Vaccinazione_nteprima articolo

No, non siamo messi bene…

Gentile Direttore,
il suo intervento sulla “soluzione all’italiana” per il vaccino Astra Zeneca ha dato prova di coraggio. A volte esprimere qualche dubbio sulla “comunicazione” (ma la comunicazione si fa così?) in merito al sistema vaccinale a questo punto era necessario. In alcuni casi riferire incertezza in questo ambito può produrre il rischio di essere tacciati di tendenze no-vax.
 
E’ però palese, considerate le continue informative contrastanti, che sia in atto una sperimentazione (superate la fase III necessaria per la commercializzazione) che evolve durante la stessa vaccinazione di massa.
 
La richiesta che la campagna vaccinale possa svilupparsi nel rispetto di tutti i criteri di sicurezza e di sollecitudine dovrebbe suggerire di scegliere il modello operativo detto hub and spoke che richiede la realizzazione di un centro vaccinale maggiore (aziendale/ospedaliero) e di molti altri centri, ad esempio di quartiere, definiti o autorizzati dalle aziende sanitarie e che siano in grado di replicare in tutto e per tutto i centri hub. In questi presidi possono operare medici volontari e USCA così come potrebbero dedicarsi alle vaccinazioni anche a livello domiciliare. 
Questo “semplice” sistema operativo favorirebbe il conseguimento degli obiettivi ipotizzati e limiterebbe al massimo, se non eliminerebbe, lunghe file, caos o conflitti.
 
L’adesione volontaria può raccogliere una numerosa platea di medici (mmg di CA, mmg di AP, mmg Corsisti, medici specializzandi, medici dell’emergenza territoriale, Medici dei Servizi, medici pensionati …) più che sufficiente per assicurare una vaccinazione di massa senza creare confusione tra chi “può aderire” e chi “deve aderire” causa di possibili differenziazioni e difformità professionali e assistenziali in grado di creare possibili conflitti tra assistiti e medici di base.
 
Non da ultimo questo schema operativo può prevedere la partecipazione volontaria dei medici di base alla campagna vaccinale molto più efficace di quella detta “obbligatoria” in quanto il medico di Assistenza Primaria “può partecipare” alla campagna eseguendo l’attività vaccinale vera e propria ma può anche scegliere di supportare gli assistiti nella compilazione dei moduli, nel perfezionare una anamnesi soprattutto se critica, nell’individuare elenchi particolari (fragili e non deambulabili), nel segnalare casi che per qualche motivo sono rimasti fuori dagli elenchi dedicati alla vaccinazione così da avvantaggiarsi della vaccinazione di massa per una azione di integrazione dell’intera popolazione presente sul suolo italiano, nell’osservazione e nel monitoraggio prudente di eventuali effetti collaterali o indesiderati o inattesi. Soprattutto il medico di base può partecipare attivamente alla campagna vaccinale continuando a mantenere accessibili gli ambulatori di medicina generale senza interruzioni determinate dalla partecipazione attiva al processo vaccinale.
 
Il valore deontologico ed etico in periodo pandemico del medico di base è pienamente compiuto se il medico assicura l’attività ambulatoriale, se si fa carico delle cronicità non covid, se provvedere per quanto possibile al diradamento dei controlli specialistici, se sostiene le persone quando presentano sintomi psicosomatici causati dalle chiusure e dalle distanze sociali. Potrebbe essere importante aiutare gli assistiti a non fare confusione e a non equivocare l’ambulatorio del medico con un centro vaccinale perché, in questo caso, inevitabilmente sarebbero ridotti i servizi caratteristici della assistenza primaria.
 
Non è stato semplice o possibile convincere le Alte Dirigenze Aziendali sulla opportunità di attivare il sistema hub and spoke per la campagna vaccinale forse perché l’attivazione delle unità Usca potrebbe avere un costo superiore al coinvolgimento dei medici di base ma in questo caso, visto che ci si indirizza verso una vaccinazione di massa prioritaria che deve avvenire nel più breve tempo possibile, non si dovrebbe ragionare in termini economicistici pena una svalutazione della narrazione relativa all’emergenza pandemica stessa.
 
La vaccinazione anti covid non è una vaccinazione antiinfluenzale e la così detta vaccinazione “leggera” svolta negli ambulatori o a domicilio, se in carenza dei carismi di sicurezza garantiti nei centri vaccinali hub o di quartiere/periferici, non sembra aver procurato particolari agevolazioni.
 
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

09 aprile 2021
© Riproduzione riservata


Mascherina

Le potenzialità di un Mmg realmente libero

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità - 09 Giugno 2020

09 GIU - Gentile Direttore,
sarebbe interessante studiare, tra i tanti dati illeggibili di questa pandemia Covid, l’operatività di quei mmg che sono riusciti a fare diagnosi o almeno ipotesi diagnostiche oggettivabili precocissime; a mantenere al domicilio i propri assistiti seguendoli con contatti ripetuti nella giornata portandoli così alla “guarigione”.

Poi, ma dopo, sono arrivate le circolari e le linee guida ufficiali, modificate di settimana in settimana, a complicare ulteriormente ciò che già era difficile. Finché è stato possibile si è assistito ad una piccola innovazione “autonoma” del lavoro medico creata cosi, su due piedi, dai mmg a partire dai primissimi momenti.

Non sono certo esperienze operative circoscritte che possono consolidare un riordino delle Cure Primarie ma in questo periodo molti mmg, silenziosamente, non solo hanno saltato il fosso ma hanno eseguito un balzo in lungo degno di un record mondiale.

Quando i mmg hanno l’occasione di agire in autonomia e riescono a governare il processo decisionale automaticamente creano valore aggiunto, indotto e ricchezza. Modificano necessariamente i paradigmi e i valori di riferimento (empatia, solidarietà, reciprocazione, meritorietà, comunità, welfare) e decretano un patto d’onore tra professionisti e assistiti a sostegno del nuovo sistema valoriale di quella comunità.

In questo caso i “pazienti esigenti” diventano co-operanti perché possono “dire la loro” e ritengono, insieme ai loro medici e a chi pratica quotidianamente l’assistenza territoriale, che la salute è un bene comune e che il rispetto e la considerazione reciproca vanno considerati “beni relazionali” al pari dei servizi assistenziali e di prevenzione.

I mmg hanno quindi sperimentato modalità e luoghi dove poter espletare una innovazione radicale e produrre beni impossibili da realizzare con normative calate dall’alto. La medicina di base (se non sarà condotta alla dipendenza come da normative tutt’ora vigenti) dovrà strutturarsi culturalmente come una impresa che oltre ad offrire professionalità possa garantire continuità nella produzione della qualità dei servizi, dell’efficienza e dell’innovazione basata sull’esperienza.

La Medicina basata sull’Evidenza è utilissima ma deve mescolarsi con la tradizione culturale della medicina altrimenti rischia lo stesso distacco autarchico dalla realtà tipica di alcune istituzioni ed esporsi a svarioni imbarazzanti.

Una società, una comunità che non fosse in grado ora (dopo l’esperienza pandemica, tutt’ora presente) di assicurare una riforma dell’attività lavorativa del medico dove i valori relazionali ritornino ad essere identitari dei territori diverrebbe inevitabilmente una società destinata ad un livello di benessere ancora più incerto di quello che abbiamo sperimentato e tutto ciò indipendentemente da protocolli, algoritmi, statistiche, normative e posti di lavoro che le istituzioni potrebbero riuscire ad assicurare.

Forse uno degli elementi sottesi alla dotta elaborazione inerente la riforma del lavoro medico auspica che l’era covid possa rappresentare l’occasione per poter abbandonare la filosofia del pensiero unico o dei tagli per finalizzato al risparmio aziendale e regionale.

E’ diventato improvvisamente evidente a tutti il motivo della chiusura dei presidi sanitari territoriali che a volte, dal punto di vista medico-assistenziale e sociale erano considerati veramente dei piccoli e preziosi gioielli per le comunità.

Finalmente è apparso chiaro che il nesso che c’è tra economia e salute è indissolubile e una impostazione gestionale orientata al risparmio o a tagli conduce a disastri di cui siamo diretti testimoni. Il momento può favorire una riprogettazione della vita sanitaria territoriale, dell’attività lavorativa ma anche delle competenze gestionali.

Le USL (Unità Sanitarie Locali) potrebbero ritornare ad una nuova vita essendo state più a contatto con i cittadini di un territorio ben definito anche politicamente così da sostituire le AUSL cioè le aziende diventate eccessivamente elefantiache e burocratiche per la loro diretta dipendenza regionale.

A fronte dell’ennesima promessa di ridimensionamento della burocrazia molte professioni o impieghi degli assessorati o delle aziende potrebbero trovarsi in situazioni di lavoro libero e spontaneamente diventare di grande aiuto se inserite nelle aggregazioni mediche territoriali: basti pensare al ruolo del farmacista che potrebbe co-operare con i medici di Assistenza Primaria per un aggiornamento in tempo reale (di team e di briefing) su farmaci e terapie ma avere un ulteriore ruolo fondamentale epistemologico e statistico nella nuova enorme area di ricerca scientifica rappresentata proprio dalla medicina territoriale che potrebbe basare le proprie analisi non su studi di coorte ma live.

Il lavoro del mmg e in generale degli attori coinvolti nell’assistenza territoriale è strettamente collegato alla domanda di qualità della vita, di attenzione, di cura, di servizio, di partecipazione, di relazionalità.

La qualità di questo “lavoro” è pesato non tanto dai prodotti, dai beni o dai servizi offerti per il “consumo” quanto piuttosto per la qualità delle relazioni umane e per l’abilità di comprendere la matrice della società o della comunità di riferimento che a sua volta esprime bisogni diretti o indiretti di stili di vita che dipendono dalla cultura e dalle tradizioni di quel territorio cioè la personalizzazione delle cure come indice di qualità dell’assistenza.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti)
Regione Emilia-Romagna

09 giugno 2020
©️ Riproduzione riservata


medicina di base

Il potenziamento delle Cure Primarie in tempo di Covid-19

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 17 Marzo 2020

medicina di base

17 MAR - Gentile Direttore,
i posti disponibili di terapia intensiva il Italia sono circa 5.000, di contro in Germania sono 28.000 su 80 milioni di abitanti. Eccoci ora di fronte ad un'altra emergenza sociale e sanitaria. Alcuni studi ipotizzano un utilizzo quasi totale, in periodo di picco Covid-19, di letti di terapia intensiva nel nostro paese. Come ex anestesista-rianimatore mi sento emotivamente immedesimato e profondamente commosso da quanto i colleghi ospedalieri stanno vivendo.
 
A fronte di tragedie, disastri, epidemie/pandemie pregresse anche la medicina generale ha tentato di studiare strategie orientate al potenziamento del 1° livello assistenziale territoriale al fine di svolgere un effettivo filtro per le strutture di 2° livello e impedire gli intasamenti di questi servizi che vengono indicati in questo momento come la vera emergenza.
 
Un territorio ben attrezzato e rafforzato con i nuovi giovani mmg, preparatissimi dal punto di vista clinico-diagnostico, già inseriti nelle graduatorie regionali per la medicina generale e per la Continuità Assistenziale, adeguatamente addestrati avrebbe potuto/potrebbe far fronte in tempo reale all’emergenza in affiancamento ai mmg senior per visite a persone sospette di contagio, per eseguire tamponi, per seguire a domicilio i paucisintomatici o i così detti “stabilizzati” dimessi dalle terapie post-intensive, per somministrare eventuali terapie domiciliari innovative o per uso compassionevole pur continuando la quotidianità e l’assistenza territoriale a tutte le altre persone ammalate non di Covid-19.  
In cambio di questo importantissimo servizio alla comunità sarebbe però necessario proporre ai giovani medici non solo una valorizzazione adatta ed incrementale della loro attività ma l’assicurazione di una strutturazione, pur sperimentale, dello strumento “affiancamento” e l’ideazione concreta di un sistema di reciprocazione che possa garantire ai giovani medici strutture territoriali adeguate, moderne e funzionali dove i professionisti possano elaborare, in autonomia e indipendenza, progetti assistenziali innovativi e flessibili in grado di rispondere anche a momenti emergenziali. 
 
La pandemia ci impone un cambio di passo e castiga ogni risposta alle nuove esigenze globali (COVID-19 e non COVID-19) attuate con modalità o culture arretrate e protocollari/normative. 

In questi giorni abbiamo avuto l’esempio emblematico di come i protocolli e le linee guida si modifichino di giorno in giorno a conferma del principio che il paradigma di riferimento è inevitabilmente bio-psico-sociale e che i macro fenomeni endemici strettamente collegati alla vita degli individui sono in grado di sovvertire algoritmi, protocolli, LG fino a ieri considerate verità immutabili. 
 
La situazione attuale (non solo della Lombardia che per altro rappresenta un servizio di 2° livello eccellente) è una rappresentazione di quello che significa non essere stati in grado di riformare le cure primarie partendo da pilastri fondamentali validi per un paese come l’Italia. 
 
Inoltre appare ora come sia stato dissennato ed insidioso il percorso che ha portato a chiudere un'infinità di ospedali della variegata periferia italiana per trasformare il servizio sanitario in qualcosa che avesse efficienza manageriale ed ottimizzazione ma che poi alla fine ha voluto a tutti i costi semplificare in un pensiero unico la complessità della vita reale. 
 
Le tematiche e le argomentazioni relative ai piccoli ospedali sono applicabili e completamente sovrapponibili alla medicina generale. Gli obiettivi aziendali sono ogni anno raggiunti ma qualunque forma di governo o gestione piramidale, lontano dalla realtà, dai bisogni e dai professionisti potrà certo imporre programmi o obiettivi ma non riuscirà mai a comporre (cum ponere) progetti solidi e trasmissibili. 
 
La relazione stretta tra professionisti e assistiti, esaltata da questa crisi, genera spontaneamente comportamenti collaborativi istintivi e responsabili, trova soluzioni efficaci, recupera la “calma” necessaria tra persone che si riconoscono e rispettano ciascuno con le proprie specifiche funzioni, doveri e diritti. 
 
Quanta pietà scorre nelle vene dei professionisti e dei parenti quando, per ragioni di sicurezza, non c’è più la possibilità di visitare i propri cari ricoverati nemmeno in caso di dipartenza. Ora abbiamo bisogno di senso.
 
Certe calamità superano gli individui e governanti. Il clamore finirà. La società civile saprà allora imporre un nuovo welfare sanitario che ponga il bene comune come valore superiore? 
 
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

17 marzo 2020
© Riproduzione riservata