“Comunità”, termine inflazionato?

08 APR - Gentile Direttore,
“In quel paese che sorge in qualche angolo dell’Italia… nella pianura del Po… ciascuno lotta a suo modo per costruire un mondo migliore… e qui accadono cose che non accadono in nessuna altra parte del mondo…”. Si diceva così nel film (1952) tratto dal romanzo di Giovannino Guareschi, “Don Camillo”.
Il termine “comunità” diventa dominante, in particolare nelle alte amministrazioni e nelle alte dirigenze, (salvo realtà germogliate nel volontariato in tempi non sospetti dopo lunga meditazione e condivisione) dopo i suggerimenti contenuti nel PNRR. Risente di contingenze e di modifiche interpretative e, per questo, è poco autorevole: non ha avuto il tempo di generare una narrazione veritiera. Non crea coraggio. E’ disfunzionale. Non crea comunità e viene percepita come un surrogato intellettuale che offre un finto senso di identità a buon mercato.

Non è il modello di cure primarie del Brasile o quello Portoghese (sic!) pur tuttavia emerge, nel “mondo piccolo”, qualche esperienza sanitaria di base o territoriale, ben “stagionata”, che potrebbe ottenere miglior fortuna a fronte di ipotesi di tendenza ma alquanto salottiera.

Purtroppo non sono gli appelli o le petizioni che modificheranno la brutta china scivolosa nella quale si trova il nostro sistema sanitario (in particolare quello territoriale). Le cause sono note. La presenza, tra i firmatari delle istanze, di persone che meritano un indiscutibile rispetto non nasconde il fatto che vi siano responsabilità storiche perfettamente identificabili.

La criticità relativa al finanziamento è certamente un argomento serio. La globalizzazione e l’egemonia finanziaria alimenta un consumismo che tende all’infinito. Di conseguenza i fondi non saranno mai sufficienti se oltre all’aspetto economico/finanziario non si associa una solida riforma compossibile previo ampio dibattito pubblico con i professionisti e i cittadini o almeno parlamentare. In questi anni la Conferenza Stato Regioni ha esercitato un ruolo decisionale quasi egemonico con la propria Commissione Sanità continuamente presieduta dai rappresentanti di una o due regioni: la sola questione danarosa quindi potrebbe apparire come un ineccepibile alibi piagnucoloso al fine di oscurare i pregressi processi decisionali controriformisti o esigenze di apparato.

Il mondo della sanità si sta orientando in senso opposto alla 833? Il nostro paese non ha una sovranità tale da potersi opporre, a livello sanitario, al consumismo neo-liberale? Lo si dica chiaramente e forse la società civile, stanca di gestioni consociativistiche e deludenti, troverà una soluzione già sperimentata nella sua storia di associazionismo e di auto-aiuto.

Se invece si considera la sanità una delle più importanti opere pubbliche della nostra nazione occorre trovare il modo di non abbandonare questo bene comune ricorrendo, con responsabilità bipartisan, a modelli come il Welfare di Comunità (vero!) elaborato da Stefano Zamagni e al medico autonomo/autore di Ivan Cavicchi.
La riforma 833/1978 è stata crivellata, dalla sua promulgazione ad oggi, da una infinità di controriforme (nazionali e locali) che l’hanno sostanzialmente annullata.

Attualmente l’asfissiante chiacchiericcio sulle Case della Comunità, Ospedali di Comunità, Distretti, dipendenza dei mmg ecc. sembra voler nascondere la mancanza di una cultura sanitaria pubblica.

La comunità, secondo Aristotele, non è definita da un luogo, da un ambito geografico o da una struttura (CdC) ma dal fatto che un gruppo di cittadini siano in grado di garantire una buona vita alle persone di un territorio affinché possano sviluppare una esistenza indipendente e autonoma pur all’interno di una reciproca solidarietà così che concretizzi una vita degna di essere vissuta. La comunità (contenuta nei numeri) è prioritaria rispetto ad un individuo anche se, proprio grazie alla solidarietà degli altri, lo stesso soggetto singolo può sviluppare la propria individualità.

Infatti la persona non solo è un vivente politico-sociale-comunitario ma è anche l’unico essere che ha il logos cioè il linguaggio-ragionamento “prudente/calcolante” ed è in grado, con la ragione e il dialogo, di stabilire, ad esempio, forme di assistenza misurata (es.: da parte dei mmg) e proporzionata per quella comunità affinché non prevalgono logiche individualistiche dannose (es.: un consumismo amministrativo).
Ciò che dà valore “unico” ad una comunità raccolta intorno ai propri mmg di riferimento sta nel fatto che, in questo modo, è possibile soddisfare i bisogni dei suoi componenti seguendo il criterio di “finitezza” a sua volta sostenuto dal tessuto solidale. Da questo punto di vista potrebbe apparire irragionevole e solo economicistico mettere in campo un costoso meccanismo di appropriatezza prescrittiva. Chi se non il mmg può aiutare le persone, che lo hanno scelto fiduciariamente, ad inserire nel loro bagaglio culturale il concetto del limite, della misura, financo che la vita ha un termine? Non saranno certo le istituzioni o le alte dirigenze o le amministrazioni o i protocolli o gli algoritmi a poter comunicare empaticamente tali riflessioni.

Contrariamente alcuni recenti movimenti filosofici, immersi in una realtà neoliberista, tendono a promuovere una vita illimitata e senza termine (trans umanesimo e post umanesimo). Così la società consumistica opterà per un soddisfacimento dei desideri individuali con quella smania di illimitatezza che corrisponde alla massima distanza dalla ragione. Questa cultura che penetra anche le istituzioni e i gruppi culturali satelliti porta alla disgregazione del tessuto comunitario e della sua tenuta etica. La mancanza di limite riproduce sempre lo stesso ciclo di produzione consumistica tanto da arrivare ad utilizzare i cittadini (volontari, professionisti, assistiti) come semplici strumenti operativi.

La comunità giusta è quella che non è troppo grande né troppo piccola, non ha troppi abitanti né troppo pochi, non conta persone troppo ricche né troppo povere. E’ una popolazione che necessita quindi di un auto-controllo autonomo interno grazie ad individualità specifiche solidali (es.: mmg fiduciari) e all’alternanza tra il governare e l’essere governati perché, questo, è il vero abitare la democrazia.

Tommaso (che avrebbe volentieri voluto battezzare Aristotele), sostiene che, nel caso vi fosse pericolo per la comunità e il bene comune, sarebbe lecita la “perturbatio” cioè la ribellione in quanto significherebbe disubbidire ad una tirannide e obbedire a Dio.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

08 aprile 2024
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Dente di leone

Le informazioni e i dati da soli non illuminano il mondo

05 LUG - Gentile Direttore,
sia concessa una riflessione sul tema della “pezza peggiore del buco” esortata proprio dalla “teorizzazione dell’acqua calda” (Le ricerche in sanità e l’invarianza dei risultati, QS 26 giugno 2023) vessillo dell’imperitura cultura della conservazione. La metodologia degli annunci relativi alla riorganizzazione delle cure primarie a volte si trasformano in veri e propri scenografici talk show estivi a cui partecipano, molto rilassati, soggetti in grado di offrire originali perle di ovvietà ad un uditorio particolarmente pronto ad accogliere favorevolmente ogni fragilità cognitiva purché derivate da elaborati istituzionali.

Al contrario per coloro che riflettono da tempo in modo discrezionale e argomentato sulla riforma delle cure primarie (come passaggio imprescindibile per il “servizio” salute/sanità) le “aporie” presenti nei documenti ufficiali e nelle varie petizioni circolanti creano situazioni pressoché irrisolvibili. La filosofia politica sanitaria organizzativa non può tuttavia esimersi dal ricercare la ricchezza insita nel territorio (con iniziative testimoniali, crematistiche e paideiche) formulando appunto proposte accorte per un ordinamento alternativo.

Secondo il parere di alcuni estensori dei documenti calati dall’alto o scaturiti da organizzazioni/associazioni nate frettolosamente in ragione e del PNRR, DM77, Metaprogetto, ACN ecc. pare non ci si possa separare dalle teorizzazioni cardinali (es.: esistenza del Distretto) come se il mondo fosse immodificabile e non esistessero forze sociali in grado di far fronte all’appiattimento sanitario globale. Come se tecnica ed economia fossero sempre e comunque sovraordinate, la forma “merce” sembra dominare sui beni e sui valori (es.: … due mezzi medici, QdS, 30 maggio 2023; Case della Comunità e Ospedali di Comunità tutt’altro che di comunità ma più propriamente “di amministrazione”; ipotesi subentranti di una compresenza tra mmg dipendenti e liberi professionisti; ecc.). Per riappropriarsi di virtù oggi non più scontate occorre l’audacia di immaginare possibili radicali innovazioni corroborate da una viva “speranza” (E. Bloch) perché le diagnosi vanno accolte con attenzione ma senza affidarsi completamente alle prognosi.

Valori e principi fondamentali della medicina generale ( Wonca riconferma 2022)

Come se ne esce?

L’elenco delle varie definizioni di “centralità del paziente”, “welfare di comunità” o di “comunità”, di “partecipazione” o di strumenti decotti proprio in quanto infilati nel “sistema” delle AUSL a simulare la presenza dei cittadini o millantare un loro potere nel processo decisionale incrementano solo l’instabilità dei fragili costrutti normativi oggetto del dibattito di questo periodo.

Il primo movimento dovrebbe permettere di pensare che siano possibili le vere riforme (es.: quarta riforma come innovazione del “Servizio” Sanitario Nazionale; Nuovo patto-contratto tra medici professionisti della sanità territoriale e il Servizio Sanitario Nazionale, elaborato datato al 2011, ma possibile traccia per ipotetici, sintetici, leggibili e trasparenti ACN).

La seconda azione riguarda il conoscere bene la complessità della professione del mmg ( l’errore macroscopico diffuso è credere che la medicina generale non abbia una propria specificità, valori e principi e sia in funzione di un efficienza del Pronto Soccorso o un mulino in grado di macinare dati come se già quelli stoccati nei silos in questi 20 anni non siano abbastanza inutili per le persone tanto che hanno fatto esplodere il fenomeno delle liste d’attesa più che incredibili, insopportabili ed irritanti per un sistema costantemente intento a ricercare ogni forma di esternalizzazione leggendo in questo senso “commerciale” forse anche il coinvolgimento del terzo settore ).

Ragionare senza i passaggi necessari e continuare a disquisire su cose che si ignorano, non favorisce la nascita di adeguate soluzioni ( es.: Tavolo Tecnico per lo studio delle criticità emergenti istituito presso l’Ufficio di Gabinetto del Ministero della Salute dell’8 giugno 2023 che pare non aver considerato l’imporsi della medicina di genere tuttavia sicuramente su 18 componenti non è stata individuata una medica esperta sul tema e comunque una presenza competente femminile considerati rapporti percentuali m/f presenti ad es. nel territorio).

I determinanti delle varie crisi possono essere numerosi e forse può essere inserita di diritto, tra queste, la sofferenza della verità in quanto le informazioni e i dati da soli non illuminano il mondo e obbligano le persone a rimanere in una “caverna” che inconsapevolmente appare levigata e confortevole (Byung-chul Han).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

05 luglio 2023
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Medicina Territoriale

E pensare che c’era il pensiero

Gentile Direttore,
un personaggio un po’ poeta ed un po’ filosofo nel 1996 ha registrato dal vivo un suo spettacolo nel Teatro Regio di Parma. Da questo recital poi è stato prodotto un album che aveva questo titolo: “E pensare che c’era il pensiero”. In una successiva intervista Giorgio Gaber sostenne come fosse più importante dire la verità ad una persona che molte mezze verità a tantissima gente. Oggi pare che il diffondere mezze verità sia diventato pandemico.

Nelle cure primarie territoriali la questione del pensiero e della sua complessità è strettamente connesso con quello della cura e del prendersi cura (funzione ontologica). Desta meraviglia come sia le istituzioni che le associazioni culturali che tentano di affrontare argomenti complessi decadano nel culto della raccolta dati (dataismo) e dell’autoreferenzialità. Le soluzioni lineari rivelano un conformismo amministrativo destinato inevitabilmente ad un precocissimo invecchiamento.
Cos’è un territorio assistenziale e come percepisce, una specifica popolazione, il bene comune?

In un periodo non sospetto (2010-2014) una associazione di volontariato che opera in un quartiere periferico di una città (Comunità Solidale Parma www.comunitasolidale-parma.it) aveva cercato di analizzare la situazione sociale/antropologica degli abitanti di quell’area dal punto di vista assistenziale. Nel 2015 ha pubblicato sulla stampa locale la conclusione di quelle riflessioni che propugnavano la necessità che, in quel quartiere, dovesse sorgere una Casa della Salute “grande” contenente tutti i servizi e le funzioni previste dalla normativa allora vigente. E’ stato quindi realizzato un disegno progettuale da offrire alle istituzioni locali e regionali. Sono state anche raccolte le firme dei cittadini in favore della Casa della Salute “grande” prevedendo la logistica, l’impatto ambientale, geologico e l’utilizzo di materiali ecologici.

Non vi è mai stato un confronto con le istituzioni su questo tema.
“… il sistema assume oggi una forma affabile, smart, rendendosi invisibile ed inattaccabile … questa tecnica di dominio neutralizza la resistenza in maniera efficacissima” (Byung-Chul Han, Perché oggi non è possibile una rivoluzione, Nottetempo, 2022).

Comunità Solidale Parma è una delle poche associazioni di volontariato in Italia che ha come missione statutaria la promozione e il supporto alla medicina generale territoriale considerata bene comune tanto che l’associazione ha la sede proprio nella sala d’aspetto nella Medicina di Gruppo “Ambulatorio San Moderanno”.

Il mancato confronto può procurare contraddizioni che si sommano ad altre contraddizioni che alla fine producono errori e dimostrano come alcune argomentazioni ufficiali non siano adeguata al contesto sociale in cui vorrebbero calarsi creando così un peggioramento della regressività tra società e sanità ( es.: nel DM77 la parola “cura” viene riportata due volte e sempre in funzione di situazioni organizzative e non come essenza valoriale fondamentale e distintiva).

La macchina in conto capitale delle CdC, OdC, COT pare sia comunque partita con il rischio di fallire.
Chi da anni studia queste tematiche e propone una organizzazione sanitaria territoriale generativa (salute non come costo ma fonte di benessere, ricchezza, economia) sa bene come siano veramente necessari nuovi spazi di pensiero e nuovi modi di vivere la salute, di curare e di prendersi cura. Spazi fortemente alternativi alla violenta tendenza che mira alla cancellazione della complessità.

Nuovi spazi di pensiero e anche ambientali logistici che siano però belli e piacevoli, percepiti come appartenenti alla comunità dei cittadini e dei professionisti perché il burnout non va considerato una malattia occupazionale ma una conseguenza del fanatismo riguardante la prestazione cumulativa/additiva. La prassi della salute pensata e applicata a livello territoriale richiede una solida autostima dei professionisti e dei loro assistiti nelle competenze o abilità cognitive, spirituali ed economiche.

Le capacità professionali territoriali forse potrebbero co-operare se si individuassero idee o progetti, anche sperimentali, in grado di mettere insieme situazioni contrattuali diverse per almeno un medio periodo affinché nuove strategie volte alla salute possano efficacemente ed economicamente affiancarsi agli storici determinanti la salute e alle modalità assistenziali più diffuse.

Da questo punto di vista potrebbero svolgere un ruolo fondamentale i leader professionali (es.: mmg autori) e i leader spontanei delle comunità ristrette e contenute (es.: associazioni di volontariato che si pongano veramente a servizio della comunità avendo però accumulato un curriculum significativo in campo delle cure primarie territoriali). Il fondamentale rapporto tra cittadini e professionisti del territorio, non essendo prestazionale ma fondato sul rapporto fiduciario, sul curare e sulla presa in carico non è riducibile ad una performance facilmente dimensionabile e quindi è meno appetibile dal privato: da questa pietra angolare si può far ripartire una “nuova” sanità che genera salute e capacità economica completamente e genuinamente pubblica a fronte di PNRR e DM77 ammuffiti prima ancora di essere attivati.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS)
In collaborazione con Comunità Solidale Parma

29 maggio 2023
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MMG

Comunità Solidale Parma

Video di presentazione estratto dal programma "Volontari senza barriere"

 


Medicina Territoriale

Lettere al direttore: Medicina territoriale. Il Re è nudo.

Gentile Direttore, 

il decreto ministeriale DM71 ha “finalmente” svelato quale potrebbe essere lo sviluppo dell’assistenza territoriale una volta che lo stesso documento venisse approvato dalla Conferenza Stato-Regioni ed inparticolare dal Comitato di Settore. La ridda di documenti, atti di indirizzo, commenti ed argomentazioni (la montagna) alla fine è riuscita a partorire il topolino “prematuramente”. La fretta e la mancanza di riflessione approfondita sull’assistenza territoriale e sull’infinita letteratura in merito apparsa in questi anni autorizza a constatare ciò che è stato affermato infinite volte da numerosi commentatori ed esperti: è possibile non solo che ci sia il rischio di non trovare nulla sotto le apparenze ma che il re sia effettivamente e completamente nudo. Non si può pensare ad una riforma se la produzione delle norme “fondamentali” ripropongono (triste constatazione) la possibilità di spendere quel che resta del PNRR su definizioni accidentali, sigle organizzative improbabili foriere di sicuri fallimenti nel brevissimo tempo. Una controriforma non può essere esibita come riforma: superato per il momento la stagione del tormentone dipendenza/libero professionismo entriamo nell’epoca del neo-confusionismo. La retorica pluridecennale della “centralità del paziente” si è manifestata essere sostanzialmente una autodifesa autoreferenziale di regioni e Ausl. L’epicentro dell’assistito può essere assicurato solo da un rilevante ruolo dei professionisti delle cure primarie territoriali in quanto, professionisti e pazienti, hanno forti interessi comuni. 

  Distretto. È un perno debolissimo dell’hub and spoke, contradditorio, a volte inesistente dal punto di vista professionale e assistenziale. Durante la pandemia questi istituti sono stati addirittura chiusi per più di due anni e nessuno se ne è accorto. Ma il DM71 vuole ancora riproporre una minestra riscaldata. L’efficienza e l’efficacia della presa in carico della popolazione di riferimento è strettamente connessa con una autonomia decisionale professionale. Il distretto o l’Ausl dovrebbero essere a servizio e a sostegno di questa autonomia nell’intero processo decisionale ed è per questo che le Ausl dovrebbero ritornare ad essere Usl così come i distretti uffici di supporto ai professionisti. 

 Case della Comunità. Questo capitolo riabilita, dopo tanti anni, il Decreto Balduzzi (mai abrogato) e nello stesso tempo ne modifica i numeri definiti a suo tempo per le UCCP e le AFT. Clamorosa la destrezza con cui viene realizzato il sistema hub and spoke. È una storia già vissuta nella sua diversificazione assistenziale e professionale che alcuni colleghi definiscono palese discriminazione (medici e assistiti di serie A e di serie B): qualche hub degno di questo nome per pochi e gli spoke costituiti da ciò che già c’è cioè dagli ambulatori dei mmg singoli o in gruppo sparsi sul territorio. Piace vincere facile mettendo a profitto gli investimenti culturali, professionali, strutturali, auto-formativi realizzati, in tutti questi anni, dai professionisti. Per molti aspetti non vi sono differenze sostanziali tra Case della Comunità e Case della Salute vere e grandi dove numerosi mmg e co-operazioni multiprofessionali, multidiscilinari e multissettoriali possano effettivamente progettare innovazioni per quel dato territorio. Vengono infatti mantenuti fermi tutti gli elementi di differenziazione professionale e assistenziale. 

 Assistenza Domiciliare. Non può essere una attività a determinazione distrettuale ma a servizio degli attori del territorio che hanno l’autorevolezza professionale, in co-operazione, di attivare ogni tipo di ADI. 

 Infermiere di Famiglia e Comunità. Già sperimentato da anni nei così detti Nuclei di Cure Primarie (NCP) perfettamente sovrapponibili alle AFT. Infatti nei NCP vi sono gli infermieri di NCP. 

 Unità di Continuità Assistenziale. La pandemia ha tentato di far comprendere alle aziende la necessità di costituire questo servizio (su decreto legge) senza però che vi sia stato quell’apprendimento necessario che rende gli USCA un presidio qualificato e attivato dal mmg con cui devono restare in contatto diretto (libera scelta fiduciaria e gestione della privacy individuale e domiciliare). 

 Centro Operativo Territoriale. Dovrebbero coordinare i servizi del distretto, che per sua inconsistenza potremmo definire “virtuale” e prevede anche un accesso diretto telefonico da parte degli assistiti (per esigenze a bassa intensità assistenziale, assistenza domiciliare ed eventuale servizi di telemedicina). Al momento è il mmg che eventualmente attiva una assistenza domiciliare e che valuta l’intensità dei bisogni e chiede, se necessaria, la collaborazione di altri sanitari. Se invece il COT resta un coordinamento dell’emergenza urgenza in questo dovrà poter usufruire di una struttura informatizzata che permetta agli attori dell’assistenza territoriale dell’emergenza urgenza una informativa essenziale ed un aggiornamento in tempo reale su device portatili (cartella informatizzata). 

 Ospedali di Comunità. Il loro senso è quello di essere appunto nelle comunità (AFT/quartieri) e di svolgere una funzione dove il processo decisionale sia completamente predisposto in capo agli attori sanitari, sociali e plurisettoriali della comunità stessa. Inserire il concetto del post ricovero rischia di sottrarre dalla facoltà decisionale ai sanitari territoriali ed espone l’organizzazione assistenziale territoriale al fenomeno di vedere servizi di competenza (es.: gli hospice) diventare praticamente estensione dei reparti ospedalieri creando a livello territoriale le orribili liste d’attesa. 

 La rete delle cure palliative. Di norma, a livello territoriale sono, i professionisti sanitari ad osservare le evoluzioni dei loro pazienti ed in particolare è il mmg che deve attivare una assistenza ADI di 3° livello o palliativa. Il mmg dovrebbe rappresentare il 1° palliativista di riferimento per il proprio paziente soprattutto al domicilio ma anche nella Casa della Comunità/Hospice. Ciò non toglie, come in tante altre situazioni, che il medico di medicina generale possa richiedere una consulenza specialistica diretta o telefonica su alcuni aspetti operativi particolari. 

  

Pubblicato da Quotidiano online di informazione sanitaria 

Alessandro Chiari e Giuseppe Campo 

CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), 

Regione Emilia-Romagna_ 

 


Medicina Territoriale

Nessuna riforma della medicina generale se non si capisce la sua complessità

di Bruno Agnetti

10 NOV - Gentile Direttore,
non vi sono dubbi che il momento è estremamente favorevole al germogliare (tardivo) di numerose trattazioni sulle questioni relative alla medicina generale territoriale e alla sua organizzazione (scatenate dai contenuti del PNRR e da altri documenti di regioni, conferenze, agenzie e gruppi apparentemente spontanei/indipendenti ma con pregresse precise bollinature) a seguito della globale deturpazione pandemica.

Per anni illustri e apprezzati commentatori hanno perorato, inascoltati, la necessità di addivenire a una riforma in grado di affrontare la questione medica nelle sue molteplici fenomenologie al fine di rendere la categoria abile a contrastare le sfide organizzative ed assistenziali che inevitabilmente sono determinate da strutturazioni sociali globalizzate e multiformi.

Tuttavia molti di questi recenti elaborati non riescono a superare il nucleo critico (complesssità) che dovrebbe essere a denominatore di ogni argomentazione perseverando in una sostanziale estrema debolezza culturale e scientifica. In particolare sono i documenti istituzionali a trascinare nel baratro delle panzane anche coloro che sventolano la bandiera dell’indipendenza intellettuale in ambito delle cure primarie.

Giuseppe Giusti affermava che “Il fare un libro (o un documento, aggiungo io) è meno che niente, se il libro fatto non rifà la gente”.
Il tema della complessità di questa “impareggiabile” professione non può essere più tralasciato (nella 833/78 il termine “complessità” non compare mai una volta) nelle analisi e nelle ipotesi progettuali attuali sulla medicina generale territoriale pena il pericolo di stratificare interminabili banalizzazioni ben rappresentate dall’espressione “bla, bla, bla”.

Occorre essere consapevoli come la teoria della complessità (Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica 2021) manifesti l’essenza della medicina generale territoriale e della sua funzione “incomparabile” per non rischiare l’incuneamento verso opinioni insignificanti.

Durante il periodo Covid molti uffici collegati alla medicina generale sono stati ridotti o chiusi. Anche alcuni Distretti o funzioni (il Distretto è una articolazione territoriale fondamentale del governo aziendale, il luogo della formulazione della committenza, dove si esprime il fabbisogno di assistenza territoriale in forma residenziale, ambulatoriale, domiciliare ed ospedaliera, ricompresa nei Livelli Essenziali di Assistenza, e funzionale allo sviluppo di nuove e più incisive forme di collaborazione e di relazione tra Azienda ed Enti Locali) sono state chiuse ma pare che nessuno se ne sia accorto.

Sorge spontanea una domanda in parole poverissime: a cosa serve un Distretto?
Una comunità (“titolare del diritto alla salute”) attraverso i propri rappresentanti non può negoziare direttamente con il SSN (non con il SSR) la promozione della “sua” salute.?

Il quesito è palesemente retorico in quanto l’applicabilità del titolo V e la maestosa produzione di delibere regionali e aziendali a strenua difesa di questo “privilegio” rendono impossibile qualsivoglia modifica o una compiuta dialettica democratica partecipativa in campo sanitario.

Don Lisander (Alessandro Manzoni) sosteneva di conversare con 25 lettori. Come già ricordato più volte queste nostri modesti esercizi letterari non hanno l’ardire di andare oltre ad un ben più ristretto numero di colleghi cultori della medicina generale territoriale e del riordino delle cure primarie.
Ora il fondamento del problema (che tra le altre cose palesa anche una certa ambiguità insita nel terzo capoverso dell’art.12 del Codice Deontologico Medico 2021) è inevitabilmente dato dall’essenza della professione medica (in questa riflessione riferita in particolare alle cure primarie) che è ontologicamente “complessa” più di ogni qualsiasi altro sistema.

La contraddizione più eclatante deriva dal fatto che i sistemi complessi non hanno ancora trovato una intellegibilità determinante e la sola modalità di lettura scientificamente accettabile al momento resta quella sistemica/olistica.

Da questo punto di vista nasce l’importanza dell’idea progettuale organizzativa del welfare di comunità, della medicina basata sull’esperienza e sull’apprendimento continuo e di un sistema di verifica (rendicontazione) collegato ad esso attraverso il meccanismo della collegialità ma fatalmente fa emergere anche la riduttiva posizione del concetto di “appropriatezza”. Al di fuori di questi strumenti di lettura restano solo le teorie scientifiche relativistiche e probabilistiche ma indeterministiche.

Pensare di rappresentare sistemi complessi (spesso composti da più complessità sovrapposte e concomitanti) attraverso descrizioni di tipo lineari alle quali vengono attribuite valori di verità e di capacità previsionale senza considerare la loro insita approssimazione ( protocolli, algoritmi, linee guida, EBM su cui si basano scelte politiche programmatiche “invarianti”) significa compiere operazioni di divulgazione o semplificazione estremamente fragili che si avvicinano di molto ad affermazioni irrazionali false ( che secondo Popper andrebbero gradualmente eliminate per avvicinarsi il più possibile alla verità).

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

10 novembre 2021
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Servizi territoriali post-covid

Dopo il Covid riemergono temi e problemi storici della sanità

Gentile Direttore,
tra evidenze numeriche e nuove incertezze l’emergenza sanitaria, molto lentamente, si sta ridimensionando, se è possibile sperare questo.
Oltre ai temi covid, tamponi, vaccinazioni, decessi (sempre troppi) riprende timidamente a riaffiorare il confronto tra colleghi sulle problematiche professionali: cosa significa essere medico, come sta sviluppandosi la professione nella contemporaneità, perché è necessaria una riforma radicale subito per il breve e poi per il medio periodo.

Come già altre volte è stato possibile evidenziare nella maggioranza dei casi gli elaborati che vengono pubblicati su QS hanno un notevole spessore culturale professionale ma purtroppo una scarsa o nulla influenza su coloro che governano i processi decisionali. I ragionamenti di numerosi colleghi hanno la caratteristica di illuminare e rendere concreto il mondo della sanità invaso ormai da una presunzione salottiera di apparato incapace di slanci, di sguardi che vadano oltre, di prodigi di cui avremmo un insaziabile bisogno.

Una intera pandemia tutt’ora presente pare non aver insegnato nulla. Non si possono rendere facili le cose difficili ma è inutile renderle “inutilmente” più difficili ad es.: non imparando dall’esperienza. Il consenso non potrà più contare su manovre clientelari in quanto gli apparati appaiono inadeguati alla fluidità sociale. Gli scritti rimangono quindi al momento, in attesa di una riforma radicale, esercizi letterari per una ristretta cerchia di medici che mantengono uno spirito critico, restii agli applausi al potere, preoccupati del degrado etico, che tentano di coltivare caparbiamente un punto di vista ulteriore come se fossero artisti di una avanguardia concettuale.

Il mondo della medicina generale territoriale o di famiglia è uno dei tanti rivoli della galassia sanitaria ma dove si è seminato (spero), tocca zappare.
L’aziendalismo ha dimostrato ampiamente la sua inadeguatezza. L’autoreferenzialità e l’autotutela che emergono egemoni da ogni delibera che sia regionale o aziendale ha consolidato l’impossibilità di un ricambio dirigenziale così che da numerosi anni i professionisti territoriali si devono confrontare, inutilmente, con gli stessi soggetti che volteggiano tra una azienda e l’altra di uno stesso territorio o con commissariamenti misteriosi ed inspiegabili che esprimono priorità progettuali dirigenziali sui generis (vedi il Direttore Assistenziale nuovo componente delle Alte Dirigenze AUSL oppure la fusione tra aziende territoriali e ospedaliere).

Sembra la giostra del Monopoli … puoi continuare a giocare ma alla fine girerai sempre in tondo (dopo aver cancellato per delibera le caselle scomode) senza andare mai da nessuna parte. Di tanto in tanto viene riesumato il mitico Art. 8 (Riordino delle cure primarie: modifiche dell’articolo 8 comma 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni) tutt’ora in vigore che ipotizza il passaggio a dipendenza dei mmg.

Nello stesso tempo un’altra legge (legge Balduzzi) tutt’ora in vigore, mai abrogata, non viene mai citata. Su questo tema credo che l’intervento di Giuseppe Belleri (QS del 13 settembreMMG verso la dipendenza? Sarebbe un guaio) sia oltremodo dirimente.

Puntuale, come sempre elegante e ineccepibile, le riflessioni del Prof. Ivan Cavicchi vanno a chiarire, per chi ne avesse bisogno, le reali ragioni che portano il SSN alla privatizzazione (QS, Le vere ragioni della privatizzazione del SSN17 settembre 2021). Potrà apparire paradossale ma in alcune città della Regione Emilia-Romagna la presenza di strutture private convenzionate può superare la percentuale di privatizzazione che può essere rilevata il Regione Lombardia.

Non è il caso di ripetere i temi condivisibili messi in evidenza nell’elaborato ma in estrema sintesi agli autori dell’articolo oggetto delle attenzioni del Prof. Cavicchi (importanti attori del processo decisionale sanitario negli anni topici), potrebbe essere attribuita una nota espressione dell’avanguardia artistica concettuale “Quando mi vidi non c’ero”.

Infine non è possibile non registrare un’altra questione di interesse per il mmg (palliativista di riferimento per il proprio paziente) portata alla ribalta dall’iniziativa di raccolta firme per indire un referendum sull’ Eutanasia legale. Già ne hanno scritto proponendo riflessioni ed approfondimenti alcuni colleghi (Bruno Nicora, QS 15 settembre 2021; Marco Ceresa, QS 1 settembre 2021; Guido Giustetto, QS 3 settembre 2021).

Le informative parlano di percentuali elevate di raccolta firme pro eutanasia legale tanto da ipotizzare un grande numero di persone anche laiche che manifestano solide certezze su questo tema. Coloro che mantengono perplessità o insicurezze rischiano concretamente di diventare una minoranza (nella stagione dei diritti vi sarà uno spazio a protezione delle minoranze?).

Pietro Cavalli con il suo pezzo intitolato “Il dovere morale del medico di procurare la morte” QS, 1 settembre 2021 ci offre considerazioni disamanti, intense e acute (salti “mortali” verosimilmente irrealizzabili) che lo stesso Cavalli definisce meno rilevanti (sic!) e più pragmatiche rispetto ad altre importanti discussioni etiche/deontologiche.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

20 settembre 2021
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Management “sanitario” o management “per la salute”

21 GIU - Gentile Direttore,
la citazione del professor Borgonovi relativa alla scritta postata sulla maglietta di un giovane che partecipava ad un incontro religioso è senz’altro di grande effetto “Dio esiste. Rilassati. Non sei tu”, ma teologicamente non è senza imprecisioni. Infatti secondo Genesi 1,26 “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò”.
 
C’è da supporre che questo uomo qualche cosa orientato al bene comune dovrebbe farlo. Il tema però ci porterebbe troppo lontano dalla questione “aziendale” in sanità. Il termine “azienda sanitaria”, per come percepiscono le dinamiche profonde e spesso incomprensibili i così detti clienti interni, è assimilato a strategie di risparmio esasperato, ideologico così come è diventata funzionale, a questo obiettivo economico, l’organizzazione piramidale monocratica sottostante. La ipotizzata complessità “di persone, con persone e per le persone” si è purtroppo smarrita in una dilettantistica e semplicistica creazione dottrinale degli organigrammi progettati e realizzati ormai da troppi anni e intrecciati con filastrocche di parole magiche dimenticate a memoria.

Forse una azienda, soprattutto se pubblica, dovrebbe essere a servizio di una impresa (ad es.: individuale come può essere l’attività del medico di base che tipicamente è un sistema aperto che scambia le proprie risorse continuamente con l’ambiente per perseguire lo stesso obiettivo: produrre un valore detto benessere o salute - vedi albero Wonca -) mai il contrario pena la creazione di una delle tantissime contraddizioni presenti nel SSN e soprattutto nei SSR.
 
Un sistema monocratico è in piena contraddizione conflittuale con i sistemi aperti che hanno la tendenza bio-psico-sociale a perseguire una “certa” stabilità che tende ad autoregolarsi in favore della persistenza. Lo stato di equilibrio però non viene mantenuto nemmeno per un secondo. Si ricrea quindi un nuovo disordine (entropia) che poi ricerca immediatamente un’altra sua staticità (entalpia). E così via per tutta la vita.
 
Ogni essere vivente svolge questa continua “vibrazione” tra catabolismo e anabolismo, rinnovandosi continuamente: non è più quello di qualche secondo prima e non è ancora quello che sarà dopo. Ora è un’alta cosa. La mancanza di un continuo feedback (che potremmo indicare, all’interno di una organizzazione aziendale piramidale monocratica, carenza assoluta di autocritica) crea disordine organizzativo, gestionale e un clima relazionale non ottimale. E’ nota la famosa frase di lord William Thomson I barone Kelvin che non si può migliorare ciò che non si può misurare anche se molte misurazioni “dogmatiche” sono avvenute nei decenni recenti sotto la furia della globalizzazione e dell’aziendalizzazione dimenticando, nella sanità, molte altre aree dimensionabili.
 
La difficoltà di stimare dei valori non dovrebbe rallentare la ricerca in questo campo. Credo che l’etica, l’equità, la morale, la deontologia, la filosofia sanitaria, l’epistemologia e, non per ultima una laurea ad honorem proprio in medicina, rientrino di diritto nell’ambito dei valori (estrema sintesi del curriculum del Prof. Ivan Cavicchi). Sodalizio commovente e mirabile che espone senza dubbio la cultura assistenziale e territoriale in un’area non perfettamente commensurabile ma che è a sua volta la quinta essenza del vero welfare di comunità, giunzione anche estrema tra la capacità produttiva del mmg (impresa autonoma singola o in aggregazione) e una spiritualità o laica religiosità profondissima. Così come altrettanto intensa e credente è la proposta alternativa all’aziendalismo di Zamagni.
 
A questo punto si potrebbe anche riflettere sulla capacità che alcune Università di Economia hanno avuto in questi decenni di influenzare il SSN ed in particolare quello di alcune regioni.
 
Personalmente, in tempi non sospetti e proprio all’inizio dell’esperienza Cergas, ho seguito, autofinanziandomi, numerosi corsi manageriali e master, per tentare, inutilmente, di portare nella mia azienda un po’ di cultura meritoria a fronte di tanta meritocrazia autoreferenziale. Le certezze granitiche non hanno mai lasciato spazio di manovra alcuna. E quindi si sono accumulate le contraddizioni che tutt’oggi tutti i medici di base hanno sotto i loro occhi.
 
L’Ausl della regione che vede sul suo territorio più Case della Salute di qualsiasi altra provincia che però trascina con se una differenziazione assistenziale e professionale ; che ha raggiunto performance di risparmio farmaceutico tra le migliori; che ha collaborato a lungo con Università Economiche per formare i propri dirigenti e i professionisti al “management sanitario”; che ha prodotto i così detti Profili di Nucleo con l’appoggio di Università straniere; che ha promosso progetti di ecografia generalista ( anche se per pochi); che si avvale di numerosi consulenti scelti tra i mmg dall’alta dirigenza… questa Ausl è stata commissariata nell’intera alta dirigenza durante la prima ondata pandemica senza che la popolazione o i professionisti sappiano ancora il perché e pare che l’obiettivo più importante, sempre in tempo di pandemia e di vaccinazioni, sia l’unione tra l’Azienda Usl e l’Azienda Ospedaliera/Universitaria e la principale preoccupazione sia, nelle nomine, quella di assicurare la continuità in momenti che necessitano di forti discontinuità.
 
Privilegiare chi vuole innovare in questi tempi dovrebbe essere imperativo.
 
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

21 giugno 2021
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Cure primarie, la rifondazione che non c’è

Articolo a cura di Maurizio Andreolli, Bruno Agnetti, Ernesto Mola
(Centro studi Smi - Sindacato medici italiani)

Pubblicato su Sanità 24 - Il Sole 24 Ore il 30 giugno 2016

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La nuova “trovata” è l’assistenza medica h16. Ma possono l’atto di indirizzo prima, e l’Accordo di lavoro-Acn che ne consegue, contraddire il Patto per la Salute e la “Balduzzi”, che prevedono chiaramente un’assistenza territoriale H24, distinguendo tra 118 e guardia medica? Crediamo di no: la convenzione della medicina generale non può dettare norme in contrasto con la legislazione vigente. Le Aft partono così col piede sbagliato. Esse rappresentano, nei fatti, la generalizzazione obbligatoria dell’associazione monoprofessionale tra medici di medicina generale, più volte criticata per la sua inconsistenza, buttando alle ortiche la medicina di gruppo, che ha rappresentato fino a ora l’unica forma di aggregazione che ha funzionato.

Teoricamente la Aft potrebbe essere formata da medici che lavorano da soli, che si raccordano funzionalmente per garantire l’H16, per cui un cittadino, per poter ottenere assistenza in mancanza del proprio medico di famiglia, dovrebbe fare lo slalom tra più ambulatori per trovare quello disponibile. Il referente dell’Aft sarà remunerato attingendo a uno dei Fondi già in essere, determinando così per contratto una riduzione, anche se modesta, della retribuzione contrattuale. Il Fondo per gli accordi regionali (che ammonta attualmente a circa 40 milioni di euro) sarà infatti quasi completamente assorbito da questa voce. Una smaccata riallocazione di risorse in favore di pochi. Ma non è l’unica criticità sul piano retributivo. Mentre la quota capitaria rimane tristemente invariata rispetto al 2010 (e che rinnovo contrattuale è, senza un minimo incremento retributivo!), nella quota variabile delle Aft confluiscono tutti gli incentivi previsti per associazioni e personale di studio previsti dall’Acn 2005.

Queste risorse dovranno essere ripartite tra tutti i medici di medicina generale, dato che la partecipazione alle Aft è obbligatoria, mentre prima erano attribuite a coloro che garantivano più avanzati livelli assistenziali. Se la matematica non è un’opinione, se recupero risorse dal 50% dei medici che godevano delle indennità aggiuntive per ridistribuirle al 100%, per forza di cose la quota che ciascuno potrà ricevere si riduce alla metà.

È vero, c’è la norma che salvaguarda le retribuzioni attuali, che saranno dunque “cristallizzate” in un nuovo assegno ad personam, che non potrà però più incrementarsi né contrattualmente né per un eventuale aumento delle scelte. In pratica si sta programmando nel tempo, con il pensionamento dei medici più anziani, una rilevante contrazione della retribuzione contrattuale dei medici di medicina generale.

I nuovi assegni ad personam inoltre assorbiranno tutte le risorse che dovrebbero concorrere al fondo per le Aft che quindi come potrà essere finanziato? Le uniche risorse disponibili provengono dalla contrazione del numero di occupati in continuità assistenziale. Se i turni si riducono di circa 2/3, dato che i turni notturni copriranno dalle 20 alle 24 invece che dalle 20 alle 8 del mattino, avremo nel tempo un ridimensionamento di pari misura delle piante organiche a rapporto orario e nell’immediato il mancato rinnovo degli incarichi a tempo determinato. Nel contempo i cittadini subiranno la scomparsa dell’assistenza medica notturna e il Ssn l’intasamento delle chiamate al 118 e dei pronto soccorso ospedalieri. Il ruolo unico dei medici delle cure primarie, che dovrebbe essere inteso come inserimento a tempo pieno nella medicina generale, è stato ridimensionato a incarico di 24 ore, con le quali dovranno essere garantiti i turni serali e festivi e i “buchi” negli orari di apertura degli studi medici in modo da garantire la assistenza nell’intera giornata.

Le Uccp, poi, sono le grandi assenti in questa convenzione. Vengono genericamente definite “forme organizzative complesse” multi professionali (quindi con specialisti di varie discipline e altro personale), con sede di riferimento all’interno di strutture pubbliche individuate dalla Regione, e alle cui attività “partecipano” obbligatoriamente, non è ben chiaro come, i medici di delle cure primarie. L’articolo 7 dice poco sulle Uccp e glissa del tutto su organizzazione e finanziamenti di tali strutture, demandati quindi per intero alle Regioni. Ciò approfondirà il solco esistente tra i diversi Ssr. Ci sono poi altri aspetti criticabili: le tutele, gravemente carenti, se non peggiorative rispetto al precedente Acn (gravidanza ecc.), ma anche la formazione obbligatoria, i provvedimenti disciplinari, le regole della contrattazione e della rappresentanza.

Questa “bozza di Acn” è disarmante: la rifondazione delle cure primarie non è nemmeno accennata, riducendosi alla previsione di Associazioni funzionali territoriali che si riducono solo a un vuoto coordina- mento mono professionale. Ci auguriamo che si tratti solo di una ipotesi di massima, buttata lì per saggiare le reazioni, perché è evidente che non si prefigura nessun miglioramento dell’offerta assistenziale ai cittadini.
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http://www.slideshare.net/DottorAgnetti/progetto-mosaique-verona


I medici di famiglia si confrontano sulla necessità di una modernizzazione dei servizi

I medici di famiglia si confrontano sulla necessità di una modernizzazione dei servizi

La riflessione del Centro Studi dello Smi Emilia Romagna

 

Articolo pubblicato su "Prospettive mediche" n° 1 gennaio/marzo 2014

A cura di:

Bruno Agnetti, Alessandro Chiari, Mauro Bonomini CSPS- (Centro Studi Programmazione Sanitaria -SMI Emilia Romagna)

Giuseppe Vetti, Massimo Zilioli LEN -Learning Education Network - Parma (Partner per le strategie comunicative)

 

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