Il mmg e gli assistiti sono “fondi disponibili”?
Gentile direttore,
Milena Gabanelli (Dataroom del 22 gennaio 2024 su La7) ha presentato un quadro del SSN disarmante. Non è che non si sapesse che il re fosse nudo. L’imbarazzo deriva dal fatto che l’insieme delle informative fa apparire la questione ancor più irrimediabile di quanto previsto dimostrando vieppiù che “il difetto sta nel manico”.
Numerosi sono i dubbi che emergono: è noto che le agenzie nazionali e regionali, attrezzate di tutti i tecnici possibili ed immaginabili, sono state create a suo tempo per aiutare le regioni (e le aziende) a gestire l’aspetto amministrativo. Perché quindi si continua ad esternalizzare ai big della consulenza globale la problematica economica/finanziaria delegandoli addirittura ad analizzare i dati sanitari dei pazienti e di conseguenza a sovraintendere la politica sanitaria?
La stagione delle consulenze esterne in sanità non è mai terminata ma da qualche tempo c’è un boom delle assistenze contabili/monetarie che portano soggetti terzi ad operare su una mole enorme di dati sanitari dal valore inestimabile ma analizzati con l’angolo visuale “consulenziale” o di mercato (es.: strategie di appropriatezza farmacologico/prescrittiva). “Se fai entrare soggetti privati nel cuore del sistema sanitario nazionale per sfornarti il pacchetto completo e a te, pubblica amministrazione, non rimane nemmeno il Know how, a cosa servono i direttori generali, i funzionari, i dirigenti nazionali, regionali e locali?”.
Chi redige poi materialmente i documenti ufficiali che divulgano a professionisti e a cittadini il posizionamento politico sanitario (es.: Accordi Collettivi Nazionali e Regionali, i DM)? Perché questi documenti sono scritti così male che richiedono spesso chiarimenti interpretativi “autentici” ex-post come ricordava già nel 2012 un documento della stessa Sisac?
In questa situazione come è possibile che le recenti ipotesi di riordino delle cure primarie siano libere da pressioni esterne? Le istituzioni sanitarie hanno le competenze culturali, autonome, per riuscire a disegnare insieme ai professionisti e agli assistiti strategie coerenti con l’evoluzione sociale?
Sembra che l’unico archetipo continui ad essere, inossidabile, quello economicistico/finanziario, considerato emancipativo ma in grado, anche, di creare un deserto etico dietro di lui.
Infatti l’antinomismo della medicina amministrata produce per assurdo un nuovo “consumismo” per la verità non attribuibile ai comportamenti delle persone/assistiti ma procurato dalla stessa struttura istituzionale che sempre di più considera i professionisti e i cittadini “fondi disponibili” da utilizzare e da mettere a rendita in conformità dell’idea di uno “sviluppo sostenibile”. Se non si assume il modello di “compossibilità” in grado di ricercare, in un sistema complesso come è la sanità e ancor di più la salute, il minor grado di contraddittorietà possibile nella relazione politica/salute/sanità/economia è inevitabile che il concetto di “sviluppo sostenibile” diventi un ossimoro.
Alcuni modelli/movimenti organizzativi territoriali esotici che vanno per la maggiore e quelli che ipotizzano mmg dirigenti/dipendenti potrebbero apparire in prima battuta come una miglioria ma potrebbero nascondere le premesse per un nuovo “consumismo” in quanto le normative attuali permetterebbero, in caso di necessità, una distribuzione dei professionisti su tutta l’area della AUSL/Provincia riproponendo così il disegno di una disponibilità utilizzabile da mettere a profitto delle aziende ( es.: in situazioni di carenza di servizi di base territoriali per mmg di AP o per mmg di CA).
Eppure la professione del mmg ha ancora qualche cosa di “incommensurabile” per le comunità di riferimento. Il medico è un intellettuale che per sua natura non può essere a implementazioni illimitate o a processi che tendono a svalutare la natura sociale e comunitaria del suo operare (e del suo pensare). Le alte dirigenze, racchiuse nel pensiero unico, non ce la fanno ad uscire da una visione di potere amministrativo/finanziario. Anzi le normative incrementano la medicina amministrata e ci si muove con difficoltà all’interno del basilare paradigma bio-psico-sociale da cui dovrebbero derivare norme e modelli etici e veritieri.
Che ci sia un problema strutturale nella nostra sanità è evidente. Pare vi sia una continua emergenza che però secondo alcuni pensatori diventerebbe una strategia governamentale che pota ad accettare l’inaccettabile (M. Foucault 1978; M.Friedman Nobel per l’economia nel 1976). Attualmente irricevibile sarebbe la riorganizzazione territoriale descritta da DM 77 che verrà ulteriormente gestita dagli accordi regionali e locali. L’elemento che accomuna molti aspetti della crisi sanitaria attuale è una mancanza di fiducia diffusa tra assessorati e aziende da una parte e professionisti, cittadini dall’altra a causa dell’imperante cultura finanziaria. “Oggi si parla in ogni dove di community, ma la community è solo una forma mercificata di comunità” (Byung-Chul Han, 2023). Per aspirare alla verità, anche in merito di salute strettamente collegate ad una cultura di comportamenti e stili di vita opportuni, è necessaria una radicale riforma che preveda un riscatto delle periferie indicando, per gli affollati assessorati e aziende, un posizionamento tipo authority valoriale.
Se la professione viene narrata o descritta come prestazione quantitativa o come attività lavorativa numerica, (essendo non completamente dimensionabile o afferrabile), non riuscirà a sfuggire dallo sfruttamento. Il consumismo istituzionalizzato riesce a strumentalizzare anche l’anelito di salute (spesso identificata dalle persone “solo” come guarigione o risoluzione dei problemi). La relazione di cura, lontano da tentazioni consumistiche, tenta invece di ricercare, insieme, la più percorribile omeostasi qualitativa per quel momento specifico pur riconoscendo di operare in un universo di incertezza e imprevedibilità. Certamente la missione principale del mmg non è quello di fare da filtro per i PS (Wonca 2012-2023).
La “banalità” della aziendalizzazione/governance
Gentile Direttore,
la riflessione vorrebbe concentrarsi sul tema degli esiti che possono derivare da processi decisionali assunti ideologicamente e con una scarsa consapevolezza relativa alle conseguenze nel medio/lungo periodo. Pare questa oggi la condizione del SSN: quella di dover considerare appunto le conseguenze. Alcuni dati di fatto relativi al fenomeno di causa/effetto in sanità (aziendalizzazione, organizzazione manageriale, governance …), sembrano incontrovertibili e vengono reiterati come fossero miti inconfutabili. Le recenti normative definite “riforme” (es.: DM77 e imminente ACN) non apportano nessuna sostanziale innovazione. Paradossalmente sembrano amplificare le contraddizioni e le differenziazioni.
Un grande malessere serpeggia quindi all’interno di una organizzazione dedicata, istituzionalmente, al benessere e il disagio condiziona soprattutto l’operatività dei professionisti e la fiducia degli utenti. Il sospetto è che, per qualche ragione, sia stato smarrito il quadro generale (complessità) a causa di una frenesia orientata al raggiungimento di obiettivi soprattutto economicistici (linearità).
È malinconico e anche noioso reiterare sempre i soliti esempi appartenenti alla galleria delle profezie fallimentari auto avverantesi: le Case della Comunità generatrici di una babele di disparità assistenziali e professionali; gli ospedali di comunità (OSCO) tutt’altro che di comunità; i cacofonici CAU forse causa di ulteriori desertificazioni enigmatiche dei servizi territoriali. Eppure le recenti esperienze avrebbero dovuto suggerire la necessità di abbandonare completamente modalità organizzative frettolose up-down che continuano a coinvolgere professionisti e utenti immancabilmente ex-post.
Per troppo tempo si è assistito al paradosso di vedere il Servizio Sanitario Nazionale o il territorio o la medicina generale di base ostaggio di un Sistema Sanitario Nazionale e Regionale ossessivamente amministrato (con risultati pessimi).
Non sarebbe una cattiva idea se nascesse l’ambizione da parte dei vertici istituzionali del SSN, pur a normativa corrente, di cercare comunque di avviare un comitato di salute pubblica, molto contenuto nel numero dei componenti, che possa elaborare una proposta culturale contenente alcuni elementi fondamentali a supporto di una reale riforma sanitaria coerente al contesto sociale. Così come è basilare individuare un nuovo baricentro assistenziale territoriale basato sulle piccole comunità o sui consorzi o sulle storiche USL e, contemporaneamente, dovrebbe essere attivato un programma di deregulation delle Aziende AUSL.
Tutto ciò potrebbe apparire semplicemente velleitario. Dipende dai paradigmi di riferimento concepiti (quarta riforma, compossibilità…).
Recentemente per il tema dell’Intelligenza artificiale e per le reti generative sono stati coinvolti, in tempi brevi, studiosi a prova di curriculum sia in istituzioni nazionali che europee. Sarebbe altrettanto auspicabile che le “pietre angolari” di una rinnovata cultura sanitaria della complessità possano coinvolgere ed appassionare operatori del settore che siano anche ferrati in filosofia della scienza e della medicina e studiosi dell’organizzazione sanitaria. Come una “road map” ben calendarizzata potrebbe apparire essenziale, così dovrebbe esserlo anche il dibattito pubblico.
In generale si può affermare che le distanze culturali e sociali tra le persone e gli attuali decisori siano gigantesche. In un contesto simile è comprensibile che nei cittadini possa crescere l’ansia a causa di una profonda incertezza culturale e psicologica nei confronti della “galassia salute”. La conseguenza è che le persone sono così portate a chiedere tutto. Non si tratta, solo, di una educazione sanitaria carente ma la percezione è che venga a mancare un supporto percepito come ontologico, essenziale per l’essere o per la vita.
A livello professionale le finte riforme recentemente pubblicate (a tutti gli effetti controriforme), propagandano, in modo unilaterale, la ricetta perfetta per una organizzazione assistenziale che tende al consumismo amministrativo sanitario lineare, performante. L’efficienza e l’efficacia sono gli storici idoli economicistici. La misurazione non può essere considerata l’obiettivo fondamentale per la promozione della salute (sistema complesso). La linearità fideistica rende l’assistenza territoriale di base standardizzata, anonima e il mmg uno schiavo “inumano tecnologico” (Sennet R. 2009).
Il consumismo istituzionalizzato enfatizza e strumentalizza anche la salute (spesso identificata dalle persone come guarigione o completa risoluzione dei problemi). La relazione di cura tenta invece di ricercare, insieme, la più percorribile omeostasi qualitativa per quel momento pur riconoscendo di operare in un universo di incertezza e imprevedibilità.
I sanitari territoriali lamentano (basterebbe ascoltarli) che le loro attività siano costantemente esposte agli effetti, a volte perversi, dovuti ai cambiamenti burocratici/organizzativi/gestionali imposti dalla classe dirigente aziendale nella quale non si riconoscono. Tuttavia questi professionisti riescono ancora a fare la differenza quando si confrontano liberamente tra di loro, con i pazienti, con le loro famiglie e con le comunità. Il futuro è strettamente collegato alla cultura che può nascere in questa area “periferica” dimenticata dal sistema verticistico e dalla sanità amministrata.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
16 gennaio 2024
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I “fondamentali” e l’Assistenza Territoriale di Base
Gentile Direttore,
un paradigma, secondo la filosofia della scienza, corrisponde ad una “matrice disciplinare” stabile nel tempo e condivisa all’interno di una vasta comunità scientifica che studia quella parte della conoscenza. Dal 1946 l’OMS ha adottato il modello Bio Psico Sociale (BPS) come paradigma di riferimento per l’approccio alla complessità della persona con particolare attenzione alla sua salute. Oggi il modello ha quasi 80 anni è e pare essere tutt’ora saldo anche se nel tempo ha affrontato numerose declinazioni.
Il tema della integrazione tra le sue componenti (oggi più correttamente si dovrebbe utilizzare il termine co-operazione) è così essenziale che qualsiasi intervento che si dovesse concentrare su uno solo dei fattori riportati nel paradigma inevitabilmente produrrebbe effetti inadeguati sia concettuali che operativi. E’ quindi auspicabile una costruttiva co-operazione tra le specifiche dimensioni sociali (cultura, spiritualità, aspetti esistenziali), psicologiche e professionali (albero delle competenze costitutive Wonca per la Medicina Generale di base 2011-2012-2023).
Alcune premesse risultano quindi inevitabilmente fondamentali per impostare argomentazioni relative ad una riforma del SSN e delle Cure Primarie al fine di proteggere il dibattito da dissertazioni che già in origine contengano contraddizioni foriere di derive di convenienza e di interessi parziali.
L’approfondimento intellettuale e scientifico deve poter proseguire nonostante che normative, accordi, strutture organizzative, processi decisionali attualmente dominanti rappresentino una vera “fiera delle incoerenze” e una conseguente negazione del paradigma BPS.
Qualche esempio tra i tanti:
• la modifica della situazione che riguarda il Titolo V non può avvenire se non ci si occupa di una riforma del SSN e di quella parte della Carta Costituzionale;
• non è coerente dichiarare che si considera necessario riformare l’attuale normativa che guida il Titolo V e nello stesso tempo sostenere il potenziamento dell’aziendalizzazione delle AUSL e delle sovrastrutture territoriali;
• la mitizzazione normativa della “governace” contenuta in numerosi elaborati istituzionali e laici non corrisponde al sentire di professionisti e cittadini;
• il CCM (Chronic Care Model) è un emblematico esempio di modello “esotico” che non riesce ad aderire pienamente al Paradigma BPS in quanto le numerose criticità evidenziate offrono una plastica prevalenza della dimensione “bio” su altre componenti del modello ( epidemiologia, demografia, frammentazione informativa, devastazione delle forme organizzative inerenti la continuità assistenziale e la continuità dell’assistenza, presa in carico difformi, scarsi effetti positivi su mortalità, accessi al Pronto Soccorso e ospedalizzazione);
• è velleitario pensare ad un coinvolgimento nel processo decisionale dei professionisti territoriali (titolari di responsabilità differenti) e dei cittadini se non si “scaravolta” la piramide gerarchica/oligarchica dando un ruolo vincolante alle comunità ristrette e ai loro professionisti;
• può sommessamente essere ricordato che dal punto di vista “economico” (oggi motore immobile di ogni valore relazionale) i mmg, oppressi dal “consumismo” normativo aziendale non beneficiano di tutele, non ottengono tredicesime e nemmeno TFR;
• se la medicina territoriale (servizi e Cure Primarie) mantiene una certa scarsa attrattività (per ora) da parte del privato forse potrebbe diventare la pietra d’angolo per costruire un nuovo ed esplicito servizio sanitario pubblico, accessibile, universale e gratuito;
• gli attuali decisori dei destini del SSN dopo anni di egemonia prima o poi dovranno lasciare i ruoli decisionali ma cosa resterà in mano ai cittadini e ai professionisti? Forse numerosi siti di interesse archeologico (rovine)?
Può esistere un fondamentale epistemologico acclarato da cui partire nell’elaborazione intellettuale per una riforma del SSN ed in particolare delle Cure Primarie che possa avere concrete ricadute sui territori e sulle comunità? Le conseguenze del DM 77, dell’imminente ACN, del frettoloso, confuso e discriminante piano di riordino delle cure territoriali apparso con il PNRR (Case della Comunità, ospedali di Comunità, Distretti, CAU…) autorizzano un pensiero sfavorevole.
Questo capita perché è assente la cultura della complessità quando si pensa di gestire il territorio. Tralasciando in questa sede i noti fallimenti programmatori, pare non sia possibile ragionare di auto-organizzazione e di auto-formazione pur essendo queste caratteristiche tipiche dei sistemi complessi (quasi un marchio di fabbrica) e quindi perfettamente applicabili ai territori. In natura l’auto-organizzazione emerge come fenomeno bottom-up cioè a piramide gerarchica annullata o rovesciata. Le istituzioni continuano però a non volere accettare questa sfida o questa sperimentazione radicale. Molto presto sarà il privato ad accorgersi che questi valori potrebbero essere produttivi e molto remunerativi. Infatti i sistemi complessi presentano proprietà omeostatiche che evidenziano capacità auto-organizzative e auto-formative (come dimostrato dai comportamenti organizzativi liberi, diagnostici e terapeutici di molti mmg che, autonomamente, in periodo covid sono riusciti a ridurre o annullare i ricoveri seguendo scrupolosamente gli assistiti, senza correre rischi ma basandosi su una propria cultura/formazione inerente processi diagnostici e sistemi terapeutici per altro ostacolati da alcuni protocolli aziendali).
Le formiche, gli sciami, i fringuelli, i pesci, gli stormi, i moscerini, le cellule, le molecole non hanno sistemi di predominio gerarchici o oligarchici. I leader sono assolutamente fiduciari o di servizio (es.: ape regina) o possono cambiare in relazione alle contingenze. È l’insieme che presenta le caratteristiche specifiche in grado di adattarsi, autoregolarsi, innovarsi in modo non prevedibile linearmente.
Il consumismo sanitario e quindi le spese di settore non riguardano tanto gli esami, i farmaci, i ricoveri, il welfare fai da te ma l’aspetto cognitivo dei soggetti e il significato che questi danno alla vita. Si può e si deve approfondire ogni aspetto della vita ma deve essere molto chiaro che non si potrà mai possederla del tutto.
Non si scappa, per non creare aspettative irrazionali c’è solo una strada, per nulla semplice, da percorrere (molto impegnativa per chi svolgerà ruoli di leadership responsabile e competente): è quella di un patto assolutamente fiduciario tra cittadini e professionisti territoriali in grado di recuperare una fiducia e forse una nuova “affabilità servizievole” nei confronti di possibili stili di vita umani, solidali, compossibili, liberi da preconcetti relativi alla vita serenamente consapevoli che anch’essa ha un suo traguardo incommensurabile.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
18 dicembre 2023
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Per una filosofia delle cure primarie
Gentile Direttore,
in un articolo del 3 novembre il prof. Ivan Cavicchi ha sostenuto che fosse, in primis, necessario dire almeno qualche verità sulla situazione attuale del SSN per pensare ad una efficace riforma sanitaria. Questa ricerca della verità può essere facilitata in periferia dove i professionisti e le comunità possiedono una abilità originale nel leggere la professione e l’evoluzione sociale. All’origine della cultura occidentale sono state proprio le colonie ioniche o quelle della Magna Grecia che hanno contribuito alla sua diffusione più di quello che aveva fatto la madre patria (Atene).
Il tema dell’integrazione può essere un esempio emblematico di come la periferia riesca a superare di molto le elaborazioni istituzionali burocratiche. Molti mmg hanno creato spontaneamente reti di relazioni che permettono di operare in modo integrato. Il servizio territoriale del SerDP da sempre realizza un’integrazione quotidiana, strutturata tra medici, psicologi, servizi sociali, attività educative, infermieri, iniziative sperimentali ed innovative con volontari ed assistiti. È un modello ben rodato, interno al SSN, che avrebbe potuto essere utilizzato come schema formativo ed operativo per altri servizi territoriali e per la medicina di base indipendentemente dalla presenza o meno di strutture in conto capitale (Case della Comunità).
Malgrado questo le istituzioni (soprattutto regionali e aziendali) fanno a gara per ricercare modelli “esotici” di riordino del sistema di integrazione territoriale. In questi ultimi anni è cresciuto sempre di più, tanto da diventare “di tendenza”, il modello brasiliano (sic!). Qualche tempo fa erano “di gran moda” le Case della Salute spagnole o la pianificazione delle Cure Primarie portoghesi: a guardar bene sistemi completamente diversi dall’attuale SSN Italiano (es.: i mmg in quei paesi sono dipendenti).
Desta veramente meraviglia come i decisori possano essere così masochisti e incapaci di ascoltare o di vedere ciò che di prezioso c’è nel nostro territorio. Questa interminabile autoreferenzialità delle oligarchie porta il tutto al macero.
L’elenco delle contraddizioni inattendibili contenute nei documenti sanitari ufficiali e nelle elaborazioni delle agenzie culturali sono numerose. Si possono ricordare solo alcuni temi.
Il PNRR pur essendo uno “strumento finanziario” viene considerato dai più una riforma.
Il DM77 che palesemente “non spicca per innovazione” trascinerà comunque con sé per anni le incoerenze strutturali e regressive negli ACN, negli Accordi Regionale e in quelli Aziendali/locali.
Il concetto di “governance” è diffusamente percepito dagli operatori come un termine completamente sovrapponibile ad una rigida forma di governo di controllo assoluto e autoritario pur ammantato da affabilità.
“L’assistenza centrata sul paziente” è e sarà inesistente come dimostrato delle infinite, irrazionali e antiscientifiche liste d’attesa.
Finta è la valorizzazione delle comunità, del volontariato, del terzo settore ma anche dei professionisti di periferia che vengono coinvolti nel processo decisionale ex-post, in senso consultivo e solo se funzionali a quanto già deciso nei palazzi.
I Distretti raffigurati come “mera articolazione organizzativa delle Aziende” hanno dimostrato negli anni di essere fortemente regressivi e di non saper leggere i bisogni delle popolazioni, tuttavia continuano ad essere osannati ed incensati come elementi di innovazione.
I commissariamenti che perdurano da anni anche in realtà considerate eccellenti (luogo comune?) restano incomprensibili perché, indirettamente, avvallano il pensiero che in quei territori non vi siano individui in grado di svolgere le funzioni istituzionali stabilite dalle normative.
La questione della dipendenza o della libera professione convenzionata dei mmg non è “futile” ma sostanziale in quanto “l’orizzonte degli eventi” si modifica radicalmente. Anche se solo si trattasse del “diritto di critica” del dipendente che può essere esercitato solo all’interno di precisi limiti (come da sentenza della Cassazione 17784/2022) e, se non rispettati, un eventuale esternalizzazione avversa può essere soggetta alle conseguenze di una Commissione Disciplinare Aziendale.
Le Case della Comunità (in conto capitale) sono in affanno per la difficolta di armonizzare le “mura” con un conto corrente (cioè la funzionalità quotidiana strutturata). Forse perché contradditorie, inadeguate ai bisogni dei territori, generatrici di discriminazioni professionali e assistenziali, ideate up-down prima ancora di sapere cosa e chi contenere. Il sistema è in difficolta e pare non poter essere equanime nell’offrire, a tutti i mmg che dovessero fare richiesta, una CdC. Gli edifici detti edifici “spoke” sono palesemente inadatti tanto che non possono nemmeno essere considerati equivalenti ad una semplice Medicina di Gruppo ben organizzata. Se si analizzassero adeguatamente i bisogni dei territori ci si accorgerebbe che le CdC, sia “hub” che “spoke”, non potranno mai risolvere i problemi anche se il martellamento pubblicitario esercitato dagli addetti ai lavori può generare un bisogno (consumistico) nei cittadini senza che questi sappiano di cosa effettivamente si tratta.
Per non parlare, infine, del sistema di formazione continua ECM che, se confrontato con le infinite possibilità di aggiornamento in tempo reale per professionisti interessati alla propria “opera”, appare, quanto meno, arcaico.
Quale “futura riforma” potrà mai essere elaborata oggi dagli stessi soggetti che dominano la sanità da anni e che l’hanno portata alle corde? Non è possibile fare bene ed essere di qualità se ci si è disinteressati della dimensione (spesso inespressa) che caratterizza il contesto e le relazioni tra coloro che vivono la quotidianità territoriale delle cure primarie.
Le numerose incoerenze emergenti richiederebbero la mobilitazione delle forze culturali sensibili al tema della salute, dei professionisti e dei cittadini al fine di ricercare principi di Verità/Giustizia/Etica coerenti, razionali, compossibili. In questo senso una filosofia dell’organizzazione territoriale delle cure primarie può proporsi di utilizzare il sapere (nella sua essenza) a vantaggio della vita delle persone (Platone) e dei professionisti a fronte di una medicina amministrata funzionale solo per agli apparati. Il filosofo infatti assume la medicina come modello di una metodologia per raggiungere il sapere e per uscire dalle contraddizioni derivanti da una conoscenza esclusivamente teorica (es.: burocratico/amministrativo/di controllo) ma priva di aperture sull’esperienza.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
14 novembre 2023
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Auto determinazione delle comunità di professionisti e cittadini
Gentile Direttore,
nella situazione sanitaria attuale non vi sono dubbi che sia necessaria una “radicale” discontinuità culturale ed operativa, alternativa alle “recenti” innovazioni all’acqua di rosa discutibili già dalla loro prima apparizione. Alcuni arrivano in estremo ritardo a queste considerazioni. Altri continuano a galleggiare sostenendo che è stato fatto ciò che era possibile. Non è mai, comunque, solo una questione di risorse economiche in quanto sono proprio le argomentazioni monetarie che permettono e giustificano il mantenimento delle contraddizioni comportamentali e legislative (es.: Aziende, Mega Aziende, Distretti, ecc.) e la sopravvivenza del loro contro riformismo invincibile. Aggiustamenti o toppe non fanno altro che rimettere la pedina alla casella del via. Crisi economica, inflazione, guerre, riduzione delle risorse, modifiche della geopolitica, della globalizzazione, del clima, intelligenza artificiale… hanno già fatto poi la loro parte sui sistemi sanitari.
Le riflessioni che seguono sono comunque destinate all’ambito delle Cure Primarie.
Ancora oggi, la medicina di base, pur essendo a tutti gli effetti SSN, mantiene una sua autonomia (residua) dagli apparati gerarchici. Il mmg rimane tutt’ora strettamente collegato ai bisogni ed ai sentimenti della comunità degli assistiti ed è proprio l’appartenenza alle zone più esterne dell’impero che, paradossalmente, permette una lettura maggiormente accurata di ciò accade a livello territoriale. I macrofenomeni globali già citati influenzano profondamente la sanità. Nondimeno le ultime documentazioni ufficiali più note e gli elaborati degli aspiranti “capotreni” non hanno liberato le cure primarie da una sostanziale regressione professionale/assistenziale introducendo funzioni sempre più improbabili, discriminatorie e palesemente inadeguate ai contesti ( s.: Case della Comunità hub/spoke scorrettamente mercanteggiate come baluardi a difesa degli accessi impropri al PS quando numerosi studi hanno dimostrato che il mmg pesa, sugli accessi impropri al PS, per il 2%).
Numerosi sono le prove dello scollamento tra istituzioni sanitarie e la realtà. Questo divario è palesato anche dal sistema comunicativo di AUSL o Mega Aziende fondamentalmente costituito da continui annunci, informazioni o messaggi e da incontenibili incombenze urgenti. L’assillo, soffocante, non concede tempo alla riflessione, al confronto, al dibattito incrementando così il disagio di molti assistiti e professionisti. Forse nessuno di coloro che oggi hanno in mano il processo decisionale sa veramente ridurre le criticità sanitarie, non pensa ad un modello assistenziale e resta in attesa che capiti qualche cosa a livello generale (o mondiale?) che indichi o imponga qualche cambiamento. Non è detto che le prescrizioni siano poi positive. Nel 1978 il Parlamento con la 833 non aveva aspettato il parere del mondo e per alcuni anni il nostro SSN è stato considerato il migliore del mondo.
Oggi non c’è solo l’interesse comune. Diversi tornaconti sono talmente intrecciati che non si riesce a distinguere il bene dal male come nel più classico doppio legame. Si possono separare i vimini buoni da quelli cattivi ma alla fine il cesto non c’è più.
Sarà capitato a molti di partecipare ad eventi dove le AUSL celebrano e incensano elenchi della spesa apparentemente “splendidi” ma invisibili, senz’anima, senza amor di patria e senza interesse per il bene comune. Sono annunci che non aumentano la conoscenza ma dimostrano sostanziale indifferenza nei confronti del destino che i professionisti del territorio e i cittadini potrebbero avere.
Quando manca una robusta autocritica non è possibile immaginare un futuro nuovo, diverso e più attento alle modifiche sociali e professionali (compito della politica). Se questa auto analisi non è in grado di vedere ciò che è stato fatto di svantaggioso per cittadini e professionisti non si farà altro che ripetere, senza turbamenti, ciò che è già stato fatto (es.: le Case della Comunità). L’autodeterminazione nel processo decisionale e nel governo clinico di professionisti e comunità non è velleitaria. Senz’altro è radicalmente alternativa. Forse addirittura meno costosa?
Quando nella medicina generale (di base) si passa il testimone ai giovani colleghi ci si preoccupa che tutto il lavoro fatto di presa incarico e di cura per 30-40 anni non si disgreghi o si perda. La trasmissibilità tra professionisti non è data dai contenuti registrati nell’archivio computerizzato ma dalla cultura che li ha accompagnati. Non sono certo annunci eclatanti ma avvenimenti silenziosi, poco spettacolari che forse creano comunità proprio perché generano una propria cultura speciale. Svilire questo patrimonio di conoscenze vuole dire contribuire alla distruzione delle comunità già molto provate. Tuttavia, le comunità stesse sono le prime a ricercare la tecnologia e ad adattarla ai propri contesti. Sarà forse sufficiente ricordare come il volontariato di quartiere Comunità Solidale Parma, in stretta collaborazione con i propri mmg, avesse già nel 2017 proposto alle autorità politiche e sanitarie un disegno progettuale di Casa della Salute “grande” di quartiere che, oltre ai servizi contemplati nei documenti di allora, potesse sviluppare una specifica competenza terapeutica riabilitativa a causa di un incremento di certe patologie in quel determinato quartiere periferico ( malattie neuro-muscolari trattate con esoscheletri, anche in affitto, e robot; patologie neurodegenerative e cognitivo-comportamentali affrontate con stanze virtuali immersive o visori; problemi socio-sanitari adolescenziali, educativi, genitoriali e di dipendenze affrontate attraverso il mondo dei giochi virtuali).
Parafrasando il pensiero di R. Easterlin (Paradosso della felicità) nella medicina generale occorrono nuove organizzazioni territoriali, nuovi criteri, nuove relazioni politiche fortemente radicate nel quartiere, nuove auto-formazioni, nuovi sistemi di apprendimento continuo (team e briefing), nuove forme di auto-valutazione più orientate ad una strategia di welfare di comunità (alternativo al sistema incentivante imperante tipico della appropriatezza prescrittiva o diagnostica) per poter avere un vero impatto sul benessere collettivo anche in periodi di scarsità di risorse.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
03 novembre 2023
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Purché nulla cambi?
Gentile Direttore,
alcuni interventi recenti, tra i tanti che potrebbero essere citati, aiutano e incoraggiano a tentare di ri-cercare, almeno culturalmente, il bandolo della matassa. L. Fassari (La sanità sospesa tra le poche risorse e la paura di cambiare, QS 5 ottobre 2023) ricorda come non sia più possibile la sola manutenzione della macchina… ma occorrono idee e coraggio. Il tenace Prof. I. Cavicchi avvisa i naviganti che di propaganda si può affogare se non ci sono i salvagenti (Di troppa propaganda il Ssn muore, QS 10 ottobre 2023; Bene auspicare una nuova riforma della sanità ma ora servono le proposte, QS 13 ottobre2023).
In merito alla medicina generale molto è già stato scritto su questioni inerenti la “Quarta riforma”, il medico di medicina generale “Autore”, il welfare di comunità. Di attualità è il tema delle Case della Comunità che probabilmente delineano uno dei maggiori abbagli controriformisti: infatti la narrazione unilaterale cela il fatto che le CdC spoke rappresentino, concretamente, un pesante declassamento della medicina di base a causa delle verosimili discriminazioni, strutturate normativamente, assistenziale e professionali.
La potestà dei tradizionali livelli decisionali della piramidale galassia sanitaria ha già deliberato, da tempo, ogni cosa e concede solo qualche residua briciola all’esausto ed impotente dibattito pubblico. Il potere, quando è un potere, si mostra affabile ma inesorabile a difesa del vantaggioso, per pochi, status quo.
A latere delle argomentazioni citate potrebbero meritare una riflessione dialogica alcuni temi apparsi sulle colonne di QS. Considerando però ciò che è capitato (crisi economica, approvvigionamento energetico, transizione ecologica, covid, inflazione, guerra) e sta capitando ( guerra medio-orientale ed altri focolai di guerre “a pezzi” nel mondo) ogni commento casalingo potrebbe sembrare inadatto quando l’equilibrio geo-politico ed economico muta sotto i nostri occhi e trascinerà fatalmente, con se, anche i sistemi sanitari nazionali.
Si è ragionato sul tema dell’ECM. Il programma di Formazione Continua in Medicina (ECM) inizia nel 2002 in conformità con il DL 502/1992 e 229/1999 la cui gestione viene affidata, nel 2007, all’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas). In venti anni di acqua ne è passata sotto i ponti. Le innovazioni tecnologiche e le occasioni per poter usufruire di aggiornamenti professionali in tempo reale sono oggi incredibili. Congressi o eventi in presenza sembrano diventati obsoleti. Eppure l’ECM per i mmg, nel tempo, è cambiata poco o nulla. Forse sono aumentati solo gli eventi “obbligatori” di Ausl e Regioni. Ciò che invece dovrebbero essere valorizzate sono le strategie di apprendimento contestuali e auto organizzate a piccoli gruppi (es.: mmg dei NCP o mmg dei team assistenziali) dove è possibile la circolazione dei saperi. Nell’apprendimento continuo vanno inseriti anche l’organizzazione degli incontri stessi, la partecipazione ai team assistenziali, il coinvolgimento -anche amicale- di esperti, le docenze, le presentazioni, l’elaborazione di articoli, le pubblicazioni, la partecipazione a programmi o progetti, la co-operazione attiva alla vita sociale del proprio territorio… Sarà necessario ripensare un nuovo equilibrio più liberale ed esentato da obblighi punitivi, per altro evanescenti, per gli ECM?
Particolarmente analizzata è stata la questione della sfrenata raccolta “dati” in funzione di una auspicata “qualità”. A tutt’oggi, a livello territoriale, non pare vi sia stato il miglioramento assistenziale atteso. Anzi le criticità incrementano e non sembrano apparire all’orizzonte fausti presagi. È possibile che l’ubriacatura procurata dallo stoccaggio nei “silos” di informazioni in fermentazione produca solo uno stordimento afinalistico. I fatti, relativi agli esiti sull’organizzazione territoriale, dimostrano come persista uno scollamento con la realtà. Il riferimento fideistico ai “big data” comporta, quasi in modo direttamente proporzionale, un incremento di sfiducia nei professionisti mmg (vedi sistemi di priorità continuamente rivisti; le variazioni dei nomenclatori clinici; l’infinito riordino del sistema emergenza-urgenza e il fiorire di splendidi nuovi acronimi tanto cari ai cittadini; il richiamo incessante all’obiettivo di ridurre gli accessi impropri al PS e i ricoveri arbitrariamente attribuiti alla mission del mmg). L’innegabile vantaggio dell’informatizzazione in sanità territoriale si volatilizza se questa è impiegata, essenzialmente, come mezzo di controllo burocratico e non come strumento a sostegno del mmg e dell’assistenza. La creazione di un regime disciplinare orientato a raccogliere esclusivamente informazioni trasforma i professionisti (inconsapevoli) in banali strumenti di lavoro. Alla frenesia comunicativa/informativa non interessa il pensare, il confronto, la relazione.
Sta di fatto che senza i legami sociali non si creano le abilità per dedicarsi agli altri. Senza relazioni libere e fiduciarie si ottiene il paradosso di una “comunicazione senza comunità” enfatizzata proprio dalla narrazione sulle Case della Comunità. Se mancano le relazioni non c’è nemmeno l’attualità perché manca la socializzazione (i dati si possono aggregare fin che si vuole ma appartengono sempre alla sfera singola e non rappresenteranno mai la collettività se non in senso linearmente probabilistico). Tutto ciò facilita l’avvento di regimi gestionali manageriali basati sull’economicismo e con un eticità in grado di dissolvere, anche le persone, in una misera serie di dati ( Byung-Chul Han, Infocrazia, Einaudi 2023).Tuttavia è fortemente diffusa la convinzione che la raccolta dati sia effettivamente vantaggiosa per migliorare i servizi. Le informazioni accumulate, comunque, non sono riuscite ad offrire veri orientamenti sul medio periodo e hanno fallito nell’ambito della coesione sociale e del consenso (zoppica il DM77, zoppicano ancor di più le CdC, addirittura annaspa l’assurdo concetto di spoke …).
Modelli o proposte rivolte ad una soluzione alternativa delle problematiche della medicina generale territoriale (ancora poco appetibile per il sistema privatistico) ed in particolare i progetti elaborati dalla co-operazione volontariato/mmg, (dove si ritiene che la medicina di base sia un “bene comune” per una comunità), vengono disconosciute, ignorate, nascoste, negate dalla fregola che fa correre i portatori dei “loro” interessi ad azzuffarsi per un posto da “capotreno”. Dio non voglia che l’ossessione faraonica di edificare le “proprie” piramidi non sia la causa della fuga dei professionisti che si sentono schiavizzati. Sarà necessario ri-pensare, per le cure primarie, un nuovo equilibrio adeguato al contesto e non agli apparati zoppicanti/anneganti?
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
16 ottobre 2023
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Innegabili sovrapposizioni tra casa della Comunità e Casa della Salute
Gentile Direttore,
la meccanica quantistica, si sa, è una fra le teorie più controintuitive. E’ strano che una particella possa comparire in due posti contemporaneamente anche a distanze siderali oppure che un fenomeno come l’entropia possa contraddire il tempo potendosi sviluppare in due direzioni opposte: in avanti rispettando il fenomeno dell’incremento del disordine (invecchiamento) ma anche, paradossalmente per il tempo che scorre, indietro o quasi.
Si sostiene che tutto questo dipenda dalla doppia natura delle particelle sub atomiche che sono nello stesso tempo porzioni di materia ma anche onde di energia. Tutto ciò, assicurano i fisici, è stato ampiamente dimostrato e potrebbe valere anche per “corpi” di dimensioni maggiori (batteri, esseri umani, corpi celesti) pur comportando, in questi casi, una documentazione della “sovrapposizione” terribilmente complicata.
Restando con i piedi ben piantati nella meccanica fisica classica non si può dire, come più volte sostenuto ex cathedra, in pubblico, dai cosiddetti esperti del settore che le Case della Comunità siano un netto miglioramento del modello Casa della Salute come è intuitivamente evidente osservando la schematizzazione delle due tabelle sinottiche a fondo pagina (CdS “Grande” vs CdC “hub”).
Il PNRR ha consentito il proliferare di narrazioni normativamente corrette ma soffocanti in favore del fatto che l’innovazione sia data soprattutto dalle Case della Comunità “spoke” (programmate in grande numero) che si collegheranno/integreranno con le Case della Comunità “hub” ( progettate in numero significativamente scarso) così da riproporre un infinito frattale “piramidale” che non ha nulla a che fare con i bisogni delle comunità/quartieri/zone.
Evidentissimo invece il vantaggio per il Distretto inteso non come area geografica ma come apparato amministrativo per altro invocato da molti come modello “salvifico” probabilmente non avendo mai sperimentato i vincoli egemonici possibilmente agiti. Come già approfondito a suo tempo è una questione di potere. Di norma l’obiettivo del potere non può esimersi dall’incremento del potere stesso fino all’esaurimento delle risorse disponibili.
Si replica inoltre la tragedia (a grande richiesta) già sperimentata nella stagione delle Case della Salute. Il racconto, tutto concentrato sulle Case della Comunità “spoke”, nasconde nelle pieghe dell’affabulazione la sventura della differenziazione (alcuni la definiscono discriminazione) professionale ed assistenziale. Infatti non è equivalente o sovrapponibile essere un professionista o un paziente affiliato ad una CdC spoke o assegnato ad una CdC hub in merito a opportunità professionali, servizi o assistenza offerti. Sorge inoltre un dilemma: chi ha deciso dove collocare una CdC hub o spoke? I professionisti? I cittadini assistiti/le comunità? Non sembra proprio ma “Così va il mondo” (Noam Chomsky, Piemme 2017) dove si è portati a ratificare, attraverso alcune ritualità formali, decisioni già prese e comunque separate dalla “policy” del bene collettivo. I cittadini sono intimorirti e smarriti di fronte ai depositari istituzionali “della verità sulla salute” a cui delegano, a causa dello squilibrio di conoscenze e mezzi, senza indugio, le scelte assistenziali/organizzative.
Ciò nonostante, emerge, molto intimo, un singolare pensiero quasi filosofico-stoico: ma è proprio vero che quando c’è la struttura burocratica/amministrativa sanitaria c’è tutto? Si può raggiungere la salute in modo diverso per essere felici? Il benessere può essere conquistato seguendo vie o indicazioni più personalizzate, orientate a stili di vita molto corretti e a sistemi riabilitativi bio-psico-sociali? Per vivere con passione e gusto l’esistenza forse occorre che ci sia qualcosa di grande, un ideale, un bene che renda la vita degna e piena. Paradossalmente per questo ideale spirituale una persona potrebbe essere disposta anche a ridurre la medicalizzazione, sempre più indiscreta, della vita stessa (C. Sanguineti 2021) ed accettare lo scorrere della vita o, se si vuole, la volontà di Dio.
Nel complesso l’impianto normativo sanitario attuale (ACN, DM77, Documenti di Agenzie e di Gruppi portatori di interessi ecc.) appare estremamente fragile, senza fondamenta culturali solide e condivise.
Di tutto ciò è stato appuntato già numerose volte e verosimilmente può non rappresentare nemmeno, dal punto di vista intellettuale, la “questione medica” attualmente più pregnante. Ipotesi e modelli alternativi di organizzazione territoriale sono stati presentati nel tempo da molti commentatori ( il medico “autore”, il vero “welfare di comunità” e l’autonomia territoriale, la dipendenza, rapporto fiduciario e libera scelta, la discrepanza tra la qualità formale, percepita, risultante…).
Mette comunque ora apprensione il destino delle persone che vivono in una comunità che si relaziona, per le questioni di salute, con i propri medici curanti di base. Nondimeno vi è una scarsa consapevolezza, tra gli assistiti, di quello che le normative istituzionali stanno prospettando per il territorio. Il contatto tra cittadini e istituzioni, quando esiste, è sempre estremamente sbilanciato. Le ricchezze esperienziali delle comunità non vengono considerate e si preferisce proseguire con liturgie autoreferenziali addirittura bocciate dalla globalizzazione neoliberalista che tenta di ricostruire un nuovo equilibrio mondiale dopo l’esperienza della pandemia, della fragilità energetica e della guerra. Il coraggio di confrontarsi con i cittadini non si esaurisce in una o due riunioni assembleari annuali. Non implicano nemmeno autorevolezza quelle figure che si autoproclamano rappresentanti dei cittadini o che vengono calate dall’alto dalle onnipotenti aziende sanitarie. Eppure il sapere all’interno dei sistemi complessi come quello sanitario ed assistenziale si crea anche dall’esperienza consapevole degli individui che costruiscono singolarmente più tipi di intelligenze (H. Gardner, Formae mentis, Feltrinelli 1988).
Se la complessità è un dato di fatto è necessaria una pluralità di approcci per comprenderla. Non si può affrontare la complessità con un solo metodo o con un pensiero unico o con modalità lineari rigide e verticistiche/gerarchiche. Le comunità grazie alle “intelligenze multiple” possono costruire con i loro medici di fiducia “la salute dei quartieri” da diversi punti di vista e in modo flessibile. L’autonomia delle comunità nei processi decisionali è sempre più vitale per il servizio pubblico di medicina generale (di base) ed è una netta alternativa alle attuali normative legislative e ai numerosi “stakeholders” molto interessati alle opportunità utilitaristiche che possono emergere dalle normative ufficiali ma che spesso non hanno nulla a che fare con i professionisti e con le comunità territoriali.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
Mendicanti di senso nell’odierna notte del mondo
Gentile Direttore,
i finanziamenti in sanità sono necessari. Non sono comunque mai sufficienti. Le manovre sono ininfluenti se si pensa di far fronte alla “questione medica” e alla sua relazione con l’evoluzione sociale con gli strumenti economici. Conteggi e stime derivano per lo più da valutazioni amministrative e da esigenze di apparato e non da bisogni assistenziali.
Nella situazione sanitaria territoriale attuale può esserci ancora spazio per poter restaurare quell’unità olistica della medicina di base che il tempo e le controriforme hanno lacerato? Le comunità degli assistiti saranno in grado di ispirare i propri professionisti di riferimento incoraggiandoli verso la “resistenza alla disgregazione culturale” che progetta l’annullamento, per consunzione, della medicina generale territoriale?
La filosofia sociale contemporanea considera che il futuro della medicina di base possa essere simboleggiata da un “bicchiere mezzo pieno” se si considerano le opportunità culturali, sociali, cognitive, scientifiche e anche di ritorno economico ma lo stesso bicchiere viene descritto come completamente vuoto se vengono considerate le capacità dell’attuale organizzazione piramidale regionale ed aziendale di cogliere queste opportunità.
Il sistema sanitario appare come un potere più che un servizio. La potestà è in grado di camuffarsi sotto forme cordiali/amicali rendendo l’egemonia invisibile ed inattaccabile. Molti sanitari sono sedotti dall’affabilità delle Alte Dirigenze o degli Assessorati senza rendersene conto. Questa modalità sistematica di dominio minaccia la capacità dei professionisti di resistere.
L’alleanza con i cittadini e gli assistiti, meno stregati dalle parole magiche e confuse delle aziende/assessorati, diventa una strategia indispensabile per i mmg se vogliono riconquistare “autorevolezza” e autonomia. La medicina generale non ha ancora subito le lusinghe della privatizzazione massiva e quindi può diventare il terreno per una radicale innovazione in senso completamente pubblico. E’ necessaria però una netta discontinuità e una alternativa nei confronti delle esperienze amministrative pregresse e delle recenti normative progettuali che hanno abbondantemente dimostrato la loro dissonanza cognitiva in merito alla salute e all’assistenza considerato bene comune.
Alcuni concetti neoliberisti (globalizzazione) continuano a sostituire molti termini tradizionali collegabili all’agire medico: azienda, produzione, debiti e crediti ECM, le offerte formative (richiamano quelle dei super mercati), prodotti, risparmio, incentivi, concorrenza, documenti “venduti” come riforme, investimenti (anche di emozioni e sentimenti), capitale umano, distretti (come quelli industriali), comitati di indirizzo, tavoli pre-giudiziali e autocentrati, gruppi di progetto…
L’aziendalizzazione sanitaria oltre a palesare una triste mancanza di fantasia comporta il rischio di mercificare relazioni e scambi. In questo disegno ogni limite viene considerato un ostacolo: il pensiero critico, l’approfondimento culturale, la partecipazione e l’autonomia nel processo decisionale del volontariato dedicato, l’abolizione del controllo centralizzato… Come ogni prodotto anche il mmg diventa un bene utilizzabile (paradossalmente si offre spontaneamente come servo volontario a causa di un fatalismo introiettato derivato da cattivi ammaestramenti): la professionalità si dissolve nel calcolo del peso utilitaristico e nella strategia del consenso.
Il professionista non allineato con una sanità di apparato/amministrata viene sistematicamente annullato tanto che, in certe situazioni, si osa addirittura paventare la dipendenza dei mmg come “punizione” per quei mmg che si permettono di non introiettare il pensiero unico (violenza economica?). Non avrai altra organizzazione al di fuori di quella aziendale nella quale la logica di mercato, economicistica e finanziaria furoreggiano pur essendo dogmi senza nessuna tenuta epistemica. L’infinita possibile varietà culturale creata dall’ auto-organizzazione non viene considerata una opportunità o un valore.
Nei documenti più in voga di agenzie, gruppi, istituzioni è difficile trovare, per quanto riguarda la medicina di famiglia, riferimenti alle autorevoli indicazioni dell’Associazione Mondiale dei medici di famiglia/Base (Wonca) così come risulta arduo trovare “valori” in grado creare solide motivazioni. Molti invece sono i capoversi che si preoccupano in modo quasi ossessivo di normative amministrative/finanziarie/di controllo. Le contraddizioni presenti negli elaborati dimostrano la debolezza intellettuale ed etica sulla quale si fondano.
Nulla si è modificato: crisi economica, inflazione, malagestione, covid, consociativismo, governance, oligarchia, DM77, PNRR, “spiegoni” in merito a Case della Comunità, Ospedali di Comunità, distretti, meritocrazia, nuovi acronimi… le incoerenza e le antinomie sono incrementate e un considerevole numero di giovani professionisti viene curiosamente capeggiata da pensionati ex Direttori Generali, ex Direttori Sanitari, ex Direttori Amministrativi, come se le nuove leve non potessero più osare un pensiero autonomo ed innovativo.
L’Italia dei comuni potrebbe riservare grosse sorprese a fronte di alcune esperienze esotiche che popolano le bibliografie di numerosi articoli. Nei secoli XII, XIV e XV l’Italia era uno dei paesi più progrediti del mondo tanto che proprio in quel periodo nasce l’Umanesimo grazie alle condizioni culturali e sociali create dalle città-stato italiane. Il Welfare di Comunità, quello vero, si rifà proprio alla filosofia culturale sociale ed organizzativa dei comuni. Anche negli anni Sessanta l’Italia procedeva spedita con un PIL a due cifre (come quello cinese di un po’ di tempo fa) e come ricordano gli economisti allora c’erano molti imprenditori privati, spesso possedendo la sola licenza elementare ma pochissimi manager. Qualche valore storico i nostri territori possono vantarlo e proporlo come garbato modello organizzativo per le cure primarie territoriali.
La meritorietà ha un valore di molto superiore alla meritocrazia autoreferenziale e consociativistica, è rivoluzionaria perché non è massificante e rifugge la mediocrità progettando futuri alternativi alla narrazione dominante che sostiene l’intrasformabilità e l’inevitabilità di un eterno presente.
La cultura (di un mmg che non si abbandoni alla disperazione e che ricerchi una alleanza con i propri assistiti) sostiene la strategia della resistenza per i “mendicanti di senso nell’odierna notte del mondo” a fronte dell’insensatezza divenuta norma ufficializzata.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
18 settembre 2023
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La gerarchia è ineluttabile?
31 LUG - Gentile Direttore,
è nozione diffusa che il nostro sistema democratico sia di tipo rappresentativo. Non è una democrazia diretta. Per temperare una certa incompiutezza del sistema rappresentativo l’organizzazione politica/sociale prevede l’esistenza di molti enti finalizzati a mitigare l’inevitabile distacco che si crea tra cittadini e istituzioni (es.: corpi intermedi e organi sussidiari) affinché questi rappresentino nel modo il più diretto possibile le esigenze popolari. Questo processo acquista un valore particolare in sanità.
Non si può dire che il tema “partecipazione” sia stato realizzato se molti cittadini non conoscono (fatto salvo per gli addetti ai lavori) cosa significhi commissariamento o sub-commissariamento e per quali motivi vengano attivati. Oscure per la maggior parte delle persone sono le definizioni e le funzioni dei Comitati Consultivi Misti e delle Conferenze Socio Sanitarie Territoriali o dei Piani di Zona. A volte il turbinio degli avvicendamenti intra-regionali tra componenti delle alte e medie dirigenze non permettono nemmeno agli addetti di avere interlocutori.
L’esaustiva recente indagine di D. Caldirola (Welfare comunitario o Casa della Comunità: dal PNRR alla riforma dell’Assistenza Sanitaria Territoriale, 2022) non rimuove infine le “antinomie” più volte rappresentate sulle colonne di QS.
Un Welfare di Comunità disegnato così come è raffigurato dai recenti decreti e dai vari documenti non è un vero Welfare di Comunità, infatti il processo decisionale autonomo a livello territoriale in favore di professionisti e cittadini resta un esercizio manierato senza reali innovazioni strutturali; incombe quasi minaccioso su ogni ipotesi di riordino l’idea della assoluta necessità del Distretto come se fosse un mantra intoccabile; i consorzi, molto più comunitari sia dal punto di vista geografico che relazionale e politico, sono inconfessabili.
Il tema del Welfare di Comunità, le traversie del PNRR, la complessità, la gerarchia, la governance, il volontariato e l’auto-organizzazione nelle Cure Primarie possono rivelare alcuni elementi in comune.
Il volontariato.
L’enfasi post Covid mostrata nei confronti del volontariato sembra ora essersi convintamente incanalata verso un ruolo che vede l’associazionismo civile come soggetto “conveniente” per possibili esternalizzazioni dell’offerta sanitaria al massimo ribasso possibile se non alla gratuità. Tuttavia il coinvolgimento del Terzo Settore avviene, nella maggior parte dei casi, rigorosamente “ex-post” secondo la più classica delle interpretazioni aziendali di governance (altra formula magica) a cui si vorrebbe dare un significato opposto a ciò che è nella realtà delle cose cioè un governo monocratico/oligarchico e verticistico.
Cure Primarie.
E’ eclatante come si perseveri (diabolicamente) nel calcolare la medicina di base come baluardo per gli accessi al PS e per i ricoveri impropri quando questo effetto dovrebbe essere un conseguenza secondaria ad una assistenza primaria che, secondo quanto definito da Wonca (2011-2012-2022), venga esercitata secondo caratteristiche specifiche proprie.
Auto-organizzazione.
Tra le varie ipotesi di riforma l’autonoma organizzazione di professionisti “autori” all’interno di comunità “contenute” (mai superiori ai 30.000 abitanti) può rappresentare uno “strumento chiave” per gestire un sistema complesso come è quello della salute (L’auto-organizzazione quale strumento di gestione della complessità, De Toni, 2021).
Complessità.
Lo stesso E. Morin (2005) ha sostenuto che, in un sistema complesso, le azioni alla fine sfuggono alle volontà di chi le ha generate a causa del meccanismo di autoregolazione o feedback (retroazione) così come avviene anche nelle reazioni biologiche o cellulari (catabolismo, anabolisismo, entropia, entalpia). Il principio della retroazione è fondamentale per comprendere la complessità. Quando manca la consapevolezza dei fenomeni correlati alla complessità non potranno mai essere approfondite le conseguenze che le azioni che insistono su questi stessi sistemi possono avere. Ogni azione può modificare l’evoluzione di un sistema complesso con esiti assolutamente inaspettati tanto che è possibile affermare che non esistono spiegazioni definitive ma solo contestuali.
Le strategie storicamente utilizzate dalle Aziende Sanitarie vengono guidate dagli esiti finali attesi perché l’assistenza di base viene considerata come un sistema semplice e lineare (appropriatezza prescrittiva e di diagnostica strumentale, riduzione degli accessi al PS e dei ricoveri definiti inappropriati, Assistenza Domiciliare Integrata/Programmata ecc.). Se invece l’assistenza viene pensata come un sistema complesso la strategia è ispirata dalle condizioni e dal contesto senza che si possa prevedere o attendere un esito ex-ante.
L’organizzazione gerarchica piramidale monocratica/oligarchica è assolutamente inadeguata per far fronte ai sistemi complessi.
Conclusione (leadership, presidio di riferimento, gerarchia, periferia)
Le Cure Primarie Territoriali richiedono la conoscenza del funzionamento dei sistemi complessi. La strategia organizzativa più adatta sembra essere quella dell’auto-organizzazione territoriale (patti tra professionisti e cittadini/assistiti) senza la presenza di controlli o modelli gerarchici centralizzati ( Ausl, Distretti, Assessorati).
Parafrasando il fisico premio Nobel Philip Warren Anderson (1977) si potrebbe sostenere che l’auto-organizzazione territoriale rappresenta il futuro più affascinante per un SSN in ragione della sua infinita varietà! L’autonomia organizzativa/gestionale richiede da parte dei professionisti impegno, innovazioni, intelligenza anche per esercitare una “self-leadership” vocazionale (Chris Lowney 2005) dove la gestione della responsabilità cliniche, relazionali e sociali crea benessere nei professionisti e nei cittadini. In questo modo si crea un “presidio” contestuale di riferimento per la comunità. Un vero Welfare di Comunità. La cultura del controllo centralizzato (es.: dipendenza dei mmg) non potrà mai risolvere le attuali criticità che aggrediscono le Cure Primarie perché ciò che è necessario è la comprensione della complessità e la soluzione è data dall’autonomia e dall’auto-organizzazione dei professionisti a livello territoriale. La gerarchia non è ineluttabile. Al centro non si risolve. Il futuro è in periferia (De Toni 2021).
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
31 luglio 2023
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Le informazioni e i dati da soli non illuminano il mondo
05 LUG - Gentile Direttore,
sia concessa una riflessione sul tema della “pezza peggiore del buco” esortata proprio dalla “teorizzazione dell’acqua calda” (Le ricerche in sanità e l’invarianza dei risultati, QS 26 giugno 2023) vessillo dell’imperitura cultura della conservazione. La metodologia degli annunci relativi alla riorganizzazione delle cure primarie a volte si trasformano in veri e propri scenografici talk show estivi a cui partecipano, molto rilassati, soggetti in grado di offrire originali perle di ovvietà ad un uditorio particolarmente pronto ad accogliere favorevolmente ogni fragilità cognitiva purché derivate da elaborati istituzionali.
Al contrario per coloro che riflettono da tempo in modo discrezionale e argomentato sulla riforma delle cure primarie (come passaggio imprescindibile per il “servizio” salute/sanità) le “aporie” presenti nei documenti ufficiali e nelle varie petizioni circolanti creano situazioni pressoché irrisolvibili. La filosofia politica sanitaria organizzativa non può tuttavia esimersi dal ricercare la ricchezza insita nel territorio (con iniziative testimoniali, crematistiche e paideiche) formulando appunto proposte accorte per un ordinamento alternativo.
Secondo il parere di alcuni estensori dei documenti calati dall’alto o scaturiti da organizzazioni/associazioni nate frettolosamente in ragione e del PNRR, DM77, Metaprogetto, ACN ecc. pare non ci si possa separare dalle teorizzazioni cardinali (es.: esistenza del Distretto) come se il mondo fosse immodificabile e non esistessero forze sociali in grado di far fronte all’appiattimento sanitario globale. Come se tecnica ed economia fossero sempre e comunque sovraordinate, la forma “merce” sembra dominare sui beni e sui valori (es.: … due mezzi medici, QdS, 30 maggio 2023; Case della Comunità e Ospedali di Comunità tutt’altro che di comunità ma più propriamente “di amministrazione”; ipotesi subentranti di una compresenza tra mmg dipendenti e liberi professionisti; ecc.). Per riappropriarsi di virtù oggi non più scontate occorre l’audacia di immaginare possibili radicali innovazioni corroborate da una viva “speranza” (E. Bloch) perché le diagnosi vanno accolte con attenzione ma senza affidarsi completamente alle prognosi.
Valori e principi fondamentali della medicina generale ( Wonca riconferma 2022)
Come se ne esce?
L’elenco delle varie definizioni di “centralità del paziente”, “welfare di comunità” o di “comunità”, di “partecipazione” o di strumenti decotti proprio in quanto infilati nel “sistema” delle AUSL a simulare la presenza dei cittadini o millantare un loro potere nel processo decisionale incrementano solo l’instabilità dei fragili costrutti normativi oggetto del dibattito di questo periodo.
Il primo movimento dovrebbe permettere di pensare che siano possibili le vere riforme (es.: quarta riforma come innovazione del “Servizio” Sanitario Nazionale; Nuovo patto-contratto tra medici professionisti della sanità territoriale e il Servizio Sanitario Nazionale, elaborato datato al 2011, ma possibile traccia per ipotetici, sintetici, leggibili e trasparenti ACN).
La seconda azione riguarda il conoscere bene la complessità della professione del mmg ( l’errore macroscopico diffuso è credere che la medicina generale non abbia una propria specificità, valori e principi e sia in funzione di un efficienza del Pronto Soccorso o un mulino in grado di macinare dati come se già quelli stoccati nei silos in questi 20 anni non siano abbastanza inutili per le persone tanto che hanno fatto esplodere il fenomeno delle liste d’attesa più che incredibili, insopportabili ed irritanti per un sistema costantemente intento a ricercare ogni forma di esternalizzazione leggendo in questo senso “commerciale” forse anche il coinvolgimento del terzo settore ).
Ragionare senza i passaggi necessari e continuare a disquisire su cose che si ignorano, non favorisce la nascita di adeguate soluzioni ( es.: Tavolo Tecnico per lo studio delle criticità emergenti istituito presso l’Ufficio di Gabinetto del Ministero della Salute dell’8 giugno 2023 che pare non aver considerato l’imporsi della medicina di genere tuttavia sicuramente su 18 componenti non è stata individuata una medica esperta sul tema e comunque una presenza competente femminile considerati rapporti percentuali m/f presenti ad es. nel territorio).
I determinanti delle varie crisi possono essere numerosi e forse può essere inserita di diritto, tra queste, la sofferenza della verità in quanto le informazioni e i dati da soli non illuminano il mondo e obbligano le persone a rimanere in una “caverna” che inconsapevolmente appare levigata e confortevole (Byung-chul Han).
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
05 luglio 2023
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