L'arte? Come una medicina. E la bellezza entra nella cura

13 NOV - Gentile Direttore,

L’Organizzazione di Volontariato Comunità Solidale Parma (ODV-RUNTS) promuove, in collaborazione con FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari) l’incontro sul tema “PRENDERSI CURA CON L’AIUTO DELL’ARTE” che si svolgerà venerdì 6 dicembre 2024 dalle ore 17:00 alle 17:40 nella sede situata nella sala d'aspetto dell’Ambulatorio San Moderanno di via Trieste 108/A.

Bruna Giordano, ingegnera ed esperta d’arte, presenterà commenti sulle  seguenti opere "Vaso con dodici girasoli", 1888 , di Vincent Van Gogh; "il  bacio", 1907-1908, di Gustav Klimt. Le riproduzioni delle opere rimarranno nella sala d’aspetto dell’Ambulatorio San Moderanno per alcuni mesi fino al successivo evento che coinvolgerà altri capolavori (è previsto un incontro ogni 6 mesi).

L’arte, nella sua accezione più ampia, può essere considerata come un insieme o un sottosistema che ha alcune caratteristiche descrittive, di evoluzione temporale non lineare, di interconnessioni e di fenomeni emergenti che vengono ben rappresentati dalla teoria dei sistemi complessi. Gli stessi principi sono utilizzabili per delineare la complessità della cura e del prendersi cura, in particolare, a livello di assistenza sanitaria territoriale.

La teoria della complessità rappresenta oggi un paradigma di riferimento culturale fondamentale. Aiuta a comprendere l’essere umano e il mondo che lo circonda rifuggendo il conformismo delle interpretazioni semplicistiche, preconfezionate, di corto respiro.

L’arte ha la forza di attivare il logos delle singole persone, la curiosità, l’azione, la potenza.  La salute ha le stesse caratteristiche. Di conseguenza sarebbe intelligente rivedere radicalmente numerose inadeguatezze organizzative/ assistenziali territoriali.  Vi sarebbero esperienze innovative efficaci,  generate dalla base, che non andrebbero sprecate anzi dovrebbero essere incentivate in quanto foriere di cambiamenti cognitivo comportamentali, nei professionisti e negli assistiti, capaci di promuovere il benessere comune.

Nella società contemporanea l’arte ha assunto un ruolo sempre più importante e pervasivo.  Anche coloro che pensano di non essere interessati a questo ambito ne sono inevitabilmente condizionati in quanto l’estetica (anche se spesso manipolata in senso ripetitivo, consumistico, edonistico, spettacolare, effimero, massificato) è onnipresente. Il contatto con il “bello” può creare emozioni capaci di dare senso all’esistenza grazie ad una percezione di soddisfazione, di benessere o di salute spesso difficilmente verbalizzabile ma che avvicina alla comprensione, non consolatoria, della condizione umana. Nella cura  questa “bellezza” è rappresentata in modo particolare dalla relazione.  Nella malattia si cercano elementi essenziali  sperimentati da ogni essere vivente razionale nella propria esistenza: il linguaggio, i riti, i gesti, la sacralità, l’accoglienza, l’accompagnamento… L’essenza della relazione mette vita nella vita  e così  il quotidiano prende colore, diventa abitudine, produce addirittura economia. L’arte e la cura hanno in comune la profondità, sono in grado di condividere i patrimoni culturali universali con la comunità di riferimento permettendo così  l’elaborazione dei misteri ontologici più importanti dell’uomo. Non è necessario essere esperti d’arte per riceverne i benefici: l’opera d’arte in qualche modo comunica. E’ sufficiente un po’ di curiosità e pazienza e l’opera inizierà a raccontare qualche cosa di singolare perché le fatiche o le gioie che prova lo spettatore sono le stesse che ha sperimentato l’artista nel realizzare la sua opera. Questo percorso esperienziale cambia sia l’artista che lo spettatore.

Da tempo le evidenze scientifiche e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno dimostrato e riconosciuto che esiste un rapporto diretto tra benessere/ salute e fruizione dell’arte in quanto questa può modificare, in senso positivo, fattori biologici, psicologici e sociali/ culturali (determinanti della salute). Gli esiti delle ricerche sono stati condensati nel rapporto dell’OMS del 2019 (arte e salute). La narrazione preferisce, comunque, far coincidere l’inizio de questo connubio arte/salute con gli anni 60 e con l’episodio che vede come protagonista il signor Frederick Weisman ricoverato all’ospedale Cedar-Sinai di Los Angeles. Da allora si sono diffuse numerose esperienze similari  nel mondo (tutte in ambito nosocomiale) e anche in Italia dove, a volte, la consuetudine  di vivere a contatto con l’arte è data  per scontata tanto da farne dimenticare il potenziale. Nel 2020 l’enciclopedia Treccani ha inserito il lemma “welfare culturale” nel suo vocabolario.  Non vi sono invece studi o esperienze strutturate che riguardino la funzione dell’arte in medicina generale (di base).

In ogni caso può essere utile ricordare che la documentazione storica originaria di un utilizzo consapevole dell’arte come cura è datata 1090 e si realizza  in Italia nel primo ospedale edificato a questo scopo, sulla via Francigena, a Siena. Infatti nell’ospizio di Santa Maria della Scala gli ammalati venivano allettati di proposito sotto gli affreschi di Domenico Bartolo al fine di dare sollievo alle sofferenze.

Oggi non è più possibile ignorare la mole di informazioni scientifiche relative all’alleanza tra salute ed arte e all’ incidenza  positiva sugli stili di vita, sulla prevenzione, sulle patologie croniche degenerative, sul dolore e sulla sofferenza. L’ideazione di strutture sanitarie assistenziali territoriali, soprattutto in periferia, dovrebbe tener conto di questi elementi prima ancora di iniziare ogni percorso decisionale.  In conclusione vorremmo segnalare un interessante ed inatteso fenomeno  che si è verificato durante la preparazione di questo incontro: vi è stata una condivisione no-profit , relativa alle  finalità dell’evento, molto alta da parte delle  attività commerciali e produttive (95%) di questa zona ristretta e limitata  alle  due arterie principali che si  incrociano tra via Trieste (fino al ponte-cavalcavia dell’intersezione alta velocità) e via Venezia ( dalla rotonda con via Naviglio Alto/Via Cuneo al sottopasso-cavalcavia  ferroviario di via Venezia).  E’ verosimile quindi che l’ambulatorio medico (Medicina di Gruppo San Moderanno) venga vissuto come reale punto di riferimento da cittadini ed imprenditori.   Questo palese consenso può rappresentare una importante indicazione relativa alle opportunità assistenziali- sanitarie di questa comunità- quartiere al fine di programmare ed investire energie e risorse organizzative, anche sperimentali, che siano coerenti con le complessità dei bisogni.

Il Direttivo di Comunità Solidale Parma

www.comunitasolidale-parma.it

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

13 novembre 2024

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C’è un bisogno assoluto ed immediato di speranza

Gentile Direttore,
il continuo passaggio da una crisi sanitaria all’altra, da un problema all’altro, innesca provvedimenti meramente contingenti quando, a livello territoriale, le cause sono principalmente multifattoriali e non lineari. Alcune testate giornalistiche, incalzando diverse alte dirigenze Ausl sul tema delle liste d’attesa, hanno documentato risposte di DG e DS a dir poco disarmanti e prive della più elementare autocritica. L’ottimismo fuori luogo somiglia molto al pessimismo. L’equazione comporta una comunicazione essenzialmente protocollare, rigidamente richiusa in una prigione formale priva di tempo e di empatia. L’ottimismo/pessimismo non favorisce l’intelletto agente e quindi non genera conoscenza.

I documenti definiti “riforme” (DM77, Case della Comunità, metaprogetti, ecc…) mostrano un ottimismo/pessimismo che difetta di reali innovazioni ed acquisizioni.

L’atteggiamento ottimistico/pessimistico è, di norma, celato dietro lo storytelling commerciale o propagandistico dell’efficientismo che, nella sostanza, non ha mai nulla di importante da raccontare.

Infatti i prodotti, le merci, il consumismo sanitario confezionato dall’alto crea finti bisogni che a loro volta possono generare depressione quando quelle aspettative non dovessero essere soddisfatte. Siamo sicuri che le tanto osannate Case della Comunità spoke rappresentino realmente i bisogni sanitari di assistiti e professionisti territoriali?

La mancanza di azione e l’immobilismo nelle istituzioni impediscono la conoscenza e lo sviluppo di una cultura della complessità relativa al bene comune e l’apparato decisionale si dedica al culto dei dati anche se questi hanno dimostrato di essere inadeguati a descrivere o a prevedere gli eventi.

A fronte di tutto ciò gli assistiti manifestano disorientamento, disincanto, timore, ansia, rancore e financo brutalità. La solidarietà, la fiducia reciproca, il credito verso il SSN, il senso di comunità vengono di colpo cancellate.

C’è proprio un bisogno assoluto ed immediato di speranza.

La speranza è intrinsecamente inserita nel DNA e quindi nel processo evolutivo. Entra, in modo complesso, nei nostri sistemi irriducibili.

La speranza è una dimensione essenziale della nostra anima di esseri viventi razionali. E’ incompatibile con la rassegnazione al male esistente. Sfugge ai calcoli statistici e spinge all’azione proprio per rendere le persone intelligenti e pronte a qualsiasi esito inatteso . Aiuta a superare i disagi e conduce a quella saggezza capace di proteggere la salute, il rapporto fiduciario e la comunità.

La speranza crea soprattutto movimento, attività, disponibilità, assunzione di responsabilità in grado di affrontare problematiche sanitarie territoriali anche non intuitive. Contrariamente le annose iniziative economicistiche o i modelli gestionali esotici di oltreoceano (ora è di tendenza il Brasile), ostinatamente riproposti, non hanno mai risolto nulla, non agiscono, restano ferme a protezione dello status quo e delle rendite di posizione. Alcuni sostengono che quello attuale sia un punto di non ritorno, uno stato di rottura.

Ciò nonostante il contesto sociale non è composto solo da sistemi burocratici amministrativi, alte dirigenze o assessorati regionali ma anche dalla società civile. Ci sono i cittadini/assistiti esigenti e consapevoli, gli anziani della 3 e 4 età sempre più numerosi e in buona salute, i professionisti esperti che operano a contatto con le persone: i bisogni e gli interessi sanitari di questi potrebbero essere molto diversi da quelli dei decisori e, forse, anche una rottura può aiutare le collettività a riappropriarsi delle risolutezze che contano per dare reali vantaggi in salute alla comunità.

Le progettazioni partecipative telecomandate hanno deluso. C’è bisogno di speranza, di bello, di salute, di cultura. Le persone desiderano entrare in maniera diretta, profonda, competente e lucida nei percorsi decisionali che riguardano i loro quartieri.

La trasparenza deve essere un pre-requisito se non si vuole ritornare all’immobilità della retorica partecipativa. Le comunità sono imprescindibili ma sono anche delicate e fragili.

Cambiano di volta in volta a seconda dei territori, della storia, dei valori. E’ inevitabile che ogni collettività possa presentare una non-replicabilità che deriva proprio dalle peculiarità razionali delle persone.

L’errore macroscopico di certe iniziative up-down è quello di aver voluto inglobare, in modo saccente, istanze di cittadini e di professionisti all’interno di griglie precostituite al fine di poterle manipolare a favore di quanto già (in-)deciso a priori.

La non-ripetitività, piuttosto, è un valore prezioso, alimenta la fiducia e la speranza perché sperimenta la ricchezza che deriva dall’innata necessità di scambiare idee ed opinioni. Ragionare, parlare, rendere conto e spiegare può diventare la vera fortuna delle comunità se le competizioni o le occasioni circostanziali non bloccano questo flusso intellettivo. Il PNRR rappresenta un emblematico esempio di circostanza che, nello specifico, ha fatto diventare le Case della Comunità, in poco tempo, un pensiero unico sovraccaricato delle più stupefacenti migliorie per il territorio.

Nel momento in cui la cultura della salute, della conoscenza, della complessità insita nelle piccole comunità periferiche (professionisti e assistiti) si uniscono, nel rispetto delle competenze e nella difesa della loro indipendenza dalle circostanze, allora, in quelle comunità, la cura sarà davvero efficace perché sarà in grado di accogliere il disagio e la malattia indipendentemente dalla possibilità di guarigione e tale processo potrà superare in positivo (sorprendentemente) tutti i più sofisticati piani economicistici (vedi sistemi “governamentalitario” di appropriatezza prescrittiva).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

11 ottobre 2024
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Dente di leone

Dona salute al tuo quartiere: nuove proposte per il San Leonardo

7 OTT- Gentile Direttore,

I recenti interventi in tema sanitario apparsi sulla Gazzetta di Parma (Piergiorgio Serventi e Fabio Vanni) hanno dato l’occasione al nostro Centro Studi di Programmazione Sanitaria di esprimere alcune opinioni e punti di vista rivolte al quartiere dove Comunità Solidale Parma (CSP) opera da anni.

L’associazione, secondo statuto, nasce proprio per svolgere riflessioni ed approfondimenti socio sanitari, autonomi ed indipendenti, in base allo studio delle criticità presenti in questa parte della città (da sempre priva di strutture sanitarie pubbliche importanti) e all’analisi delle opportunità disponibili.

CSP ha elaborato  quasi 10 anni fa un disegno progettuale denominato “Dona salute al tuo quartiere: la casa della salute “grande” e l’Ospedale di Comunità” (accogliendo più di 1000 firme tra gli abitanti del quartiere). Oggi l’associazione, i professionisti ed i cittadini si confrontano con un progetto ufficiale di Casa della Comunità (CdC) per il quartiere San Leonardo che sta seguendo un suo percorso detto di “accompagnamento”.

Si desidera con il presente intervento condividere una ipotesi operativa in considerazione della situazione attuale che è comunque condizionata dalle norme PNRR e dal contesto economico generale.

Le normative collegate al processo decisionale istituzionale (Delibera della Giunta Comunale n. GC 2021-465 del 29/12/2021; deliberazione cc-2024-22 del 25/03/2024 … dove tuttavia si nomina “un ampliamento della Casa della Salute…”) hanno disposto la realizzazione di una CdC  per il San Leonardo. Dovrebbe essere edificata c/o il polo socio-sanitario di Via Verona (detto anche Parco dei vecchi mulini) proprio dove oggi le persone possono osservare il profondo scavo nel terreno vicino parete sud dello stabile del polo socio-sanitario.

Dall’inizio lavori  si evince tuttavia che la struttura della CdC potrebbe non essere adeguata ai bisogni sanitari del quartiere già ben rappresentati dal disegno progettuale di CSP del 2014-2015.

E’ altresì paradossale che in questa periferia dove insistono molti “servizi”  per l’intera città (stazione, ferrovie, autostrada, inceneritore, industrie, ipermercati…) che possono procurare disagi anche sanitari  (es. inquinamento ambientale) sia carente di strutture sanitarie adeguate ai bisogni . Anche storiche medicine di gruppo presenti in San Leonardo (tra le prime ad essere attivate in città) sembrano accusare difficoltà logistiche e non solo tali da  essere costrette a prendere in considerazione  l’ipotesi  di un trasferimento.

Queste ultime affermazioni ci consentono di presentare una nuova ipotesi di riordino del sistema socio-sanitario e assistenziale nel quartiere sempre  che sia possibile immaginare  un  cambio di destinazione d’uso della CdC di San Leonardo ( fondi PNRR permettendo).

L’ipotizzata CdC potrebbe essere affidata alle associazioni di volontariato del quartiere (sollevando il datato ex-Comune di Cortile San Martino dalla numerosa presenza di organizzazioni del terzo settore). Tuttavia è probabile che  le organizzazioni no profit del San Leonardo non potranno tutte trovare una nuova sede nella CdC di Via Verona così come è evidente che nella stessa CdC non troverebbero posto tutti i medici di medicina generale  del quartiere che vorrebbero operare in una struttura di questo tipo. L’ipotesi proposta da CSP permette di realizzare un punto di riferimento per iniziative relazionali con la popolazione (riunioni, conferenze, dibattiti…), con l’associazionismo medico (le due medicine di gruppo di San Leonardo si trovano equidistanti da Via Verona ), con gli  ambulatori singoli e con le istituzioni sociali già presenti nel polo socio sanitario Wilma Preti realizzando così un'unica “casa della Salute/Comunità| di Quartiere su più sedi.  La tesi naturalmente richiede innovazione e riorganizzazione condivisa che possa vedere i professionisti socio-sanitari e le associazioni del quartiere protagonisti di un processo decisionale snello, rapido e fruibile da chiunque. Va da se che il Parco dei vecchi mulini (Deliberazione n. gc-2022-223 della giunta comunale in data 18/05/2022) dovrebbe essere integrato completamente in questo nuovo disegno socio-sanitario ed assistenziale creato dalla rete tra medicina di base, volontariato e il sociale. Il parco può essere messo a disposizione dei cittadini ma essere anche dedicato alla prevenzione, alla riabilitazione neuro-motoria e cognitiva, ad eventi educativi, ricreativi, culturali e diventare un centro di riferimento, in sicurezza, per tutto il quartiere.

Direttivo di Comunità Solidale Parma

www.comunitasolidale-parma.it

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

7 ottobre 2024
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Cure primarie. “Connettere e coalizzare le risorse per rilanciare il Ssn: l’avvio di un’azione comune”

Avviare un percorso collaborativo per la difesa, ripensamento e rilancio del Ssn e giungere a proposte unitarie e condivise, da porre ai decisori politici. Questo l’esito di un incontro promosso dall’Alleanza per la Riforma delle Cure Primarie in Italia, che ha visto la partecipazione di sindacati, ordini professionali, società scientifiche e associazioni.

13 SET -

Condivisione di un documento sulla crisi del Ssn e su proposte per aumentarne la resilienza, la sostenibilità, l’equità e l’universalismo, stilato dall’Alleanza, ma aperto al contributo di tutte le organizzazioni interessate a collaborare al comune obiettivo di salvare “il diritto alla salute” nel nostro Paese.

Questo il tema dell’incontro promosso dall'Alleanza per la Riforma delle Cure Primarie in Italia,[1] organizzato lo scorso 9 settembre. All’incontro hanno partecipato, oltre ai partner dell'Alleanza, anche rappresentanti di sindacati, ordini professionali, società scientifiche, associazioni: Cgil e Uil, Fvm, Fnofi, Simg, Simccp , Cittadinanzattiva, Forum Diseguaglianze e Diversità, Associazione L’altra Sanità, Coalizione Civica per Bologna, CrAMC.

Il Ssn da salvare: perché? I presenti hanno convenuto che il Ssn è oggi “gravemente ammalato” e vive una situazione di profonda crisi che sta mettendo in discussione i principi fondamentali di universalità, di uguaglianza, di equità e di gratuità.

I problemi sono sotto gli occhi di tutti: Liste d’attesa sempre più lunghe anche per accedere a servizi essenziali ed urgenti; carenza di infermieri e di medici di famiglia, del pronto soccorso, di diverse branche specialistiche, ospedalieri; organizzazione generale attuale del sistema delle cure primarie ormai inadeguata alle mutate esigenze della popolazione; conseguente obbligato ricorso di una fetta sempre maggiore della popolazione a prestazioni a pagamento; progressiva espansione della sanità privata, co-finanziata dalla fiscalità generale ma in concorrenza e a danno della sanità pubblica; rinuncia alle cure di moltissimi cittadini che non sono più in grado di sostenerne i costi; carenza di servizi per la salute mentale, di consultori familiari, di supporti per giovani e adolescenti sia per aspetti sanitari che per situazioni di disagio; carenza e inadeguatezza dei servizi di assistenza domiciliare; aumento delle diseguaglianze e delle fragilità.

Sanità e salute: molte proposte, ma poche iniziative unitarie. Numerose realtà si sono espresse sull’argomento: gruppi di operatori, ricercatori, scienziati, cittadini; società scientifiche; ordini professionali; organizzazioni sindacali; associazioni di malati e cittadini; giornalisti; persino la Corte dei Conti. Ma sono voci che si mobilitano in maniera separata, facendo spesso prevalere la visione delle rispettive identità a discapito di un interesse comune, dei cittadini in primo luogo. Ne consegue la scarsa capacità di incidere sui processi, di condizionare le scelte politiche e di invertire il declino del SSN. Ne consegue il potere quasi nullo di evocare risposte conseguenti da parte dei decisori politici.

Fare rete e costruire proposte condivise: I presenti hanno convenuto invece necessario ed urgente unire queste voci e realtà. Molte proposte che esse esprimono sono convergenti. La gravità della crisi in cui versa il SSN impone di individuare e valorizzare gli elementi comuni e di avviare un percorso unitario che porti alla condivisione, tra tutte le diverse componenti delle medesime proposte. La difesa e la riorganizzazione per un moderno SSN accomuna tutti, si rende pertanto opportuno avviare un percorso per “connettere e coalizzare” le diverse realtà.

Un percorso condiviso: Sulla base di queste premesse, i partecipanti all’incontro hanno deciso di avviare un percorso collaborativo con l’obiettivo di connettere e coalizzare le risorse interessate e disponibili ad impegnarsi per la difesa, ripensamento e rilancio del SSN e giungere a proposte unitarie e condivise, da porre ai decisori politici, con la forza che queste acquisirebbero dall’unità delle tante voci.

Le azioni e scadenze individuate:
Attivare l’indirizzo e-mail il.ssn@gmail.com per corrispondenza e adesioni;
Una riunione via web il 25 settembre ore 18,00, per approfondire le convergenze sui contenuti del documento inizialmente proposto “Connettere e coalizzare le risorse per rilanciare il SSN”;
Organizzazione di incontri pubblici di confronto -a Milano, a Roma e Bari- allargati alla platea più ampia possibile di Istituzioni, Organizzazioni professionali e sindacali, Società scientifiche, Associazioni di operatori sanitari, sociali, malati e cittadini.

[1] Aderiscono alla Alleanza per la Riforma delle Cure Primarie in ItaliaCampagna Primary Health Care Now or Never; ACLI - Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani; AICP - Accademia Italiana Cure Primarie; AsIQuAS - Associazione Italiana per la Qualità della Assistenza Sanitaria e Sociale ETS; AIFeC – Associazione Infermieri di Famiglia e di Comunità; Associazione APRIRE – Assistenza Primaria In Rete; Associazione Comunità Solidale Parma; Associazione La Bottega del Possibile; Associazione Prima la Comunità; Associazione Salute Diritto Fondamentale; Associazione Salute Internazionale; CARD - Confederazione delle Associazioni Regionali di Distretto; Comitato Promuovere Case della Comunità a Parma e Provincia; EURIPA Italia - European Rural and Isolated Practitioners Association; Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri – IRCCS; Movimento Giotto; Movimento MMG per la Dirigenza; SItI - Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica; Slow Medicine ETS.

13 settembre 2024
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Medicina Territoriale

Case della Comunità periferiche verso l’emarginazione

26 LUG - Gentile Direttore,
Il prof. Ivan Cavicchi, novello e orgoglioso nonno di Livia, fa fiorire nel profondo del suo animo, provato da numerosi dispiaceri culturali e lacerazioni identitarie, un autentico significato di speranza. Con il suo ultimo articolo QS 22 luglio, la recente pubblicazione "Salviamo la sanità. Una riforma necessaria per garantire il diritto di tutti" (Castelvecchi 2024), che si legge tutta d’un fiato e le appassionate conversazioni/conferenze presentate in molte località del paese, il Prof. Ivan non solo prospetta un “appello alla ragione” ed una strategia bipartisan per salvare la sanità ma evidenzia come, per ottenere un reale “processo” di modifica dell’ordine omologato dominante, diventino fondamentali i movimenti dei cittadini o dei volontari affrancati da ogni forma di conflitto di interessi.

Nulla che possa essere ricondotto alle Conferenze Socio-Sanitarie Territoriali, alla Conferenza Stato Regione oppure ai Comitati Territoriali Misti dove le frequentazioni istituzionali o le appartenenze di apparato condizionano di molto i metodi e i meriti delle questioni a causa di una “governamentalità diffusa”.

I cittadini hanno l’esigenza di comprendere il perché le nostre società, le periferie, le rappresentatività formali sono diventate ciò che sono. Lo sbilanciamento informativo è evidente. Le persone, quando aggiornate correttamente, sono colpite dalle vicende che hanno coinvolto il Sistema Sanitario in questi 40 anni e vorrebbero partecipare a contraddittori pubblici perché hanno a cuore il problema della sanità/salute. Desiderano uscire dai recinti precostituiti e monocordi avvezzi a conservare sotto vuoto le notizie “strategiche”. Queste conoscenze interne hanno la caratteristica “camaleontica” di cambiare la sostanza o gli accidenti ogni qual volta è possibile pubblicare una delibera a tutto vantaggio delle élites decisionali e ad una inevitabile disinformazione strutturale per i non addetti ai lavori.

Emblematici sono i percorsi attuati nei territori per la realizzazione delle sempre più chimeriche Case della Comunità. Pochi cittadini/volontari sosterranno, una volta compreso l’inghippo tra CdC Spoke e CdC Hub, che la CdC spoke rappresenti la soluzione di un bisogno sanitario di quartiere a causa delle innumerevoli criticità che contagiano la loro quotidianità.

E’ curioso come l’ordine diffuso di mercato (termine sovrapponibile a globalizzazione o a neoliberalismo) si possa diffondere in una infinità di rivoli che permeano anche le piccole realtà locali (periferie). E così la ragionevolezza si smarrisce avvolta com’è dalle spirali della “gestione aziendale” che, immutabile nell’agire il potere economicistico, genera quel consumismo che si vorrebbe rimproverare ad altri (es.: ai cittadini o ai medici di famiglia).

Alcune associazioni di volontariato e numerosi cittadini disdegnano la “pesante indifferenza” istituzionale nei confronti della sanità. E’ una distanza molto sospetta e foriera di una profezia autoavverantesi (il fallimento del Servizio Sanitario Pubblico).

Numerosi sono gli indizi che dimostrano come il diritto alla salute sia diventato ormai un diritto potestativo cioè un potere volto a salvaguardare un interesse individuale o soggettivo (quello del mercato) e non un diritto chiaramente orientato a tutelare gli interessi della collettività.

In ogni caso non saranno alcune analisi e qualche riflessione a modificare il sistema della globalizzazione. Come studiosi di organizzazione sanitaria e di terzo settore si desidera comunque ragionare sul tema della “corresponsabilità tra interessi e diritti”, degli addebiti, dei tornaconti specifici, dell’assoluta mancanza di autocritica.

Gli interessi non vengono negati ma devono essere compossibili (possono benissimo stare insieme senza prevaricazioni) con i diritti. Nello specifico il Prof. Cavicchi supera il concetto di struttura (es.: economia) e sovrastruttura (es.: sociale o etica o bene universale non disponibile) perché in sanità i due concetti si sovrappongono. Infatti ciò che verrebbe individuata come sovrastruttura è determinata da una “pluralità” di fattori economici, organizzativi, gestionali e culturali che solo un sistema complesso può permettersi di affrontare. Il sistema “azienda”, lineare e singolare, non può atteggiarsi a modello efficace pena effetti distruttivi. Spesso nelle riunioni più o meno formali (es.: i già citati percorsi per le Case della Comunità che dovrebbero quindi relazionarsi con le persone che vivono nelle comunità) viene utilizzato un linguaggio sovrapponibile a quello delle alte dirigenze aziendali. Sembra di essere in un consiglio di amministrazione privato dove si argomenta di gestione di capitali, indubbiamente disponibili, da far fruttare.

Ecco quindi che in questa sovrapposizione tra struttura e sovrastruttura diventa dirimente l’azione della società civile o del volontariato. L’obiettivo è quello di “ricontestualizzare” l’art. 32 cioè di definire la compossibilità tra diritti, interessi (anche privati) e modalità operative relative.

Verosimilmente la globalizzazione non cederà di un millimetro perché “l’algoritmo” che sostiene questo ordine di cose si automantiene e si autogenera come nelle più classiche delle avventure fantascientifiche dove le macchine sottomettono l’uomo. Il disegno neoliberista non è un progetto consapevole, è autonomo e ha il carattere strettamente strategico (problem solving). Non è solo una ideologia o una politica economica, è soprattutto uno stile di vita, una specifica razionalità, una “felicità” pervasiva che influenza l’identità individuale e i rapporti sociali.

E’ un’omologazione competitiva e concorrenziale in grado di ipnotizzare gli individui verso quell’obiettivo. L’individuo calcolatore e responsabile è celebrato come ideale anche se questo dovesse comportare lo smantellamento di sistemi come quello sanitario o pensionistico o scolastico causando un impoverimento generalizzato. A fronte di tutto ciò però si potrebbero prospettare possibili conflitti sociali o sollevazioni che non si sa bene dove potrebbero arrivare.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

26 luglio 2024
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Salviamo la sanità. Da dove iniziare?

01 LUG - Gentile Direttore,
come Organizzazione di Volontariato (Runts) composta da cittadini/assistiti/pazienti strettamente collegati, da più di 10 anni, alle necessità relazionali e sociali dell’ operatività quotidiana della Medicina di Base del nostro quartiere, abbiamo accolto con molto piacere la notizia della pubblicazione dell’ultima fatica del Prof. Ivan Cavicchi definita, dallo stesso autore, una proposta temeraria (“Salviamo la sanità. Una riforma necessaria per garantire il diritto di tutti”. Castelvecchi editore 2024).

Le analisi e le considerazioni argomentate (che per altro richiamano molte altre pubblicazioni, articoli, interventi, conferenze dello stesso Prof. Cavicchi) sono più che esaustive e non necessitano di ulteriori commenti. C’è il richiamo alla ragione ma anche un estremo appello accorato.

Alcuni temi chiave inseriti nell’articolo di QS hanno sollevato interesse e dibattito all’interno delle associazioni di volontariato “sanitario”. Le ODV sono direttamente coinvolte in questa carambola globale proprio perché sperimentano sulla propria pelle le aporie relative alla sanità, alla salute e al prendersi cura. Tuttavia anche il terzo settore non è esente da contaminazioni neo-liberiste che tendono ad erodere molte virtù pratiche che si fondano sulla storia e sulle tradizioni delle associazioni stesse. Il rischio è che il volontariato deragli verso il baratro di una sub-cultura consumistica e dis-identificativa.

L’annullamento delle culture identitarie originali e innovative impoveriscono i ragionamenti liberi (e veri). Le sollecitazioni argomentate dal Prof. Cavicchi sono numerose (…i processi di controriforma sono andati troppo avanti per sperare di invertirli; …se continuiamo a confondere errori e tradimenti non ne verremo mai fuori…la ri-contestualizzazione dell’Art.32; …salvare il salvabile con un appello alla ragione; …chi vuole farsi curare nel privato lo può fare liberamente…). Il presente contributo verterà, per brevità, solo su due questioni.

“Non è vero che la salute non è una merce”: da tempo la salute è diventata un prodotto come tanti altri. Anche la medicina generale (medico di base) viene considerata, dalla normativa economicistica aziendale, una produzione. Nelle imprese private, sempre più spesso, la salute diventata oggetto di interesse ed è utilizzata come benefit/indennità accessoria (come l’auto o il telefono). Celate nelle pieghe di questi patti/contratti extra-AACCNN si nascondono, a volte, “concessioni” che confliggono con il concetto di diritto tanto da assimilare e confondere i diritti con i privilegi ( per pochi). Il recente convegno “il welfare del futuro” documenta una diffusa attività sanitaria a favore dei dipendenti delle imprese private ai quali vengono offerti, “sua sponte”, percorsi prestabiliti presentati come opportunità di prevenzione. Va da se che tutto ciò solleva non poche problematiche relative all’appropriatezza e all’eticità di queste formulazioni.

La globalizzazione e la libertà di mercato ha comunque decretato che la salute è merce. Una delle più efficaci definizioni di globalizzazione (Bauman) sostiene che questa forma permette all’economia e alla finanza di sottrarsi al controllo delle politiche degli stati e tende ad invertire il rapporto di potere. Senza politica o con una politica asservita non possono che aumentare le disuguaglianze e l’impoverimento (glebalizzazione o neo-feudalesimo). Il villaggio globale (McLuhan) crea il fenomeno della visione globale contestuale per cui ciò che avviene in una parte del mondo accade all’istante anche a livello locale (glocalizzazione).

Per quanto riguarda la crisi sanitaria, nessuna alta dirigenza può chiamarsi fuori dalle responsabilità specifiche e l’incapacità di compiere autocritica ha causato una orrenda confusione tra errori e tradimenti. Piano piano gli interessi di piccoli gruppi hanno invaso l’ambito dei diritti della collettività così da contaminarne il valore comunitario.

“Dalla sinistra …e dalla destra … si è pronti a fare un accordo”: l’appello bipartisan, bicamerale al fine di creare una azione riformatrice politica comune è una idea geniale, saggia, conciliatrice per affrontare la complessità e dovrebbe interessare molti. Chi dovesse rifiutare un impegno, in questo senso, per un'opera pubblica così importante farebbe una grama figura. Forse “è una ipotesi utopica quasi inagibile ma è una petizione di principio”. Necesse est. Sono a disposizione (indicati in pregressi interventi) menti e saperi abili, in grado di inserire l’art.32 della costituzione “dentro il nostro tempo e nella nostra complessità”. Senza questo passaggio si assiste solo all’infinita sequela di accuse reciproche, lamentele, spiegoni astratti o protocollari che avanzano pretese saccenti, definitorie od operatività estremamente sbrigative, settoriali condite da veri e propri capricci singolari.

Le posizioni manichee portano a disconoscere le complessità. L’appello alla ragione richiede di prendere in considerazione “nuovi contesti e nuove regole” così che la pluralità delle culture possa arginare l’irragionevolezza dei desideri illimitati e del pensiero omologato. L’istanza del Prof. Cavicchi e l’appello ad un neo-pragmatismo si ricollega alle migliori autorità filosofiche del XIII secolo (Giovanni Duns Scoto, Guglielmo di Occam) in grado di aprire nuove prospettive sociali. I loro modelli di vita, basati sulla consuetudine quotidiana e sulla sperimentazione personale della vita, permette alle comunità di sentirsi a proprio agio nel caos e nella complessità piuttosto che in un ordine rigido, prestabilito ed efficentista.

La situazione attuale del nostro SSN esige una struttura culturale in grado di sostenere operatività per nulla semplici e non immediate ma assolutamente necessarie. Il percorso deve però essere indicato immediatamente. In particolare a livello territoriale occorre superare alcune concezioni economiche secondo cui beni e servizi hanno un valore d’uso e di scambio finanziario. Un accordo politico bipartisan potrebbe condividere, nella prospettiva di migliorare di molto la salute delle persone e delle piccole comunità, la necessità di riattivare la storica spirale dare-ricevere-ricambiare. Il legame tra azioni di cura e risorse ha valore solo se è in grado di rinforzare relazioni sociali e creative. La solidarietà può quindi essere considerata una priorità e può fare convivere, con regole derivanti da una gerarchia di importanza, una sanità pubblica sempre più umana, forte e gratificata ed una sanità privata in leale, libera competizione.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

01 luglio 2024
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Medicina Territoriale

Gli assistiti e il sistema (ipotetico) cooperativistico

Gentile Direttore,
con il suo recente contributo su QdS (27 maggio 2024) il Prof. Ivan Cavicchi ha presentato una scrupolosa (per nulla facile) riflessione sulle possibili criticità che circoscrivono il fenomeno delle cooperative in ambito medico.

Non si fa riferimento ai contratti con “agenzie di servizio” sottoscritte autonomamente da singole forme aggregative di mmg (es.: medicina di gruppo) per affrontare fattori di spesa e problematiche organizzative. Piuttosto si vorrebbe analizzare la notizia dell’accordo, bilaterale, tra il sindacato maggiormente rappresentativo dei mmg e la Lega coop finalizzato alla costituzione di “cooperative di servizio”, (strutturate anche a livello nazionale), che vorrebbero operare sui fattori di produzione di beni e servizi e sulla loro erogazione in campo sanitario.

Il fenomeno ha un passato, non è una novità. Ha preso vigore, in alcune regioni, dopo la pubblicazione delle delibere riguardanti le Case della Salute (2012). Si formarono allora alcune SCRL (Società Cooperative a Responsabilità Limitata) con complicazioni burocratiche e gerarchiche ma poi, per anni, salvo rarissimi casi, non sono state implementate le incombenze professionali storiche del mmg. Ora i propositi futuribili sembrano molto più impegnativi fatto salvo che non si tratti di un “remake”, di corsi e ricorsi o di “annuncite”.

La situazione attuale del SSN post covid, le improbabili indicazioni discese dal DM77 e il confuso impianto delle CdC (che inizia a mostrare forti sfumature lobbistiche che poco hanno a che fare con i mmg che vengono relegati a ruoli secondari!) possono essere alcune cause che hanno riportato in auge il tema delle società cooperative di servizio. La trattativa/accordo sembrerebbe augurarsi un drastico cambio di passo “di mercato” nell’organizzazione della “medicina territoriale”. Al momento resta una dichiarazione di intenti (“impegno comune per un progetto”) ma potrebbe avere uno sviluppo improvviso ed eclatante verso orizzonti non ancora definibili come attualmente sta avvenendo per alcuni servizi che fino a poco tempo fa erano impensabili da realizzare nel privato-privato (es.: PS, SerDP).

Cosa potrebbero pensare, di un eventuale sviluppo cooperativistico, i cittadini/assistiti che da anni, silenziosamente, tentano di ricostruire relazioni con i loro mmg di riferimento territoriali dopo la strage delle comunità dovuta alla globalizzazione/individualizzazione di mercato? Con che animo si affideranno al loro “amico” (Epicuro) mmg, sapendolo impegnato nella produzione di beni e servizi che possono nascondere performance di impresa? Che vantaggi potrebbero avere gli assistiti da un efficientamento imprenditoriale (es.: abolizione delle liste d’attesa, ricoveri osservazionali negli ospedali di comunità in tempo reale, nessuna lista specialistica bloccata, accessibilità in 15 minuti a servizi compatibili con lo stato sociale della popolazione)? Come possono convivere la cultura universalistica e solidaristica con un’anima produttiva commerciale? In caso di successo del modello sindacato/lega coop i cittadini dovranno subire la nuova “governance” che non è mai neutra? La “libera scelta fiduciaria” si trasformerà totalmente in un “consenso informato” collegato a prassi protocollari destinate inevitabilmente ad un consumismo “payment off-poket” o ad una “intramoenia” nella medicina generale di base? Cosa avverrà nelle zone rurali o montane?

Il contesto socio-sanitario che resta, comunque, un determinante di salute dovrebbe essere degno di miglior causa. Una recente indagine (QdS del 4 marzo 2024) di Comunità Solidale Parma ODV ha mostrato come i pazienti non abbiano dimestichezza con i sistemi dell’alta burocrazia aziendale e, per certi aspetti, il disegno sindacato/lega coop pare una nemesi nei confronti degli apparati. Le istituzioni, da parte loro, hanno fatto e fanno di tutto affinché nessuno possa essere considerato innocente nei confronti della realtà sanitaria. Infatti il programma cooperativistico pare orientato ad una “ridefinizione delle cure territoriali” tanto che potrebbe agire sul mercato sanitario come un nuovo soggetto operativo. Tuttavia alcune esperienze di esternalizzazione in ambito pubblico (es.: socio-sanitario) hanno comportato una tendenza di performance orientate verso il massimo ribasso dei costi più che ad una ricerca di un’alta qualità e di una gratificazione economica professionale spalmata sugli operatori.

Il SSN e i SSR non riusciranno per tanto tempo, a causa della penuria di risorse, a ridurre a dipendenza la medicina generale territoriale (bramosia delle alte dirigenze) cosi come, indipendentemente dalle questioni politiche e legali, sarà molto difficile che le regioni rinuncino, in favore delle cooperative, ad un potere così rilevante come è il Servizio Sanitario Regionale sancito dalla modifica del Titolo V.

L’ipotesi Lega/Sindacato non sarebbe solo un cambio di passo ma addirittura renderebbe ancillari Decreti Ministeriali, ACN, AIR, sistemi di apparato regionale e locale. Un fanta-SSN potrebbe vagheggiare una trattativa diretta stato-cooperative in sanità. Una idea stagionata (AFT, Case della Salute, 2012) che viene da lontano e che, a suo tempo, ha procurato alla professione vere e proprie discriminazioni consociativistiche viene riproposta mantenendo le stesse “invarianze” strutturali, culturali, deontologiche e di credibilità. Date le premesse (è irrilevante che siano vere o false) seguiranno le conseguenze.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

30 maggio 2024
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L’insostenibile fragilità dell’Atto di indirizzo sulle Case di Comunità

20 MAG - Gentile Direttore,

da circa due mesi si è conclusa la “consultazione pubblica” sull’Atto di Indirizzo Agenas (tramite compilazione di un questionario) sul tema della partecipazione/co-produzione nell’ambito delle Case della Comunità. Il documento è stato redatto da un gruppo di studio composto da rappresentanti delle Regioni e da professionisti definiti esperti sul tema della partecipazione di pazienti e cittadini alle questioni sanitarie.

Storicamente gli Atti di Indirizzo indicano, in modo piuttosto potestativo, il comportamento normativo desiderato dalle istituzioni. L’elaborato articola quali debbano essere i passaggi di partecipazione e co-produzione che Regioni, Aziende e Distretti metteranno in atto. A dispetto delle intenzioni quindi nulla di nuovo. La piramide gerarchica sanitaria resta saldamente inalterata così come sarà la valutazione finale della potentissima Conferenza Stato-Regioni.

E’ noto che i documenti ufficiali europei (es.: Piano di ripresa NextGenerationEU ) disegnano strumenti finanziari (in buona parte prestiti pluriennali). Ogni nazione ha poi concepito propri Piani Nazionali (PNRR) con i quali definisce l’utilizzo dei contributi straordinari europei (post-covid) per il periodo che va dal 2021 al 2026. Nessun documento europeo specifica che una azione di ammodernamento sanitario (es.: territoriale) debba realizzarsi con le Case della Comunità. Lo stesso Piano Nazionale (PNRR) indica la necessità di attivare iniziative in grado di promuovere “strutture di prossimità” per quanto riguarda le cure primarie e cita, solo come esempio, le Case di Comunità ma non esclude nessun’altra formalità.

Successivamente al Piano di ripresa NextGenerationEU e al PNRR sono sati pubblicati il DM77/2022 (regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel SSN), il Metaprogetto, documentazioni varie di gruppi e di istituzioni locali. Per quanto riguarda il così detto territorio, le argomentazioni si sono polarizzate sul concetto di comunità (es.: Case della Comunità, Ospedali di Comunità). I criteri, “sui generis”, dettati dal “regolamento”, sono rigorosamente aderenti alle necessità Regionali, Aziendali e Distrettuali e potrebbero non coincidere con bisogni professionali o assistenziali. Questi parametri sono di difficile comprensione culturale se si considera la liquidità delle collettività e il desiderio, espresso dalle persone di buona volontà, di ripensare alla complessa preparazione del terreno per favorire nuove germinazioni comunitarie. Se la comunità non c’è più, così come non esistono le collettività, come è possibile seguire una programmazione che manca di solidi presupposti? Nel recente passato qualche timido tentativo di ricostruire, faticosamente, un delicato tessuto comunitario è stato misconosciuto dai rappresentanti istituzionali. Come è possibile che ora le stesse Alte Dirigenze, per normativa, diventino sensibili ad aspetti sociali/sanitari complessi quando le culture dominanti amministrative sono neoliberali, economicistiche, aziendalistiche e lineari?

In una società riconosciuta da molti studiosi come liquida occorre molta preparazione per riconoscere e valorizzare piccole formazioni comunitarie che sono riuscite, miracolosamente, a sopravvivere alla globalizzazione. Taluni rappresentanti istituzionali hanno dimostrato inadeguatezza verso questi riconoscimenti mentre le mappe e i profili territoriali (non solo relativi all’appropriatezza/risparmio prescrittivo) avrebbero dovuto essere un patrimonio fondamentale per le Aziende. Alcune preziose progettualità e risorse sono state bellamente ignorate determinando così l’esaurimento di esperienze di co-operazioni volontariato/cittadini/professionisti storiche. Se fosse capitato qualche cosa di simile nelle aziende condotte da Olivetti o da Mattei o da Ford avrebbero comportato parecchi licenziamenti.

Un concreto processo di partecipazione (e/o di co-produzione) avrebbe dovuto comprendere il principio di un completo coinvolgimento nel processo decisionale dall’inizio alla fine. Tuttavia la cascata normativa burocratica non ha contemplato questa ipotesi così che, ora, occorre rincorrere determinazioni già decretate up-down.

Infatti, nel testo dell’Atto di Indirizzo, si nomina "l’utilizzabilità” (disponibilità?) delle così dette modalità di partecipazione che verosimilmente saranno poste al giudizio delle stesse Alte Dirigenze Regionali, Aziendali, Distrettuali. La programmazione e il governo della “produzione” Aziendale presenta una certa “complicazione” lineare che richiama suggestioni relative alla globalizzazione, ad orientamenti neoliberali, al consumismo sanitario di origine aziendale (consuetudini conosciativistiche?) causa di differenziazioni (discriminazioni?) professionali e assistenziali. Ogni argomentazione sulla partecipazione non può esimersi dal considerare queste criticità. E’ necessaria, come l’aria, una assoluta trasparenza e la capacità di riconoscere ruoli non tanto di partenariato ma di leadership. In caso contrario tutto diventerà ancora più confuso ed ambiguo. Meraviglia come nel testo non si nomini mai la libera scelta fiduciaria del mmg come strumento fondamentale (sovrapponibile ad una elezione politica/apartitica) per tentare di ricostruire una identità condivisa territoriale e si preferisca citare il consenso informato che è un dispositivo di credito informativo, più attinente alla specialistica/dirigenza/dipendenza, per nulla commensurabile con la libera scelta fiduciaria. All’interno di questo rapporto ci si relaziona, (es.: in team) più con persone e problemi che con malattie o patologie specifiche come invece può avvenire a livello ospedaliero ( es.: équipe chirurgica).

Nell’interessante e lungo elenco bibliografico, riportato alla fine del documento, si richiamano pubblicazioni del periodo pre-covid, che ragionano da Case della Salute (le Case della Comunità sono effettivamente una miglioria nei confronti dei contenuti relativi alle Case della Salute?). Si può altresì notare una ostinata ricerca di modelli esteri senza che vi sia una validata sovrapponibilità operativa di quegli esempi con la nostra eterogenea realtà nazionale già considerata, a suo tempo, una delle migliori organizzazioni sanitarie al mondo.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

20 maggio 2024

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Dente di leone

Sperimentazione e autonomia per nuovi Servizi territoriali di comunità

Il Welfare di Comunità non è di per sé un fenomeno inedito: alcuni autori fanno risalire l’inizio di un modello collaborativo e partecipativo locale addirittura al periodo del Rinascimento Italiano. Oggi l’aspetto che potrebbe apparire come effettivamente innovativo potrebbe corrispondere alle applicazioni delle nuove tecnologie in ambito sanitario, come si è potuto intravedere durante la pandemia, ma le conseguenze sociologiche di tali applicazioni non sempre sono state favorevoli alle comunità e al rafforzamento delle loro relazioni interne.

Quando si sostiene che occorre investire in sanità, una volta superata questa sconvolgente pandemia, ne consegue che finalmente si pensa di considerare i servizi sanitari territoriali talmente importanti da diventare d’ora in poi il denominatore fondamentale per dare il via al nostro nuovo rinascimento sociale, economico e culturale. Peccato che sia stata necessario un evento disastroso come questa pandemia per fare ricredere i fautori della chiusura dei presidi sanitari territoriali perseguita negli ultimi 20 anni, così come nello stesso periodo non si è esitato a ridurre i finanziamenti per il territorio generando preoccupanti differenziazioni professionali e assistenziali. In effetti, avere il primato di Case della Salute nella nostra regione non sempre ha significato aver avuto la necessaria attenzione verso l’equità delle cure ai cittadini e adeguate opportunità ai professionisti.

In ogni caso, a partire da questo evento, occorre avere il coraggio di rigenerare un nuovo rapporto di fiducia tra professionisti e aziende che si è sfilacciato negli ultimi 20 anni e ciò è possibile solo se si compie un’autocritica da parte dei decisori e se si individuano delle personalità che possano svolgere un ruolo di mediazione culturale tra le aziende e gli operatori stessi che sono in questa fase molto sfiduciati.

Riprendendo il discorso iniziale, per poter investire è necessario avere progetti e prima di questi avere idee che possano generare processi decisionali autonomi, innovativi, contestualizzati, ove si realizzi una sussidiarietà circolare che, per sua natura, dovrebbe essere prima di tutto orizzontale piuttosto che verticale.

Le aziende Ausl e Ao sembrano molto concentrate sull’obiettivo della costruzione di un’azienda unica, ma tale processo dovrebbe combinarsi col compito di salvaguardia dell’universalismo, da una parte, e di delega del processo decisionale e dell’operatività sui territori ai professionisti e alle loro comunità, dall’altra.

Lo strumento che potrebbe permettere quel veloce cambio di passo ormai diventato irrinunciabile per essere innovativi nell’assistenza sanitaria territoriale è la sperimentazione. La sperimentazione è normalmente definita nello spazio e nel tempo e può avvalersi, soprattutto in periodi emergenziali o pandemici, di deroghe o normative speciali che possono facilitare l’innovazione affrancandola da alcuni limiti già ampiamente superati dalla rapida evoluzione sociale (basti pensare che l’ACN Accordo Collettivo Nazionale che norma la medicina di base attuale si richiama sostanzialmente ad una regolamentazione del 2005). Concetti già considerati dal dibattito culturale da decine di anni presentati come appena nati, carente creatività, comunicazioni autoreferenziali non aiutano la sperimentazione.

Con l’intento di semplificare ed esemplificare, vorrei elencare, in modo senza dubbio incompleto, alcune situazioni pratiche che richiederebbero percorsi sperimentali più che solleciti:

  1. può essere giunto il momento di rivedere e riconsiderare i concetti di capillarità e di prossimità nel senso di un potenziamento di questi stessi principi collegandoli all’offerta di servizi e all’orario di fruibilità;
  2. da questo punto di vista, diventa fondamentale la promozione dell’istituto modulare conosciuto come “Medicina di Gruppo”, prevedendo gruppi costituiti da un numero consistente di medici e personale;
  3. i gruppi devono potersi scegliere reciprocamente nei loro componenti al fine di realizzare squadre affiatate ed in grado così di produrre iniziative innovative assistenziali;
  4. le “medicine di gruppo” così costituite possono entrare in concorrenza tra loro per quanto riguarda la qualità del servizio;
  5. per generare servizi di eccellenza, i professionisti devono poter recuperare un ruolo centrale e autonomo nel processo decisionale così da poter rappresentare reali punti di riferimento per le loro rispettive comunità;
  6. team e squadre di professionisti efficienti ed efficaci si possono ottenere se si supera il concetto normato dall’ACN del 2005 di “ambito territoriale” rappresentando un territorio oggi superato; l’abolizione di questi feudi agevola la creazione di quel capitale umano e professionale in grado di progettare e innovare l’organizzazione senza desertificare le aree oggetto di assistenza sanitaria;
  7. la medicina generale territoriale sta vivendo in questi anni un completo viraggio di genere; quasi tutti i medici di base che si diplomano/specializzano in questi anni sono donne che presentano necessità e bisogni organizzativi legati ad una nuova modalità del prendersi cura che differenzia questa professione oggi dalle generazioni precedenti. Questa modificazione sociale, che sta avvenendo proprio sotto i nostri occhi, depone a favore della formazione di medicine di gruppo composte da molti/e professionisti/e;
  8. l’investimento e la fiducia che questi gruppi devono poter percepire nettamente da parte delle comunità e delle istituzioni si deve manifestare anche con il sostegno economico che, per queste organizzazioni, si realizza con un nuovo sistema incentivante: infatti quello attuale non non incoraggia la progettazione di innovazioni assistenziali, nonostante vi siano schemi e studi che indicano chiaramente quante potrebbero essere le risorse necessarie per ogni singolo componente del team o della squadra.

di Bruno Agnetti
Medico e Consigliere comunale di Parma


case della salute

Dotazioni infrastrutturali e Case della Comunità

08 MAG - Gentile Direttore,
come Centro Studi di Programmazione Sanitaria (CSPS) composto da cittadini dell’Associazione di Volontariato Comunità Solidale Parma (ODV-Runts) ci occupiamo in particolare di sostenere e proteggere le cure primarie di quartiere considerate bene comune per una comunità. Abbiamo letto con molta curiosità l’intervento che il Prof. Ivan Cavicchi ha pubblicato su QdS (Le dotazioni infrastrutturali? Sono il cuore della “quarta riforma”, ma è ciò che manca nella maggior parte delle proposte in circolazione) il 30 aprile 2024. CSPS ha considerato utile interrogare direttamente il Prof. Cavicchi per sapere cosa si debba intendere per “dotazioni infrastrutturali” e, con il permesso dello stesso Prof. Cavicchi, riteniamo possa essere utile rendere pubblico il carteggio intercorso in favore di qualche collega interessato al tema.

“Il concetto di infrastruttura, in urbanistica vuol dire “servizi di servizi” cioè strutture secondarie o complementari al servizio di strutture primarie finalizzate per il raggiungimento di certi scopi.  Per esempio l’ospedale è una struttura pensata per ricoverare i malati essa tuttavia, per curare i malati ricoverati , ha bisogno di certe infrastrutture senza le quali la sua funzione sarebbe impossibile da svolgere.
In logica “struttura” è un concetto del “primo ordine” , quello che in sanità stabilisce i caratteri di base dei servizi mentre “infrastruttura” o “sovrastruttura” è un concetto del “secondo ordine” cioè è l’insieme di regole senza il quale l’ospedale come struttura non potrebbe funzionare.
Quindi il problema è semplice:
• non si può avere in sanità una struttura senza sovrastruttura
• se si vuole in sanità cambiare una struttura bisogna cambiare la sovrastruttura e/o l’infrastruttura
• qualsiasi cambiamento di una struttura a sovrastruttura/infrastruttura invariante è fallace cioè è un cambiamento farlocco.
Come ho già scritto (QS 6 maggio 2021) le Case di Comunità previste dal PNRR (missione 5) sono un cambiamento farlocco perché ripropongono la struttura del poliambulatorio specialistico della defunta Inam ma con una doppia invarianza:
• quella sovrastrutturale tipica degli ambulatori della mutua
• quella aziendale che oggi sovraintende tutte le strutture sanitarie quindi compresa la Casa della Comunità
La Casa della Comunità anziché essere gestita direttamente dalle mutue, come ai tempi dell’Inam, oggi è gestita dall’Azienda. Quindi in modo verticistico e monocratico nel senso che, nella sua idea di gestione, la comunità è esclusa. Cioè sono esclusi sia i cittadini che gli operatori che compongono la comunità. Cioè l’idea di comunità in quella di Casa della Comunità non implica, come nell’idea generale del Welfare Community, una partecipazione sociale dei soggetti ma (per la semplice ragione che la partecipazione sociale è in piena contraddizione con la gestione aziendale), se a gestire i servizi ci fosse la comunità… l’azienda non sarebbe più azienda.
Per cui l’inganno.
Siccome l’azienda non è in discussione (anche se dovrebbe esserlo) ad azienda invariante il PNRR fa finta di cambiare le strutture ma senza cambiarle.
Ho già spiegato ampiamente le mie perplessità nei confronti di una sinistra che dimostra con il PNRR e con il DM 77 e il DM 70 di essere del tutto priva di un orizzonte riformatore e di essere prigioniera delle sue controriforme neoliberiste .
A queste perplessità mi permetto di aggiungere anche quelle nei confronti di quella cultura cattolica che seguo con interesse e che però incassa come un successo la “Casa di Comunità” rendendosi complice di un inganno sociale bello e buono.
Ingannare le persone è ingannare la comunità.”

Ringraziamo il Prof. Ivan Cavicchi per la squisita cortesia che ha voluto riservare ai nostri dubbi così che le elaborazioni culturali, a cui in nostro gruppo si dedica, possano essere epistemologicamente coerenti. Pare che il noto DM77 non apporti quindi nessuna sostanziale innovazione anzi il tema del “debito orario” dei mmg nei confronti dell’attività che dovrebbero essere svolte nella così detta “Casa della Comunità Hub” non può che aggravare la situazione organizzativa irreversibilmente, di giorno in giorno, senza che la narrativa sulle CdC abbia prefigurato un compenso sostanziale per le comunità (liquide?). Non si può nemmeno pensare di poter affrontare un tema così complesso come quello delle relazioni tra persone o delle comunità applicando il principio filosofico del decostruzionismo (Derrida, Heidegger) molto accademico, tuttora in via di dibattito e poco adatto a percorsi formativi dedicati a volontari delle CdC. Nel complesso appare che la questione sanità/salute e, nello specifico la riforma del territorio, sia così ingarbugliata e avanzata nelle sue contraddizioni interne ed esterne (globalizzazione e neo-liberalismo) che solo una movimento bipartisan, cioè un accordo condiviso e accettato da tutte le parti politiche parlamentari, può riformare (secondo la cornice della “quarta riforma”) e difendere la più importante opera pubblica del nostro paese: il SSN.

Se le comunità non ci sono più non possono nascere per normativa. Non ci sono nemmeno le collettività ma le connettività. Il plurale è drammaticamente diventato singolarismo. Per riuscire a convivere in un sistema-mondo complesso alcuni autori suggeriscono di provare ad orientarsi verso processi operativi ( es.: le buone esperienze topiche professionali e di volontariato, in atto da numerosi anni, ritenute di serie B dall’apparato decisionale che ha sempre preferito relazioni consociativistiche che, a loro volta, hanno condotto ad una situazione che, agli occhi dei cittadini e dei professionisti, è fortemente ammalorata) o sperimentali, anche se dopo poco inesorabilmente ci si ritroverà in un successivo sistema complesso. Proprio su QdS del 6 maggio 2024 Ivan Cavicchi ci regala un metodo straordinario che dovrebbe diventare il bagaglio fondamentale di ogni leader affidabile generativo di una eventuale principio di comunità (es.: il mmg fiduciario): l’imperativo categorico che inevitabilmente ci fa’ ricordare quel che resta di Ippocrate. In particolare Cavicchi richiama la frase di S. Agostino “Dilige et fac quod vis” (Ama e fa quel che vuoi)… Con una semplificazione ardita, speriamo non blasfema, si potrebbe dire: ama questa professione impareggiabile per professionisti e assistiti…. Il resto verrà tutto da sé. Ne consegue che amare non può stare con l’ignoranza, lo speculare, l’avvantaggiarsi o l’ingannare. Così come la non verità non ha nulla a che fare con l’amare.

Bruno Agnetti
Presidente Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

Giuseppe Campo
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

Vito Alessandro D’Ercole
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

Maina Antonioni
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

08 maggio 2024
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