi il “paziente” stesso che compie l’ultimo
gesto. Da questo punto di vista la sentenza della Corte Costituzionale
del 2019, nota come sentenza Cappato, ha di fatto legalizzato il SUICIDIO
MEDICALMENTE ASSISTITO tanto che proprio in questo mese di giugno è stata
applicata ad un “paziente” che ne ha fatto richiesta ad Ancona. La
sentenza della Corte Costituzionale quindi depenalizza il SUICIDIO MEDICALMENTE
ASSISTITO fatto salvo 4 condizioni:
- La capacità del paziente di intendere e volere
- La presenza di una patologia irreversibile (epistemologicamente questo tema resta irrisolto se si pensa alla questione biologica dell’anabolismo e del catabolismo cellulare continuo attivo già dal primo minuto di vita che ricerca vanamente un equilibrio stabile tra entropia (disordine) ed entalpia (stabilità) nei sistemi biologici
- La presenza di una grave sofferenza fisica o psichica (è evidente come questo termine resti molto soggettivo e contestuale)
- La sopravvivenza è garantita da trattamenti a sostegno delle funzioni vitali
Secondo gli organizzatori il referendum viene richiesto proprio perché questa sentenza e soprattutto il 4 criterio escluderebbe alcuni “pazienti”, che non usufruendo di trattamenti di sostegno delle funzioni vitali, dalla possibilità di richiedere il SUICIDIO MEDICALMENTE ASSISTITO perché questa azione in questo momento non assolverebbe al 4 criterio già ricordato e comporterebbe quindi reato di omicidio del consenziente o istigazione o aiuto al suicidio puniti dall’art. 579 e 580 del Codice Penale.
La raccolta firme per poter indire il referendum si propone
quindi di depenalizzare completamente il SUICIDIO MEDICALMENTE
ASSISTITO indipendentemente dai 4 criteri richiesti dalla Sentenza
della Corte Costituzionale istituendo cosi l’EUTANASIA ATTIVA
non punibile come omicidio con l’eccezione dei seguenti 3 criteri:
- Persone minori di 18 anni
- Persone inferme di mente o che abusano di sostanze psicotrope
- Persone il cui consenso sia stato estorto con violenza o minaccia o suggestione o carpito con l’inganno (siti internet). Il consenso come è noto prevede il ricorso al consenso informato e/o all’utilizzo del TESTAMENTO BIOLOGICO meglio conosciuto come DAT Disposizioni Anticipate di Trattamento.
Questo ultimo elenco di criteri di “esclusione”
inevitabilmente porta a riflettere sui giovani e sul disagio che spesso
colpisce quell’età che va dai 10 ai 19 anni e che l’OMS definisce adolescenza.
La libertà di decidere per il proprio fine vita, soprattutto
in età giovanile ed adolescenziale, sconfina in un’area immensa, difficilissima
e in parte sconosciuta che coinvolge l’ambito generalmente
indicato come il dolore psichico.
Come la clinica è in grado di poter intervenire sul dolore e
sul prendersi cura del fine vita con le cure palliative così è in grado di
farsi carico del disagio adolescenziale che è una condizione potenzialmente
mutevole. Ciò che serve quindi davvero sono strutture adeguate che siano in
grado di fornire risposte concrete.
Quando un adolescente manifesta il desiderio di morire
postando ad esempio questo pensiero su una chat occorre intervenire
immediatamente ( molti ricordano il fenomeno della blue Whale che per qualche
tempo, dai social, istruiva i giovanissimi a raggiungere il suicidio
attraverso un percorso di sfide autolesionistiche attraverso una
desacralizzazione dell’esistenza ed una spettacolarizzazione della morte).
E’ immaginabile cosa significhi in risorse umane e materiali
organizzare reali prese in carico di queste persone per non favorire la morte
ma per guarire dal desiderio di morte a causa del sentimento di angoscia o
panico che pervade le loro menti.
Desta non poca meraviglia l’utilizzo che viene fatto nei testi che trattano di eutanasia del termine “paziente”. Dopo anni di secolarizzazione e relativismo dove sono stati proposti molti termini per “significare” il rapporto che si instaura tra la persona che si rivolge al medico e il professionista stesso: soggetto, assistito, utente, cittadino, fruitore, cliente … improvvisamente ritorna il termine “paziente”. E noto che il rapporto medico-paziente è di tipo fiduciario, autonomo ed è questa dote che guida a volte per una intera vita questa particolare relazione anche nelle scelte e nelle decisioni terapeutiche. L’eutanasia invece esige un rapporto legale/normativo che richiede una istanza ed una risposta che alla fine è tecnicistica. Si annulla la relazione per l’invasione di campo burocratica. Da questo punto di vista il termine “paziente” pare non essere completamente adeguato ad una trattazione relativa all’eutanasia.
Direttore Assistenziale: come abbiamo fatto senza questa figura apicale fino ad ora?
26 LUG - Gentile Direttore,
quando si avvicina agosto (meglio se il 14) o dicembre (meglio se il 24) l’esperienza insegna che la tecnocrazia monocratica regionale o nazionale (o chi per esse) puntuali come una cambiale o una bolletta (con gli immancabili oneri aggiuntivi per la medicina generale) determinano modifiche gestionali simili a quelle testè annunciate dall’Assessorato alla Sanità della Regione Emilia-Romagna.
Dopo la storica e forse inimitabile delibera sulle Case della Salute del dicembre del 2016, quest’anno l’Assessore Regionale Donini ha dato il via alle grandi manovre per nominare la figura del Direttore Assistenziale all’interno dell’Alta Dirigenza delle aziende sanitarie.
L’impareggiabile delibera sulle Case della Salute del 2016 ha prodotto il risultato di una paralisi completa del programma assistenziale territoriale svolto attraverso gli strumenti delle CdS a causa di un testo organizzativo incomprensibile, fumoso e borioso che ha ostinatamente rifiutato il confronto e la condivisione conclusiva con i professionisti interessati. Infatti la delibera del 2016 ha creato, se possibile, ancor più differenziazioni professionali ed assistenziali tanto che il PNRR ha “dovuto” modificare almeno la denominazione del progetto strutturale in “conto capitale” con il termine Case della Comunità.
La sostanza non cambia in quanto ciò che conterebbe effettivamente è il “conto corrente” sulle risorse umane ma utilizzando un altro vocabolo ed un nuovo acronimo si è tentato di posticipare il verdetto fallimentare sulle Case della Salute nonostante il radioso esordio (2010) proprio in Emilia-Romagna ed in particolare nella AUSL di Parma. E’ poi mancato la capacità ed il coraggio di innovare e la delibera de 2016 ha definitivamente affossato le potenzialità di sviluppo e di riforma. La recente Mozione del Consiglio Nazionale della FNOMCEO del 23 luglio 2021 ha espresso poi, chiaramente, l’ennesimo parere pesantemente negativo anche sul disegno delle Case della Comunità contenuto nel PNRR.
L’iniziativa dell’Assessorato alla Sanità è stata definita un “discutibile maquillage organizzativo” e ha rimediato una richiesta di dimissioni dell’Assessore stesso (… “a tanta protervia, manifesta miopia e incapacità di svolgere un ruolo istituzionale, l’unica parola che ci sentiamo di opporre è “dimissioni”, subito, senza se e senza ma”) da parte di numerose sigle sindacali. Forse l’Assessore ha confuso l’apparente semplicità sanitaria (“iniziativa che apre l’ennesimo poltronificio ad alto costo”) con la sua “suprema sofisticazione” organizzativa territoriale e professionale che ancora una volta pare spiazzare i verticismi delle piramidi decisionali.
I commenti apparsi su QdS sono stati numerosi: svariate sigle sindacali hanno stigmatizzato le strane manovre relative alla raccolta firme ”spontanee” a sostegno del progetto dell’Assessorato; gli Ordini dei Medici della Regione hanno bocciato l’iniziativa; molti singoli colleghi hanno espresso le loro preoccupate perplessità; “…certi metodi di ricerca del sostegno plebiscitario…ricordano tristissimi tempi passati, non degni della storia di questa regione” (OOSS ospedaliere e territoriali); “ approfittando forse della confusione pandemica,( la Regione ndr) decide di istituire nuove figura apicali e conseguenti nuove strutture ” (Pietro Cavalli).
Non è necessario quindi in questa sede ripetere argomentazioni già pubblicate da vari commentatori anche perché, come gli eventi dimostrano da anni, ci si trova comunque sempre in ambito di “esercizi letterari” che possono incuriosire qualche lettore di nicchia ma che non sono in grado di delineare nessuna influenza nei confronti degli apparati monocratici verticistici e decisionali di un Servizio Sanitario che lentamente ma inesorabilmente scivola verso la privatizzazione anche della medicina territoriale.
“E’ del poeta in fin la meraviglia” apprendere comunque ora, nell’estate 2021, in piena pandemia (l’emergenza sanitaria è stata prorogata fino a 31dicembre 2021 così come lo smart working di uffici e funzioni collegabili all’ambito sanitario) che in tutti questi anni il Servizio Sanitario ha marciato senza questa nuova figura apicale.
Di norma sul territorio i medici di medicina generale da anni cooperano in piena armonia con gli infermieri territoriali nei così detti NCP (Nuclei di Cure Primarie) e dimostrano, quotidianamente insieme, una capacità organizzativa in grado di risolvere autonomamente problematiche impreviste proprio perché medici e infermieri operano in team paritari e nel reciproco rispetto. Da questo punto di vista, modificando i punti di riferimento e di co-operazione l’ipotizzata Direzione Assistenziale potrebbe generare confusioni operative e focolai di conflittualità professionale nell’attività assistenziale territoriale: di questo non se ne sente certo il bisogno.
Attualmente in Regione il Responsabile del Servizio Assistenza Territoriale (la funzione denominata anche “Direzione generale cura della persona, salute e welfare. Servizio di Assistenza Territoriale” è stata da anni ricoperta da Antonio Brambilla e poi, per un breve periodo, da Luca Barbieri) è Fabia Franchi già Direttore dell’Azienda di Casalecchio di Reno, infermiera e caposala.
In ogni AUSL e AO le funzioni di quello che ora si intende far rientrare nel ruolo del Direttore Assistenziale (componente dell’Alta Dirigenza) è da sempre stato svolto dal Direttore Sanitario.
Ogni Azienda include già ora, tra i propri responsabili, il Direttore del Servizio Infermieristico e Tecnico che sovraintende una struttura complessa.
Infine l’Azienda Ospedaliera/Universitaria di Parma ha immediatamente aderito alla sollecitazione dell’Assessorato alla Sanità deliberando in data 23 luglio 2021 l’assunzione di 9 dirigenti le Professioni Sanitarie: due Dirigenti delle Professioni afferiranno alla Direzione Sanitaria (verosimilmente in staff) e sette Dirigenti delle Professioni Sanitarie sono riservati all’assetto gestionale organizzativo dei singoli Dipartimenti aziendali ( non è chiarito nella delibera se dirigeranno strutture semplici o complesse).
L’obiettivo principale è quello di consolidare gli aspetti organizzativi in considerazione dell’unificazione delle due aziende AUSL e Ao tanto che la stessa designazione delle Dirigenze Professionali viene ritenuta “essenziale” per la regia del Dipartimento Assistenziale.
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti)
Regione Emilia-Romagna
26 luglio 2021
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Management “sanitario” o management “per la salute”
21 GIU - Gentile Direttore,
la citazione del professor Borgonovi relativa alla scritta postata sulla maglietta di un giovane che partecipava ad un incontro religioso è senz’altro di grande effetto “Dio esiste. Rilassati. Non sei tu”, ma teologicamente non è senza imprecisioni. Infatti secondo Genesi 1,26 “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò”.
C’è da supporre che questo uomo qualche cosa orientato al bene comune dovrebbe farlo. Il tema però ci porterebbe troppo lontano dalla questione “aziendale” in sanità. Il termine “azienda sanitaria”, per come percepiscono le dinamiche profonde e spesso incomprensibili i così detti clienti interni, è assimilato a strategie di risparmio esasperato, ideologico così come è diventata funzionale, a questo obiettivo economico, l’organizzazione piramidale monocratica sottostante. La ipotizzata complessità “di persone, con persone e per le persone” si è purtroppo smarrita in una dilettantistica e semplicistica creazione dottrinale degli organigrammi progettati e realizzati ormai da troppi anni e intrecciati con filastrocche di parole magiche dimenticate a memoria.
Forse una azienda, soprattutto se pubblica, dovrebbe essere a servizio di una impresa (ad es.: individuale come può essere l’attività del medico di base che tipicamente è un sistema aperto che scambia le proprie risorse continuamente con l’ambiente per perseguire lo stesso obiettivo: produrre un valore detto benessere o salute - vedi albero Wonca -) mai il contrario pena la creazione di una delle tantissime contraddizioni presenti nel SSN e soprattutto nei SSR.
Un sistema monocratico è in piena contraddizione conflittuale con i sistemi aperti che hanno la tendenza bio-psico-sociale a perseguire una “certa” stabilità che tende ad autoregolarsi in favore della persistenza. Lo stato di equilibrio però non viene mantenuto nemmeno per un secondo. Si ricrea quindi un nuovo disordine (entropia) che poi ricerca immediatamente un’altra sua staticità (entalpia). E così via per tutta la vita.
Ogni essere vivente svolge questa continua “vibrazione” tra catabolismo e anabolismo, rinnovandosi continuamente: non è più quello di qualche secondo prima e non è ancora quello che sarà dopo. Ora è un’alta cosa. La mancanza di un continuo feedback (che potremmo indicare, all’interno di una organizzazione aziendale piramidale monocratica, carenza assoluta di autocritica) crea disordine organizzativo, gestionale e un clima relazionale non ottimale. E’ nota la famosa frase di lord William Thomson I barone Kelvin che non si può migliorare ciò che non si può misurare anche se molte misurazioni “dogmatiche” sono avvenute nei decenni recenti sotto la furia della globalizzazione e dell’aziendalizzazione dimenticando, nella sanità, molte altre aree dimensionabili.
La difficoltà di stimare dei valori non dovrebbe rallentare la ricerca in questo campo. Credo che l’etica, l’equità, la morale, la deontologia, la filosofia sanitaria, l’epistemologia e, non per ultima una laurea ad honorem proprio in medicina, rientrino di diritto nell’ambito dei valori (estrema sintesi del curriculum del Prof. Ivan Cavicchi). Sodalizio commovente e mirabile che espone senza dubbio la cultura assistenziale e territoriale in un’area non perfettamente commensurabile ma che è a sua volta la quinta essenza del vero welfare di comunità, giunzione anche estrema tra la capacità produttiva del mmg (impresa autonoma singola o in aggregazione) e una spiritualità o laica religiosità profondissima. Così come altrettanto intensa e credente è la proposta alternativa all’aziendalismo di Zamagni.
A questo punto si potrebbe anche riflettere sulla capacità che alcune Università di Economia hanno avuto in questi decenni di influenzare il SSN ed in particolare quello di alcune regioni.
Personalmente, in tempi non sospetti e proprio all’inizio dell’esperienza Cergas, ho seguito, autofinanziandomi, numerosi corsi manageriali e master, per tentare, inutilmente, di portare nella mia azienda un po’ di cultura meritoria a fronte di tanta meritocrazia autoreferenziale. Le certezze granitiche non hanno mai lasciato spazio di manovra alcuna. E quindi si sono accumulate le contraddizioni che tutt’oggi tutti i medici di base hanno sotto i loro occhi.
L’Ausl della regione che vede sul suo territorio più Case della Salute di qualsiasi altra provincia che però trascina con se una differenziazione assistenziale e professionale ; che ha raggiunto performance di risparmio farmaceutico tra le migliori; che ha collaborato a lungo con Università Economiche per formare i propri dirigenti e i professionisti al “management sanitario”; che ha prodotto i così detti Profili di Nucleo con l’appoggio di Università straniere; che ha promosso progetti di ecografia generalista ( anche se per pochi); che si avvale di numerosi consulenti scelti tra i mmg dall’alta dirigenza… questa Ausl è stata commissariata nell’intera alta dirigenza durante la prima ondata pandemica senza che la popolazione o i professionisti sappiano ancora il perché e pare che l’obiettivo più importante, sempre in tempo di pandemia e di vaccinazioni, sia l’unione tra l’Azienda Usl e l’Azienda Ospedaliera/Universitaria e la principale preoccupazione sia, nelle nomine, quella di assicurare la continuità in momenti che necessitano di forti discontinuità.
Privilegiare chi vuole innovare in questi tempi dovrebbe essere imperativo.
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna
21 giugno 2021
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