Gentile Direttore, molti commentatori, nei loro articoli, richiamano il concetto di “clinical governance” come format a sostegno delle argomentazioni riguardo al PNRR (quel che resterà) e del DM71. “Ma perché tutto questo inglese?” direbbe un certo Mario Draghi. Ciò nonostante non è sempre agevole comprendere il reale significato del termine inglese. Anche gli addetti ai lavori tendono a differenziarsi in merito all’accezione del termine.
Per “Clinical Governance” si intende che… il “governo” (ad es.: quello delle Aziende Sanitarie) riconosce l’autonomia professionale e il ruolo di dirigenza ai professionisti “solo” per quanto riguarda la gestione dei servizi. In cambio richiedono una piena assunzione di responsabilità nell’uso delle risorse e nel miglioramento della qualità clinica ( le indicazione e gli obiettivi sono sempre dettati dalle alte dirigenze regionali e aziendali). Resta tuttavia una netta ed insanabile differenza tra la demarcazione istituzionale di “clinical governance” (di norma autoreferenziale e autoprotettiva di assessorati e aziende) e l’interpretazione che la letteratura di settore (corre l’obbligo almeno di citare la più recente fatica del caro collega Ivan Cavicchi: La scienza impareggiabile) ritiene debba essere considerato un governo clinico affidato effettivamente ai professionisti dell’assistenza territoriale e alle loro co-operazioni in team Multiprofessionali (MMG, MAC, USCA, 118..), Multidisciplinari (specialistica, nosocomiale, diagnostica…), Multisettoriali (volontariato, terzo settore, fondazioni…).
Diversamente i medici, i professionisti, gli assistiti e tutti gli attori del territorio sono primariamente orientati ad una applicazione delle conoscenze scientifiche relative alla salute/benessere satura di una concezione olistica di enorme complessità e interdipendenza non solo sanitaria (visione bio-psico-sociale). Con l’avvento della cultura manageriale in sanità le logiche aziendali hanno imposto modelli gerarchici monocratici (anche se giurassici sono riproposti anche dalle elaborazioni del PNRR e dal DM71). Questa manipolazione di ciò che è “impareggiabile” palesa caratteristiche squisitamente giuridiche, amministrative, protocollari, algoritmiche concepite da organi apicali nominati dal soggetto politico. Questo sistema non lascia spazio a una dialettica che non sia ostinata. È inevitabile quindi la mortificante subordinazione pluridecennale della clinica alla struttura burocratica/gestionale. Il tentativo contro-riformatore evidenziato dal testo del PNRR e dal DM71 sostanzialmente non può innovare nulla perché invischiato dall’ agire amministrativo (in conto capitale) e, tanto per non ripetersi, da una cultura autoreferenziale e autoprotettiva di un apparato ormai obsoleto. Il pensiero decadente natural-scientifico riduzionistico che sostiene e mantiene attualmente la cultura sanitaria burocratica-aristocratica è oggi fatalmente disconnesso dal multiforme sistema sociale. In questo marasma senza una logica di bene comune anche la professione del medico di famiglia viene qualche volta diffamato ma, fino a prova statistica contraria, resta ancora una operatività impareggiabile ed estremamente gradita. Il salto di qualità, il prodotto di rottura verrebbe dispensato da un trasparente recupero culturale di una concezione globale dell’uomo sano e malato contestualizzato nel suo mondo che permetta di coniugare il principio del curare ( derivante dalla medicina scientifica), con quello del prendersi cura olistico-antropologico-personalizzato. E’ emergenziale la realizzazione immediata di un’altra medicina, altre opere, altre relazioni. Gli assistiti del territorio non presentano patologie ma problemi sempre più complessi. Infatti Galeno sosteneva che il medico è il filosofo dei filosofi (229-201 a. C.). Per essere tale “un medico formato alla complessità deve saper ragionevolmente e responsabilmente usare il pensiero discrezionale che il governo della complessità richiede in quanto la complessità si governa solo con la complessità” (da un pensiero di I. Cavicchi). Oggi i mmg sono al massimo della demotivazione in quanto non sono considerati come veri, e forse unici, esperti di questa continua e incrementale complessità. È anche vero che una scarsa consapevolezza degli elementi intelligibili della professione porta qualche collega a perdersi e ad ingaggiare battaglie su “quisquilie e pinzillacchere” a fronte di questioni essenziali: abolizione delle Ausl, ritorno alle Usl, cancellazione della retorica che considera i distretti centrali o fondamentali, autonomia completa dei professionisti nel processo decisionale, convenzione completamente pubblica con una gestione aggregativa (AFT/NCP) similare a quella di una impresa che si mettono in concorrenza virtuosa con le altre aggregazioni vicine. Un tema (da trattare in un prossimo intervento) che potrebbe contenere tutte le varie sfumature dell’impareggiabilità, dell’autonomia, della deontologia, della complessità, della sussidiarietà, dell’integrazione, del ruolo unico, della prossimità, delle “case”, della sostenibilità, degli indicatori, può essere sintetizzato dal valore del “prendersi cura” autentico.
Giuseppe Campo, Alessandro Chiari, Bruno Agnetti Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna
Dal Quotidiano online di informazione sanitaria. Mercoledì 9 Marzo 2022.