Medicina Territoriale

Il mmg e gli assistiti sono “fondi disponibili”?

Gentile direttore,
Milena Gabanelli (Dataroom del 22 gennaio 2024 su La7) ha presentato un quadro del SSN disarmante. Non è che non si sapesse che il re fosse nudo. L’imbarazzo deriva dal fatto che l’insieme delle informative fa apparire la questione ancor più irrimediabile di quanto previsto dimostrando vieppiù che “il difetto sta nel manico”.

Numerosi sono i dubbi che emergono: è noto che le agenzie nazionali e regionali, attrezzate di tutti i tecnici possibili ed immaginabili, sono state create a suo tempo per aiutare le regioni (e le aziende) a gestire l’aspetto amministrativo. Perché quindi si continua ad esternalizzare ai big della consulenza globale la problematica economica/finanziaria delegandoli addirittura ad analizzare i dati sanitari dei pazienti e di conseguenza a sovraintendere la politica sanitaria?

La stagione delle consulenze esterne in sanità non è mai terminata ma da qualche tempo c’è un boom delle assistenze contabili/monetarie che portano soggetti terzi ad operare su una mole enorme di dati sanitari dal valore inestimabile ma analizzati con l’angolo visuale “consulenziale” o di mercato (es.: strategie di appropriatezza farmacologico/prescrittiva). “Se fai entrare soggetti privati nel cuore del sistema sanitario nazionale per sfornarti il pacchetto completo e a te, pubblica amministrazione, non rimane nemmeno il Know how, a cosa servono i direttori generali, i funzionari, i dirigenti nazionali, regionali e locali?”.

Chi redige poi materialmente i documenti ufficiali che divulgano a professionisti e a cittadini il posizionamento politico sanitario (es.: Accordi Collettivi Nazionali e Regionali, i DM)? Perché questi documenti sono scritti così male che richiedono spesso chiarimenti interpretativi “autentici” ex-post come ricordava già nel 2012 un documento della stessa Sisac?

In questa situazione come è possibile che le recenti ipotesi di riordino delle cure primarie siano libere da pressioni esterne? Le istituzioni sanitarie hanno le competenze culturali, autonome, per riuscire a disegnare insieme ai professionisti e agli assistiti strategie coerenti con l’evoluzione sociale?

Sembra che l’unico archetipo continui ad essere, inossidabile, quello economicistico/finanziario, considerato emancipativo ma in grado, anche, di creare un deserto etico dietro di lui.

Infatti l’antinomismo della medicina amministrata produce per assurdo un nuovo “consumismo” per la verità non attribuibile ai comportamenti delle persone/assistiti ma procurato dalla stessa struttura istituzionale che sempre di più considera i professionisti e i cittadini “fondi disponibili” da utilizzare e da mettere a rendita in conformità dell’idea di uno “sviluppo sostenibile”. Se non si assume il modello di “compossibilità” in grado di ricercare, in un sistema complesso come è la sanità e ancor di più la salute, il minor grado di contraddittorietà possibile nella relazione politica/salute/sanità/economia è inevitabile che il concetto di “sviluppo sostenibile” diventi un ossimoro.

Alcuni modelli/movimenti organizzativi territoriali esotici che vanno per la maggiore e quelli che ipotizzano mmg dirigenti/dipendenti potrebbero apparire in prima battuta come una miglioria ma potrebbero nascondere le premesse per un nuovo “consumismo” in quanto le normative attuali permetterebbero, in caso di necessità, una distribuzione dei professionisti su tutta l’area della AUSL/Provincia riproponendo così il disegno di una disponibilità utilizzabile da mettere a profitto delle aziende ( es.: in situazioni di carenza di servizi di base territoriali per mmg di AP o per mmg di CA).

Eppure la professione del mmg ha ancora qualche cosa di “incommensurabile” per le comunità di riferimento. Il medico è un intellettuale che per sua natura non può essere a implementazioni illimitate o a processi che tendono a svalutare la natura sociale e comunitaria del suo operare (e del suo pensare). Le alte dirigenze, racchiuse nel pensiero unico, non ce la fanno ad uscire da una visione di potere amministrativo/finanziario. Anzi le normative incrementano la medicina amministrata e ci si muove con difficoltà all’interno del basilare paradigma bio-psico-sociale da cui dovrebbero derivare norme e modelli etici e veritieri.

Che ci sia un problema strutturale nella nostra sanità è evidente. Pare vi sia una continua emergenza che però secondo alcuni pensatori diventerebbe una strategia governamentale che pota ad accettare l’inaccettabile (M. Foucault 1978; M.Friedman Nobel per l’economia nel 1976). Attualmente irricevibile sarebbe la riorganizzazione territoriale descritta da DM 77 che verrà ulteriormente gestita dagli accordi regionali e locali. L’elemento che accomuna molti aspetti della crisi sanitaria attuale è una mancanza di fiducia diffusa tra assessorati e aziende da una parte e professionisti, cittadini dall’altra a causa dell’imperante cultura finanziaria. “Oggi si parla in ogni dove di community, ma la community è solo una forma mercificata di comunità” (Byung-Chul Han, 2023). Per aspirare alla verità, anche in merito di salute strettamente collegate ad una cultura di comportamenti e stili di vita opportuni, è necessaria una radicale riforma che preveda un riscatto delle periferie indicando, per gli affollati assessorati e aziende, un posizionamento tipo authority valoriale.

Se la professione viene narrata o descritta come prestazione quantitativa o come attività lavorativa numerica, (essendo non completamente dimensionabile o afferrabile), non riuscirà a sfuggire dallo sfruttamento. Il consumismo istituzionalizzato riesce a strumentalizzare anche l’anelito di salute (spesso identificata dalle persone “solo” come guarigione o risoluzione dei problemi). La relazione di cura, lontano da tentazioni consumistiche, tenta invece di ricercare, insieme, la più percorribile omeostasi qualitativa per quel momento specifico pur riconoscendo di operare in un universo di incertezza e imprevedibilità. Certamente la missione principale del mmg non è quello di fare da filtro per i PS (Wonca 2012-2023).


La “banalità” della aziendalizzazione/governance

Gentile Direttore,
la riflessione vorrebbe concentrarsi sul tema degli esiti che possono derivare da processi decisionali assunti ideologicamente e con una scarsa consapevolezza relativa alle conseguenze nel medio/lungo periodo. Pare questa oggi la condizione del SSN: quella di dover considerare appunto le conseguenze. Alcuni dati di fatto relativi al fenomeno di causa/effetto in sanità (aziendalizzazione, organizzazione manageriale, governance …), sembrano incontrovertibili e vengono reiterati come fossero miti inconfutabili. Le recenti normative definite “riforme” (es.: DM77 e imminente ACN) non apportano nessuna sostanziale innovazione. Paradossalmente sembrano amplificare le contraddizioni e le differenziazioni.

Un grande malessere serpeggia quindi all’interno di una organizzazione dedicata, istituzionalmente, al benessere e il disagio condiziona soprattutto l’operatività dei professionisti e la fiducia degli utenti. Il sospetto è che, per qualche ragione, sia stato smarrito il quadro generale (complessità) a causa di una frenesia orientata al raggiungimento di obiettivi soprattutto economicistici (linearità).

È malinconico e anche noioso reiterare sempre i soliti esempi appartenenti alla galleria delle profezie fallimentari auto avverantesi: le Case della Comunità generatrici di una babele di disparità assistenziali e professionali; gli ospedali di comunità (OSCO) tutt’altro che di comunità; i cacofonici CAU forse causa di ulteriori desertificazioni enigmatiche dei servizi territoriali. Eppure le recenti esperienze avrebbero dovuto suggerire la necessità di abbandonare completamente modalità organizzative frettolose up-down che continuano a coinvolgere professionisti e utenti immancabilmente ex-post.

Per troppo tempo si è assistito al paradosso di vedere il Servizio Sanitario Nazionale o il territorio o la medicina generale di base ostaggio di un Sistema Sanitario Nazionale e Regionale ossessivamente amministrato (con risultati pessimi).

Non sarebbe una cattiva idea se nascesse l’ambizione da parte dei vertici istituzionali del SSN, pur a normativa corrente, di cercare comunque di avviare un comitato di salute pubblica, molto contenuto nel numero dei componenti, che possa elaborare una proposta culturale contenente alcuni elementi fondamentali a supporto di una reale riforma sanitaria coerente al contesto sociale. Così come è basilare individuare un nuovo baricentro assistenziale territoriale basato sulle piccole comunità o sui consorzi o sulle storiche USL e, contemporaneamente, dovrebbe essere attivato un programma di deregulation delle Aziende AUSL.

Tutto ciò potrebbe apparire semplicemente velleitario. Dipende dai paradigmi di riferimento concepiti (quarta riforma, compossibilità…).

Recentemente per il tema dell’Intelligenza artificiale e per le reti generative sono stati coinvolti, in tempi brevi, studiosi a prova di curriculum sia in istituzioni nazionali che europee. Sarebbe altrettanto auspicabile che le “pietre angolari” di una rinnovata cultura sanitaria della complessità possano coinvolgere ed appassionare operatori del settore che siano anche ferrati in filosofia della scienza e della medicina e studiosi dell’organizzazione sanitaria. Come una “road map” ben calendarizzata potrebbe apparire essenziale, così dovrebbe esserlo anche il dibattito pubblico.

In generale si può affermare che le distanze culturali e sociali tra le persone e gli attuali decisori siano gigantesche. In un contesto simile è comprensibile che nei cittadini possa crescere l’ansia a causa di una profonda incertezza culturale e psicologica nei confronti della “galassia salute”. La conseguenza è che le persone sono così portate a chiedere tutto. Non si tratta, solo, di una educazione sanitaria carente ma la percezione è che venga a mancare un supporto percepito come ontologico, essenziale per l’essere o per la vita.

A livello professionale le finte riforme recentemente pubblicate (a tutti gli effetti controriforme), propagandano, in modo unilaterale, la ricetta perfetta per una organizzazione assistenziale che tende al consumismo amministrativo sanitario lineare, performante. L’efficienza e l’efficacia sono gli storici idoli economicistici. La misurazione non può essere considerata l’obiettivo fondamentale per la promozione della salute (sistema complesso). La linearità fideistica rende l’assistenza territoriale di base standardizzata, anonima e il mmg uno schiavo “inumano tecnologico” (Sennet R. 2009).

Il consumismo istituzionalizzato enfatizza e strumentalizza anche la salute (spesso identificata dalle persone come guarigione o completa risoluzione dei problemi). La relazione di cura tenta invece di ricercare, insieme, la più percorribile omeostasi qualitativa per quel momento pur riconoscendo di operare in un universo di incertezza e imprevedibilità.

I sanitari territoriali lamentano (basterebbe ascoltarli) che le loro attività siano costantemente esposte agli effetti, a volte perversi, dovuti ai cambiamenti burocratici/organizzativi/gestionali imposti dalla classe dirigente aziendale nella quale non si riconoscono. Tuttavia questi professionisti riescono ancora a fare la differenza quando si confrontano liberamente tra di loro, con i pazienti, con le loro famiglie e con le comunità. Il futuro è strettamente collegato alla cultura che può nascere in questa area “periferica” dimenticata dal sistema verticistico e dalla sanità amministrata.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

16 gennaio 2024
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