case della salute

Per una filosofia delle cure primarie

Gentile Direttore,
in un articolo del 3 novembre il prof. Ivan Cavicchi ha sostenuto che fosse, in primis, necessario dire almeno qualche verità sulla situazione attuale del SSN per pensare ad una efficace riforma sanitaria. Questa ricerca della verità può essere facilitata in periferia dove i professionisti e le comunità possiedono una abilità originale nel leggere la professione e l’evoluzione sociale. All’origine della cultura occidentale sono state proprio le colonie ioniche o quelle della Magna Grecia che hanno contribuito alla sua diffusione più di quello che aveva fatto la madre patria (Atene).

Il tema dell’integrazione può essere un esempio emblematico di come la periferia riesca a superare di molto le elaborazioni istituzionali burocratiche. Molti mmg hanno creato spontaneamente reti di relazioni che permettono di operare in modo integrato. Il servizio territoriale del SerDP da sempre realizza un’integrazione quotidiana, strutturata tra medici, psicologi, servizi sociali, attività educative, infermieri, iniziative sperimentali ed innovative con volontari ed assistiti. È un modello ben rodato, interno al SSN, che avrebbe potuto essere utilizzato come schema formativo ed operativo per altri servizi territoriali e per la medicina di base indipendentemente dalla presenza o meno di strutture in conto capitale (Case della Comunità).

Malgrado questo le istituzioni (soprattutto regionali e aziendali) fanno a gara per ricercare modelli “esotici” di riordino del sistema di integrazione territoriale. In questi ultimi anni è cresciuto sempre di più, tanto da diventare “di tendenza”, il modello brasiliano (sic!). Qualche tempo fa erano “di gran moda” le Case della Salute spagnole o la pianificazione delle Cure Primarie portoghesi: a guardar bene sistemi completamente diversi dall’attuale SSN Italiano (es.: i mmg in quei paesi sono dipendenti).

Desta veramente meraviglia come i decisori possano essere così masochisti e incapaci di ascoltare o di vedere ciò che di prezioso c’è nel nostro territorio. Questa interminabile autoreferenzialità delle oligarchie porta il tutto al macero.

L’elenco delle contraddizioni inattendibili contenute nei documenti sanitari ufficiali e nelle elaborazioni delle agenzie culturali sono numerose. Si possono ricordare solo alcuni temi.

Il PNRR pur essendo uno “strumento finanziario” viene considerato dai più una riforma.

Il DM77 che palesemente “non spicca per innovazione” trascinerà comunque con sé per anni le incoerenze strutturali e regressive negli ACN, negli Accordi Regionale e in quelli Aziendali/locali.

Il concetto di “governance” è diffusamente percepito dagli operatori come un termine completamente sovrapponibile ad una rigida forma di governo di controllo assoluto e autoritario pur ammantato da affabilità.

“L’assistenza centrata sul paziente” è e sarà inesistente come dimostrato delle infinite, irrazionali e antiscientifiche liste d’attesa.

Finta è la valorizzazione delle comunità, del volontariato, del terzo settore ma anche dei professionisti di periferia che vengono coinvolti nel processo decisionale ex-post, in senso consultivo e solo se funzionali a quanto già deciso nei palazzi.

I Distretti raffigurati come “mera articolazione organizzativa delle Aziende” hanno dimostrato negli anni di essere fortemente regressivi e di non saper leggere i bisogni delle popolazioni, tuttavia continuano ad essere osannati ed incensati come elementi di innovazione.

I commissariamenti che perdurano da anni anche in realtà considerate eccellenti (luogo comune?) restano incomprensibili perché, indirettamente, avvallano il pensiero che in quei territori non vi siano individui in grado di svolgere le funzioni istituzionali stabilite dalle normative.

La questione della dipendenza o della libera professione convenzionata dei mmg non è “futile” ma sostanziale in quanto “l’orizzonte degli eventi” si modifica radicalmente. Anche se solo si trattasse del “diritto di critica” del dipendente che può essere esercitato solo all’interno di precisi limiti (come da sentenza della Cassazione 17784/2022) e, se non rispettati, un eventuale esternalizzazione avversa può essere soggetta alle conseguenze di una Commissione Disciplinare Aziendale.

Le Case della Comunità (in conto capitale) sono in affanno per la difficolta di armonizzare le “mura” con un conto corrente (cioè la funzionalità quotidiana strutturata). Forse perché contradditorie, inadeguate ai bisogni dei territori, generatrici di discriminazioni professionali e assistenziali, ideate up-down prima ancora di sapere cosa e chi contenere. Il sistema è in difficolta e pare non poter essere equanime nell’offrire, a tutti i mmg che dovessero fare richiesta, una CdC. Gli edifici detti edifici “spoke” sono palesemente inadatti tanto che non possono nemmeno essere considerati equivalenti ad una semplice Medicina di Gruppo ben organizzata. Se si analizzassero adeguatamente i bisogni dei territori ci si accorgerebbe che le CdC, sia “hub” che “spoke”, non potranno mai risolvere i problemi anche se il martellamento pubblicitario esercitato dagli addetti ai lavori può generare un bisogno (consumistico) nei cittadini senza che questi sappiano di cosa effettivamente si tratta.

Per non parlare, infine, del sistema di formazione continua ECM che, se confrontato con le infinite possibilità di aggiornamento in tempo reale per professionisti interessati alla propria “opera”, appare, quanto meno, arcaico.

Quale “futura riforma” potrà mai essere elaborata oggi dagli stessi soggetti che dominano la sanità da anni e che l’hanno portata alle corde? Non è possibile fare bene ed essere di qualità se ci si è disinteressati della dimensione (spesso inespressa) che caratterizza il contesto e le relazioni tra coloro che vivono la quotidianità territoriale delle cure primarie.

Le numerose incoerenze emergenti richiederebbero la mobilitazione delle forze culturali sensibili al tema della salute, dei professionisti e dei cittadini al fine di ricercare principi di Verità/Giustizia/Etica coerenti, razionali, compossibili. In questo senso una filosofia dell’organizzazione territoriale delle cure primarie può proporsi di utilizzare il sapere (nella sua essenza) a vantaggio della vita delle persone (Platone) e dei professionisti a fronte di una medicina amministrata funzionale solo per agli apparati. Il filosofo infatti assume la medicina come modello di una metodologia per raggiungere il sapere e per uscire dalle contraddizioni derivanti da una conoscenza esclusivamente teorica (es.: burocratico/amministrativo/di controllo) ma priva di aperture sull’esperienza.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

14 novembre 2023
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MMG

Auto determinazione delle comunità di professionisti e cittadini

Gentile Direttore,
nella situazione sanitaria attuale non vi sono dubbi che sia necessaria una “radicale” discontinuità culturale ed operativa, alternativa alle “recenti” innovazioni all’acqua di rosa discutibili già dalla loro prima apparizione. Alcuni arrivano in estremo ritardo a queste considerazioni. Altri continuano a galleggiare sostenendo che è stato fatto ciò che era possibile. Non è mai, comunque, solo una questione di risorse economiche in quanto sono proprio le argomentazioni monetarie che permettono e giustificano il mantenimento delle contraddizioni comportamentali e legislative (es.: Aziende, Mega Aziende, Distretti, ecc.) e la sopravvivenza del loro contro riformismo invincibile. Aggiustamenti o toppe non fanno altro che rimettere la pedina alla casella del via. Crisi economica, inflazione, guerre, riduzione delle risorse, modifiche della geopolitica, della globalizzazione, del clima, intelligenza artificiale… hanno già fatto poi la loro parte sui sistemi sanitari.

Le riflessioni che seguono sono comunque destinate all’ambito delle Cure Primarie.

Ancora oggi, la medicina di base, pur essendo a tutti gli effetti SSN, mantiene una sua autonomia (residua) dagli apparati gerarchici. Il mmg rimane tutt’ora strettamente collegato ai bisogni ed ai sentimenti della comunità degli assistiti ed è proprio l’appartenenza alle zone più esterne dell’impero che, paradossalmente, permette una lettura maggiormente accurata di ciò accade a livello territoriale. I macrofenomeni globali già citati influenzano profondamente la sanità. Nondimeno le ultime documentazioni ufficiali più note e gli elaborati degli aspiranti “capotreni” non hanno liberato le cure primarie da una sostanziale regressione professionale/assistenziale introducendo funzioni sempre più improbabili, discriminatorie e palesemente inadeguate ai contesti ( s.: Case della Comunità hub/spoke scorrettamente mercanteggiate come baluardi a difesa degli accessi impropri al PS quando numerosi studi hanno dimostrato che il mmg pesa, sugli accessi impropri al PS, per il 2%).

Numerosi sono le prove dello scollamento tra istituzioni sanitarie e la realtà. Questo divario è palesato anche dal sistema comunicativo di AUSL o Mega Aziende fondamentalmente costituito da continui annunci, informazioni o messaggi e da incontenibili incombenze urgenti. L’assillo, soffocante, non concede tempo alla riflessione, al confronto, al dibattito incrementando così il disagio di molti assistiti e professionisti. Forse nessuno di coloro che oggi hanno in mano il processo decisionale sa veramente ridurre le criticità sanitarie, non pensa ad un modello assistenziale e resta in attesa che capiti qualche cosa a livello generale (o mondiale?) che indichi o imponga qualche cambiamento. Non è detto che le prescrizioni siano poi positive. Nel 1978 il Parlamento con la 833 non aveva aspettato il parere del mondo e per alcuni anni il nostro SSN è stato considerato il migliore del mondo.

Oggi non c’è solo l’interesse comune. Diversi tornaconti sono talmente intrecciati che non si riesce a distinguere il bene dal male come nel più classico doppio legame. Si possono separare i vimini buoni da quelli cattivi ma alla fine il cesto non c’è più.

Sarà capitato a molti di partecipare ad eventi dove le AUSL celebrano e incensano elenchi della spesa apparentemente “splendidi” ma invisibili, senz’anima, senza amor di patria e senza interesse per il bene comune. Sono annunci che non aumentano la conoscenza ma dimostrano sostanziale indifferenza nei confronti del destino che i professionisti del territorio e i cittadini potrebbero avere.

Quando manca una robusta autocritica non è possibile immaginare un futuro nuovo, diverso e più attento alle modifiche sociali e professionali (compito della politica). Se questa auto analisi non è in grado di vedere ciò che è stato fatto di svantaggioso per cittadini e professionisti non si farà altro che ripetere, senza turbamenti, ciò che è già stato fatto (es.: le Case della Comunità). L’autodeterminazione nel processo decisionale e nel governo clinico di professionisti e comunità non è velleitaria. Senz’altro è radicalmente alternativa. Forse addirittura meno costosa?

Quando nella medicina generale (di base) si passa il testimone ai giovani colleghi ci si preoccupa che tutto il lavoro fatto di presa incarico e di cura per 30-40 anni non si disgreghi o si perda. La trasmissibilità tra professionisti non è data dai contenuti registrati nell’archivio computerizzato ma dalla cultura che li ha accompagnati. Non sono certo annunci eclatanti ma avvenimenti silenziosi, poco spettacolari che forse creano comunità proprio perché generano una propria cultura speciale. Svilire questo patrimonio di conoscenze vuole dire contribuire alla distruzione delle comunità già molto provate. Tuttavia, le comunità stesse sono le prime a ricercare la tecnologia e ad adattarla ai propri contesti. Sarà forse sufficiente ricordare come il volontariato di quartiere Comunità Solidale Parma, in stretta collaborazione con i propri mmg, avesse già nel 2017 proposto alle autorità politiche e sanitarie un disegno progettuale di Casa della Salute “grande” di quartiere che, oltre ai servizi contemplati nei documenti di allora, potesse sviluppare una specifica competenza terapeutica riabilitativa a causa di un incremento di certe patologie in quel determinato quartiere periferico ( malattie neuro-muscolari trattate con esoscheletri, anche in affitto, e robot; patologie neurodegenerative e cognitivo-comportamentali affrontate con stanze virtuali immersive o visori; problemi socio-sanitari adolescenziali, educativi, genitoriali e di dipendenze affrontate attraverso il mondo dei giochi virtuali).

Parafrasando il pensiero di R. Easterlin (Paradosso della felicità) nella medicina generale occorrono nuove organizzazioni territoriali, nuovi criteri, nuove relazioni politiche fortemente radicate nel quartiere, nuove auto-formazioni, nuovi sistemi di apprendimento continuo (team e briefing), nuove forme di auto-valutazione più orientate ad una strategia di welfare di comunità (alternativo al sistema incentivante imperante tipico della appropriatezza prescrittiva o diagnostica) per poter avere un vero impatto sul benessere collettivo anche in periodi di scarsità di risorse.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

03 novembre 2023
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Purché nulla cambi?

Gentile Direttore,
alcuni interventi recenti, tra i tanti che potrebbero essere citati, aiutano e incoraggiano a tentare di ri-cercare, almeno culturalmente, il bandolo della matassa. L. Fassari (La sanità sospesa tra le poche risorse e la paura di cambiare, QS 5 ottobre 2023) ricorda come non sia più possibile la sola manutenzione della macchina… ma occorrono idee e coraggio. Il tenace Prof. I. Cavicchi avvisa i naviganti che di propaganda si può affogare se non ci sono i salvagenti (Di troppa propaganda il Ssn muore, QS 10 ottobre 2023; Bene auspicare una nuova riforma della sanità ma ora servono le proposte, QS 13 ottobre2023).

In merito alla medicina generale molto è già stato scritto su questioni inerenti la “Quarta riforma”, il medico di medicina generale “Autore”, il welfare di comunità. Di attualità è il tema delle Case della Comunità che probabilmente delineano uno dei maggiori abbagli controriformisti: infatti la narrazione unilaterale cela il fatto che le CdC spoke rappresentino, concretamente, un pesante declassamento della medicina di base a causa delle verosimili discriminazioni, strutturate normativamente, assistenziale e professionali.

La potestà dei tradizionali livelli decisionali della piramidale galassia sanitaria ha già deliberato, da tempo, ogni cosa e concede solo qualche residua briciola all’esausto ed impotente dibattito pubblico. Il potere, quando è un potere, si mostra affabile ma inesorabile a difesa del vantaggioso, per pochi, status quo.

A latere delle argomentazioni citate potrebbero meritare una riflessione dialogica alcuni temi apparsi sulle colonne di QS. Considerando però ciò che è capitato (crisi economica, approvvigionamento energetico, transizione ecologica, covid, inflazione, guerra) e sta capitando ( guerra medio-orientale ed altri focolai di guerre “a pezzi” nel mondo) ogni commento casalingo potrebbe sembrare inadatto quando l’equilibrio geo-politico ed economico muta sotto i nostri occhi e trascinerà fatalmente, con se, anche i sistemi sanitari nazionali.

Si è ragionato sul tema dell’ECM. Il programma di Formazione Continua in Medicina (ECM) inizia nel 2002 in conformità con il DL 502/1992 e 229/1999 la cui gestione viene affidata, nel 2007, all’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas). In venti anni di acqua ne è passata sotto i ponti. Le innovazioni tecnologiche e le occasioni per poter usufruire di aggiornamenti professionali in tempo reale sono oggi incredibili. Congressi o eventi in presenza sembrano diventati obsoleti. Eppure l’ECM per i mmg, nel tempo, è cambiata poco o nulla. Forse sono aumentati solo gli eventi “obbligatori” di Ausl e Regioni. Ciò che invece dovrebbero essere valorizzate sono le strategie di apprendimento contestuali e auto organizzate a piccoli gruppi (es.: mmg dei NCP o mmg dei team assistenziali) dove è possibile la circolazione dei saperi. Nell’apprendimento continuo vanno inseriti anche l’organizzazione degli incontri stessi, la partecipazione ai team assistenziali, il coinvolgimento -anche amicale- di esperti, le docenze, le presentazioni, l’elaborazione di articoli, le pubblicazioni, la partecipazione a programmi o progetti, la co-operazione attiva alla vita sociale del proprio territorio… Sarà necessario ripensare un nuovo equilibrio più liberale ed esentato da obblighi punitivi, per altro evanescenti, per gli ECM?

Particolarmente analizzata è stata la questione della sfrenata raccolta “dati” in funzione di una auspicata “qualità”. A tutt’oggi, a livello territoriale, non pare vi sia stato il miglioramento assistenziale atteso. Anzi le criticità incrementano e non sembrano apparire all’orizzonte fausti presagi. È possibile che l’ubriacatura procurata dallo stoccaggio nei “silos” di informazioni in fermentazione produca solo uno stordimento afinalistico. I fatti, relativi agli esiti sull’organizzazione territoriale, dimostrano come persista uno scollamento con la realtà. Il riferimento fideistico ai “big data” comporta, quasi in modo direttamente proporzionale, un incremento di sfiducia nei professionisti mmg (vedi sistemi di priorità continuamente rivisti; le variazioni dei nomenclatori clinici; l’infinito riordino del sistema emergenza-urgenza e il fiorire di splendidi nuovi acronimi tanto cari ai cittadini; il richiamo incessante all’obiettivo di ridurre gli accessi impropri al PS e i ricoveri arbitrariamente attribuiti alla mission del mmg). L’innegabile vantaggio dell’informatizzazione in sanità territoriale si volatilizza se questa è impiegata, essenzialmente, come mezzo di controllo burocratico e non come strumento a sostegno del mmg e dell’assistenza. La creazione di un regime disciplinare orientato a raccogliere esclusivamente informazioni trasforma i professionisti (inconsapevoli) in banali strumenti di lavoro. Alla frenesia comunicativa/informativa non interessa il pensare, il confronto, la relazione.

Sta di fatto che senza i legami sociali non si creano le abilità per dedicarsi agli altri. Senza relazioni libere e fiduciarie si ottiene il paradosso di una “comunicazione senza comunità” enfatizzata proprio dalla narrazione sulle Case della Comunità. Se mancano le relazioni non c’è nemmeno l’attualità perché manca la socializzazione (i dati si possono aggregare fin che si vuole ma appartengono sempre alla sfera singola e non rappresenteranno mai la collettività se non in senso linearmente probabilistico). Tutto ciò facilita l’avvento di regimi gestionali manageriali basati sull’economicismo e con un eticità in grado di dissolvere, anche le persone, in una misera serie di dati ( Byung-Chul Han, Infocrazia, Einaudi 2023).Tuttavia è fortemente diffusa la convinzione che la raccolta dati sia effettivamente vantaggiosa per migliorare i servizi. Le informazioni accumulate, comunque, non sono riuscite ad offrire veri orientamenti sul medio periodo e hanno fallito nell’ambito della coesione sociale e del consenso (zoppica il DM77, zoppicano ancor di più le CdC, addirittura annaspa l’assurdo concetto di spoke …).

Modelli o proposte rivolte ad una soluzione alternativa delle problematiche della medicina generale territoriale (ancora poco appetibile per il sistema privatistico) ed in particolare i progetti elaborati dalla co-operazione volontariato/mmg, (dove si ritiene che la medicina di base sia un “bene comune” per una comunità), vengono disconosciute, ignorate, nascoste, negate dalla fregola che fa correre i portatori dei “loro” interessi ad azzuffarsi per un posto da “capotreno”. Dio non voglia che l’ossessione faraonica di edificare le “proprie” piramidi non sia la causa della fuga dei professionisti che si sentono schiavizzati. Sarà necessario ri-pensare, per le cure primarie, un nuovo equilibrio adeguato al contesto e non agli apparati zoppicanti/anneganti?

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

16 ottobre 2023
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Medicina Territoriale

Innegabili sovrapposizioni tra casa della Comunità e Casa della Salute

Gentile Direttore,
la meccanica quantistica, si sa, è una fra le teorie più controintuitive. E’ strano che una particella possa comparire in due posti contemporaneamente anche a distanze siderali oppure che un fenomeno come l’entropia possa contraddire il tempo potendosi sviluppare in due direzioni opposte: in avanti rispettando il fenomeno dell’incremento del disordine (invecchiamento) ma anche, paradossalmente per il tempo che scorre, indietro o quasi.

Si sostiene che tutto questo dipenda dalla doppia natura delle particelle sub atomiche che sono nello stesso tempo porzioni di materia ma anche onde di energia. Tutto ciò, assicurano i fisici, è stato ampiamente dimostrato e potrebbe valere anche per “corpi” di dimensioni maggiori (batteri, esseri umani, corpi celesti) pur comportando, in questi casi, una documentazione della “sovrapposizione” terribilmente complicata.

Restando con i piedi ben piantati nella meccanica fisica classica non si può dire, come più volte sostenuto ex cathedra, in pubblico, dai cosiddetti esperti del settore che le Case della Comunità siano un netto miglioramento del modello Casa della Salute come è intuitivamente evidente osservando la schematizzazione delle due tabelle sinottiche a fondo pagina (CdS “Grande” vs CdC “hub”).

Il PNRR ha consentito il proliferare di narrazioni normativamente corrette ma soffocanti in favore del fatto che l’innovazione sia data soprattutto dalle Case della Comunità “spoke” (programmate in grande numero) che si collegheranno/integreranno con le Case della Comunità “hub” ( progettate in numero significativamente scarso) così da riproporre un infinito frattale “piramidale” che non ha nulla a che fare con i bisogni delle comunità/quartieri/zone.

Evidentissimo invece il vantaggio per il Distretto inteso non come area geografica ma come apparato amministrativo per altro invocato da molti come modello “salvifico” probabilmente non avendo mai sperimentato i vincoli egemonici possibilmente agiti. Come già approfondito a suo tempo è una questione di potere. Di norma l’obiettivo del potere non può esimersi dall’incremento del potere stesso fino all’esaurimento delle risorse disponibili.

Si replica inoltre la tragedia (a grande richiesta) già sperimentata nella stagione delle Case della Salute. Il racconto, tutto concentrato sulle Case della Comunità “spoke”, nasconde nelle pieghe dell’affabulazione la sventura della differenziazione (alcuni la definiscono discriminazione) professionale ed assistenziale. Infatti non è equivalente o sovrapponibile essere un professionista o un paziente affiliato ad una CdC spoke o assegnato ad una CdC hub in merito a opportunità professionali, servizi o assistenza offerti. Sorge inoltre un dilemma: chi ha deciso dove collocare una CdC hub o spoke? I professionisti? I cittadini assistiti/le comunità? Non sembra proprio ma “Così va il mondo” (Noam Chomsky, Piemme 2017) dove si è portati a ratificare, attraverso alcune ritualità formali, decisioni già prese e comunque separate dalla “policy” del bene collettivo. I cittadini sono intimorirti e smarriti di fronte ai depositari istituzionali “della verità sulla salute” a cui delegano, a causa dello squilibrio di conoscenze e mezzi, senza indugio, le scelte assistenziali/organizzative.

Ciò nonostante, emerge, molto intimo, un singolare pensiero quasi filosofico-stoico: ma è proprio vero che quando c’è la struttura burocratica/amministrativa sanitaria c’è tutto? Si può raggiungere la salute in modo diverso per essere felici? Il benessere può essere conquistato seguendo vie o indicazioni più personalizzate, orientate a stili di vita molto corretti e a sistemi riabilitativi bio-psico-sociali? Per vivere con passione e gusto l’esistenza forse occorre che ci sia qualcosa di grande, un ideale, un bene che renda la vita degna e piena. Paradossalmente per questo ideale spirituale una persona potrebbe essere disposta anche a ridurre la medicalizzazione, sempre più indiscreta, della vita stessa (C. Sanguineti 2021) ed accettare lo scorrere della vita o, se si vuole, la volontà di Dio.

Nel complesso l’impianto normativo sanitario attuale (ACN, DM77, Documenti di Agenzie e di Gruppi portatori di interessi ecc.) appare estremamente fragile, senza fondamenta culturali solide e condivise.

Di tutto ciò è stato appuntato già numerose volte e verosimilmente può non rappresentare nemmeno, dal punto di vista intellettuale, la “questione medica” attualmente più pregnante. Ipotesi e modelli alternativi di organizzazione territoriale sono stati presentati nel tempo da molti commentatori ( il medico “autore”, il vero “welfare di comunità” e l’autonomia territoriale, la dipendenza, rapporto fiduciario e libera scelta, la discrepanza tra la qualità formale, percepita, risultante…).

Mette comunque ora apprensione il destino delle persone che vivono in una comunità che si relaziona, per le questioni di salute, con i propri medici curanti di base. Nondimeno vi è una scarsa consapevolezza, tra gli assistiti, di quello che le normative istituzionali stanno prospettando per il territorio. Il contatto tra cittadini e istituzioni, quando esiste, è sempre estremamente sbilanciato. Le ricchezze esperienziali delle comunità non vengono considerate e si preferisce proseguire con liturgie autoreferenziali addirittura bocciate dalla globalizzazione neoliberalista che tenta di ricostruire un nuovo equilibrio mondiale dopo l’esperienza della pandemia, della fragilità energetica e della guerra. Il coraggio di confrontarsi con i cittadini non si esaurisce in una o due riunioni assembleari annuali. Non implicano nemmeno autorevolezza quelle figure che si autoproclamano rappresentanti dei cittadini o che vengono calate dall’alto dalle onnipotenti aziende sanitarie. Eppure il sapere all’interno dei sistemi complessi come quello sanitario ed assistenziale si crea anche dall’esperienza consapevole degli individui che costruiscono singolarmente più tipi di intelligenze (H. Gardner, Formae mentis, Feltrinelli 1988).

Se la complessità è un dato di fatto è necessaria una pluralità di approcci per comprenderla. Non si può affrontare la complessità con un solo metodo o con un pensiero unico o con modalità lineari rigide e verticistiche/gerarchiche. Le comunità grazie alle “intelligenze multiple” possono costruire con i loro medici di fiducia “la salute dei quartieri” da diversi punti di vista e in modo flessibile. L’autonomia delle comunità nei processi decisionali è sempre più vitale per il servizio pubblico di medicina generale (di base) ed è una netta alternativa alle attuali normative legislative e ai numerosi “stakeholders” molto interessati alle opportunità utilitaristiche che possono emergere dalle normative ufficiali ma che spesso non hanno nulla a che fare con i professionisti e con le comunità territoriali.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV


Mendicanti di senso nell’odierna notte del mondo

Gentile Direttore,
i finanziamenti in sanità sono necessari. Non sono comunque mai sufficienti. Le manovre sono ininfluenti se si pensa di far fronte alla “questione medica” e alla sua relazione con l’evoluzione sociale con gli strumenti economici. Conteggi e stime derivano per lo più da valutazioni amministrative e da esigenze di apparato e non da bisogni assistenziali.

Nella situazione sanitaria territoriale attuale può esserci ancora spazio per poter restaurare quell’unità olistica della medicina di base che il tempo e le controriforme hanno lacerato? Le comunità degli assistiti saranno in grado di ispirare i propri professionisti di riferimento incoraggiandoli verso la “resistenza alla disgregazione culturale” che progetta l’annullamento, per consunzione, della medicina generale territoriale?

La filosofia sociale contemporanea considera che il futuro della medicina di base possa essere simboleggiata da un “bicchiere mezzo pieno” se si considerano le opportunità culturali, sociali, cognitive, scientifiche e anche di ritorno economico ma lo stesso bicchiere viene descritto come completamente vuoto se vengono considerate le capacità dell’attuale organizzazione piramidale regionale ed aziendale di cogliere queste opportunità.

Il sistema sanitario appare come un potere più che un servizio. La potestà è in grado di camuffarsi sotto forme cordiali/amicali rendendo l’egemonia invisibile ed inattaccabile. Molti sanitari sono sedotti dall’affabilità delle Alte Dirigenze o degli Assessorati senza rendersene conto. Questa modalità sistematica di dominio minaccia la capacità dei professionisti di resistere.

L’alleanza con i cittadini e gli assistiti, meno stregati dalle parole magiche e confuse delle aziende/assessorati, diventa una strategia indispensabile per i mmg se vogliono riconquistare “autorevolezza” e autonomia. La medicina generale non ha ancora subito le lusinghe della privatizzazione massiva e quindi può diventare il terreno per una radicale innovazione in senso completamente pubblico. E’ necessaria però una netta discontinuità e una alternativa nei confronti delle esperienze amministrative pregresse e delle recenti normative progettuali che hanno abbondantemente dimostrato la loro dissonanza cognitiva in merito alla salute e all’assistenza considerato bene comune.

Alcuni concetti neoliberisti (globalizzazione) continuano a sostituire molti termini tradizionali collegabili all’agire medico: azienda, produzione, debiti e crediti ECM, le offerte formative (richiamano quelle dei super mercati), prodotti, risparmio, incentivi, concorrenza, documenti “venduti” come riforme, investimenti (anche di emozioni e sentimenti), capitale umano, distretti (come quelli industriali), comitati di indirizzo, tavoli pre-giudiziali e autocentrati, gruppi di progetto…

L’aziendalizzazione sanitaria oltre a palesare una triste mancanza di fantasia comporta il rischio di mercificare relazioni e scambi. In questo disegno ogni limite viene considerato un ostacolo: il pensiero critico, l’approfondimento culturale, la partecipazione e l’autonomia nel processo decisionale del volontariato dedicato, l’abolizione del controllo centralizzato… Come ogni prodotto anche il mmg diventa un bene utilizzabile (paradossalmente si offre spontaneamente come servo volontario a causa di un fatalismo introiettato derivato da cattivi ammaestramenti): la professionalità si dissolve nel calcolo del peso utilitaristico e nella strategia del consenso.

Il professionista non allineato con una sanità di apparato/amministrata viene sistematicamente annullato tanto che, in certe situazioni, si osa addirittura paventare la dipendenza dei mmg come “punizione” per quei mmg che si permettono di non introiettare il pensiero unico (violenza economica?). Non avrai altra organizzazione al di fuori di quella aziendale nella quale la logica di mercato, economicistica e finanziaria furoreggiano pur essendo dogmi senza nessuna tenuta epistemica. L’infinita possibile varietà culturale creata dall’ auto-organizzazione non viene considerata una opportunità o un valore.

Nei documenti più in voga di agenzie, gruppi, istituzioni è difficile trovare, per quanto riguarda la medicina di famiglia, riferimenti alle autorevoli indicazioni dell’Associazione Mondiale dei medici di famiglia/Base (Wonca) così come risulta arduo trovare “valori” in grado creare solide motivazioni. Molti invece sono i capoversi che si preoccupano in modo quasi ossessivo di normative amministrative/finanziarie/di controllo. Le contraddizioni presenti negli elaborati dimostrano la debolezza intellettuale ed etica sulla quale si fondano.

Nulla si è modificato: crisi economica, inflazione, malagestione, covid, consociativismo, governance, oligarchia, DM77, PNRR, “spiegoni” in merito a Case della Comunità, Ospedali di Comunità, distretti, meritocrazia, nuovi acronimi… le incoerenza e le antinomie sono incrementate e un considerevole numero di giovani professionisti viene curiosamente capeggiata da pensionati ex Direttori Generali, ex Direttori Sanitari, ex Direttori Amministrativi, come se le nuove leve non potessero più osare un pensiero autonomo ed innovativo.

L’Italia dei comuni potrebbe riservare grosse sorprese a fronte di alcune esperienze esotiche che popolano le bibliografie di numerosi articoli. Nei secoli XII, XIV e XV l’Italia era uno dei paesi più progrediti del mondo tanto che proprio in quel periodo nasce l’Umanesimo grazie alle condizioni culturali e sociali create dalle città-stato italiane. Il Welfare di Comunità, quello vero, si rifà proprio alla filosofia culturale sociale ed organizzativa dei comuni. Anche negli anni Sessanta l’Italia procedeva spedita con un PIL a due cifre (come quello cinese di un po’ di tempo fa) e come ricordano gli economisti allora c’erano molti imprenditori privati, spesso possedendo la sola licenza elementare ma pochissimi manager. Qualche valore storico i nostri territori possono vantarlo e proporlo come garbato modello organizzativo per le cure primarie territoriali.

La meritorietà ha un valore di molto superiore alla meritocrazia autoreferenziale e consociativistica, è rivoluzionaria perché non è massificante e rifugge la mediocrità progettando futuri alternativi alla narrazione dominante che sostiene l’intrasformabilità e l’inevitabilità di un eterno presente.
La cultura (di un mmg che non si abbandoni alla disperazione e che ricerchi una alleanza con i propri assistiti) sostiene la strategia della resistenza per i “mendicanti di senso nell’odierna notte del mondo” a fronte dell’insensatezza divenuta norma ufficializzata.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

18 settembre 2023
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case della salute

La gerarchia è ineluttabile?

31 LUG - Gentile Direttore,
è nozione diffusa che il nostro sistema democratico sia di tipo rappresentativo. Non è una democrazia diretta. Per temperare una certa incompiutezza del sistema rappresentativo l’organizzazione politica/sociale prevede l’esistenza di molti enti finalizzati a mitigare l’inevitabile distacco che si crea tra cittadini e istituzioni (es.: corpi intermedi e organi sussidiari) affinché questi rappresentino nel modo il più diretto possibile le esigenze popolari. Questo processo acquista un valore particolare in sanità.

Non si può dire che il tema “partecipazione” sia stato realizzato se molti cittadini non conoscono (fatto salvo per gli addetti ai lavori) cosa significhi commissariamento o sub-commissariamento e per quali motivi vengano attivati. Oscure per la maggior parte delle persone sono le definizioni e le funzioni dei Comitati Consultivi Misti e delle Conferenze Socio Sanitarie Territoriali o dei Piani di Zona. A volte il turbinio degli avvicendamenti intra-regionali tra componenti delle alte e medie dirigenze non permettono nemmeno agli addetti di avere interlocutori.

L’esaustiva recente indagine di D. Caldirola (Welfare comunitario o Casa della Comunità: dal PNRR alla riforma dell’Assistenza Sanitaria Territoriale, 2022) non rimuove infine le “antinomie” più volte rappresentate sulle colonne di QS.

Un Welfare di Comunità disegnato così come è raffigurato dai recenti decreti e dai vari documenti non è un vero Welfare di Comunità, infatti il processo decisionale autonomo a livello territoriale in favore di professionisti e cittadini resta un esercizio manierato senza reali innovazioni strutturali; incombe quasi minaccioso su ogni ipotesi di riordino l’idea della assoluta necessità del Distretto come se fosse un mantra intoccabile; i consorzi, molto più comunitari sia dal punto di vista geografico che relazionale e politico, sono inconfessabili.

Il tema del Welfare di Comunità, le traversie del PNRR, la complessità, la gerarchia, la governance, il volontariato e l’auto-organizzazione nelle Cure Primarie possono rivelare alcuni elementi in comune.

Il volontariato.
L’enfasi post Covid mostrata nei confronti del volontariato sembra ora essersi convintamente incanalata verso un ruolo che vede l’associazionismo civile come soggetto “conveniente” per possibili esternalizzazioni dell’offerta sanitaria al massimo ribasso possibile se non alla gratuità. Tuttavia il coinvolgimento del Terzo Settore avviene, nella maggior parte dei casi, rigorosamente “ex-post” secondo la più classica delle interpretazioni aziendali di governance (altra formula magica) a cui si vorrebbe dare un significato opposto a ciò che è nella realtà delle cose cioè un governo monocratico/oligarchico e verticistico.

Cure Primarie.
E’ eclatante come si perseveri (diabolicamente) nel calcolare la medicina di base come baluardo per gli accessi al PS e per i ricoveri impropri quando questo effetto dovrebbe essere un conseguenza secondaria ad una assistenza primaria che, secondo quanto definito da Wonca (2011-2012-2022), venga esercitata secondo caratteristiche specifiche proprie.

Auto-organizzazione.
Tra le varie ipotesi di riforma l’autonoma organizzazione di professionisti “autori” all’interno di comunità “contenute” (mai superiori ai 30.000 abitanti) può rappresentare uno “strumento chiave” per gestire un sistema complesso come è quello della salute (L’auto-organizzazione quale strumento di gestione della complessità, De Toni, 2021).

Complessità.
Lo stesso E. Morin (2005) ha sostenuto che, in un sistema complesso, le azioni alla fine sfuggono alle volontà di chi le ha generate a causa del meccanismo di autoregolazione o feedback (retroazione) così come avviene anche nelle reazioni biologiche o cellulari (catabolismo, anabolisismo, entropia, entalpia). Il principio della retroazione è fondamentale per comprendere la complessità. Quando manca la consapevolezza dei fenomeni correlati alla complessità non potranno mai essere approfondite le conseguenze che le azioni che insistono su questi stessi sistemi possono avere. Ogni azione può modificare l’evoluzione di un sistema complesso con esiti assolutamente inaspettati tanto che è possibile affermare che non esistono spiegazioni definitive ma solo contestuali.

Le strategie storicamente utilizzate dalle Aziende Sanitarie vengono guidate dagli esiti finali attesi perché l’assistenza di base viene considerata come un sistema semplice e lineare (appropriatezza prescrittiva e di diagnostica strumentale, riduzione degli accessi al PS e dei ricoveri definiti inappropriati, Assistenza Domiciliare Integrata/Programmata ecc.). Se invece l’assistenza viene pensata come un sistema complesso la strategia è ispirata dalle condizioni e dal contesto senza che si possa prevedere o attendere un esito ex-ante.
L’organizzazione gerarchica piramidale monocratica/oligarchica è assolutamente inadeguata per far fronte ai sistemi complessi.

Conclusione (leadership, presidio di riferimento, gerarchia, periferia)
Le Cure Primarie Territoriali richiedono la conoscenza del funzionamento dei sistemi complessi. La strategia organizzativa più adatta sembra essere quella dell’auto-organizzazione territoriale (patti tra professionisti e cittadini/assistiti) senza la presenza di controlli o modelli gerarchici centralizzati ( Ausl, Distretti, Assessorati).

Parafrasando il fisico premio Nobel Philip Warren Anderson (1977) si potrebbe sostenere che l’auto-organizzazione territoriale rappresenta il futuro più affascinante per un SSN in ragione della sua infinita varietà! L’autonomia organizzativa/gestionale richiede da parte dei professionisti impegno, innovazioni, intelligenza anche per esercitare una “self-leadership” vocazionale (Chris Lowney 2005) dove la gestione della responsabilità cliniche, relazionali e sociali crea benessere nei professionisti e nei cittadini. In questo modo si crea un “presidio” contestuale di riferimento per la comunità. Un vero Welfare di Comunità. La cultura del controllo centralizzato (es.: dipendenza dei mmg) non potrà mai risolvere le attuali criticità che aggrediscono le Cure Primarie perché ciò che è necessario è la comprensione della complessità e la soluzione è data dall’autonomia e dall’auto-organizzazione dei professionisti a livello territoriale. La gerarchia non è ineluttabile. Al centro non si risolve. Il futuro è in periferia (De Toni 2021).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

31 luglio 2023
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Dente di leone

Le informazioni e i dati da soli non illuminano il mondo

05 LUG - Gentile Direttore,
sia concessa una riflessione sul tema della “pezza peggiore del buco” esortata proprio dalla “teorizzazione dell’acqua calda” (Le ricerche in sanità e l’invarianza dei risultati, QS 26 giugno 2023) vessillo dell’imperitura cultura della conservazione. La metodologia degli annunci relativi alla riorganizzazione delle cure primarie a volte si trasformano in veri e propri scenografici talk show estivi a cui partecipano, molto rilassati, soggetti in grado di offrire originali perle di ovvietà ad un uditorio particolarmente pronto ad accogliere favorevolmente ogni fragilità cognitiva purché derivate da elaborati istituzionali.

Al contrario per coloro che riflettono da tempo in modo discrezionale e argomentato sulla riforma delle cure primarie (come passaggio imprescindibile per il “servizio” salute/sanità) le “aporie” presenti nei documenti ufficiali e nelle varie petizioni circolanti creano situazioni pressoché irrisolvibili. La filosofia politica sanitaria organizzativa non può tuttavia esimersi dal ricercare la ricchezza insita nel territorio (con iniziative testimoniali, crematistiche e paideiche) formulando appunto proposte accorte per un ordinamento alternativo.

Secondo il parere di alcuni estensori dei documenti calati dall’alto o scaturiti da organizzazioni/associazioni nate frettolosamente in ragione e del PNRR, DM77, Metaprogetto, ACN ecc. pare non ci si possa separare dalle teorizzazioni cardinali (es.: esistenza del Distretto) come se il mondo fosse immodificabile e non esistessero forze sociali in grado di far fronte all’appiattimento sanitario globale. Come se tecnica ed economia fossero sempre e comunque sovraordinate, la forma “merce” sembra dominare sui beni e sui valori (es.: … due mezzi medici, QdS, 30 maggio 2023; Case della Comunità e Ospedali di Comunità tutt’altro che di comunità ma più propriamente “di amministrazione”; ipotesi subentranti di una compresenza tra mmg dipendenti e liberi professionisti; ecc.). Per riappropriarsi di virtù oggi non più scontate occorre l’audacia di immaginare possibili radicali innovazioni corroborate da una viva “speranza” (E. Bloch) perché le diagnosi vanno accolte con attenzione ma senza affidarsi completamente alle prognosi.

Valori e principi fondamentali della medicina generale ( Wonca riconferma 2022)

Come se ne esce?

L’elenco delle varie definizioni di “centralità del paziente”, “welfare di comunità” o di “comunità”, di “partecipazione” o di strumenti decotti proprio in quanto infilati nel “sistema” delle AUSL a simulare la presenza dei cittadini o millantare un loro potere nel processo decisionale incrementano solo l’instabilità dei fragili costrutti normativi oggetto del dibattito di questo periodo.

Il primo movimento dovrebbe permettere di pensare che siano possibili le vere riforme (es.: quarta riforma come innovazione del “Servizio” Sanitario Nazionale; Nuovo patto-contratto tra medici professionisti della sanità territoriale e il Servizio Sanitario Nazionale, elaborato datato al 2011, ma possibile traccia per ipotetici, sintetici, leggibili e trasparenti ACN).

La seconda azione riguarda il conoscere bene la complessità della professione del mmg ( l’errore macroscopico diffuso è credere che la medicina generale non abbia una propria specificità, valori e principi e sia in funzione di un efficienza del Pronto Soccorso o un mulino in grado di macinare dati come se già quelli stoccati nei silos in questi 20 anni non siano abbastanza inutili per le persone tanto che hanno fatto esplodere il fenomeno delle liste d’attesa più che incredibili, insopportabili ed irritanti per un sistema costantemente intento a ricercare ogni forma di esternalizzazione leggendo in questo senso “commerciale” forse anche il coinvolgimento del terzo settore ).

Ragionare senza i passaggi necessari e continuare a disquisire su cose che si ignorano, non favorisce la nascita di adeguate soluzioni ( es.: Tavolo Tecnico per lo studio delle criticità emergenti istituito presso l’Ufficio di Gabinetto del Ministero della Salute dell’8 giugno 2023 che pare non aver considerato l’imporsi della medicina di genere tuttavia sicuramente su 18 componenti non è stata individuata una medica esperta sul tema e comunque una presenza competente femminile considerati rapporti percentuali m/f presenti ad es. nel territorio).

I determinanti delle varie crisi possono essere numerosi e forse può essere inserita di diritto, tra queste, la sofferenza della verità in quanto le informazioni e i dati da soli non illuminano il mondo e obbligano le persone a rimanere in una “caverna” che inconsapevolmente appare levigata e confortevole (Byung-chul Han).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

05 luglio 2023
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La pedanteria che a nulla porta

20 GIU - Gentile Direttore,
il solco (…ed ecco quello che scriverei, QS, 12 giugno 2023) ancora una volta dimensiona la distanza siderale che si va accumulando tra coloro che tentano di sviluppare una analisi razionale sulla Sanità/Salute (SSNP) e quelli che si adeguano in qualche modo al debolissimo pensiero unico. Il tema gira intorno alla questione della “sanità” identificato come un “potere” piuttosto che un diritto o un servizio o un bisogno o una entità ontologica (le aziende, le mega aziende, l’aziendalizzazione, i distretti, le sovrastrutture della medicina amministrata non hanno più senso e per questo vanno superate prevedendo Autority nazionali, consorzi locali, autonomie completamente pubbliche nell’assistenza primaria non ancora colonizzata).

Pare che la fatica di divulgare pensieri razionali non porti ad una maggiore diffusa saggezza in quanto il rumore degli annunci autoreferenziali è così assordante e supponente che disintegra nella polvere ogni onesto e pacato tentativo di riflessione approfondita (rivolta al bene comune e alla fruibilità piena dei servizi che corrisponde al godimento dei diritti in una territorialità che sia effettivamente comunitaria).

La prassi pluridecennale della cosiddetta “privatizzazione della sanità” alimenta la sua origine culturale proprio all’interno delle istituzioni pubbliche. Infatti molti ex alti dirigenti sanitari o assessori o “pezzi grossi” della galassia amministrativa sanitaria, una volta terminato il mandato, si sono dedicati al management sanitario privato spesso raggiungendo posizioni da “top manager”.

Paradossalmente si assiste ad un modello biologico entropico in quanto all’interno delle normative c’è già, nascosto, il messaggio genetico che distruggerà lo stesso ente che le direttive asseriscono di sottrarre alla morte.

Queste contraddizioni inevitabilmente diventano poi discriminazioni che coinvolgono professionisti, assistiti, l’assistenza, la prossimità. Esse galleggiano, quasi invisibili, in periferia dove vengono sperimentate sottotraccia. In un secondo tempo la situazione viene formalizzata, normata, deliberata. Lentamente e impercettibilmente, come una chiazza di petrolio contaminato, dai sobborghi arriva infine ai convincimenti centralizzati monologici o alle agenzie che scrivono i testi “obbligando” alla lettura noiosa e pedante priva di slanci e visioni.

Un esempio tra i tantissimi possibili. A microfoni spenti, tutt’oggi, vi sono amministratori che confermano l’inutilità della maggior parte del programma del PNRR che riguarda la materia delle Case della Comunità e il costrutto collegato… in quanto completamente inadeguate alle necessità del contesto. Si caldeggia comunque il piano al fine di non perdere i finanziamenti dedicati. Nascono quindi come l’erba quando piove commissioni, tavoli, regie, coordinamenti, relazioni che a causa del punto di partenza non possono che generare nebbia cognitiva.

Gli amministratori di cui sopra attribuiscono comunque le scelte o le decisioni sbagliate alla governance precedente. Di questo flusso di accadimenti i professionisti della prima linea (troppo impegnati a tentare di prendersi cura delle liste d’attesa attingendo quando necessario a strutture private) e i cittadini non sanno nulla. Chi dovesse azzardare suggerimenti o alternative costruttive verrebbe bollato come uno “scappato di casa” che si è svegliato male la mattina.
Sono rappresentazioni mentali disarmanti ma conformate al pensiero unico.

È un pensiero che non andrà lontano. Le contraddizioni si scateneranno tutte insieme (nelle cure primarie) anche se i manoscritti delle associazioni culturali vogliono rappresentare un futuro vantaggioso. Per chi? Cui prodest? Questi elaborati palesano qualche cosa che somiglia molto ad un “sofismo contemporaneo” indifferente all’essenza e che appare come un “sapere” orientato esclusivamente al mantenimento dello status quo. Covid, guerra, inflazione, incremento della povertà, disagio sociale tutto dimenticato in un attimo. Se non c’è passato non può nemmeno esserci una visione futura.
C’è solo un afoso presente affastellato di nuovi acronimi irrazionali che popolano i documenti ufficiali e le elaborazioni delle associazioni culturali del settore.

È probabile che sia stato raggiunto un limite. Non sono individuabili naturalmente i diretti responsabili salvo non si voglia incolpare di tutto il maggiordomo (governance pregresse).
Ma è proprio necessario condividere il DM77, il Meta Progetto o i pedanti “spiegoni” autoreferenziali diffusi in tutto lo stivale?
Anche la Legge Balduzzi era una legge … che non è mai stata applicata… con il DM77 si è improvvisamente scoperto che la L.Balduzzi aveva, nascosta, la data di scadenza.
Chi ha scritto questi articolati? Quali sono le cause (spiegazioni) di tutto ciò? Senza una causa tutto resta un’opinione apparente e crea un sapere per sua natura instabile apparentemente affabile.

C’è chi propone addirittura modelli esotici come se non esistessero esperienze locali sorprendenti e concrete, con un passato e una visione futura. Non sempre dimensionabili statisticamente. Non inserite in ricerche bibliografiche accademiche o internazionali (essendo locali e periferiche). Non rigorosi nel seguire protocolli o linee guida. Privi anche del conforto della Medicina Basata sulle Evidenze.

Eppure i loro pazienti curati professionalmente e amorevolmente per Covid nel periodo pandemico non sono morti. C’è una verità assoluta nell’esperienza umana del condividere il senso di finitezza che dà al medico e al “suo” paziente una consapevolezza che non ha bisogno che la “centralità del paziente” sia artatamente enunciata (a favore della medicina amministrata che, da quello che si legge su QS, “dipendenza dei medici di famiglia” secondo il Piano del Ministero della Salute…, ha vinto!).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma

20 giugno 2023
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Medicina Territoriale

E pensare che c’era il pensiero

Gentile Direttore,
un personaggio un po’ poeta ed un po’ filosofo nel 1996 ha registrato dal vivo un suo spettacolo nel Teatro Regio di Parma. Da questo recital poi è stato prodotto un album che aveva questo titolo: “E pensare che c’era il pensiero”. In una successiva intervista Giorgio Gaber sostenne come fosse più importante dire la verità ad una persona che molte mezze verità a tantissima gente. Oggi pare che il diffondere mezze verità sia diventato pandemico.

Nelle cure primarie territoriali la questione del pensiero e della sua complessità è strettamente connesso con quello della cura e del prendersi cura (funzione ontologica). Desta meraviglia come sia le istituzioni che le associazioni culturali che tentano di affrontare argomenti complessi decadano nel culto della raccolta dati (dataismo) e dell’autoreferenzialità. Le soluzioni lineari rivelano un conformismo amministrativo destinato inevitabilmente ad un precocissimo invecchiamento.
Cos’è un territorio assistenziale e come percepisce, una specifica popolazione, il bene comune?

In un periodo non sospetto (2010-2014) una associazione di volontariato che opera in un quartiere periferico di una città (Comunità Solidale Parma www.comunitasolidale-parma.it) aveva cercato di analizzare la situazione sociale/antropologica degli abitanti di quell’area dal punto di vista assistenziale. Nel 2015 ha pubblicato sulla stampa locale la conclusione di quelle riflessioni che propugnavano la necessità che, in quel quartiere, dovesse sorgere una Casa della Salute “grande” contenente tutti i servizi e le funzioni previste dalla normativa allora vigente. E’ stato quindi realizzato un disegno progettuale da offrire alle istituzioni locali e regionali. Sono state anche raccolte le firme dei cittadini in favore della Casa della Salute “grande” prevedendo la logistica, l’impatto ambientale, geologico e l’utilizzo di materiali ecologici.

Non vi è mai stato un confronto con le istituzioni su questo tema.
“… il sistema assume oggi una forma affabile, smart, rendendosi invisibile ed inattaccabile … questa tecnica di dominio neutralizza la resistenza in maniera efficacissima” (Byung-Chul Han, Perché oggi non è possibile una rivoluzione, Nottetempo, 2022).

Comunità Solidale Parma è una delle poche associazioni di volontariato in Italia che ha come missione statutaria la promozione e il supporto alla medicina generale territoriale considerata bene comune tanto che l’associazione ha la sede proprio nella sala d’aspetto nella Medicina di Gruppo “Ambulatorio San Moderanno”.

Il mancato confronto può procurare contraddizioni che si sommano ad altre contraddizioni che alla fine producono errori e dimostrano come alcune argomentazioni ufficiali non siano adeguata al contesto sociale in cui vorrebbero calarsi creando così un peggioramento della regressività tra società e sanità ( es.: nel DM77 la parola “cura” viene riportata due volte e sempre in funzione di situazioni organizzative e non come essenza valoriale fondamentale e distintiva).

La macchina in conto capitale delle CdC, OdC, COT pare sia comunque partita con il rischio di fallire.
Chi da anni studia queste tematiche e propone una organizzazione sanitaria territoriale generativa (salute non come costo ma fonte di benessere, ricchezza, economia) sa bene come siano veramente necessari nuovi spazi di pensiero e nuovi modi di vivere la salute, di curare e di prendersi cura. Spazi fortemente alternativi alla violenta tendenza che mira alla cancellazione della complessità.

Nuovi spazi di pensiero e anche ambientali logistici che siano però belli e piacevoli, percepiti come appartenenti alla comunità dei cittadini e dei professionisti perché il burnout non va considerato una malattia occupazionale ma una conseguenza del fanatismo riguardante la prestazione cumulativa/additiva. La prassi della salute pensata e applicata a livello territoriale richiede una solida autostima dei professionisti e dei loro assistiti nelle competenze o abilità cognitive, spirituali ed economiche.

Le capacità professionali territoriali forse potrebbero co-operare se si individuassero idee o progetti, anche sperimentali, in grado di mettere insieme situazioni contrattuali diverse per almeno un medio periodo affinché nuove strategie volte alla salute possano efficacemente ed economicamente affiancarsi agli storici determinanti la salute e alle modalità assistenziali più diffuse.

Da questo punto di vista potrebbero svolgere un ruolo fondamentale i leader professionali (es.: mmg autori) e i leader spontanei delle comunità ristrette e contenute (es.: associazioni di volontariato che si pongano veramente a servizio della comunità avendo però accumulato un curriculum significativo in campo delle cure primarie territoriali). Il fondamentale rapporto tra cittadini e professionisti del territorio, non essendo prestazionale ma fondato sul rapporto fiduciario, sul curare e sulla presa in carico non è riducibile ad una performance facilmente dimensionabile e quindi è meno appetibile dal privato: da questa pietra angolare si può far ripartire una “nuova” sanità che genera salute e capacità economica completamente e genuinamente pubblica a fronte di PNRR e DM77 ammuffiti prima ancora di essere attivati.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS)
In collaborazione con Comunità Solidale Parma

29 maggio 2023
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Burnout

La sindrome del burnout

Gli studi hanno dimostrato che la risposta disadattiva allo stress occupazionale nelle professioni d’aiuto ha una sua alta specificità definita “sindrome del burnout.”