Gentile Direttore,
alcuni articoli gestionali/organizzativi pubblicati in questo periodo su QdS riconfermano l’ineluttabilità di una medicina, soprattutto di base, fondamentalmente amministrata (ACN, Comunicazione della Conferenza Stato-Regioni, DM77, Metaprogetto). Nello stesso tempo non è dato sapere, eccezion fatta per l’ACN, se vi sia stato un preliminare confronto tra le parti prima della loro pubblicazione.
La frenesia di mettere a disposizione nel più breve tempo possibile un impianto strutturale a favore del PNRR ha creato, inevitabilmente, importanti difficoltà di metodo e di merito aggravate dalle note contingenze globali.
Il primo collo di bottiglia è rappresentato dalla modifica del titolo V che giustifica la prevedibilità ex-cathedra delle autonome azioni regionali. Operativamente, culturalmente e cognitivamente coloro che gestiscono il potere decisionale sanitario sono sempre le stesse persone da decine di anni.
Riforme radicali, innovazioni, strategie assistenziali territoriali tarate sul lungo-medio periodo che non esitino solo in conto capitale ma che sappiano dare un senso ed una visione all’essenza del curare e del prendersi cura restano evanescenti nei testi calati dall’alto che appaiono troppo lontani dalla professione agita quotidianamente.
Sorgono di conseguenza numerose criticità.
Nonostante i lunghi decenni di formazione che hanno visto come discenti proprio i componenti delle Alte Dirigenze Ausl, oggi si richiede alle stesse dirigenze di applicare una abilità che non sono riuscite ad esperire in tanti anni di apprendimento. Manca quella giustizia e quella prudenza che alla fine sa scegliere (superando i tempi ed i legacci burocratici) percorsi giusti e utili per gli assistiti e per i professionisti. E’ lecito dubitare che tutta questa formazione possa essere servita a poco se non a rispondere ad una esigenza/bisogno regionale economicistico e non assistenziale che alla fine ha dimostrato il suo mesto epilogo fallimentare.
Alcuni pensano che la cura o il prendersi cura debba basarsi, per questioni funzionali all’efficienza ed efficacia amministrativa, fondamentalmente su una “medicina/sanità di iniziativa” e che le persone debbano essere classificate in funzione delle patologie. In caso di necessità possono così essere coinvolte in iniziative create ad hoc (educazione sanitaria, stili di vita adeguati, controlli periodici). Questa argomentazione può avere qualche senso ma difetta in un elemento fondamentale collegabile all’essenza ontologica della malattia e delle cure che sancisce una vera dipendenza dell’uomo dall’accudimento che durerà per tutta la vita. Non si può escludere de facto una medicina di “attesa” o di “opportunità” senza correre il pericolo di creare gerarchie ragionieristiche avulse da elementi valoriali sperimentati dalle persone sofferenti accumunate dalla dipendenza e dalla fragilità insite nell’antropologia. Non saranno certo le strutture in conto capitale a poter affrontare un problema cosi pervasivo e alla fine mai risolutivo.
Forse solo il medico autore, esperto, scelto liberamente con fiducia ed in grado di costruire un ambiente assistenziale comunitario può affrontare opportunamente la questione. Nell’ambito della medicina di base, un medico autore e autonomo ha l’opportunità di raggruppare persone ammalate (non stratificazioni di casi patologici), procedere poi con una analisi intelligente e umanitaria delle esigenze e dei bisogni da soddisfare financo sistematicamente in caso di necessità. Questo compito non può essere affrontato dalle Alte Dirigenze e dalle Istituzioni da queste gestite per motivazioni già ricordate ma soltanto dal mmg, esperto del proprio territorio che co-opera con tutti gli attori socio-sanitari e con i pazienti e che eventualmente potrebbe usufruire di ulteriori ausili tipo l’affiancamento o il tutoraggio professionalizzante. Il medico di medicina generale sviluppa nel tempo anche una abilità particolare nei sistemi di comunicazione con i propri pazienti e nella interazione con le associazioni di volontariato e del terzo settore estremamente utili per affrontare la complessità delle singole persone ammalate o dei loro contesti familiari.
Per definizione e secondo la normativa in atto il mmg resta concettualmente, operativamente, fiduciariamente ed esperienzialmente il primo sportello di entrata nel SSN. Il professionista che ha un rapporto specifico medico-paziente con il proprio assistito può consigliare percorsi semplici o complessi in merito alle problematiche emerse dal processo diagnostico. Questi percorsi trasversali al territorio, ai servizi, al terzo settore e all’ospedale devono essere ben percorribili in tempo reale e ben riconoscibili.
L’organizzazione territoriale deve quindi essere affidata ai professionisti che operano sul campo quotidianamente come medici “autore”, autonomi, volontariamente associati secondo affinità pattuite. Tutto ciò comporta l’eliminazione degli ambiti territoriali o obbligatorietà di quartiere. Un aggregazione affiatata che si sceglie autonomamente senza limiti di incentivazione o di numero di aderenti ( compresi gli affiancamenti e i tutoraggi) è in grado di risolvere problematiche organizzative, logistiche, di governo clinico, di copertura territoriale, di co-operazione con i servizi, con l’ospedale con il terzo settore.
I bisogni logistici dei professionisti per forza di cose dovrebbero essere, nella maggior parte dei casi, complesse, ampie, gradevoli e in grado di accogliere molti sanitari. Dovrebbero contenere direttamente al loro interno le strutture intermedie, ben inserite nei territori, essere reali punti di riferimento per la popolazione, in grado di poter reperire risorse adeguate ( miste pubblico-privato-terzo settore), ecc. E’ di tutta evidenza che questo sistema organizzativo richiede massima autonomia gestionale delle professionalità territoriali ed in particolare della medicina generale. Alle Alte Dirigenze dovrebbe essere affidato un ruolo alternativo di garanzia relativa ai valori principali del SSN: universalità, equità, accesso alle cure, trasparenza.
Infine una tematica che richiede particolare attenzione e che giustifica l’organizzazione territoriale descritta: il cambio generazionale. In particolare va evidenziato il cambio di genere dei medici di medicina generale. Le “mediche” sono in maggioranza e stanno rapidamente popolando la professione di base. E’ necessaria ancor più di prima una riforma che permetta di soddisfare esigenze professionali e personali che possono essere affrontate solo da gruppi aggregati affiatati e basati su accordi pattizi liberi in grado di regolare le relazioni tra “dottoresse autrici e autonome” all’interno di un sistema di welfare di comunità.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS), FISMU-Emilia Romagna
11 ottobre 2022
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