Medicina Territoriale

Gli assistiti e il sistema (ipotetico) cooperativistico

Gentile Direttore,
con il suo recente contributo su QdS (27 maggio 2024) il Prof. Ivan Cavicchi ha presentato una scrupolosa (per nulla facile) riflessione sulle possibili criticità che circoscrivono il fenomeno delle cooperative in ambito medico.

Non si fa riferimento ai contratti con “agenzie di servizio” sottoscritte autonomamente da singole forme aggregative di mmg (es.: medicina di gruppo) per affrontare fattori di spesa e problematiche organizzative. Piuttosto si vorrebbe analizzare la notizia dell’accordo, bilaterale, tra il sindacato maggiormente rappresentativo dei mmg e la Lega coop finalizzato alla costituzione di “cooperative di servizio”, (strutturate anche a livello nazionale), che vorrebbero operare sui fattori di produzione di beni e servizi e sulla loro erogazione in campo sanitario.

Il fenomeno ha un passato, non è una novità. Ha preso vigore, in alcune regioni, dopo la pubblicazione delle delibere riguardanti le Case della Salute (2012). Si formarono allora alcune SCRL (Società Cooperative a Responsabilità Limitata) con complicazioni burocratiche e gerarchiche ma poi, per anni, salvo rarissimi casi, non sono state implementate le incombenze professionali storiche del mmg. Ora i propositi futuribili sembrano molto più impegnativi fatto salvo che non si tratti di un “remake”, di corsi e ricorsi o di “annuncite”.

La situazione attuale del SSN post covid, le improbabili indicazioni discese dal DM77 e il confuso impianto delle CdC (che inizia a mostrare forti sfumature lobbistiche che poco hanno a che fare con i mmg che vengono relegati a ruoli secondari!) possono essere alcune cause che hanno riportato in auge il tema delle società cooperative di servizio. La trattativa/accordo sembrerebbe augurarsi un drastico cambio di passo “di mercato” nell’organizzazione della “medicina territoriale”. Al momento resta una dichiarazione di intenti (“impegno comune per un progetto”) ma potrebbe avere uno sviluppo improvviso ed eclatante verso orizzonti non ancora definibili come attualmente sta avvenendo per alcuni servizi che fino a poco tempo fa erano impensabili da realizzare nel privato-privato (es.: PS, SerDP).

Cosa potrebbero pensare, di un eventuale sviluppo cooperativistico, i cittadini/assistiti che da anni, silenziosamente, tentano di ricostruire relazioni con i loro mmg di riferimento territoriali dopo la strage delle comunità dovuta alla globalizzazione/individualizzazione di mercato? Con che animo si affideranno al loro “amico” (Epicuro) mmg, sapendolo impegnato nella produzione di beni e servizi che possono nascondere performance di impresa? Che vantaggi potrebbero avere gli assistiti da un efficientamento imprenditoriale (es.: abolizione delle liste d’attesa, ricoveri osservazionali negli ospedali di comunità in tempo reale, nessuna lista specialistica bloccata, accessibilità in 15 minuti a servizi compatibili con lo stato sociale della popolazione)? Come possono convivere la cultura universalistica e solidaristica con un’anima produttiva commerciale? In caso di successo del modello sindacato/lega coop i cittadini dovranno subire la nuova “governance” che non è mai neutra? La “libera scelta fiduciaria” si trasformerà totalmente in un “consenso informato” collegato a prassi protocollari destinate inevitabilmente ad un consumismo “payment off-poket” o ad una “intramoenia” nella medicina generale di base? Cosa avverrà nelle zone rurali o montane?

Il contesto socio-sanitario che resta, comunque, un determinante di salute dovrebbe essere degno di miglior causa. Una recente indagine (QdS del 4 marzo 2024) di Comunità Solidale Parma ODV ha mostrato come i pazienti non abbiano dimestichezza con i sistemi dell’alta burocrazia aziendale e, per certi aspetti, il disegno sindacato/lega coop pare una nemesi nei confronti degli apparati. Le istituzioni, da parte loro, hanno fatto e fanno di tutto affinché nessuno possa essere considerato innocente nei confronti della realtà sanitaria. Infatti il programma cooperativistico pare orientato ad una “ridefinizione delle cure territoriali” tanto che potrebbe agire sul mercato sanitario come un nuovo soggetto operativo. Tuttavia alcune esperienze di esternalizzazione in ambito pubblico (es.: socio-sanitario) hanno comportato una tendenza di performance orientate verso il massimo ribasso dei costi più che ad una ricerca di un’alta qualità e di una gratificazione economica professionale spalmata sugli operatori.

Il SSN e i SSR non riusciranno per tanto tempo, a causa della penuria di risorse, a ridurre a dipendenza la medicina generale territoriale (bramosia delle alte dirigenze) cosi come, indipendentemente dalle questioni politiche e legali, sarà molto difficile che le regioni rinuncino, in favore delle cooperative, ad un potere così rilevante come è il Servizio Sanitario Regionale sancito dalla modifica del Titolo V.

L’ipotesi Lega/Sindacato non sarebbe solo un cambio di passo ma addirittura renderebbe ancillari Decreti Ministeriali, ACN, AIR, sistemi di apparato regionale e locale. Un fanta-SSN potrebbe vagheggiare una trattativa diretta stato-cooperative in sanità. Una idea stagionata (AFT, Case della Salute, 2012) che viene da lontano e che, a suo tempo, ha procurato alla professione vere e proprie discriminazioni consociativistiche viene riproposta mantenendo le stesse “invarianze” strutturali, culturali, deontologiche e di credibilità. Date le premesse (è irrilevante che siano vere o false) seguiranno le conseguenze.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

30 maggio 2024
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L’insostenibile fragilità dell’Atto di indirizzo sulle Case di Comunità

20 MAG - Gentile Direttore,

da circa due mesi si è conclusa la “consultazione pubblica” sull’Atto di Indirizzo Agenas (tramite compilazione di un questionario) sul tema della partecipazione/co-produzione nell’ambito delle Case della Comunità. Il documento è stato redatto da un gruppo di studio composto da rappresentanti delle Regioni e da professionisti definiti esperti sul tema della partecipazione di pazienti e cittadini alle questioni sanitarie.

Storicamente gli Atti di Indirizzo indicano, in modo piuttosto potestativo, il comportamento normativo desiderato dalle istituzioni. L’elaborato articola quali debbano essere i passaggi di partecipazione e co-produzione che Regioni, Aziende e Distretti metteranno in atto. A dispetto delle intenzioni quindi nulla di nuovo. La piramide gerarchica sanitaria resta saldamente inalterata così come sarà la valutazione finale della potentissima Conferenza Stato-Regioni.

E’ noto che i documenti ufficiali europei (es.: Piano di ripresa NextGenerationEU ) disegnano strumenti finanziari (in buona parte prestiti pluriennali). Ogni nazione ha poi concepito propri Piani Nazionali (PNRR) con i quali definisce l’utilizzo dei contributi straordinari europei (post-covid) per il periodo che va dal 2021 al 2026. Nessun documento europeo specifica che una azione di ammodernamento sanitario (es.: territoriale) debba realizzarsi con le Case della Comunità. Lo stesso Piano Nazionale (PNRR) indica la necessità di attivare iniziative in grado di promuovere “strutture di prossimità” per quanto riguarda le cure primarie e cita, solo come esempio, le Case di Comunità ma non esclude nessun’altra formalità.

Successivamente al Piano di ripresa NextGenerationEU e al PNRR sono sati pubblicati il DM77/2022 (regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel SSN), il Metaprogetto, documentazioni varie di gruppi e di istituzioni locali. Per quanto riguarda il così detto territorio, le argomentazioni si sono polarizzate sul concetto di comunità (es.: Case della Comunità, Ospedali di Comunità). I criteri, “sui generis”, dettati dal “regolamento”, sono rigorosamente aderenti alle necessità Regionali, Aziendali e Distrettuali e potrebbero non coincidere con bisogni professionali o assistenziali. Questi parametri sono di difficile comprensione culturale se si considera la liquidità delle collettività e il desiderio, espresso dalle persone di buona volontà, di ripensare alla complessa preparazione del terreno per favorire nuove germinazioni comunitarie. Se la comunità non c’è più, così come non esistono le collettività, come è possibile seguire una programmazione che manca di solidi presupposti? Nel recente passato qualche timido tentativo di ricostruire, faticosamente, un delicato tessuto comunitario è stato misconosciuto dai rappresentanti istituzionali. Come è possibile che ora le stesse Alte Dirigenze, per normativa, diventino sensibili ad aspetti sociali/sanitari complessi quando le culture dominanti amministrative sono neoliberali, economicistiche, aziendalistiche e lineari?

In una società riconosciuta da molti studiosi come liquida occorre molta preparazione per riconoscere e valorizzare piccole formazioni comunitarie che sono riuscite, miracolosamente, a sopravvivere alla globalizzazione. Taluni rappresentanti istituzionali hanno dimostrato inadeguatezza verso questi riconoscimenti mentre le mappe e i profili territoriali (non solo relativi all’appropriatezza/risparmio prescrittivo) avrebbero dovuto essere un patrimonio fondamentale per le Aziende. Alcune preziose progettualità e risorse sono state bellamente ignorate determinando così l’esaurimento di esperienze di co-operazioni volontariato/cittadini/professionisti storiche. Se fosse capitato qualche cosa di simile nelle aziende condotte da Olivetti o da Mattei o da Ford avrebbero comportato parecchi licenziamenti.

Un concreto processo di partecipazione (e/o di co-produzione) avrebbe dovuto comprendere il principio di un completo coinvolgimento nel processo decisionale dall’inizio alla fine. Tuttavia la cascata normativa burocratica non ha contemplato questa ipotesi così che, ora, occorre rincorrere determinazioni già decretate up-down.

Infatti, nel testo dell’Atto di Indirizzo, si nomina "l’utilizzabilità” (disponibilità?) delle così dette modalità di partecipazione che verosimilmente saranno poste al giudizio delle stesse Alte Dirigenze Regionali, Aziendali, Distrettuali. La programmazione e il governo della “produzione” Aziendale presenta una certa “complicazione” lineare che richiama suggestioni relative alla globalizzazione, ad orientamenti neoliberali, al consumismo sanitario di origine aziendale (consuetudini conosciativistiche?) causa di differenziazioni (discriminazioni?) professionali e assistenziali. Ogni argomentazione sulla partecipazione non può esimersi dal considerare queste criticità. E’ necessaria, come l’aria, una assoluta trasparenza e la capacità di riconoscere ruoli non tanto di partenariato ma di leadership. In caso contrario tutto diventerà ancora più confuso ed ambiguo. Meraviglia come nel testo non si nomini mai la libera scelta fiduciaria del mmg come strumento fondamentale (sovrapponibile ad una elezione politica/apartitica) per tentare di ricostruire una identità condivisa territoriale e si preferisca citare il consenso informato che è un dispositivo di credito informativo, più attinente alla specialistica/dirigenza/dipendenza, per nulla commensurabile con la libera scelta fiduciaria. All’interno di questo rapporto ci si relaziona, (es.: in team) più con persone e problemi che con malattie o patologie specifiche come invece può avvenire a livello ospedaliero ( es.: équipe chirurgica).

Nell’interessante e lungo elenco bibliografico, riportato alla fine del documento, si richiamano pubblicazioni del periodo pre-covid, che ragionano da Case della Salute (le Case della Comunità sono effettivamente una miglioria nei confronti dei contenuti relativi alle Case della Salute?). Si può altresì notare una ostinata ricerca di modelli esteri senza che vi sia una validata sovrapponibilità operativa di quegli esempi con la nostra eterogenea realtà nazionale già considerata, a suo tempo, una delle migliori organizzazioni sanitarie al mondo.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

20 maggio 2024

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Dente di leone

Sperimentazione e autonomia per nuovi Servizi territoriali di comunità

Il Welfare di Comunità non è di per sé un fenomeno inedito: alcuni autori fanno risalire l’inizio di un modello collaborativo e partecipativo locale addirittura al periodo del Rinascimento Italiano. Oggi l’aspetto che potrebbe apparire come effettivamente innovativo potrebbe corrispondere alle applicazioni delle nuove tecnologie in ambito sanitario, come si è potuto intravedere durante la pandemia, ma le conseguenze sociologiche di tali applicazioni non sempre sono state favorevoli alle comunità e al rafforzamento delle loro relazioni interne.

Quando si sostiene che occorre investire in sanità, una volta superata questa sconvolgente pandemia, ne consegue che finalmente si pensa di considerare i servizi sanitari territoriali talmente importanti da diventare d’ora in poi il denominatore fondamentale per dare il via al nostro nuovo rinascimento sociale, economico e culturale. Peccato che sia stata necessario un evento disastroso come questa pandemia per fare ricredere i fautori della chiusura dei presidi sanitari territoriali perseguita negli ultimi 20 anni, così come nello stesso periodo non si è esitato a ridurre i finanziamenti per il territorio generando preoccupanti differenziazioni professionali e assistenziali. In effetti, avere il primato di Case della Salute nella nostra regione non sempre ha significato aver avuto la necessaria attenzione verso l’equità delle cure ai cittadini e adeguate opportunità ai professionisti.

In ogni caso, a partire da questo evento, occorre avere il coraggio di rigenerare un nuovo rapporto di fiducia tra professionisti e aziende che si è sfilacciato negli ultimi 20 anni e ciò è possibile solo se si compie un’autocritica da parte dei decisori e se si individuano delle personalità che possano svolgere un ruolo di mediazione culturale tra le aziende e gli operatori stessi che sono in questa fase molto sfiduciati.

Riprendendo il discorso iniziale, per poter investire è necessario avere progetti e prima di questi avere idee che possano generare processi decisionali autonomi, innovativi, contestualizzati, ove si realizzi una sussidiarietà circolare che, per sua natura, dovrebbe essere prima di tutto orizzontale piuttosto che verticale.

Le aziende Ausl e Ao sembrano molto concentrate sull’obiettivo della costruzione di un’azienda unica, ma tale processo dovrebbe combinarsi col compito di salvaguardia dell’universalismo, da una parte, e di delega del processo decisionale e dell’operatività sui territori ai professionisti e alle loro comunità, dall’altra.

Lo strumento che potrebbe permettere quel veloce cambio di passo ormai diventato irrinunciabile per essere innovativi nell’assistenza sanitaria territoriale è la sperimentazione. La sperimentazione è normalmente definita nello spazio e nel tempo e può avvalersi, soprattutto in periodi emergenziali o pandemici, di deroghe o normative speciali che possono facilitare l’innovazione affrancandola da alcuni limiti già ampiamente superati dalla rapida evoluzione sociale (basti pensare che l’ACN Accordo Collettivo Nazionale che norma la medicina di base attuale si richiama sostanzialmente ad una regolamentazione del 2005). Concetti già considerati dal dibattito culturale da decine di anni presentati come appena nati, carente creatività, comunicazioni autoreferenziali non aiutano la sperimentazione.

Con l’intento di semplificare ed esemplificare, vorrei elencare, in modo senza dubbio incompleto, alcune situazioni pratiche che richiederebbero percorsi sperimentali più che solleciti:

  1. può essere giunto il momento di rivedere e riconsiderare i concetti di capillarità e di prossimità nel senso di un potenziamento di questi stessi principi collegandoli all’offerta di servizi e all’orario di fruibilità;
  2. da questo punto di vista, diventa fondamentale la promozione dell’istituto modulare conosciuto come “Medicina di Gruppo”, prevedendo gruppi costituiti da un numero consistente di medici e personale;
  3. i gruppi devono potersi scegliere reciprocamente nei loro componenti al fine di realizzare squadre affiatate ed in grado così di produrre iniziative innovative assistenziali;
  4. le “medicine di gruppo” così costituite possono entrare in concorrenza tra loro per quanto riguarda la qualità del servizio;
  5. per generare servizi di eccellenza, i professionisti devono poter recuperare un ruolo centrale e autonomo nel processo decisionale così da poter rappresentare reali punti di riferimento per le loro rispettive comunità;
  6. team e squadre di professionisti efficienti ed efficaci si possono ottenere se si supera il concetto normato dall’ACN del 2005 di “ambito territoriale” rappresentando un territorio oggi superato; l’abolizione di questi feudi agevola la creazione di quel capitale umano e professionale in grado di progettare e innovare l’organizzazione senza desertificare le aree oggetto di assistenza sanitaria;
  7. la medicina generale territoriale sta vivendo in questi anni un completo viraggio di genere; quasi tutti i medici di base che si diplomano/specializzano in questi anni sono donne che presentano necessità e bisogni organizzativi legati ad una nuova modalità del prendersi cura che differenzia questa professione oggi dalle generazioni precedenti. Questa modificazione sociale, che sta avvenendo proprio sotto i nostri occhi, depone a favore della formazione di medicine di gruppo composte da molti/e professionisti/e;
  8. l’investimento e la fiducia che questi gruppi devono poter percepire nettamente da parte delle comunità e delle istituzioni si deve manifestare anche con il sostegno economico che, per queste organizzazioni, si realizza con un nuovo sistema incentivante: infatti quello attuale non non incoraggia la progettazione di innovazioni assistenziali, nonostante vi siano schemi e studi che indicano chiaramente quante potrebbero essere le risorse necessarie per ogni singolo componente del team o della squadra.

di Bruno Agnetti
Medico e Consigliere comunale di Parma


case della salute

Dotazioni infrastrutturali e Case della Comunità

08 MAG - Gentile Direttore,
come Centro Studi di Programmazione Sanitaria (CSPS) composto da cittadini dell’Associazione di Volontariato Comunità Solidale Parma (ODV-Runts) ci occupiamo in particolare di sostenere e proteggere le cure primarie di quartiere considerate bene comune per una comunità. Abbiamo letto con molta curiosità l’intervento che il Prof. Ivan Cavicchi ha pubblicato su QdS (Le dotazioni infrastrutturali? Sono il cuore della “quarta riforma”, ma è ciò che manca nella maggior parte delle proposte in circolazione) il 30 aprile 2024. CSPS ha considerato utile interrogare direttamente il Prof. Cavicchi per sapere cosa si debba intendere per “dotazioni infrastrutturali” e, con il permesso dello stesso Prof. Cavicchi, riteniamo possa essere utile rendere pubblico il carteggio intercorso in favore di qualche collega interessato al tema.

“Il concetto di infrastruttura, in urbanistica vuol dire “servizi di servizi” cioè strutture secondarie o complementari al servizio di strutture primarie finalizzate per il raggiungimento di certi scopi.  Per esempio l’ospedale è una struttura pensata per ricoverare i malati essa tuttavia, per curare i malati ricoverati , ha bisogno di certe infrastrutture senza le quali la sua funzione sarebbe impossibile da svolgere.
In logica “struttura” è un concetto del “primo ordine” , quello che in sanità stabilisce i caratteri di base dei servizi mentre “infrastruttura” o “sovrastruttura” è un concetto del “secondo ordine” cioè è l’insieme di regole senza il quale l’ospedale come struttura non potrebbe funzionare.
Quindi il problema è semplice:
• non si può avere in sanità una struttura senza sovrastruttura
• se si vuole in sanità cambiare una struttura bisogna cambiare la sovrastruttura e/o l’infrastruttura
• qualsiasi cambiamento di una struttura a sovrastruttura/infrastruttura invariante è fallace cioè è un cambiamento farlocco.
Come ho già scritto (QS 6 maggio 2021) le Case di Comunità previste dal PNRR (missione 5) sono un cambiamento farlocco perché ripropongono la struttura del poliambulatorio specialistico della defunta Inam ma con una doppia invarianza:
• quella sovrastrutturale tipica degli ambulatori della mutua
• quella aziendale che oggi sovraintende tutte le strutture sanitarie quindi compresa la Casa della Comunità
La Casa della Comunità anziché essere gestita direttamente dalle mutue, come ai tempi dell’Inam, oggi è gestita dall’Azienda. Quindi in modo verticistico e monocratico nel senso che, nella sua idea di gestione, la comunità è esclusa. Cioè sono esclusi sia i cittadini che gli operatori che compongono la comunità. Cioè l’idea di comunità in quella di Casa della Comunità non implica, come nell’idea generale del Welfare Community, una partecipazione sociale dei soggetti ma (per la semplice ragione che la partecipazione sociale è in piena contraddizione con la gestione aziendale), se a gestire i servizi ci fosse la comunità… l’azienda non sarebbe più azienda.
Per cui l’inganno.
Siccome l’azienda non è in discussione (anche se dovrebbe esserlo) ad azienda invariante il PNRR fa finta di cambiare le strutture ma senza cambiarle.
Ho già spiegato ampiamente le mie perplessità nei confronti di una sinistra che dimostra con il PNRR e con il DM 77 e il DM 70 di essere del tutto priva di un orizzonte riformatore e di essere prigioniera delle sue controriforme neoliberiste .
A queste perplessità mi permetto di aggiungere anche quelle nei confronti di quella cultura cattolica che seguo con interesse e che però incassa come un successo la “Casa di Comunità” rendendosi complice di un inganno sociale bello e buono.
Ingannare le persone è ingannare la comunità.”

Ringraziamo il Prof. Ivan Cavicchi per la squisita cortesia che ha voluto riservare ai nostri dubbi così che le elaborazioni culturali, a cui in nostro gruppo si dedica, possano essere epistemologicamente coerenti. Pare che il noto DM77 non apporti quindi nessuna sostanziale innovazione anzi il tema del “debito orario” dei mmg nei confronti dell’attività che dovrebbero essere svolte nella così detta “Casa della Comunità Hub” non può che aggravare la situazione organizzativa irreversibilmente, di giorno in giorno, senza che la narrativa sulle CdC abbia prefigurato un compenso sostanziale per le comunità (liquide?). Non si può nemmeno pensare di poter affrontare un tema così complesso come quello delle relazioni tra persone o delle comunità applicando il principio filosofico del decostruzionismo (Derrida, Heidegger) molto accademico, tuttora in via di dibattito e poco adatto a percorsi formativi dedicati a volontari delle CdC. Nel complesso appare che la questione sanità/salute e, nello specifico la riforma del territorio, sia così ingarbugliata e avanzata nelle sue contraddizioni interne ed esterne (globalizzazione e neo-liberalismo) che solo una movimento bipartisan, cioè un accordo condiviso e accettato da tutte le parti politiche parlamentari, può riformare (secondo la cornice della “quarta riforma”) e difendere la più importante opera pubblica del nostro paese: il SSN.

Se le comunità non ci sono più non possono nascere per normativa. Non ci sono nemmeno le collettività ma le connettività. Il plurale è drammaticamente diventato singolarismo. Per riuscire a convivere in un sistema-mondo complesso alcuni autori suggeriscono di provare ad orientarsi verso processi operativi ( es.: le buone esperienze topiche professionali e di volontariato, in atto da numerosi anni, ritenute di serie B dall’apparato decisionale che ha sempre preferito relazioni consociativistiche che, a loro volta, hanno condotto ad una situazione che, agli occhi dei cittadini e dei professionisti, è fortemente ammalorata) o sperimentali, anche se dopo poco inesorabilmente ci si ritroverà in un successivo sistema complesso. Proprio su QdS del 6 maggio 2024 Ivan Cavicchi ci regala un metodo straordinario che dovrebbe diventare il bagaglio fondamentale di ogni leader affidabile generativo di una eventuale principio di comunità (es.: il mmg fiduciario): l’imperativo categorico che inevitabilmente ci fa’ ricordare quel che resta di Ippocrate. In particolare Cavicchi richiama la frase di S. Agostino “Dilige et fac quod vis” (Ama e fa quel che vuoi)… Con una semplificazione ardita, speriamo non blasfema, si potrebbe dire: ama questa professione impareggiabile per professionisti e assistiti…. Il resto verrà tutto da sé. Ne consegue che amare non può stare con l’ignoranza, lo speculare, l’avvantaggiarsi o l’ingannare. Così come la non verità non ha nulla a che fare con l’amare.

Bruno Agnetti
Presidente Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

Giuseppe Campo
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

Vito Alessandro D’Ercole
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

Maina Antonioni
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

08 maggio 2024
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