Una guida alla Casa della Salute/Casa della Comunità
di Giuseppe Campo e Alessandro Chiari
28 MAR - Gentile Direttore,
ci permettiamo di comunicare ai medici interessati l’uscita a stampa di un piccolo manuale (redatto dal collega Bruno Agnetti e pubblicato dalla casa editrice “Lennesima”) sulle strutture organizzative che potremmo collocare alla fine della cascata epistemologica (paradigma, dottrina, disciplina) riferendoci al Prof. Cavicchi e alle sue raffinate argomentazioni inserite nel suo ultimo libro presentato anche su QS.
Forse all’interno dell’apprendimento applicato (disciplina) può essere inserito l’aspetto organizzativo dell’ambito medico-sanitario che oggi vede come “tendenza del momento” la questione delle Case di Comunità con le sue numerose incertezze, contraddizioni, affermazioni, ripensamenti, dilazioni…
Per i colleghi della Regione Emilia Romagna il nostro Centro Studi di Programmazione Sanitaria ha voluto appunto raccogliere un sintetico insieme di dati, esperienze e relazioni inerenti i temi delle aggregazioni monoprofessionali, pluriprofessionali e multisettoriali territoriali funzionale e strutturale.
Si tratta soprattutto di un racconto, della narrazione delle vicende che partono dal ACN 2005 ed arrivano fino ai nostri giorni strettamente confinati al campo dell’organizzazione e delle relazioni mmg/istituzioni.
Le argomentazioni del testo “La scienza impareggiabile” sono ad altro livello tanto che qualche collega ha auspicato che questo libro debba diventare un testo base per il corso universitario di Medicina e chirurgia. Tuttavia l’esposizione contenuta nel manuale “Guida alla Casa della Salute/Casa della Comunità: come organizzare una CdS/CdC senza massacrarsi la vita” è un resoconto dell’abitudine quotidiana di zappare la vigna che è data ai mmg (fino ad oggi). L’argomento non viene sviscerato nella sua complessità ma presenta qualche suggerimento schematico per chi si dovesse trovare ad intraprendere una simile avventura all’interno della ridda di documenti, a volte contrastanti, che intendono disegnare il futuro dell’assistenza socio-sanitaria territoriale.
La piccola e coraggiosa casa editrice “Lennesima” provvede alla distribuzione on line del testo cartaceo o della versione in PDF, anche al di fuori della Regione E-R, con il sistema “Trainingweb” https://www.trainingweb.it/product/libro-cartaceo/ ed è contattabile al seguente indirizzo: LEN Golfo dei Poeti, 1/A, 43126 Parma; Tel.: 0521 028 455.
Raccontare la storia di alcuni colleghi che hanno operato in questa regione in un arco temporale che copre circa 20-30 anni può essere una modalità per conoscere l’ambiente lavorativo del medico di medicina generale che oggi si trova di fronte alla necessità (per la sua sopravvivenza) di affrontare un enorme trasformazione ontologica per riconquistare una propria impareggiabilità istituzionale considerato che il gradimento nei suoi confronti da parte dei cittadini rimane sempre molto alto.
Giuseppe Campo e Alessandro Chiari
CSPS (Centro Studi di Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti) Regione Emilia-Romagna
28 marzo 2022
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Lettere al direttore: Medicina territoriale. Il Re è nudo.
Gentile Direttore,
il decreto ministeriale DM71 ha “finalmente” svelato quale potrebbe essere lo sviluppo dell’assistenza territoriale una volta che lo stesso documento venisse approvato dalla Conferenza Stato-Regioni ed inparticolare dal Comitato di Settore. La ridda di documenti, atti di indirizzo, commenti ed argomentazioni (la montagna) alla fine è riuscita a partorire il topolino “prematuramente”. La fretta e la mancanza di riflessione approfondita sull’assistenza territoriale e sull’infinita letteratura in merito apparsa in questi anni autorizza a constatare ciò che è stato affermato infinite volte da numerosi commentatori ed esperti: è possibile non solo che ci sia il rischio di non trovare nulla sotto le apparenze ma che il re sia effettivamente e completamente nudo. Non si può pensare ad una riforma se la produzione delle norme “fondamentali” ripropongono (triste constatazione) la possibilità di spendere quel che resta del PNRR su definizioni accidentali, sigle organizzative improbabili foriere di sicuri fallimenti nel brevissimo tempo. Una controriforma non può essere esibita come riforma: superato per il momento la stagione del tormentone dipendenza/libero professionismo entriamo nell’epoca del neo-confusionismo. La retorica pluridecennale della “centralità del paziente” si è manifestata essere sostanzialmente una autodifesa autoreferenziale di regioni e Ausl. L’epicentro dell’assistito può essere assicurato solo da un rilevante ruolo dei professionisti delle cure primarie territoriali in quanto, professionisti e pazienti, hanno forti interessi comuni.
Distretto. È un perno debolissimo dell’hub and spoke, contradditorio, a volte inesistente dal punto di vista professionale e assistenziale. Durante la pandemia questi istituti sono stati addirittura chiusi per più di due anni e nessuno se ne è accorto. Ma il DM71 vuole ancora riproporre una minestra riscaldata. L’efficienza e l’efficacia della presa in carico della popolazione di riferimento è strettamente connessa con una autonomia decisionale professionale. Il distretto o l’Ausl dovrebbero essere a servizio e a sostegno di questa autonomia nell’intero processo decisionale ed è per questo che le Ausl dovrebbero ritornare ad essere Usl così come i distretti uffici di supporto ai professionisti.
Case della Comunità. Questo capitolo riabilita, dopo tanti anni, il Decreto Balduzzi (mai abrogato) e nello stesso tempo ne modifica i numeri definiti a suo tempo per le UCCP e le AFT. Clamorosa la destrezza con cui viene realizzato il sistema hub and spoke. È una storia già vissuta nella sua diversificazione assistenziale e professionale che alcuni colleghi definiscono palese discriminazione (medici e assistiti di serie A e di serie B): qualche hub degno di questo nome per pochi e gli spoke costituiti da ciò che già c’è cioè dagli ambulatori dei mmg singoli o in gruppo sparsi sul territorio. Piace vincere facile mettendo a profitto gli investimenti culturali, professionali, strutturali, auto-formativi realizzati, in tutti questi anni, dai professionisti. Per molti aspetti non vi sono differenze sostanziali tra Case della Comunità e Case della Salute vere e grandi dove numerosi mmg e co-operazioni multiprofessionali, multidiscilinari e multissettoriali possano effettivamente progettare innovazioni per quel dato territorio. Vengono infatti mantenuti fermi tutti gli elementi di differenziazione professionale e assistenziale.
Assistenza Domiciliare. Non può essere una attività a determinazione distrettuale ma a servizio degli attori del territorio che hanno l’autorevolezza professionale, in co-operazione, di attivare ogni tipo di ADI.
Infermiere di Famiglia e Comunità. Già sperimentato da anni nei così detti Nuclei di Cure Primarie (NCP) perfettamente sovrapponibili alle AFT. Infatti nei NCP vi sono gli infermieri di NCP.
Unità di Continuità Assistenziale. La pandemia ha tentato di far comprendere alle aziende la necessità di costituire questo servizio (su decreto legge) senza però che vi sia stato quell’apprendimento necessario che rende gli USCA un presidio qualificato e attivato dal mmg con cui devono restare in contatto diretto (libera scelta fiduciaria e gestione della privacy individuale e domiciliare).
Centro Operativo Territoriale. Dovrebbero coordinare i servizi del distretto, che per sua inconsistenza potremmo definire “virtuale” e prevede anche un accesso diretto telefonico da parte degli assistiti (per esigenze a bassa intensità assistenziale, assistenza domiciliare ed eventuale servizi di telemedicina). Al momento è il mmg che eventualmente attiva una assistenza domiciliare e che valuta l’intensità dei bisogni e chiede, se necessaria, la collaborazione di altri sanitari. Se invece il COT resta un coordinamento dell’emergenza urgenza in questo dovrà poter usufruire di una struttura informatizzata che permetta agli attori dell’assistenza territoriale dell’emergenza urgenza una informativa essenziale ed un aggiornamento in tempo reale su device portatili (cartella informatizzata).
Ospedali di Comunità. Il loro senso è quello di essere appunto nelle comunità (AFT/quartieri) e di svolgere una funzione dove il processo decisionale sia completamente predisposto in capo agli attori sanitari, sociali e plurisettoriali della comunità stessa. Inserire il concetto del post ricovero rischia di sottrarre dalla facoltà decisionale ai sanitari territoriali ed espone l’organizzazione assistenziale territoriale al fenomeno di vedere servizi di competenza (es.: gli hospice) diventare praticamente estensione dei reparti ospedalieri creando a livello territoriale le orribili liste d’attesa.
La rete delle cure palliative. Di norma, a livello territoriale sono, i professionisti sanitari ad osservare le evoluzioni dei loro pazienti ed in particolare è il mmg che deve attivare una assistenza ADI di 3° livello o palliativa. Il mmg dovrebbe rappresentare il 1° palliativista di riferimento per il proprio paziente soprattutto al domicilio ma anche nella Casa della Comunità/Hospice. Ciò non toglie, come in tante altre situazioni, che il medico di medicina generale possa richiedere una consulenza specialistica diretta o telefonica su alcuni aspetti operativi particolari.
Pubblicato da Quotidiano online di informazione sanitaria
Alessandro Chiari e Giuseppe Campo
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti),
Regione Emilia-Romagna_
LETTERE AL DIRETTORE - Clinical governance...facile a dirsi
Gentile Direttore, molti commentatori, nei loro articoli, richiamano il concetto di “clinical governance” come format a sostegno delle argomentazioni riguardo al PNRR (quel che resterà) e del DM71. “Ma perché tutto questo inglese?” direbbe un certo Mario Draghi. Ciò nonostante non è sempre agevole comprendere il reale significato del termine inglese. Anche gli addetti ai lavori tendono a differenziarsi in merito all’accezione del termine.
Per “Clinical Governance” si intende che… il “governo” (ad es.: quello delle Aziende Sanitarie) riconosce l’autonomia professionale e il ruolo di dirigenza ai professionisti “solo” per quanto riguarda la gestione dei servizi. In cambio richiedono una piena assunzione di responsabilità nell’uso delle risorse e nel miglioramento della qualità clinica ( le indicazione e gli obiettivi sono sempre dettati dalle alte dirigenze regionali e aziendali). Resta tuttavia una netta ed insanabile differenza tra la demarcazione istituzionale di “clinical governance” (di norma autoreferenziale e autoprotettiva di assessorati e aziende) e l’interpretazione che la letteratura di settore (corre l’obbligo almeno di citare la più recente fatica del caro collega Ivan Cavicchi: La scienza impareggiabile) ritiene debba essere considerato un governo clinico affidato effettivamente ai professionisti dell’assistenza territoriale e alle loro co-operazioni in team Multiprofessionali (MMG, MAC, USCA, 118..), Multidisciplinari (specialistica, nosocomiale, diagnostica…), Multisettoriali (volontariato, terzo settore, fondazioni…).
Diversamente i medici, i professionisti, gli assistiti e tutti gli attori del territorio sono primariamente orientati ad una applicazione delle conoscenze scientifiche relative alla salute/benessere satura di una concezione olistica di enorme complessità e interdipendenza non solo sanitaria (visione bio-psico-sociale). Con l’avvento della cultura manageriale in sanità le logiche aziendali hanno imposto modelli gerarchici monocratici (anche se giurassici sono riproposti anche dalle elaborazioni del PNRR e dal DM71). Questa manipolazione di ciò che è “impareggiabile” palesa caratteristiche squisitamente giuridiche, amministrative, protocollari, algoritmiche concepite da organi apicali nominati dal soggetto politico. Questo sistema non lascia spazio a una dialettica che non sia ostinata. È inevitabile quindi la mortificante subordinazione pluridecennale della clinica alla struttura burocratica/gestionale. Il tentativo contro-riformatore evidenziato dal testo del PNRR e dal DM71 sostanzialmente non può innovare nulla perché invischiato dall’ agire amministrativo (in conto capitale) e, tanto per non ripetersi, da una cultura autoreferenziale e autoprotettiva di un apparato ormai obsoleto. Il pensiero decadente natural-scientifico riduzionistico che sostiene e mantiene attualmente la cultura sanitaria burocratica-aristocratica è oggi fatalmente disconnesso dal multiforme sistema sociale. In questo marasma senza una logica di bene comune anche la professione del medico di famiglia viene qualche volta diffamato ma, fino a prova statistica contraria, resta ancora una operatività impareggiabile ed estremamente gradita. Il salto di qualità, il prodotto di rottura verrebbe dispensato da un trasparente recupero culturale di una concezione globale dell’uomo sano e malato contestualizzato nel suo mondo che permetta di coniugare il principio del curare ( derivante dalla medicina scientifica), con quello del prendersi cura olistico-antropologico-personalizzato. E’ emergenziale la realizzazione immediata di un’altra medicina, altre opere, altre relazioni. Gli assistiti del territorio non presentano patologie ma problemi sempre più complessi. Infatti Galeno sosteneva che il medico è il filosofo dei filosofi (229-201 a. C.). Per essere tale “un medico formato alla complessità deve saper ragionevolmente e responsabilmente usare il pensiero discrezionale che il governo della complessità richiede in quanto la complessità si governa solo con la complessità” (da un pensiero di I. Cavicchi). Oggi i mmg sono al massimo della demotivazione in quanto non sono considerati come veri, e forse unici, esperti di questa continua e incrementale complessità. È anche vero che una scarsa consapevolezza degli elementi intelligibili della professione porta qualche collega a perdersi e ad ingaggiare battaglie su “quisquilie e pinzillacchere” a fronte di questioni essenziali: abolizione delle Ausl, ritorno alle Usl, cancellazione della retorica che considera i distretti centrali o fondamentali, autonomia completa dei professionisti nel processo decisionale, convenzione completamente pubblica con una gestione aggregativa (AFT/NCP) similare a quella di una impresa che si mettono in concorrenza virtuosa con le altre aggregazioni vicine. Un tema (da trattare in un prossimo intervento) che potrebbe contenere tutte le varie sfumature dell’impareggiabilità, dell’autonomia, della deontologia, della complessità, della sussidiarietà, dell’integrazione, del ruolo unico, della prossimità, delle “case”, della sostenibilità, degli indicatori, può essere sintetizzato dal valore del “prendersi cura” autentico.
Giuseppe Campo, Alessandro Chiari, Bruno Agnetti Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna
Dal Quotidiano online di informazione sanitaria. Mercoledì 9 Marzo 2022.