24 FEB – Gentile Direttore,
sia concesso esprimere, in estrema sintesi, una riflessione sul tema dei bisogni e dei diritti in occasione della annunciata modifica dell’assetto organizzativo delle cure primarie. Il bisogno dovrebbe riguardare una necessità essenziale, naturale, ontologica per l’essere umano. Vi sono numerose situazioni definibili come bisogni. In questa sede si vorrebbe fare riferimento al bisogno “salute”.

Il diritto è un bisogno formalizzato. Il sistema sociale/giuridico (es.: il diritto alla salute) dovrebbe garantire il soddisfacimento di quel bisogno e assicurare che il suo godimento si realizzi in modo equo ed universale. I diritti, anch’essi numerosi, si possono modificare nel tempo perché strettamente collegati al contesto culturale e sociale.

La globalizzazione, il consumismo, il neoliberismo, la finanziarizzazione dell’economia, il secolarismo, gli scenari geopolitici conflittuali sono macrofenomeni “furiosi”, manifestatisi in poche decadi e precipitati come una tempesta perfetta sul diritto alla salute. Nondimeno hanno condizionato negativamente l’efficienza e l’efficacia del nostro SSN le numerose controriforme inserite nella normativa generale a dimostrazione dell’assenza di un’analisi della complessità. L’allontanamento centrifugo (l’assistito/cittadino è al centro!) da quanto sancito dal diritto tradizionale e culturale a protezione della salute è sempre più veloce in quanto i dettami economicistici portano a considerare la salute come se fosse una cosa, un prodotto da consumarsi al momento.

Il super store sanitario promuove in continuazione un turbinio di prodotti alla moda: preliste, Cau, mega aziende uniche, distretti, comitati consultivi misti, conferenze socio sanitarie territoriali, commissari e sub commissari, offerta ambulatoriale dei mmg ad orario pieno, CdC, dipendenza dei mmg, ruolo unico, liste d’attesa e risoluzioni delle liste d’attesa grazie ad interventi mediatici, community lab… Ogni costoso lancio pubblicitario comporta la nascita di tifoserie opposte. Eppure, come dimostrano le recenti dichiarazioni relative alle “voragini” nei bilanci sanitari regionali, ci si trova all’interno di un sistema di mercato molto instabile. Una sanità mercantesca non potrà mai essere per tutti.

Alcuni filosofi moderni ma anche contemporanei avrebbero asserito che l’individuo oggi sarebbe addirittura disposto a rinunciare, in parte, ad alcuni storici diritti (es.: la libertà) in cambio di una più stabile condizione di salute (migliore economia/benessere o più sicurezza come determinanti). La libertà, considerato un bene fondamentale, potrebbe essere quindi in parte sacrificata pur di far fronte alla sensazione di un servizio sanitario sempre più precario e impoverito. A conferma del fatto che una cattiva gestione della salute possa coincidere con una riduzione significativa della democrazia.

A baluardo di questa tossica gestione sanitaria le piccole comunità sembrano ambiti unici dove può essere possibile rigenerare diritti e democrazia, dove la tradizione di salute presenta ancora radici profonde e dove, nonostante tutto, continua a generarsi una solida cultura identitaria.

Le piccole comunità sono alternative ai supermercati sanitari, agli apparati e alle alte dirigenze aziendali: rimangono pietre d’angolo su cui è lecito tentare di ricostruire il diritto alla salute. Per sua natura il neoliberismo non considera le piccole realtà. È portato a globalizzare. A riunire consumatori intorno alle CdC. Ad incrementare regole su regole (es.: ipotizzata dipendenza dei mmg). A ricercare un economicismo esasperato che non verrà mai raggiunto nemmeno con “ulteriori finanziamenti”.

Una politica sanitaria solida si crea solo a contatto con le persone, in un territorio limitato. Quando i fatti massificati vengono imposti dall’alto si manifesta la mancanza di rispetto per le comunità e per le loro tradizioni, la democrazia si indebolisce, si svuotano le ricchezze intellettuali, si impoveriscono le persone.

Emblematico è l’episodio della controriforma sulle Case della Salute della regione Emilia-Romagna del 2016: un improvviso eccesso di governamentalità e di norme, per lo più incomprensibili, ha avuto l’effetto di bloccare (per quale motivo?) in toto lo sviluppo di un programma sulle Case della Salute “grandi” che avrebbe potuto portare, le piccole comunità, a sviluppi interessanti. Similmente nulla vieta che possa diventare più conveniente affrontare sanzioni o perdere finanziamenti europei che edificare strutture (CdC) che poi necessiterebbero di impegnativi interventi in conto corrente attualmente insostenibili e probabilmente inutili.

L’esagerazione regolamentale è funzionale solo all’apparato burocratico economicistico ma ostacola le comunità, il bene comune, la libertà e anche la democrazia (il processo decisionale aziendale/regionale è monocratico con l’obiettivo del pareggio di bilancio).

Pare che nei prossimi Accordi Regionali si tenti di riattivare le storiche AFT (Riforma Balduzzi 2012) più confacenti ai territori (non superiori alle 30.000 anime.) L’acronimo AFT è poi stato modificato in molte regioni. Nella regione Emilia-Romagna una circolare, emanata a suo tempo, ha certificato la sostanziale sovrapposizione tra Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) con i Nuclei di Cure Primarie (NCP), cioè i quartieri.

Questa riabilitazione, in ritardo colpevole, conferma che le piccole comunità possono rimediare ai gravi errori aziendali e offrire una originalità innovativa, presente nel loro spirito, grazie alla tradizione e alla cultura identitaria. L’autonomia dei territori risulta quindi fondamentale. Se questa non verrà formalizzata l’AFT/NCP sarà comunque invasa dalla burocrazia aziendale che tornerà a riprendersi i propri spazi e riproporrà gli stessi arcaici e superati metodi gestionali (“cadaveri concettuali”).

Nel tempo molte alte dirigenze sono passate davanti agli occhi di professionisti e pazienti più come comitati aziendali in gita premio che come persone preoccupate dei bisogni dei cittadini affidati alla loro gestione. Folle è stata la mancanza di autocritica.

Il fallimento dell’aziendalizzazione (Ausl) da tempo sostenuto da I. Cavicchi ora è finalmente riconosciuto da numerosi altri commentatori (es.: Jorio QS 19 febbraio 2025). Ne deriva che anche altri elementi funzionali alla piramide sovrastrutturale aziendale come i distretti palesino la loro inutilità. Tuttavia aziende e distretti, paradossalmente, costituiscano tutt’oggi l’elemento portante della c.d. riforma che intende riorganizzare le cure primarie sul “mantra” della prossimità edificata sulle insignificanti CdC spoke. Per trovare ipotesi innovative ed alternative di riordino delle cure primarie basterebbe essere in grado di guardare fuori dalle finestre (sigillate?) degli apparati e delle agenzie.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

24 febbraio 2025
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