L’isola che non c’è
L’isola che non c’è
21 OTT -
Gentile Direttore,
l’encomiabile contributo del collega Luigi Di Candido, pur non analizzando i temi generali che possono essere alla base di una riforma radicale della sanità soprattutto territoriale pone comunque una consistente pietra angolare alle fondamenta per ristrutturare l’intero SSN.
Nel passato pare che qualche AUSL, nella ridondante stagione dell’aziendalizzazione generata dalla nota modifica del Titolo V, abbia addirittura tentato di iscriversi all’Unione Industriali del territorio di appartenenza ma questa avventura sembra non essere andata a buon fine. In effetti, osservando i numeri e anche la logistica di quelle organizzazioni che oggigiorno, in modo barocco, continuano ad essere definite aziende sanitarie hanno migliaia di dipendenti e sono tra i pochissimi enti che hanno il vantaggio di trovarsi all’interno dell’abitato delle nostre città.
Una datata ricerca sul clima organizzativo ed il benessere aziendale (“I medici bocciano i dirigenti”, il Sole 24OreSanità, 1-7 aprile 2008) conferma, in tempi non sospetti, le condizioni snocciolate dalle “ipotesi” percentuali del collega Di Candido che conclude il suo intervento chiedendosi se queste istituzioni sono o non sono aziende. La domanda è palesemente retorica e la risposta è solo una. Tuttavia le normative attuali, la riforma del titolo V e la creazione di numerosi Servizi Sanitari Regionali non permettono nessun cambiamento ma solo toppe che tradizionalmente sono sempre peggio del buco.
Il collega cita il management, l’aziendalismo, il linguaggio economicistico e la governance termini tanto cari ai proseliti che difendono questa cultura come depositaria del vero ( lean, six sigma, total quality System, Value based procurement, H.T.A.) a cui andrebbero aggiunti: policy maker, medicina on demand (che volgarità!) che deve assolutamente e completamente essere sostituita con la medicina di iniziativa, AFT (che si rifanno alla datata e ancora vigente Legge Balduzzi), big data, back office, CRM (Customer Relation Management), patient joumey, CdC ( Case della Comunità o della Salute) e OSCO ( ospedali di comunità in contraddizione con la loro stessa definizione e che dovrebbero essere indicati come Ospedali di Distretto secondo quanto emerge dal DM77), service design, consultant, digital first, COT, UCA…
Inevitabilmente sarà necessario imparare, come già fatto nel passato, questo “relativamente nuovo” linguaggio (in attesa che qualcosa d’altro, ma di radicale, possa accadere) proprio perché le così dette “nuove” normative ( ACN, DM77, Metaprogetto, Circolare della Conferenza Stato-Regioni…) promettono una “stagione interessante e generativa per il top e middle management delle regioni e delle aziende” che però, come dimostrato dall’articolo del collega… non esistono. Nasce spontaneo il quesito di cosa “prometteranno” le innovazioni lessicali pesantemente controriformiste ai cittadini e ai professionisti. Non conoscere la terminologia burocratico “trendy” potrebbe creare frustrazione ed isolamento nei sistemi di decisione apparentemente molto complessi a causa di un continuo “rifornimento” per i piani alti di parole magiche inedite. Risalta sotto tutti i suoi aspetti una contraddizione paradossale non facilmente risolvibile: convivere ed operare (da anni ed anni) con enti “inesistenti” significa, come ripete da tanto tempo un nostro notissimo “autore”, generare contraddizioni su contraddizioni in sanità fenomeno che inevitabilmente crea una regressione professionale tale che probabilmente fa toccare ormai il suo temuto punto di non ritorno…
Una possibile “quasi riforma radicale” per le PHC (Primary Health Care) cioè per le cure territoriali è stata presentata al convegno/evento “Sopravvivere per vivere: cosa abbiamo imparato dall’esperienza Covid. Prospettive future” celebrato il 24 settembre 2022 a Verona e di cui ha parlato anche QS il 3 ottobre scorso.
La “quasi riforma radicale” descritta tiene conto di tre elementi fondamentali pur ostacolata delle normative vigenti e legislativamente “cogenti” (Titolo V, Aziendalizzazione, SSR, Conferenza Stato-regioni, sanità amministrata …):
- una posizione di discontinuità alternativa per le Alte Dirigenze Ausl e gli Assessorati Regionali con funzioni di garanzia o di authority dei valori fondamentali del SSN;
- il ritorno ad un SSN unico ed unitario con una posizione di convenzionamento in libera professione e libera scelta per i mmg;
- una completa autonomia periferica territoriale anche gestionale ed economica dell’insieme degli attori socio-sanitari che operano sul territorio ( medici, infermieri, specialisti, servizi di riabilitazione psico-neuro-motori innovativi, servizi territoriali, servizi sociali, servizi educativi, servizi socio sanitari, componenti del terzo settore, imprese generatrici..), dei percorsi collegati anche con i servizi ospedalieri, dell’intero processo decisionale e del governo clinico agevolati da una guida “di servizio” denominata provvisoriamente “collegio del territorio” che comprende eventualmente un ricollocamento di risorse umane di AUSL e Assessorati nelle varie aggregazioni territoriali di AFT o di NCP.
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale Medici Uniti), Regione Emilia Romagna
L’irresistibile ascesa della medicina amministrata
Gentile Direttore,
alcuni articoli gestionali/organizzativi pubblicati in questo periodo su QdS riconfermano l’ineluttabilità di una medicina, soprattutto di base, fondamentalmente amministrata (ACN, Comunicazione della Conferenza Stato-Regioni, DM77, Metaprogetto). Nello stesso tempo non è dato sapere, eccezion fatta per l’ACN, se vi sia stato un preliminare confronto tra le parti prima della loro pubblicazione.
La frenesia di mettere a disposizione nel più breve tempo possibile un impianto strutturale a favore del PNRR ha creato, inevitabilmente, importanti difficoltà di metodo e di merito aggravate dalle note contingenze globali.
Il primo collo di bottiglia è rappresentato dalla modifica del titolo V che giustifica la prevedibilità ex-cathedra delle autonome azioni regionali. Operativamente, culturalmente e cognitivamente coloro che gestiscono il potere decisionale sanitario sono sempre le stesse persone da decine di anni.
Riforme radicali, innovazioni, strategie assistenziali territoriali tarate sul lungo-medio periodo che non esitino solo in conto capitale ma che sappiano dare un senso ed una visione all’essenza del curare e del prendersi cura restano evanescenti nei testi calati dall’alto che appaiono troppo lontani dalla professione agita quotidianamente.
Sorgono di conseguenza numerose criticità.
Nonostante i lunghi decenni di formazione che hanno visto come discenti proprio i componenti delle Alte Dirigenze Ausl, oggi si richiede alle stesse dirigenze di applicare una abilità che non sono riuscite ad esperire in tanti anni di apprendimento. Manca quella giustizia e quella prudenza che alla fine sa scegliere (superando i tempi ed i legacci burocratici) percorsi giusti e utili per gli assistiti e per i professionisti. E’ lecito dubitare che tutta questa formazione possa essere servita a poco se non a rispondere ad una esigenza/bisogno regionale economicistico e non assistenziale che alla fine ha dimostrato il suo mesto epilogo fallimentare.
Alcuni pensano che la cura o il prendersi cura debba basarsi, per questioni funzionali all’efficienza ed efficacia amministrativa, fondamentalmente su una “medicina/sanità di iniziativa” e che le persone debbano essere classificate in funzione delle patologie. In caso di necessità possono così essere coinvolte in iniziative create ad hoc (educazione sanitaria, stili di vita adeguati, controlli periodici). Questa argomentazione può avere qualche senso ma difetta in un elemento fondamentale collegabile all’essenza ontologica della malattia e delle cure che sancisce una vera dipendenza dell’uomo dall’accudimento che durerà per tutta la vita. Non si può escludere de facto una medicina di “attesa” o di “opportunità” senza correre il pericolo di creare gerarchie ragionieristiche avulse da elementi valoriali sperimentati dalle persone sofferenti accumunate dalla dipendenza e dalla fragilità insite nell’antropologia. Non saranno certo le strutture in conto capitale a poter affrontare un problema cosi pervasivo e alla fine mai risolutivo.
Forse solo il medico autore, esperto, scelto liberamente con fiducia ed in grado di costruire un ambiente assistenziale comunitario può affrontare opportunamente la questione. Nell’ambito della medicina di base, un medico autore e autonomo ha l’opportunità di raggruppare persone ammalate (non stratificazioni di casi patologici), procedere poi con una analisi intelligente e umanitaria delle esigenze e dei bisogni da soddisfare financo sistematicamente in caso di necessità. Questo compito non può essere affrontato dalle Alte Dirigenze e dalle Istituzioni da queste gestite per motivazioni già ricordate ma soltanto dal mmg, esperto del proprio territorio che co-opera con tutti gli attori socio-sanitari e con i pazienti e che eventualmente potrebbe usufruire di ulteriori ausili tipo l’affiancamento o il tutoraggio professionalizzante. Il medico di medicina generale sviluppa nel tempo anche una abilità particolare nei sistemi di comunicazione con i propri pazienti e nella interazione con le associazioni di volontariato e del terzo settore estremamente utili per affrontare la complessità delle singole persone ammalate o dei loro contesti familiari.
Per definizione e secondo la normativa in atto il mmg resta concettualmente, operativamente, fiduciariamente ed esperienzialmente il primo sportello di entrata nel SSN. Il professionista che ha un rapporto specifico medico-paziente con il proprio assistito può consigliare percorsi semplici o complessi in merito alle problematiche emerse dal processo diagnostico. Questi percorsi trasversali al territorio, ai servizi, al terzo settore e all’ospedale devono essere ben percorribili in tempo reale e ben riconoscibili.
L’organizzazione territoriale deve quindi essere affidata ai professionisti che operano sul campo quotidianamente come medici “autore”, autonomi, volontariamente associati secondo affinità pattuite. Tutto ciò comporta l’eliminazione degli ambiti territoriali o obbligatorietà di quartiere. Un aggregazione affiatata che si sceglie autonomamente senza limiti di incentivazione o di numero di aderenti ( compresi gli affiancamenti e i tutoraggi) è in grado di risolvere problematiche organizzative, logistiche, di governo clinico, di copertura territoriale, di co-operazione con i servizi, con l’ospedale con il terzo settore.
I bisogni logistici dei professionisti per forza di cose dovrebbero essere, nella maggior parte dei casi, complesse, ampie, gradevoli e in grado di accogliere molti sanitari. Dovrebbero contenere direttamente al loro interno le strutture intermedie, ben inserite nei territori, essere reali punti di riferimento per la popolazione, in grado di poter reperire risorse adeguate ( miste pubblico-privato-terzo settore), ecc. E’ di tutta evidenza che questo sistema organizzativo richiede massima autonomia gestionale delle professionalità territoriali ed in particolare della medicina generale. Alle Alte Dirigenze dovrebbe essere affidato un ruolo alternativo di garanzia relativa ai valori principali del SSN: universalità, equità, accesso alle cure, trasparenza.
Infine una tematica che richiede particolare attenzione e che giustifica l’organizzazione territoriale descritta: il cambio generazionale. In particolare va evidenziato il cambio di genere dei medici di medicina generale. Le “mediche” sono in maggioranza e stanno rapidamente popolando la professione di base. E’ necessaria ancor più di prima una riforma che permetta di soddisfare esigenze professionali e personali che possono essere affrontate solo da gruppi aggregati affiatati e basati su accordi pattizi liberi in grado di regolare le relazioni tra “dottoresse autrici e autonome” all’interno di un sistema di welfare di comunità.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS), FISMU-Emilia Romagna
11 ottobre 2022
© Riproduzione riservata
La tempesta perfetta
Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Lunedì 03 OTTOBRE 2022
03 OTT -
Gentile Direttore,
l’ambito della medicina del territorio e le cure primarie rappresenta un area ( multiprofessionale ma anche multisettoriale) dove viene agita una assistenza di primo livello finalizzata alla prevenzione e ad una attività di diagnosi e cura che tenta, tra le numerose attività collegate al prendersi cura, di razionalizzare l’inclinazione degli assistiti ad accessi impropri al PS o alla richiesta di ricoveri.
Non si può non constatare come una tempesta perfetta o quasi si stia abbattendo sul nostro SSN e sull’assistenza territoriale: pandemia (tutt’ora in atto), guerra, crisi energetica ed economica-finanziaria, inflazione, disoccupazione, pensionamenti o dimissioni, un sistema di globalizzazione che inevitabilmente subirà modifiche da come l’abbiamo conosciuta fino ad ora.
Anche la stagione delle aziende sanitarie, dei distretti, degli assessorati sanitari regionali associati alla modifica del titolo V ha dimostrato il netto fallimento di questo impianto normativo/burocratico/economicistico. Sono stati evidenziati numerosi errori gestionali sostenuti da mancanza di visione e dalla riproposizione delle stesse contraddizioni note da anni. L’economicismo che risponde al contenimento dei costi alla fine proprio ora si dimostra non essere in grado di risolvere nulla e ci si trova quindi, dopo anni di cultura economicistica ad affrontare, in ambito sanitario territoriale, l’inflazione, la depressione, i disavanzi, gli sprechi, i consociativismi, le conseguenze della pandemia.
Una nota riflessione (Einstein) sostiene che non si possono risolvere i problemi con le attitudini cognitive di coloro che li hanno generati e che tutt’ora elaborano i testi degli ACN, delle normative, delle circolari, dei metaprogetti, dei DM, delle CdS, degli OdC o dei COT.
Una riforma radicale della sanità ( dell’assistenza e delle cure primarie) potrebbe essere un buon punto di partenza per generare innovazioni finalizzate a produrre più salute senza dimenticare come tutto ciò inevitabilmente coinvolge sistemi assistenziali e relazionali molto complessi.
Il dibattito da tempo in atto sulle varie ipotesi organizzative territoriali ha preso in considerazione alcune raffigurazioni principali per quanto riguarda la medicina generale:
1 - la dipendenza;
2 - la sovrapposizione contrattuale con la specialistica ambulatoriale interna SAI;
3 - la medicina amministrata (come da ACN, Note della Conferenza Stato-Regione, il DM 77, il Metaprogetto caratterizzati dall’assoluta invarianza, con documentazioni autoprotettive dello status quo normativo, tanto distanti dalla realtà dei professionisti e degli assistiti che incrementano oltremodo le contraddizioni storiche instabili e disfunzionali);
4 - il medico autore/autonomo/leader della comunità.
Le prime 3 ipotesi hanno fatto emergere, nel dibattito, numerosi dubbi e criticità culminate nella disapprovazione della prescrizione calata dall’alto dai decisori pubblici in merito alla medicina amministrata.
La 4 ipotesi è stata quella meno dibattuta dalla comunità professionale (eccezion fatta per i suoi ideatori che hanno diffuso questo tipo di riforma in numerose pubblicazioni ed articoli). La sua applicazione concreta in ambito delle cure primarie è chiaramente alternativa al modello della medicina amministrata ma anche infinitamente meno onerosa economicamente, garantisce una prossimità facilmente realizzabile, e’ in grado di stimolare il confronto anche concorrenziale tra le varie AFT per quanto riguarda la produzione di qualità ed di innovazione assistenziale. Con le seguenti diapositive si tenta di illustrare il sistema operativo territoriale completamente pubblico basato sulla centralità del mmg medico/autore/ autonomo/leader dell’impresa comunitaria (welfare di comunità).
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Regione Emilia-Romagna