Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 10 agosto 2015
10 AGO – Gent. mo Direttore,
da tempo su QS si intrecciano interessanti confronti sul tema della c.d. riforma dell’assistenza territoriale e delle cure primarie. Come SMI (Sindacato dei Medici Italiani) desideriamo partecipare allo scambio di opinioni con questo contributo. Gli innumerevoli articoli e gli interventi, spesso lungimiranti ed avveduti, susseguiti in questi anni sulla stampa di settore (anche prima dell’approvazione della legge Balduzzi ) non hanno poi alla fine apportato reali modifiche al paradigma tradizionale e non hanno inciso sull’urgente necessità di elaborare una discontinuità nei processi decisionali come globalizzazione e glocalizzazione richiederebbero.
Le buone intenzioni espresse dall’autorevole Patto della Salute (2014) non sono riuscite a fare luce sul fumoso decreto legislativo (Balduzzi) a causa di una debolezza normativa intrinseca e così sono rimasti al palo anche le bozze di ACN e gli atti di indirizzo susseguiti alla pubblicazione del DL 189/2012 palesando, in questo modo, una incapacità nell’affrontare e nel risolvere le contraddizione e le difficoltà interpretative contenute nella normativa legislativa stessa ( DL. 189/2012 Balduzzi).
Nemmeno l’iter del decreto legislativo attualmente in atto alle Camere permette di intravedere un “innovazione di rottura” così che il prossimo venturo ACN per la medicina territoriale (vitale per lo sviluppo del nostro SSN) appare sempre più abbandonato in una desolazione desertica con assenza completa di vita quando, al contrario, il contesto socio-assistenziale, ogni giorno di più, presenta il conto legato alle contingenze di rilievo epocale.
Qualche motivo dovrà pur esserci se dal 2012 al 2015 non si è riusciti a trovare il bandolo della matassa di un DL forse nato sbagliato nel merito e nel metodo; forse orientato, nei suoi fondamentali, a concetti medioevali; più preoccupato (ad ascoltare le malelingue) di realizzare alcuni vantaggi di business per pochi che a darsi pensiero di procedere ad un cambio di passo basato su una reale discontinuità organizzativa ed operativa da modalità ossequiate nel passato.
“L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!” direbbe il buon Gino.
In effetti, a questo punto la cosa migliore sarebbe dar vita ad una nuova legge: le indicazioni migliorative (se non addirittura i testi già completi per un nuovo ACN) realmente innovative e coerenti con le emergenze derivanti dalla globalizzazione e dalla glocalizzazione sono già stati tutti scritti e pubblicati in più occasioni da numerosi colleghi ma, come si sa, sono rimasti esercizi letterari.
In QS sono intervenuti, sulla tesi delle cure primarie, nomi illustri: tutti hanno contribuito a far comprendere le dimensioni del problema, i distinguo, il processo cronologico degli avvenimenti e, dal dibattito, sono emerse in modo palese le singole responsabilità in merito alla situazione attuale. La turbolenza degli eventi socio-sanitari palesa un zavorra rimasta sommersa per tanto tempo, talmente densa e pervasiva che alcuni gruppi sembrano non accorgersi delle conseguenze insistendo nella coltivazione disordinata di orticelli dove cresce soltanto il frutto del pensiero unico che sedimenta e resiste ad ogni bonifica o ad ogni implementazione che possa provenire da nuove visioni. Questa interminabile crisi interna allo stesso sistema del welfare continua inoltre a mostrare grevi conflitti di interessi, di identità e di valori.
La crisi non è solo economica. E’ soprattutto una crisi di fiducia. Tutto ciò potrebbe far improvvisamente collassare il SSN su se stesse stesso , senza nessun scricchiolio di avvertimento, proprio perché le nuove vie di uscita, di direzione o di senso, di fiducia non riescono mai ad emergere e a dimostrare come sia urgente una discontinuità dalle paludose consuetudini degli anni passati.
Tra poco, non appena i singoli professionisti attualmente operativi e produttivi smetteranno di immettere nel sistema quel qualcosa in più di assolutamente soggettivo, personale e volontario , per altro mai riconosciuto da alcun criterio c.d. oggettivo di valutazione della performance ( es.: il carico di lavoro; medicina basata sull’esperienza; personalizzazione della cura) il sistema stesso potrebbe non restare più insieme.
Come ricorda Ernesto Galli della Loggia, argomentando dello scandalo romano, la crisi è così profonda che pare non avere scampo perché il pensiero unico, pesante e obeso, non è in grado di utilizzare strategicamente le idee che nascendo dalle minoranze potrebbero attivare, in modo generativo, numerosi problem solving urgenti e necessari per uscire dal pantano.
Siamo di fronte ad una serie di doppi legami di difficile soluzione: la c.d. riforma Balduzzi, costringe la categoria medica a confrontarsi con una formulazione normativa contraddittoria ed ingarbugliata che favorisce una infinità di interpretazioni e la nascita di una costellazione nebulosa di modelli e progetti più inclini a soddisfare interessi lobbistici che il bene comune; la normativa è continuamente ossessionata dalla ricerca di una bollinatura ( visto di conformità e copertura amministrativa da parte dalla Ragioneria dello Stato , che così certifica, salvo errori ed omissioni, che le leggi approvate abbiano nominalmente copertura finanziaria) e non si intravede la tendenza ad una reale che “sostenibilità trasmissibile”.
L’impasse annoso dovuto quindi alle contraddizioni di fondo presenti nella normativa Balduzzi sembrano superabili solo con un vero nuovo atto politico legislativo che ri-definisca da capo tutto l’assetto assistenziale che dovrebbe accompagnare ( all’interno dell’ ACN) la modifica delle modalità assistenziali per i prossimi 10-15.
Il Sindacato dei Medici Italiani (SMI), ostinatamente già dal 2012, si è comunque mobilitato per tentare di uscire dallo stallo e immaginare una via d’uscita verso una sanità pubblica meno caratteriale, più solidale, più equa, di qualità e che possa rispondere ai nuovi bisogni assistenziali, alle esigenze dei cittadini e della professione . Infatti se da una parte è completamente inibito ogni aumento contrattuale a causa della legge dello Stato 189/2012 ( Balduzzi ) i sevizi, il personale, le aggregazioni di riferimento si possono e si devono finanziare tramite uno start-up iniziale in grado poi di auto sostenersi e di reintegrare completamente l’investimento iniziale. In caso contrario vi è un forte rischio sul quale si dovrebbe riflettere molto attentamente: se le regioni non sceglieranno di dialogare con i medici disposti a condividere una nuova,seria e comprensibile assunzione autonoma di responsabilità nella gestione del governo clinico e nella strategia di organizzazione territoriale proattiva contenuta nell’ACN prima o poi (al primo, speriamo mai, caso di malasanità) le regioni stesse verranno accusate di non aver voluto o saputo organizzarsi uniformemente e per tempo nonostante che lo stato avesse fornito gli strumenti ad hoc (es.: legge Balduzzi ) e di conseguenza, le regioni, perderanno consensi politici e il ruolo centrale attualmente ricoperto in sanità ( la sanità rappresenta 70-80 % di un bilancio regionale).
La perdita di consenso e di potere favorirà inoltre la realizzazione di una privatizzazione e di una esternalizzazione del SSN che potrebbe non dispiacere a qualcuno ma che comporterebbe verosimilmente ulteriori perdite di consenso e di ruolo politico.
Secondo gli approfondimenti e le analisi svolti all’interno del nostro sindacato ( SMI) lo strumento finanziario per sostenere economicamente una riforma della medicina generale territoriale esiste e dovrebbe essere gestito come un “fondo di rotazione” ( che richiede comunque una definizione normativa in ACN ad esclusivo usum fabricae) esattamente come è già stato attuato per la riqualificazione degli ospedali dove sono stati reperiti i fondi per qualificare, ristrutturare, innovare, ridurre sprechi e produrre risparmi. Se tutto ciò è stato fatto per gli ospedali non si comprende come mai non si possa fare la stessa cosa per la “struttura territorio” che deve già da ieri ( garantendo qualità diffusa e risparmi estremamente importanti) affrontare l’epidemia della cronicità, della fragilità, della domiciliarità, del disorientamento emotivo degli assistiti, della somatizzazione del disagio, dell’enorme difficoltà di costruire prevenzione e corretti stili di vita con assistiti scoraggiati e quindi disinteressati, dei ricoveri sempre più brevi e delle dimissioni ogni volta più precoci.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia-Romagna
10 agosto 2015
© Riproduzione riservata