Dente di leone

La Casa della Comunità di San Leonardo e la riqualificazione del parco dei Vecchi mulini

(Delibere dell’Amministrazione Comunale: n. GC-2021-465 del 29 dicembre 2021 che definisce la superficie da dedicare alla così detta Casa della Comunità di San Leonardo e n. GC-2022-203 del 18/05/2022 che reca in oggetto il piano di riqualificazione del Parco dei Vecchi Mulini cioè di Via Verona).

Da quando Comunità Solidale Parma, una piccola Associazione di Volontariato autonoma ed indipendente che opera essenzialmente nel quartiere San Leonardo, ha promosso dagli anni 2013-2014 una riflessione relativa ai bisogni espressi e non espressi della popolazione inerente la situazione socio-sanitaria di quello specifico territorio è emerso preponderante l’interesse sul tema delle Case della Salute ora definite di Comunità.

L’elenco delle problematiche è stato sottoposto al parere delle persone grazie ad un manifesto esposto nella sede dell’associazione (situata nella sala d’aspetto dell’Ambulatorio-Medicina di Gruppo San Moderanno).

Lo studio ha poi dato origine ad uno slogan (Dona salute al tuo Quartiere: La casa della salute grande e l’ospedale di comunità) e ad un disegno progettuale di una “Casa della Salute grande” da inserire nel quartiere San Leonardo che ha raccolto 1000 firme a sostegno.

La bozza di questo disegno progettuale, sostenuto da altre associazioni di volontariato, è stata poi presentata alle Istituzioni del settore, alle imprese più importanti della città, all’Amministrazione Comunale (sia nel primo mandato che nel secondo mandato della Giunta Pizzarotti) e più volte è apparsa sulla stampa cittadina.

A seguito di questo intervento propositivo la superficie pubblica di via Verona è stata poi oggetto di molte attenzioni da cui sono scaturite altre idee progettuali o modificazioni dell’idea originale che potrebbero, forse, essere viste come azioni al ribasso a fronte del disegno progettuale iniziale.

Da questo punto di vista una delle due recentissime delibere citate in apertura riportano una particolare e scrupolosa attenzione proprio nei confronti della riqualificazione del Parco dei Vecchi Mulini di Via Verona (che alla fine rappresenta un ridotto appezzamento di terreno), come se non vi fossero priorità o emergenze in altri parchi ben più vasti e frequentati, nello stesso quartiere, che versano in condizioni certamente peggiori (il Parco Nord resta tutt’ora diviso in due a causa dell’inagibilità delle due passerelle/ponti di legno sul Naviglio ).

In Consiglio Comunale, il 14 febbraio sono state chiaramente esposte le criticità contenute nella delibera relativa alla Casa della Comunità la quale propone una soluzione strutturale per il quartiere San Leonardo assolutamente inadeguata al contesto e alle necessità tanto da contraddire le finalità stesse che vorrebbe rappresentare (prendersi cura del bene comune).

E’ assodato che le periferie siano tali ma è doveroso non dimenticare che possiedono una loro dignità che non dovrebbe essere elusa.

Una visione traboccante di ottimismo avrebbe potuto ipotizzare che fosse percorribile, eventualmente da una nuova amministrazione, una modifica della delibera stessa in grado di dare considerazione e rispetto a questa parte del territorio che quotidianamente è a servizio di tutta la città progettando finalmente una Casa della Comunità detta “hub” cioè grande e un Ospedale di Comunità che per logistica e funzionalità fossero confacenti ai bisogni del quartiere che nel suo complesso ( dal quartiere Colombo, Cortile San Martino, quartiere San Leonardo fino ad arrivare alla fine del ponte Nord) può contare circa da 30.000-40.000 residenti ed oltre.

Il 18 maggio 2022 però la Giunta delibera un altro provvedimento relativo alla riqualificazione del parco di via Verona (Parco dei Vecchi Mulini) riducendo così di fatto la possibilità di poter addivenire ad una ipotetica rivisitazione del progetto Casa della Comunità classificata, nonostante la densità abitativa, come “spoke” cioè piccola.

Dal testo della recente delibera inoltre non emerge alcuna considerazione culturale relativa ad una integrazione delle “Casa della Comunità” con il parco stesso al fine di inglobare la Casa della Comunità insieme al parco riqualificato nella vita di tutto il quartiere realizzando concretamente quella co-operazione tra servizi, contemplata in tutta la più recente letteratura, che possa influire sul bene comune più importante per le persone: la promozione della salute.

E’ quindi auspicabile la necessità di rimettere mano all’elaborazione di queste due delibere rivedendo alcuni elementi fondanti.

Non si intende tuttavia avviare nessuna polemica in quanto l’atto del curare, per sua natura, si basa non sulle parole ma sulla testimonianza che porta gli attori (ad es.: del territorio) a trovare soluzioni estemporanee agli ostacoli presentati da decisioni burocratiche o da modelli precostituiti calati dall’alto nonostante i timidi tentativi di processi partecipativi messi in atto.

Quando un’amministrazione politica della città o un’azienda sanitaria non sono convinte di dover affrontare certi problemi in modo efficace non saranno certo le parole o gli scritti a far cambiare convincimenti radicati e sovraordinati.

Inoltre non si può escludere che la mancanza di avvicendamenti o alternanze nel processo politico-amministrativo-decisionale possa causare quello che James Reason, in campo clinico, ha definito la “teoria del formaggio svizzero”. Reason, con la sua ipotesi, ha tentato di rappresentare come nei sistemi complessi (e non solo in quelli sanitari) la consuetudine all’egemonia sui processi decisionali possa causare situazioni tali da determinare errori successivi o seriali talmente importanti da poter portare alla fine anche a vere e proprie catastrofi.

Sarà solo il tempo che riuscirà a dare ragione al senso politico della cura.

La modernità a volte si dimentica di questo aspetto fino a considerare che il cittadino ideale debba tendere alla massima autonomia, libertà, compattezza tendendo a tralasciare gli interessi della collettività o meglio delle persone che vivono in comunità.

In effetti la cura ed il prendersi cura (in particolare la prossimità e le strutture intermedie \dell’assistenza socio-sanitaria territoriale (senza dimenticare la missione 5 del PNRR) tanto che si considera che le attività a vantaggio della salute e del benessere debbano diventare punto di riferimento logistico, funzionale e culturale per un territorio.

Soprattutto oggi, dopo la pandemia, la cura e il prendersi cura acquistano un significato politico molto particolare, forse essenziale e decisivo.

La teoria di Reason consiglia, a protezione da possibili errori determinanti per le nostre comunità, scelte di modifiche, cambiamenti, soluzioni di continuità nei ruoli nei quali si esercita il potere di incidere sui processi decisionali che influenzano profondamente i cittadini e la polis.

Cons. Bruno Agnetti

Pubblicato da Gazzetta di Parma, 2 giugno 2022


Medicina Territoriale

Le case della comunità nei quartieri, una scelta in ritardo di anni

22 FEB - Gentile Direttore,

Sul filo di lana del traguardo della consiliatura posso manifestare una malcelata soddisfazione per il fatto che almeno è emersa "ufficialmente" una qualche "sensibilità" su temi direttamente coinvolti all’assistenza sanitaria territoriale avvenuta con la presentazione della delibera della Giunta comunale nella quale si esprime parere favorevole sul sistema strutturale delle così dette Case della Salute (oggi più propriamente definite Case della Comunità) di via XXIV Maggio (quartiere Lubiana) e di via Verona (quartiere San Leonardo).

Null’altro che una "sensibilità" forse nemmeno genuina ma dettata dalla necessità di presentare qualche progetto al fine di racimolare in fretta e furia quel che resterà del Pnrr.

Attualmente le due denominazioni (Case della Salute/Case della Comunità) possono essere considerate concettualmente sovrapponibili come funzioni e obiettivi professionali e assistenziali anche se è probabile che nei prossimi anni possano essere declinate operatività e integrazioni diversificate in relazione agli sviluppi culturali e normativi in atto (Pnrr, contratti nazionali, accordi regionali e locali, approfondimenti e interpretazioni pubblicati da numerosi commentatori nazionali e locali).

Credo a questo punto di poter dare un significato parzialmente positivo al mio mandato amministrativo, considerato che l’obiettivo principale , quello di portare all’interno dell’Amministrazione comunale una attenzione politica alla situazione locale sanitaria periferica, ha causato tuttavia indirettamente una reazione.

Non sono sicuro ma senz’altro la delibera, che arriva con un ritardo di numerosi anni tanto da rendere già obsolete le disposizioni assunte,  sarà scaturita da una approfondita analisi dei bisogni e delle necessità assistenziali e professionali dei quartieri e che saranno stati evasi i necessari confronti e dibattimenti con le comunità e con i professionisti interessati.

Grazie a questi numerosi scambi di vedute saranno stati presi in considerazione gli effettivi bisogni logistico/architettonici, assistenziali e professionali valutando anche quanto elaborato dalla letteratura di settore in questi anni che considera la multifunzionalità e la gradevolezza degli ambienti metafora della guarigione e del benessere.

Come emerge da numerosi resoconti, la vita della singole comunità non richiede la collocazione nei quartieri di poliambulatori ma di strutture in grado di rispondere alle necessità di una società moderna, attiva, con specificità identitarie e la peculiarità diffusa all’incremento delle cronicità ma anche di soggetti appartenenti alla così detta terza e quarta età tuttavia in buona salute, età che non può però essere risolta dal paradigma della città in 15 minuti.

Diversi commentatori hanno evidenziato come siano fondamentali le cooperazioni tra il sociale (inteso come servizi istituzionali ma anche come società civile organizzata) e il sanitario e come l’attività riabilitativa "continuativa" neuro-motorio e cognitivo-psicologico possa essere indispensabile anche per fasce di popolazione più giovane.

A tempo scaduto emerge l’urgente necessità di realizzare gli ospedali di comunità con mansioni anche di hospice (secondo quanto ricordato dal British Medical Journal) che, come dice la parola, per essere tale, cioè per essere Ospedale di Comunità, deve essere inserito proprio nella comunità stessa e nella struttura (Casa della Salute/Casa della Comunità) nella quale si realizza l’integrazione multiprofessionale (medicina generale, 118, continuità assistenziale), multidisciplinare (sanitaria, specialistica, diagnostica), multisettoriale (amministrativo, di volontariato e di terzo settore), relazionale (partecipazione della comunità di riferimento).

Tuttavia la lettura della delibera lascia numerose questioni in sospeso e non affrontate tanto da apparire inadeguata alle finalità che apparentemente sembra indicare.

Già sono passati molti anni dalla formulazione dei propositi contenuti nel testo del provvedimento e forse ne trascorreranno molti altri che potrebbero cambiare visioni, missioni e amministrazioni.

Al momento sembrano affiorare alcune criticità in merito alla condivisione con la popolazione, al confronto con la letteratura di settore, alla realizzazione degli spazi e delle funzioni tra le due Case della Salute/Case della Comunità citate nella delibera.

La mancanza di una visione ambiziosa, contestuale e allacciata alla realtà attuale continua la tradizione dell’opinione tendente al massimo ribasso (conto capitale e organizzazione corrente) inversamente a quello che dovrebbe essere il massimo rialzo (della qualità professionale e assistenziale).

Il concetto di visione ambiziosa (se non ora quando?) viene assimilata da alcuni come un pensiero puerile indegno di essere preso in considerazione e per questo manipolato in senso denigratorio. Manca la cultura del bene comune.

Tutto ciò non ha permesso un cambio di passo e trascina con sé le note criticità sanitarie (l’Ausl è commissariata da quasi due anni senza che nessun dirigente sanitario o responsabile amministrativo comunale abbia spiegato alla popolazione il perché) che continuano a condizionare questa città dando origine a quartieri e cittadini di serie A e serie B così come vi sono professionisti sanitari di serie A e B (manca una programmazione sanitaria territoriale locale efficace per le giovani generazioni di professionisti) e così tra gli stessi dirigenti sembrano esserci quelli di serie A e quelli di serie B.

Sembra proprio che Parma debba giocare "così così" sempre in serie B. Infatti, quale beneficio è arrivato in città grazie al commissariamento misterioso dell’azienda sanitaria locale?

Oggi le malattie improvvise incidono di meno sul complesso assistenziale e professionale delle patologie di lunga durata, quelle che rientrano nel termine cronicità.

Già è stato detto che molte persone della terza e quarta sono senili ma fondamentalmente sane. Quelli che si ammalano spesso non guariscono, si cronicizzano e quindi è assolutamente necessario pianificare con abilità e intelligenza una innovazione del territorio affinché riesca ad affrontare la presa in carico della fragilità (termine generale che contiene numerose forme di malattie o disagi) nella piena consapevolezza che affrontare le problematiche non significa trovare risposte universali.

Occorre ripensare e abolire gli ambiti territoriale e permettere ai giovani medici del territorio di formare gruppi omogenei, affiatati, numerosi e con uno specifico progetto assistenziale autogenerato che siano in grado di assumersi in carico un territorio di riferimento.

Una medicina basata solo sulle evidenze scientifiche non è in grado di affrontare la complessità sociale e sanitaria che non è mai lineare, protocollare, algoritmica, normativa, economicistica.

Occorre innovare e costruire un nuovo sapere fondato sui valori, sulla cultura, sull’esperienza, sull’etica, sul bello e sull’arte. Questo sapere deve essere autonomo, solido, costruito dalla comunità e realmente trasmissibile alle nuove generazioni di professionisti. Per molto tempo abbiamo pensato che la scienza potesse dare risposte appaganti ma ora comprendiamo che occorre tornare all’umanesimo. Covid docet.

Le comunità, insieme ai loro professionisti di riferimento, possono modificare il rapporto con la cura, la salute e il benessere. L’emergenza, lo scientismo, il vitalismo hanno rischiato di trasformare la cura il un oggetto di mercato.

Nella realtà il prendersi cura è un processo, un susseguirsi di momenti che si seguono nel tempo l’uno dopo l’altro e che si fondano non sulla guarigione (cosa significa guarire?) ma sulla relazione tra professionisti e persone che chiedono l’aiuto, familiari, colleghi, comunità…questi interessi uniti e basati sull’umanesimo possono, forse, incidere sull’attuale cultura regressiva delle istituzioni sanitarie e delle amministrazioni politiche.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

22 febbraio 2022
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case della salute

Un patto d'onore per il bene comune

Articolo pubblicato sulla Gazzetta di Parma l'8 dicembre 2021


L'integrazione multiprofessionale e multidisciplinare territoriale vs l'epidemia della cronicità

Elaborato multimediale utilizzato a supporto dell’intervento del relatore Dott. Bruno Agnetti durante gli stati generali della Sanità in Emilia Romagna.

A cura di Bruno Agnetti e Alessandro Chiari
Centro Studi Programmazione Sanitaria – SMI Emilia Romagna Sindacato Medici Italiani

Con la partecipazione di: Bruno Agnettti, Maria Antonioni, Barbara Bezzi, Alessandro Chiari, Eugenio Isgro, Michela Mirandola, Luisa Vastano e Giuseppe Campo.

Prima pubblicazione: anno 2014

Per la parte di temi di più forte attualità, consiglia la visualizzazione dal minuto 3:15


Assistenza. L’importanza del servizio sanitario territoriale periferico. Ricominciamo?

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Gazzetta di Parma il 17 Aprile 2020

Questa epidemia (gia’
ampiamente prevista nel 2017) ha colto il nostro sistema sanitario impreparato
per quanto riguarda gli ospedali e il  territorio 
( screening, monitoraggi, mascherine). Una organizzazione periferica
adeguata avrebbe forse rallentato l’infezione lasciando più tempo per la ricerca
di efficaci strategie terapeutiche. Come Comunità Solidale Parma da anni
proponiamo soluzioni innovative per il territorio (Casa della Salute o Casa del
Quartiere) dirette ad assolvere e ad affrontare le nuove sfide “imposte dalla
globalizzazione”. Abbiamo ribadito come 
fosse necessaria una ideazione ed una progettazione  che veda dall’inizio coinvolti i diretti
interessati e gli attori dell’assistenza territoriale ( innovazione del
processo decisionale). A Parma c’è un eccellente modello di come possono essere
stabilite alcune ipotesi di disegno progettuale e di come si possano realizzare
(l’Ospedale dei Bambini).  Le
problematiche relative all’organizzazione territoriale palesate durante questa
epidemia richiedono un apprendimento veloce che superi tutte le esitazioni passate
al fine di costruire un futuro assistenziale periferico che abbia il maggior senso
possibile. Si è inoltre capito che nessun sistema economico (che vedrà una
profonda innovazione e riconversione) può sopravvivere senza una sanità
pubblica forte e saldamente ancorata al territorio (welfare di comunità-sussidiarietà
circolare-collegio del territorio-partecipazione non dominante delle imprese
generatrici).  Questo virus non fa
differenze e colpisce il cittadino semplice, 
l’anziano, lo sportivo, il ministro o l’industriale famoso. Non c’è
“buen retiro” che possa proteggere.  La
salute di tutti dipende quindi dalla salute di ciascuno, siamo interdipendenti
e solo insieme potremo affrontare i prossimi problemi o altre pandemie o altre
modificazioni globali che condizioneranno il nostro benessere.

Comunità Solidale Parma ha da sempre sostenuto l’importanza di difendere il Servizio Sanitario Pubblico ed in particolare, per suo statuto, la medicina generale territoriale in coerenza con il paradigma assistenziale bio-psico-sociale.  Un servizio sanitario territoriale periferico ben organizzato e con locali adeguati puo’ aiutare a far fronte alle emergenza, offrire cure precoci per molti e di conseguenza   sostenere   anche il sistema produttivo di un quartiere. Pensiamo che la medicina di base sia un bene comune per i cittadini e che medici e  sanitari debbano essere protetti affinchè non si ammalino continuando così a  sorreggere  il sistema territoriale  senza rischiare il collasso. Pensiamo a tutte le persone ammalate di patologie croniche non collegate al Covid-19  e che  necessitano di controlli periodici a volte essenziali.  La salute è quindi considerata un bene comune e deve essere gestita come tale. E’ interesse collettivo che le comunità ( es.: i quartieri con le loro Case della Salute)  possano in caso di necessità  organizzarsi rapidamente con autonomia anche se poi naturalmente saranno necessari  interventi dei presidi di 2 livello e strategie nazionali vincolanti. Arriveranno i farmaci efficaci.  Al momento occorre però che la popolazione dimostri  ancora senso di responsabilità perché il virus è tutt'ora in circolazione pronto a causare altri guai.  Con le cure opportune finirà definitivamente anche il confinamento e potrà riprendere il sistema produttivo foriero a sua volta di benessere perché anche la salute richiede una società attiva. Le relazioni sociali hanno già iniziato a mutare. Sono diventate essenziali.  Piano piano comprendiamo come il valore sia dato dai rapporti con gli altri e con il territorio.  Ci sono naturalmente altri beni comuni interconnessi ed interdipendenti come l’ambiente, l’istruzione, la cultura, la biodiversità. La lezione di resilienza imposta da questa pandemia ci ha liberati,  nell'immediato, dalla cultura consumistica del  “voglio tutto e subito”. Il mondo è improvvisamente apparso come limitato e fragile non più  gigantesco ed infinito. Il virus inoltre lascia purtroppo tracce profonde che resteranno per tutta la nostra vita ( disoccupazione, fallimenti, decessi in solitudine, sofferenze e difficoltà nel poter curare tutti). Usciti dall'emergenza non potremo accontentarci  di posizioni  marginali o burocratiche  che pensino  di aggiustare nell'invarianza  il nostro sistema sanitario territoriale in attesa della prossima pandemia ( che ci sarà!) o della prossima catastrofe o del prossimo disastro. Senza un sistema territoriale efficace in grado di prendersi cura non può esserci salute  e benessere collettivo ( ed economia). Da questo punto di vista la ripresa deve essere adeguatamente progettata, comunicata e sperimentata (democrazia deliberativa).  L’integrazione socio-sanitaria, riconosciuta come bene comune,  nelle sue strutture periferiche  può così svolgere  nel periodo della ripresa un importante ruolo  di riferimento  per una comunità e quindi  offrire un importante  strumento di ammortizzatore sociale. Già ora si prevedono tensioni, agitazioni, rancore ed insofferenza causate dal possibile incremento delle disuguaglianze e dei fenomeni di impoverimento. Una Struttura Sanitaria di quartiere ( es.: una casa della salute innovativa  nel processo decisionale  e  nel suo sistema gestionale interno autonomo) può rappresentare una risposta valida e convincente  alle nuove istanze  e ai nuovi bisogni di protezione  delle  fasce più deboli e periferiche  della società  alle prese con le conseguenze  della  globalizzazione  e delle trasformazioni radicali dell’ordine strutturale sociale.  Da qualche anno Comunità Solidale Parma promuove la realizzazione di una struttura  complessa di riferimento sanitario ( Casa della Salute Grande)  per un quartiere come quello di San Leonardo. Questo territorio contiene al suo interno tanti servizi per l’intera città.  Conta, nel suo complesso 30.000 abitanti.  Tutto ciò che avviene nel villaggio globale può portare nodi che vengono al pettine anche nelle nostre “sconosciute” periferie del “mondo piccolo” in quanto i nostri territori sono anch’essi costantemente  interconnessi  con tutto ciò che accade nel mondo, anche in Cina!  E’ quindi opportuno un cambio sostanziale di paradigma e di processo decisionale in campo sanitario territoriale per poter affrontare con forza e comunanza le sfide del presente e del futuro con visioni alte e lungimiranti   per il bene comune. La speranza  non è utopia ma è creatività, intelligenza politica e pura passione civile che agisce per vincere la paralizzante apatia ( invarianza e inazione) dell’esistente.

Comunità Solidale Parma


Cure primarie. I punti deboli della legge Balduzzi e del Patto della Salute

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 12 agosto 2015

12 AGO - Gentile Direttore,
dopo una prima riflessione sulla riforma dell’assistenza territoriale e delle cure primarie, e in vista delle nuove manovre per l'ACN, chiedo ancora ospitalità sul suo giornale per continuare il ragionamento sulla legge Balduzzi e il Patto della Salute esaminando le diverse soluzioni in esse contenute, con i loro punti di forza e i loro limiti.

Le AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali) sono aggregazioni monoprofessionali con effetti tipicamente e solo organizzativi ( non erogativi) e comprendono un area di pertinenza della medicina generale che non superi i 30.000 abitanti ( art. 1, L. 189/2012 Balduzzi); nello specifico le AFT rappresentano l’ insieme dei professionisti che hanno in carico il cittadino che, a sua volta, esercita la scelta del singolo medico ( art. 5, comma 3, Patto della Salute 2014-2016). Da questo punto di vista, per quanto il Patto della Salute possa influire su una legge, verrebbe così mantenuta teoricamente (compatibilmente con un disegno generale apparentemente di quartierizzazione dell’assistenza all’interno di un area geografica) l’istituto della libera scelta e la capillarità in un bacino d’utenza definito. L’AFT è poi collegata funzionalmente ad una UCCP cioè ad una Unità Complessa di Cure Primarie ( art. 1, comma 3, Patto per la Salute 2014-2016).

Le AFT dovrebbero assicurare: la realizzazione degli obiettivi di salute per i cittadini di riferimento producendo quelle prestazioni che sono tipiche della medicina generale detta di opportunità (e non specialistica) finalizzate al governo clinico territoriale. In questo modo quindi, tramite le AFT, si può realizzare una omogeneità nei comportamenti assistenziali alla popolazione assistita in quanto i medici componenti l’AFT monoprofessionale condividono in forma strutturata obiettivi, PDTA, strumenti di valutazione della qualità assistenziale, LG, audit e strumenti analoghi.

Non si devono quindi individuare compiti erogativi in una AFT proprio perché le AFT non possono garantire la presa in carico integrata (essendo strutturalmente carenti di diagnostica e di personale) né attività di prevenzione né risposta alle prestazioni non differibili adeguatamente organizzate. Una AFT è collegata invece funzionalmente ad una UCCP o a più UCCP di riferimento dove vengono effettivamente erogati anche servizi specialistici integrati, attività di prevenzione e prestazioni non differibili ( art. 5, comma 3, Patto della Salute).

Le UCCP (Unità Complessa di Cure Primarie) sono forme organizzate/unità multiprofessionali (art. 1, L. 189/2012 Balduzzi) che operano, in forma integrata, all’interno di strutture o presidi (art. 5 c.2 Patto per la Salute); erogano (come compito) le prestazioni assistenziali della medicina generale tramite il coordinamento e l’integrazione (art.1 L.189/2012 Balduzzi) multiprofessionale ma anche multidisciplinare e multisettoriale (M&M&M). Il carattere multiprofessionale dell’UCCP è testimoniato dall’effettivo stretto collegamento tra le diverse professionalità presenti nell’UCCP ed in particolare dall’integrazione tra mmg e medici specialisti. L’integrazione valorizza le relazioni ed anche i collegamenti con i professionisti ospedalieri e con quelli dei servizi distrettuali (ma anche con il 3°settore).

Tutto ciò è indispensabile per le attività assistenziali complesse delle Cure Primarie (diagnosi, cura, prevenzione, educazione sanitaria individuale, counseling, domiciliarità, presa in carico della cronicità e della fragilità). Le UCCP sono quindi poliambulatori dotati di strumentazione di base aperti al pubblico h12/24 considerando anche dislocazioni plurime ( art. 5 comma 2 del Patto della Salute).
Le UCCP dovrebbero garantire prestazioni elencate nell’art. 5 comma 4 del Patto della Salute.

L’assetto organizzativo, le linee, le modalità e le caratteristiche in merito alla divisione del lavoro tra i professionisti che compongono l’UCCP (tutti i medici erogano le proprie attività attraverso l’UCCP) vengono definite da disposizioni nazionali (Atto di indirizzo - ACN). Sono demandati invece alle regioni l’individuazione dei principi per definire gli standard relativi alle erogazioni delle prestazioni, la programmazione e la realizzazione delle UCCP con la specifica dei criteri attraverso cui le aziende devono individuare e concordare i programmi di attività nelle UCCP con la possibilità di definire i livelli di spesa programmati avvalendosi anche di forme di finanziamento a budget nei confronti delle UCCP (Atto di Indirizzo).

Questo passaggio normativo evidenzia un importante punto di debolezza: se si ricerca uno sviluppo uniforme dell’ assistenza primaria, accanto alla riorganizzazione dei distretti da parte della Conferenza Stato-Regioni (con le AFT e le UCCP) la stessa conferenza (attraverso l’ACN e all’interno dell’ACN) deve prevedere anche la definizione organizzativa e programmatica dei servizi da svolgere nell’UCCP.
Le forme di finanziamento a budget (attività di programmazione tipicamente aziendale) non possono riguardare “finanziamenti adeguati programmati” inseriti nell’ articolato dell’ACN ma resteranno iniziative singole aziendali e di conseguenza le realizzazioni non potranno mai essere uniformi su tutto il territorio nazionale e ripresenteranno le difformità assistenziali e professionali già ben documentate dall’esperienza delle Medicine di Gruppo (alcune collocate in locali pubblici e contigue a servizi aziendali ed altre assolutamente lasciate al self made). Le UCCP sono parte fondamentale ed essenziale del distretto/azienda (Art. 5 comma 6 del Patto della Salute) per cui i costi ed i rapporti standard (come per i distretti/aziende) devono essere definiti a livello nazionale (ACN) per garantire l’uniformità di erogazione dei LEA su tutto il territorio nazionale.

L’adesione all’assetto organizzativo (AFT e UCCP) e informativo è obbligatorio e le regioni hanno l’impegno di prevedere lo sviluppo delle due uniche forme aggregative individuate sul territorio (AFT e UCCP) per i medici di medicina generale; queste forme sostituiscono tutte le diverse tipologie di forme di aggregazione o associative funzionali o strutturali realizzate nel tempo nelle varie regioni (art. 54 ACN 2009). L’obbligo alla partecipazione ( che è diverso dall’obbligo all’adesione) all’assetto organizzativo va considerato rivolto in modo prioritario alle UCCP in quanto le AFT, come già ricordato, sono aree territoriali della medicina generale, non sono quindi forme associative ma aree geografiche ed organizzative.

Governance. Una aggregazione di medici di medicina generale per acquisizione storica e in virtù delle normative vigenti è una organizzazione tra pari (Wonca ); sono rappresentate (come è prassi nelle  medicine di gruppo) dal referente scelto elettivamente; questo collega non può essere definito anticipatamente “ adeguatamente formato” perché, se così fosse, verrebbe a mancare la concreta possibilità di eseguire elezioni democratiche fra pari ( strumento che attribuisce vera autorevolezza). La nomina di un coordinatore medico (o altrimenti definito medico in staff o direttore di dipartimento o coordinatore ecc.) da parte aziendale, non eletto tra pari, al quale viene riconosciuto un compenso di scopo presuppone la costituzione di un ruolo automaticamente e gerarchicamente sovraordinato procurato dallo stesso istituto della nomina: un mmg nominato consulente aziendale con relativa valorizzazione economica qualificante acquisisce potere informativo, di frequentazioni e di conoscenze tali da poter trasmettere disposizioni o forti suggerimenti tecnico/organizzativi idonei senz’altro alle intenzioni dell’azienda/impresa ma nello stesso tempo trasforma il rapporto autonomo del mmg in un rapporto di consulenza/dipendenza che finisce per coinvolgere tutti i mmg dell’aggregazione. Inevitabili quindi numerosi ed inopportuni conflitti di interesse forieri di scarsa fiducia e reciprocazione.

Il referente invece, rappresentante credibile dell’aggregazione, eletto (a scrutinio segreto) tra pari e ratificato dall’azienda (e non scelto tra una triade: modalità organizzativa della dirigenza/dipendenza), è in grado per autorevolezza di promuovere i vari processi di integrazione e deve essere in grado di mantenere un rapporto di consenso e di gradimento tra i colleghi pena la decadenza. Le regioni si devono impegnare ad organizzare corsi di formazione per i referenti designati dai colleghi considerando che, all’interno di una cultura di integrazione mono/multiporofessionale, multidisciplinare e multisettoriale il referente per una AFT/UCCP è appropriato se è unico. Non possono poi esistere criteri specifici per ricoprire il ruolo di referente AFT/UCCP eccezion fatta (forse) per gli anni di servizio attivi nell’assistenza la quale, essendo soggetta al consenso e al gradimento degli assistiti, in un sistema di libera concorrenza di norma produce, negli anni, inevitabilmente una “formazione adeguata”.

Modello hub and spoke. E’ un disegno già utilizzato per il sistema ospedaliero e può essere applicato alla medicina generale in quanto è in grado di mantenere l’assistenza di prossimità e la capillarità. Le formule applicative possono essere le più varie e possono essere contestualizzate a seconda delle necessità ( forma più accentrata – forma più decentrata) ma l’essenza è che il servizio sia suddiviso tra sede di riferimento ( ad es.UCCP) ed tutte le altre sedi (ex MdG, sedi unificate, singoli mmg ). Con questo modello i costi complessivi non si incrementano in quanto si evitano compresenze e attività sovrapponibili eseguite in contemporanea e nello stesso tempo si mantiene una maggiore territorialità, una maggiore condivisione e un convinto affidamento reciproco (es. integrazione infermieri-medici).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI) Regione Emilia-Romagna

12 agosto 2015
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Il Decreto Balduzzi va superato. Ma anche il pensiero unico della politica

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 10 agosto 2015

10 AGO - Gent. mo Direttore,
da tempo su QS si intrecciano interessanti confronti sul tema della c.d. riforma dell’assistenza territoriale e delle cure primarie. Come SMI (Sindacato dei Medici Italiani) desideriamo partecipare allo scambio di opinioni con questo contributo. Gli innumerevoli articoli e gli interventi, spesso lungimiranti ed avveduti, susseguiti in questi anni sulla stampa di settore (anche prima dell’approvazione della legge Balduzzi ) non hanno poi alla fine apportato reali modifiche al paradigma tradizionale e non hanno inciso sull’urgente necessità di elaborare una discontinuità nei processi decisionali come globalizzazione e glocalizzazione richiederebbero.

Le buone intenzioni espresse dall’autorevole Patto della Salute (2014) non sono riuscite a fare luce sul fumoso decreto legislativo (Balduzzi) a causa di una debolezza normativa intrinseca e così sono rimasti al palo anche le bozze di ACN e gli atti di indirizzo susseguiti alla pubblicazione del DL 189/2012 palesando, in questo modo, una incapacità nell’affrontare e nel risolvere le contraddizione e le difficoltà interpretative contenute nella normativa legislativa stessa ( DL. 189/2012 Balduzzi).
Nemmeno l’iter del decreto legislativo attualmente in atto alle Camere permette di intravedere un “innovazione di rottura” così che il prossimo venturo ACN per la medicina territoriale (vitale per lo sviluppo del nostro SSN) appare sempre più abbandonato in una desolazione desertica con assenza completa di vita quando, al contrario, il contesto socio-assistenziale, ogni giorno di più, presenta il conto legato alle contingenze di rilievo epocale.

Qualche motivo dovrà pur esserci se dal 2012 al 2015 non si è riusciti a trovare il bandolo della matassa di un DL forse nato sbagliato nel merito e nel metodo; forse orientato, nei suoi fondamentali, a concetti medioevali; più preoccupato (ad ascoltare le malelingue) di realizzare alcuni vantaggi di business per pochi che a darsi pensiero di procedere ad un cambio di passo basato su una reale discontinuità organizzativa ed operativa da modalità ossequiate nel passato.

“L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare!” direbbe il buon Gino.

In effetti, a questo punto la cosa migliore sarebbe dar vita ad una nuova legge: le indicazioni migliorative (se non addirittura i testi già completi per un nuovo ACN) realmente innovative e coerenti con le emergenze derivanti dalla globalizzazione e dalla glocalizzazione sono già stati tutti scritti e pubblicati in più occasioni da numerosi colleghi ma, come si sa, sono rimasti esercizi letterari.

In QS sono intervenuti, sulla tesi delle cure primarie, nomi illustri: tutti hanno contribuito a far comprendere le dimensioni del problema, i distinguo, il processo cronologico degli avvenimenti e, dal dibattito, sono emerse in modo palese le singole responsabilità in merito alla situazione attuale. La turbolenza degli eventi socio-sanitari palesa un zavorra rimasta sommersa per tanto tempo, talmente densa e pervasiva che alcuni gruppi sembrano non accorgersi delle conseguenze insistendo nella coltivazione disordinata di orticelli dove cresce soltanto il frutto del pensiero unico che sedimenta e resiste ad ogni bonifica o ad ogni implementazione che possa provenire da nuove visioni. Questa interminabile crisi interna allo stesso sistema del welfare continua inoltre a mostrare grevi conflitti di interessi, di identità e di valori.

La crisi non è solo economica. E’ soprattutto una crisi di fiducia. Tutto ciò potrebbe far improvvisamente collassare il SSN su se stesse stesso , senza nessun scricchiolio di avvertimento, proprio perché le nuove vie di uscita, di direzione o di senso, di fiducia non riescono mai ad emergere e a dimostrare come sia urgente una discontinuità dalle paludose consuetudini degli anni passati.

Tra poco, non appena i singoli professionisti attualmente operativi e produttivi smetteranno di immettere nel sistema quel qualcosa in più di assolutamente soggettivo, personale e volontario , per altro mai riconosciuto da alcun criterio c.d. oggettivo di valutazione della performance ( es.: il carico di lavoro; medicina basata sull’esperienza; personalizzazione della cura) il sistema stesso potrebbe non restare più insieme.

Come ricorda Ernesto Galli della Loggia, argomentando dello scandalo romano, la crisi è così profonda che pare non avere scampo perché il pensiero unico, pesante e obeso, non è in grado di utilizzare strategicamente le idee che nascendo dalle minoranze potrebbero attivare, in modo generativo, numerosi problem solving urgenti e necessari per uscire dal pantano.

Siamo di fronte ad una serie di doppi legami di difficile soluzione: la c.d. riforma Balduzzi, costringe la categoria medica a confrontarsi con una formulazione normativa contraddittoria ed ingarbugliata che favorisce una infinità di interpretazioni e la nascita di una costellazione nebulosa di modelli e progetti più inclini a soddisfare interessi lobbistici che il bene comune; la normativa è continuamente ossessionata dalla ricerca di una bollinatura ( visto di conformità e copertura amministrativa da parte dalla Ragioneria dello Stato , che così certifica, salvo errori ed omissioni, che le leggi approvate abbiano nominalmente copertura finanziaria) e non si intravede la tendenza ad una reale che “sostenibilità trasmissibile”.

L’impasse annoso dovuto quindi alle contraddizioni di fondo presenti nella normativa Balduzzi sembrano superabili solo con un vero nuovo atto politico legislativo che ri-definisca da capo tutto l’assetto assistenziale che dovrebbe accompagnare ( all’interno dell’ ACN) la modifica delle modalità assistenziali per i prossimi 10-15.

Il Sindacato dei Medici Italiani (SMI), ostinatamente già dal 2012, si è comunque mobilitato per tentare di uscire dallo stallo e immaginare una via d’uscita verso una sanità pubblica meno caratteriale, più solidale, più equa, di qualità e che possa rispondere ai nuovi bisogni assistenziali, alle esigenze dei cittadini e della professione . Infatti se da una parte è completamente inibito ogni aumento contrattuale a causa della legge dello Stato 189/2012 ( Balduzzi ) i sevizi, il personale, le aggregazioni di riferimento si possono e si devono finanziare tramite uno start-up iniziale in grado poi di auto sostenersi e di reintegrare completamente l’investimento iniziale. In caso contrario vi è un forte rischio sul quale si dovrebbe riflettere molto attentamente: se le regioni non sceglieranno di dialogare con i medici disposti a condividere una nuova,seria e comprensibile assunzione autonoma di responsabilità nella gestione del governo clinico e nella strategia di organizzazione territoriale proattiva contenuta nell’ACN prima o poi (al primo, speriamo mai, caso di malasanità) le regioni stesse verranno accusate di non aver voluto o saputo organizzarsi uniformemente e per tempo nonostante che lo stato avesse fornito gli strumenti ad hoc (es.: legge Balduzzi ) e di conseguenza, le regioni, perderanno consensi politici e il ruolo centrale attualmente ricoperto in sanità ( la sanità rappresenta 70-80 % di un bilancio regionale).

La perdita di consenso e di potere favorirà inoltre la realizzazione di una privatizzazione e di una esternalizzazione del SSN che potrebbe non dispiacere a qualcuno ma che comporterebbe verosimilmente ulteriori perdite di consenso e di ruolo politico.

Secondo gli approfondimenti e le analisi svolti all’interno del nostro sindacato ( SMI) lo strumento finanziario per sostenere economicamente una riforma della medicina generale territoriale esiste e dovrebbe essere gestito come un “fondo di rotazione” ( che richiede comunque una definizione normativa in ACN ad esclusivo usum fabricae) esattamente come è già stato attuato per la riqualificazione degli ospedali dove sono stati reperiti i fondi per qualificare, ristrutturare, innovare, ridurre sprechi e produrre risparmi. Se tutto ciò è stato fatto per gli ospedali non si comprende come mai non si possa fare la stessa cosa per la “struttura territorio” che deve già da ieri ( garantendo qualità diffusa e risparmi estremamente importanti) affrontare l’epidemia della cronicità, della fragilità, della domiciliarità, del disorientamento emotivo degli assistiti, della somatizzazione del disagio, dell’enorme difficoltà di costruire prevenzione e corretti stili di vita con assistiti scoraggiati e quindi disinteressati, dei ricoveri sempre più brevi e delle dimissioni ogni volta più precoci.

Bruno Agnetti    
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia-Romagna

10 agosto 2015
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Nuovo modello di Assistenza primaria territoriale nella medicina di base

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato sulla Gazzetta di Parma il 29 dicembre 2014

Assistenza primaria territoriale