La “banalità” della aziendalizzazione/governance

Gentile Direttore,
la riflessione vorrebbe concentrarsi sul tema degli esiti che possono derivare da processi decisionali assunti ideologicamente e con una scarsa consapevolezza relativa alle conseguenze nel medio/lungo periodo. Pare questa oggi la condizione del SSN: quella di dover considerare appunto le conseguenze. Alcuni dati di fatto relativi al fenomeno di causa/effetto in sanità (aziendalizzazione, organizzazione manageriale, governance …), sembrano incontrovertibili e vengono reiterati come fossero miti inconfutabili. Le recenti normative definite “riforme” (es.: DM77 e imminente ACN) non apportano nessuna sostanziale innovazione. Paradossalmente sembrano amplificare le contraddizioni e le differenziazioni.

Un grande malessere serpeggia quindi all’interno di una organizzazione dedicata, istituzionalmente, al benessere e il disagio condiziona soprattutto l’operatività dei professionisti e la fiducia degli utenti. Il sospetto è che, per qualche ragione, sia stato smarrito il quadro generale (complessità) a causa di una frenesia orientata al raggiungimento di obiettivi soprattutto economicistici (linearità).

È malinconico e anche noioso reiterare sempre i soliti esempi appartenenti alla galleria delle profezie fallimentari auto avverantesi: le Case della Comunità generatrici di una babele di disparità assistenziali e professionali; gli ospedali di comunità (OSCO) tutt’altro che di comunità; i cacofonici CAU forse causa di ulteriori desertificazioni enigmatiche dei servizi territoriali. Eppure le recenti esperienze avrebbero dovuto suggerire la necessità di abbandonare completamente modalità organizzative frettolose up-down che continuano a coinvolgere professionisti e utenti immancabilmente ex-post.

Per troppo tempo si è assistito al paradosso di vedere il Servizio Sanitario Nazionale o il territorio o la medicina generale di base ostaggio di un Sistema Sanitario Nazionale e Regionale ossessivamente amministrato (con risultati pessimi).

Non sarebbe una cattiva idea se nascesse l’ambizione da parte dei vertici istituzionali del SSN, pur a normativa corrente, di cercare comunque di avviare un comitato di salute pubblica, molto contenuto nel numero dei componenti, che possa elaborare una proposta culturale contenente alcuni elementi fondamentali a supporto di una reale riforma sanitaria coerente al contesto sociale. Così come è basilare individuare un nuovo baricentro assistenziale territoriale basato sulle piccole comunità o sui consorzi o sulle storiche USL e, contemporaneamente, dovrebbe essere attivato un programma di deregulation delle Aziende AUSL.

Tutto ciò potrebbe apparire semplicemente velleitario. Dipende dai paradigmi di riferimento concepiti (quarta riforma, compossibilità…).

Recentemente per il tema dell’Intelligenza artificiale e per le reti generative sono stati coinvolti, in tempi brevi, studiosi a prova di curriculum sia in istituzioni nazionali che europee. Sarebbe altrettanto auspicabile che le “pietre angolari” di una rinnovata cultura sanitaria della complessità possano coinvolgere ed appassionare operatori del settore che siano anche ferrati in filosofia della scienza e della medicina e studiosi dell’organizzazione sanitaria. Come una “road map” ben calendarizzata potrebbe apparire essenziale, così dovrebbe esserlo anche il dibattito pubblico.

In generale si può affermare che le distanze culturali e sociali tra le persone e gli attuali decisori siano gigantesche. In un contesto simile è comprensibile che nei cittadini possa crescere l’ansia a causa di una profonda incertezza culturale e psicologica nei confronti della “galassia salute”. La conseguenza è che le persone sono così portate a chiedere tutto. Non si tratta, solo, di una educazione sanitaria carente ma la percezione è che venga a mancare un supporto percepito come ontologico, essenziale per l’essere o per la vita.

A livello professionale le finte riforme recentemente pubblicate (a tutti gli effetti controriforme), propagandano, in modo unilaterale, la ricetta perfetta per una organizzazione assistenziale che tende al consumismo amministrativo sanitario lineare, performante. L’efficienza e l’efficacia sono gli storici idoli economicistici. La misurazione non può essere considerata l’obiettivo fondamentale per la promozione della salute (sistema complesso). La linearità fideistica rende l’assistenza territoriale di base standardizzata, anonima e il mmg uno schiavo “inumano tecnologico” (Sennet R. 2009).

Il consumismo istituzionalizzato enfatizza e strumentalizza anche la salute (spesso identificata dalle persone come guarigione o completa risoluzione dei problemi). La relazione di cura tenta invece di ricercare, insieme, la più percorribile omeostasi qualitativa per quel momento pur riconoscendo di operare in un universo di incertezza e imprevedibilità.

I sanitari territoriali lamentano (basterebbe ascoltarli) che le loro attività siano costantemente esposte agli effetti, a volte perversi, dovuti ai cambiamenti burocratici/organizzativi/gestionali imposti dalla classe dirigente aziendale nella quale non si riconoscono. Tuttavia questi professionisti riescono ancora a fare la differenza quando si confrontano liberamente tra di loro, con i pazienti, con le loro famiglie e con le comunità. Il futuro è strettamente collegato alla cultura che può nascere in questa area “periferica” dimenticata dal sistema verticistico e dalla sanità amministrata.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

16 gennaio 2024
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Cure primarie, c’è una alternativa?

Gentile Direttore,
l’ambito del così detto “territorio” (che considera tutti gli attori che insistono sulle cure primarie compreso il volontariato/terzo settore) da tempo vive nella certezza dell’incertezza.
Pare molto arduo poter percorre una alternativa al pensiero dominante, come fosse un pensiero unico, diffuso a livello manageriale.

Non sono comunque i documenti ufficiali ricordati più volte (ACN, DM77, Metaprogetto…) che sembrano in grado di diradare l’orizzonte. I decisori, ignari del divario istituzioni/società, sono un po’ sempre quelli e ritornano tenacemente pur avendo rivestito ruoli dirigenziali per molti decenni del secolo scorso. Dai risultati ottenuti a livello del sistema sanitario sembra non siano approdati in nessun porto sicuro a causa delle conosciute contraddizioni culturali e gestionali attribuibili ad un processo cognitivo novecentesco. Se la parte sanitaria regionale rappresenta il 70-80% del bilancio regionale sono facilmente intuibili le possibili ripercussioni prodotte dal governare un fiume di denaro pubblico e del potere che questo comporta nelle varie articolazioni regionali-locali.

È di tutta evidenza che non si possano “ignorare gli errori fatti in passato sulla sanità” così come non si può dimenticare il notevole contributo alternativo prodotto in questi anni con articoli, conferenze, analisi, colte pubblicazioni e offerto ai cultori delle questioni sanitarie dal Prof. Ivan Cavicchi.

È quindi pleonastico richiamare temi e tesi di riforma radicale già avanzate più volte, esaustivamente. Chi ha subito le conseguenze della modifica del titolo V, della regionalizzazione del SSN (percepite come già molto differenziata) considera non sia più possibile peggiorare oltre. (Lettera aperta alla sanità; Autonomia differenziata).

La stagione delle Case della Salute potrebbe addirittura e paradossalmente apparire come un momento generatore di differenziazioni (alcuni colleghi le definiscono discriminazioni) assistenziali e professionali. Cosa potrebbe capitare con le Case di Comunità o quelle strutture intermedie definite Ospedali di Comunità o con l’ipotizzata centralità dispositiva distrettuale?

Cos’è una comunità, come si crea e come si mantiene viva? Alcuni, pur addetti ai lavori, sostengono ed argomentano che le Case della Comunità siano cosa diversa dalle Case della Salute. Forse sarebbe utile leggere la delibera sulle Case della Salute della Regione Emilia Romagna (GPG/2010/228). Una Casa della Salute “grande” potrebbe apparire, almeno dal testo della delibera, molto più attrezzata per una assistenza territoriale integrata di quanto descritto dai vari documenti sulle Case della Comunità. Non solo per la cronicità e per la medicina di iniziativa ma anche per quella di attesa e per alcune tipologie di acuzie (bisogni non differibili). Pare ci sia molta confusione sotto il cielo ma la situazione non è eccellente perché se coloro che sono esperti e che vorrebbero dedicarsi alla formazione degli operatori sono così disorientati c’è da immaginare cosa possa capitare.

L’alternativa, se possibile, non può che passare dal concetto dell’impareggiabilità dei professionisti autori capaci di generare il processo decisionale nella sua completezza e di essere punti di riferimento per le proprie comunità. Da una guida nazionale del Ssn. Da territori contenuti dal punto di vista geografico e di popolazione, concetto assistenziale che si contrappone alle varie tendenze di ingegnerizzazione sanitaria orientate alle fusioni aziendali o alle mega aziende. Da un welfare che sia effettivamente di comunità (non un welfare aziendale per altro pubblicizzato anche dalle aziende sanitarie… sic!).

Sarebbe ora di lasciare lavorare gli operatori senza complicare la loro attività con regolamentazioni amministrative incomprensibili per i cittadini e inaccettabili per i professionisti.

Per le aziende e gli assessorati l’alternativa potrebbe diventare un nuovo ruolo elevato di garanzia inerente i valori fondamentali di universalità, equità e accessibilità e con una riduzione significativa di implicazioni gestionali-amministrative.
Di fatto la situazione richiede la consapevolezza della profonda trasformazione sociale in atto. Se gli operatori non saranno liberi di rimanere autonomamente al passo con le rivoluzioni culturali rischiano seriamente una regressione professionale.

Tralasciando tesi già trattati da provetti commentatori, è possibile solo accennare (parziale elenco) ad alcuni temi che in qualche modo potrebbero rientrare in una riflessione generale in senso “alternativo” per le cure primarie.

  • Purtroppo sembra che secondo il comunicato della commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (GU n. 187 del 10 agosto 2002) sia praticamente impossibile poter indire uno sciopero a livello territoriale (Mmg) come strumento per fare pressioni innovative sui decisori. Nello stesso tempo l’esperienza insegna come i documenti emanati unilateralmente dalle istituzioni (es.: atto di indirizzo della Conferenza Stato-Regioni) non possano poi essere sostanzialmente modificati dai tavoli di confronto indetti ex post.
  • Nelle cure primarie (in particolare nella Medicina Generale detta di base) si assiste ad un parziale ma netto rivolgimento della tradizione in quanto la maggior parte dei professionisti che entrano in attività in questi anni sono donne: questione completamente dimenticata dalla documentazione istituzionale e che potrebbe preconizzare la necessità di una profonda rilettura di bisogni ed esigenze organizzative.
  • Le associazioni di ammalati o dei loro parenti, uniti insieme da una patologia, a volte hanno dimostrato di riuscire a modificare situazioni specifiche, influire sull’organizzazione sanitaria di alcuni reparti ospedalieri e addirittura finanziare ricerche, strumentazioni o immobili. Il coinvolgimento dei cittadini come massa critica in grado agire come stimolo riformatore resta in generale intrepida ma episodica. Ancora più complessa la situazione a livello territoriale dove le associazioni di volontariato o del terzo settore a sostegno e supporto delle cure primarie, come bene comune, sono rare e non ottengono attenzione da parte delle istituzioni.
  • Dopo l’annuncio della Commissione Europea e la definitiva approvazione del PNRR pare siano nate numerose aggregazioni, più o meno spontanee, orientate ad una appropriazione di competenze sul PNRR sanitario e sulle documentazioni istituzionali ed amministrative finalizzate ad ottenere accordi con le aziende sanitare per agire come formatori degli attori che opereranno nelle previste Case della Comunità. Secondo le osservazioni derivate dal principio di indeterminazione potrebbe essere molto utile considerare più punti di vista ed in particolare occorrerebbe prendere atto in modo cogente delle opinioni di chi opera quotidianamente in prima linea.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)

09 febbraio 2023
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MMG

Se la pietra non si preoccupa della goccia

Gentile Direttore,
da dove nasce quel malessere immenso, simile ad un insieme di sofferenza e sfiducia totale, che arriva a depredare l’identità di tanti professionisti e dei loro assistiti? Probabilmente la causa è l’enorme ed insanabile distanza cognitiva e fiduciaria che si è accumulata tra le istituzioni che governano i processi decisionali sanitari e i professionisti stessi. Qualcosa si è rotto.

E non può essere incollato da ACN tradizionali, Metaprogetti, DM 77, documenti della Conferenza Stato-regioni o delle Conferenze Territoriali Socio-Sanitarie molto spesso solo monoliti burocratici autoreferenziali. Tutto viene costantemente aggravato dal fatto che il dominio è sempre economico o finanziario e sovrasta ogni possibile argomentazione clinica/assistenziale. Molti medici della generazione dei baby boomer (nata tra il 1945 e il 1964) ha vissuto il periodo dell’economicismo aziendale sanitario (il tanto esaltato risparmio farmaceutico definito “appropriatezza prescrittiva”) con tutte le sue contraddizioni e discriminazioni che alla fine non ha prodotto un effettivo miglioramento della situazione sanitaria. Anzi.

Le testimonianze apparse più volte su QdS sono ormai numerosissime, appassionate e coinvolgenti. In questa occasione si preferisce non citare specificatamente i vari colleghi che hanno scritto “pezzi” indimenticabili proprio perché scordare qualcuno sarebbe imperdonabile.

Lo si sapeva da tempo che sarebbe arrivata. D. Harvey nel 1989 aveva enunciato il concetto della “compressione spazio temporale” come causa e strumento di velocissime modificazioni sociali planetarie (Villaggio globale, McLuhan, 1964).

Molti responsabili istituzionali che avrebbero dovuto prevedere, essere aggiornati, prendere posizione hanno però preferito dormire sonni inoperosi nella convinzione che tutto alla fine avrebbe seguito il solito andamento così come hanno indicato i corsi e ricorsi storici.

Fino a poco tempo fa (nel 1991 nasce del Web) le informazioni, le comunicazioni e la tecnologia arrivavano alle persone con un “flusso” paragonabile al getto d’acqua che esce dal rubinetto del lavello di casa.

Dopo quella data le persone e quindi anche i professionisti sanitari, in pochissimo tempo, si sono trovati immersi, quasi senza accorgersene, in un oceano tecnologico o hanno ricevuto, in tempo reale, un numero di comunicazioni o informazioni paragonabile alla quantità d’acqua trasportata, al secondo, dall’intero bacino del Rio delle Amazzoni.

I professionisti del territorio insieme ai loro assistiti hanno vissuto e stanno operando da “migranti digitali” o da “nativi digitali” all’interno di questa “rivoluzione” che presenta ogni giorno nuove sfide relative anche all’organizzazione sanitaria e all’evoluzione delle partiche orientate alla salute, al benessere e alla salvaguardia della salute.

Gli ambiti territoriali contenuti e comunitari possono essere soluzioni intelligenti e virtuose per le problematiche innestate da questa trasformazione non ancora ben compresa dalle istituzioni sanitarie. La vita quotidiana infatti, senza il contributo di una buona politica, di una scienza affidabile ed amicale e della giusta ed equilibrata tecnologia diventa presto “solitaria, povera, sgradevole, brutale e breve” come ricorda T. Hobbes nel Leviatano. Inoltre il covid ha chiaramente rievocato come la natura può essere spietata e inaspettata. In questo caso le esperienze hanno dimostrato come la così detta “infosfera” abbia contribuito a superare i pericoli mostrati della “biosfera”.

Solo l’ingegno umano e la buona volontà applicate a comunità circoscritte, all’inizio e prima ancora che intervenissero i protocolli istituzionali, sono riuscite a migliorare e salvaguardare il tenore di vita di molti pazienti grazie alla cultura professionale derivante da una informazione che ha superato, in tempo reale, qualsiasi sistema formativo vetusto come l’Educazione Continua in Medicina-ECM. Oggi gran parte dell’ingegnosità dei professionisti è coinvolta, spesso grazie ad iniziative autonome, nel realizzare la trasformazione da un mondo analogico a uno sempre più digitale in favore delle comunità.

La tanto ricercata governance affamata di dati (ormai “gazzilioni” di dati di difficile stoccaggio senza che trovino uno sbocco convinto verso il bene comune) è un ulteriore organo stantio pesantemente condizionato da una miriade di contraddizioni e regressioni politiche di potere per il potere (assessorati, aziende sanitarie, distretti, fusioni in uniche mega aziende).

La società prosegue il suo cammino mentre la sanità resta aggrappa ad istituzioni novecentesche procurando una regressione professionale in possibile progressivo isolamento (punto di non ritorno?).

Alcune date possono aiutare a comprendere cronologicamente come si è arrivati a questo punto:

istituzione del SSN 1978; accordo collettivo nazionale per la medicina generale ACN del 2005; Accordo Regionale E-R 2006 in applicazione dell’ACN; Istituzione della Conferenza Stato-Regioni 1983; istituzione delle Conferenze Territoriali Socio Sanitarie 2013; modifica del Titolo V della costituzione 2021; aziendalizzazione 1992-1993-1999; istituzione di un organo tecnico-scientifico a supporto del Ministero della Salute AGENAS 1993.

A questo punto è assolutamente necessario un “Comitato di Salute Pubblica” accreditato dal Ministro della Salute di poteri straordinari al fine di realizzare la “quarta riforma” in tempi contenuti e definiti in quanto la perizia degli esperti individuati, culturalmente perfettamente autonomi ed indipendenti da possibili conflitti di interesse, hanno le abilità e la caratura deontologica per rispettare il mandato e i tempi.

Il Comitato dovrebbe essere composto da poche persone (massimo 5-8) molto qualificate e meritevoli per curriculum e competenze. Il Ministro della Salute è un componente di diritto e nomina in modo strettamente fiduciario gli altri componenti che devono possedere le seguenti caratteristiche: preparazione medica e sanitaria, esperto in sociologia delle organizzazioni sanitarie, in logica e filosofia della scienza; in bioetica e biotecnologie; in informazione e cultura della comunicazione; in economia sociale e nel terzo settore.

Se la pietra non si preoccupa della goccia che cade…è peggio per la pietra.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna

05 dicembre 2022
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case della salute

L’irresistibile ascesa della medicina amministrata

Gentile Direttore,
alcuni articoli gestionali/organizzativi pubblicati in questo periodo su QdS  riconfermano l’ineluttabilità  di una medicina, soprattutto di base, fondamentalmente  amministrata (ACN, Comunicazione della Conferenza Stato-Regioni, DM77, Metaprogetto). Nello stesso tempo non è dato sapere, eccezion fatta  per l’ACN, se vi sia stato un preliminare confronto tra le parti prima della loro pubblicazione.

La frenesia di mettere a disposizione nel più breve tempo possibile un impianto strutturale a favore del PNRR ha creato, inevitabilmente, importanti difficoltà di metodo e di merito aggravate dalle note contingenze globali.

Il primo collo di bottiglia è rappresentato dalla modifica del titolo V che giustifica la prevedibilità ex-cathedra delle autonome  azioni regionali.  Operativamente, culturalmente e cognitivamente coloro che gestiscono il potere decisionale sanitario sono sempre le stesse persone da decine di anni.

Riforme radicali, innovazioni, strategie assistenziali territoriali tarate sul lungo-medio periodo che non esitino solo in conto capitale ma che sappiano dare un senso ed una visione all’essenza del curare e del prendersi cura restano evanescenti nei testi calati dall’alto che appaiono troppo lontani dalla professione agita quotidianamente.

Sorgono di conseguenza numerose criticità.

Nonostante i lunghi decenni di formazione che hanno visto come discenti proprio i componenti delle Alte Dirigenze Ausl, oggi si richiede alle stesse dirigenze di applicare  una abilità che non sono riuscite ad esperire in tanti anni di apprendimento. Manca quella giustizia e quella prudenza che alla fine sa scegliere (superando i tempi ed i legacci burocratici)  percorsi giusti e utili per gli assistiti e per i professionisti.  E’ lecito dubitare che tutta questa formazione possa essere servita a poco se non a rispondere ad una esigenza/bisogno  regionale economicistico e non assistenziale  che alla fine ha dimostrato  il suo mesto epilogo fallimentare.

Alcuni pensano che la cura o il prendersi cura debba basarsi, per questioni funzionali all’efficienza ed efficacia amministrativa, fondamentalmente  su una “medicina/sanità di iniziativa” e che le persone debbano essere classificate in funzione delle patologie.  In caso di necessità possono così  essere coinvolte  in iniziative create ad hoc  (educazione sanitaria, stili di vita adeguati, controlli periodici). Questa argomentazione può avere qualche senso ma difetta in un elemento fondamentale collegabile all’essenza ontologica della malattia e delle cure che sancisce una vera dipendenza dell’uomo dall’accudimento  che durerà per tutta la vita. Non si  può escludere de facto una  medicina di  “attesa” o di “opportunità”  senza  correre il pericolo di creare  gerarchie  ragionieristiche  avulse da elementi valoriali  sperimentati dalle persone sofferenti accumunate dalla dipendenza  e dalla fragilità insite nell’antropologia. Non saranno certo le strutture in conto capitale a poter affrontare un problema cosi pervasivo e alla fine mai risolutivo.

Forse solo il medico autore, esperto, scelto  liberamente con fiducia ed in grado di costruire un ambiente assistenziale comunitario può affrontare opportunamente la questione. Nell’ambito della  medicina di base, un medico autore e autonomo ha l’opportunità  di raggruppare persone ammalate (non stratificazioni di  casi patologici), procedere poi  con una analisi intelligente e umanitaria delle esigenze e dei bisogni da soddisfare financo sistematicamente in caso di necessità.  Questo compito non può essere affrontato dalle Alte Dirigenze e dalle Istituzioni da queste gestite per motivazioni già ricordate ma soltanto dal mmg, esperto del proprio territorio che co-opera con tutti gli attori socio-sanitari e con i pazienti e che eventualmente  potrebbe usufruire di ulteriori ausili tipo l’affiancamento o il tutoraggio professionalizzante. Il medico di medicina generale sviluppa nel tempo anche una abilità particolare nei sistemi di comunicazione con i propri pazienti e nella interazione  con le associazioni di volontariato e del terzo settore estremamente utili per affrontare la complessità delle singole persone ammalate o dei loro contesti familiari.

Per definizione e secondo la normativa in atto il mmg resta concettualmente, operativamente, fiduciariamente ed esperienzialmente il primo sportello di entrata nel SSN.  Il professionista che ha un rapporto specifico medico-paziente  con il proprio assistito può consigliare percorsi semplici o  complessi in merito alle problematiche emerse dal processo diagnostico.  Questi percorsi trasversali al territorio, ai servizi, al terzo settore  e all’ospedale devono  essere  ben percorribili in tempo reale  e ben riconoscibili.

L’organizzazione territoriale deve quindi essere affidata ai professionisti che operano sul campo quotidianamente come medici “autore”, autonomi,  volontariamente associati  secondo affinità pattuite.  Tutto ciò comporta l’eliminazione degli ambiti territoriali o obbligatorietà di quartiere. Un aggregazione affiatata che si sceglie autonomamente senza limiti di incentivazione o di numero di aderenti  ( compresi gli affiancamenti e i tutoraggi) è in grado di risolvere  problematiche organizzative, logistiche, di governo clinico, di copertura territoriale, di co-operazione  con i servizi, con l’ospedale con il terzo settore.

I bisogni logistici dei professionisti per forza di cose dovrebbero essere, nella maggior parte dei casi, complesse, ampie, gradevoli  e in grado di accogliere molti sanitari. Dovrebbero  contenere direttamente  al loro interno le strutture intermedie, ben inserite nei territori, essere reali punti di riferimento per la popolazione, in grado di poter reperire risorse adeguate ( miste pubblico-privato-terzo settore), ecc. E’ di tutta evidenza che questo sistema organizzativo richiede massima autonomia gestionale delle professionalità territoriali ed in particolare della medicina generale. Alle Alte Dirigenze dovrebbe essere affidato un ruolo alternativo di garanzia relativa ai valori principali del SSN: universalità, equità, accesso alle cure, trasparenza.

Infine una tematica che richiede particolare attenzione e che giustifica l’organizzazione territoriale descritta: il cambio generazionale. In particolare va evidenziato  il cambio di genere dei medici di medicina generale. Le “mediche”  sono in maggioranza e stanno rapidamente popolando la professione di base. E’ necessaria ancor più di prima una riforma che permetta di soddisfare esigenze professionali e personali che possono essere affrontate  solo da gruppi aggregati affiatati e basati su accordi pattizi liberi in grado di  regolare le relazioni tra “dottoresse autrici e autonome”  all’interno di un sistema di welfare di comunità.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS),  FISMU-Emilia Romagna

11 ottobre 2022
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case della salute

Fra unificazioni e sanità pubblica: riflessioni sulla situazione sanitaria cittadina

Qualche riflessione sulla situazione sanitaria cittadina.

È notizia di qualche giorno fa riguardante un nuovo e inaspettato ricambio al vertice dell’Azienda Ausl della nostra città.

La Direttrice Generale dell’AUSL lascerà Parma e andrà a dirigere l’Ausl di Modena.

Tutta l’alta dirigenza Ausl era stata improvvisamente, (a tutt’oggi ancora inspiegabilmente), completamente rinnovata in piena prima ondata pandemica 2020.

La pandemia ha quindi trovato una nuova Alta Dirigenza che ha dovuto orientarsi nel nostro contesto urbano in piena emergenza e ha avuto la responsabilità di affrontare la problematica quotidiana procurata da questa terribile esperienza.

Oltre alle questioni relative alla questione Covid è stato apertamente confermato anche in alcuni incontri istituzionali che l’obiettivo aziendale principe della nuova dirigenza era quello di addivenire, nel più breve tempo possibile, alla fusione/unione tra le due Aziende Ausl e Azienda Ospedaliera Universitaria.

In verità è da anni che a piccoli passi alcune co-operazioni (es.: uffici amministrativi) erano già state strutturate in senso unitario.

Ora sembra che il progetto, salvo letture personali erronee e con una situazione Covid meno preoccupante, possa procedere in modo più spedito, come da programma regionale.

La finalità è quella di offrire una assistenza sanitaria migliore a tutta la popolazione, che, secondo le alte dirigenze aziendali e l’assessorato regionale, desidera “convintamente” questa non più dilazionabile fusione tra le nostre due più importanti “industrie” cittadine, tra le ultime ad avere la propria sede ancora nel centro storico della città stessa ( circa 7000 dipendenti totali… quasi una Fiat locale).

La letteratura di settore pare esprimere comunque opinioni non omogenee in merito alla impazienza regionale volta alle fusioni più o meno manifeste delle aziende sanitarie regionali.

Alcuni commentatori considerano irrazionale la tendenza verso le mega strutture.

La necessità, per il dopo pandemia, sarebbe piuttosto quella di realizzare piccole realtà collegiali di comunità a misura di vita quotidiana (con le mega istituzioni i cittadini sperimentano quasi tutti i giorni l’impossibilità di riuscire a contattare qualche responsabile autorevole per avere risposte esaurienti che non siano mediate da asettici uffici preposti alla comunicazione con gli utenti quando invece, con estrema puntualità, arrivano bollettini o bollette incontestabili).

In questo periodo inoltre è un fiorire di documenti più o meno ufficiali che si assumono la responsabilità di immaginare, per tutti i cittadini (pare con scarsissimi dibattiti pubblici preliminari), quel che sarà l’organizzazione territoriale assistenziale.

Alcuni noti commentatori si spingono molto oltre “l’orizzonte degli eventi” definendo, in modo sorprendentemente pittoresco, questi documenti come “balle”.

La fosca previsione di certi autori è quella di un sicuro approdo verso la privatizzazione anche a livello dell’Assistenza Primaria (storico primo accesso al Servizio Sanitario Nazionale) e una de-occupazione dei professionisti grazie alla creazione di agenzie di cura fortemente standardizzate e protocollate che seguiranno comunque la falsa riga spesso già indicata delle attuali Aziende Ausl.

Il terreno è già stato preparato dall’estrema caratterizzazione economicistica di questi anni. Sembra inoltre che a nessuno sia balenato nella mente qualche idea innovativa e vivace sui sistemi organizzativi territoriali che potesse far fronte alla rivoluzione, tutt’ora in atto, che sta modificando l’intero sistema della globalizzazione e le inevitabili conseguenze sulla sanità.

Forse è utile ricordare che Parma ha una percentuale di esternalizzazioni o privatizzazioni o accreditamenti sovrapponibili a quelli della Lombardia.

Qualche giorno fa si è tentato di illustrare come il sistema della cura e della prossimità (che è una sua diretta conseguenza) sia una pratica estremamente complessa e non lineare.

La cura è quasi impossibile da realizzare se l’assistenza primaria dovrà dividersi tra attività da svolgere nell’ambulatorio personale del Medico di Base (che potrebbe anche essere definita “Casa della Comunità spoke” cioè piccola) e le 18 ore che dovrebbero essere svolte nella “Casa della Comunità hub” cioè grande.

Per facilitare la vita a professionisti e ad assistiti la logistica potrebbe essere anche a qualche chilometro di distanza dall’ambulatorio del medico. Quindi tutt’altro che “prossima”.

Per tacere degli Ospedali di Comunità che potrebbero anche essere collocati molti chilometri più lontani.

Il solito commentatore un po’ burlone ma competentissimo attribuisce anche a questa soluzione organizzativa territoriale il valore di “balla”.

Un'altra scossa tellurica sembra essere causato dal significato strategico da attribuire alle stesse Case della Comunità dove le Cure Primarie verrebbero caricate più di significato specialistico (come in un poliambulatorio classico) che di Assistenza di Primo Livello più generalista possibile, aperta ad ogni più svariata problematica di cura e di ascolto, strettamente collegata al suo contesto per non dire al suo quartiere o al suo territorio rurale.

Purtroppo nonostante il notevole impegno di numerose organizzazioni della società civile che spontaneamente hanno ricercato strumenti cortesi ed educati per indicare alle istituzioni possibili soluzioni al dramma incombente tramite lo strumento della partecipazione al processo decisionale “dal basso” (l’elaborato del gruppo di Parma coordinato da Marco Ingrosso; la pubblicazione della associazione a carattere nazionale “Prima la comunità”; le varie revisioni del “Libro azzurro” tanto per citare le più note) l’idea della prossimità (e della cura) resta una mistificazione dove il Distretto avrà un banale compito di ripartizione.

Tutto il resto: casa come primo luogo di cura (ma è già così da decina d’anni), Case della Comunità, spoke, hub, reti ecc. restano purtroppo chiacchiere.

Un amico un giorno mi disse che per poter sistemare un po’ le cose sarebbe necessario non avere buone idee o essere illuminati ma raggiungere posizioni dove si possa semplicemente comandare.

Sperando poi che una volta raggiunta quella posizione la persona mantenga quell’equilibrio, quella saggezza, quelle illuminate idee che aveva quando non era nessuno ed era un semplice pensatore che sapeva di non sapere.

Concludendo: si ritorna sempre alla solita questione economica/finanziaria che vince sempre anche sulla cura, sulla sofferenza e sulla vita.

Non serve nemmeno individuare colpe e responsabilità. Bisognerebbe davvero comandare.

La via riformista dovrebbe essere quella umana e fraterna. Ma il riformismo è stato più che umiliato.

Come mai i decisori hanno portato uno dei migliori servizi Sanitari Nazionali al mondo ad una situazione fallimentare, inadeguata, iniqua, sostanzialmente destinata al privato (per salvarsi) e tutto senza quasi ascoltare il parere dei cittadini ? Non sarà che possano esserci similitudini con le oligarchie o le autocrazie o gli oligarchi tanto di moda oggi?

Dio salvi il nostro Sistema Sanitario Nazionale ma trovi anche il modo di rimuovere tanti decisori che pare abbiano perso la bussola.

At’pol essor potent incò, ma arcordot: al temp l’è pu potent ed tì ( da una frase in vernacolo di anonimo).


Bruno Agnetti
Consigliere Comunale

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Il convitato di pietra

Il convitato di pietra

di G.Campo, A.Chiari, A.D’Ercole, B.Bersellini, B.Agnetti

Gentile Direttore,la citazione dell’inatteso e sorprendente termine usato dal Prof. Ivan Cavicchi (Per la sanità arriverà di nuovo il tempo della “micragna”) aiuta a riflettere sull’inesorabile piano inclinato scivoloso che pende sempre di più verso la strisciante privatizzazione del SSN. Infatti il piano B non c’è e non c’è mai stato perché un sistema oligarchico comporta inevitabilmente un impoverimento di impulsi ingegnosi e innovativi.

L’esternalizzazione è ormai un dato di fatto, sarebbe necessario “prenderne atto” (formula di rito commerciale di risposta a clienti che segnalano disfunzioni) e apportare rigenerazioni intelligenti eventualmente ripartendo proprio dalla base (per quanto riguarda l’assistenza primaria) cioè dal rapporto fiduciario per tentare comunque di rianimare “la comunità” che al momento è ancora smarrita e liquida.

Paradossalmente proprio ora, a causa dell’assoluta mancanza di modelli rodati, qualche decisore illuminato potrebbe promuovere sperimentazioni reali sorrette da processi decisionali autonomi adatti ed esaurienti per le piccole comunità.  Necessita inoltre un netto disconoscimento delle mega-aziende: fusioni o unioni di origine prettamente economicistiche lontane dai bisogni assistenziali dei cittadini. Una abolizione  definitiva delle Ausl permetterebbe inoltre un recupero delle Usl più prossime e solidali e infinitamente meno burocratizzate.

Una analisi nitida di cause e conseguenze che hanno portato la sanità e l’assistenza primaria territoriale (una delle migliori al mondo) alla situazione attuale era già stata segnalata in un intervento preconizzatore “Il fallimento dell’Azienda Sanitaria Locale” (Cavicchi 2012). L’insuccesso delle AUSL (covid già obliato) è perfettamente noto alla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori e continua indisturbato ad aleggiare (indicibile) su tutte le documentazioni attuali ufficiali e su quelle interpretative.

Gli apologeti del prossimo “radioso” futuro sanitario (per quel che resterà del PNRR iniziale…)  sembrano dimenticare le pesantissime differenziazioni, per non definirle discriminazioni, che si sono create nei  decenni passati, in ambito assistenziale e professionale a causa dell’autoreferenzialità, dell’autoprotezione e del consociativismo.

Il piano 6 del già citato PNRR snocciola miliardi con aggiunte (React-Eu) e fondi complementari (nazionali) per “rammendare” gli strappi sulla prevenzione, l’assistenza primaria, l’integrazione, le liste d’attesa, il contesto ambientale, le tecnologie… C’è poi anche la missione 5 (inclusione e coesione) con una dote altrettanto consistente per favorire le comunità, le famiglie, il terzo settore.

Una montagna di soldi che dovrebbero essere spesi bene cioè portare a frutto l’albero della sanità perché dal 1 gennaio 2027 il PNRR non ci sarà più.

La riforma 833/1978 aveva una visione ma dopo quasi 45 anni quella non c’è più, ci sono le missioni.

Le missioni 5 e 6 dovrebbero viaggiare ben appaiate se non si vuole creare un nuovo strappo sociale irreparabile. Nella legge Turco del 2007 e nella  Delibera Regionale dell’Emilia Romagna del 2010 i temi delle due missioni erano anticipatamente inserite nel disegno progettuale delle Casa della Salute “grande”. Infatti solo una struttura di quel tipo ha un senso innovativo e riformatore per una comunità. Ed ogni territorio, quartiere, ogni comunità ha il diritto di avere questo pieno servizio 24h/24h, 7gg/7gg. dove venga effettivamente attuata una co-operazione tra tutti gli attori delle cure primarie (detta integrazione), dove ci sia l’ospedale di comunità, i centri di riabilitazione, i centri diurni, la specialistica, la diagnostica leggera, i servizi territoriali, il volontariato, eventi culturali, spazi di socializzazione, ambienti attrattivi e ben inseriti nel contesto urbano o rurale…

Come mai dopo la 833 sono evaporate le “vision” a fronte di una enorme produzione di documenti e normative a difesa delle istituzioni e dei loro rappresentanti rinunciando a temi come il bene comune, l’assistenza primaria, la prossimità, l’autonomia…?  Come mai le disposizioni e i decisori si sono dimostrati così fragili e dilettantistici quando avevano per le mani una “scienza impareggiabile”?  Come mai gli impianti strutturali e gestionali ripercorrono gli stessi binari da circa 45 anni senza mai porsi dubbi sulla incrementale  privatizzazione, palese, che  forse  avrebbe  anche condiviso un patto intelligente a favore del bene comune?

Dopo la Costituzione (art. 32) e la legge 833/1978 arrivano, uno alla volta ma ben ponderati, una lunga serie di documenti che segnano profondamente il percorso del nostro SSN (502/1992 aziendalizzazione, 229/1999 legge Bindi, riforma del titolo V 2001, DL Balduzzi 189/2012 redivivo nelle bozze dell’ACN in via di pubblicazione ma anche deformato dal DM71 forse per baloccarsi con presunte riforme quasi come se si volesse vincere facile con il gioco degli hub e degli spoke) … Tutte queste pubblicazioni hanno qualche cosa in comune che le caratterizza: sono inadeguate al contesto ed è per questo che non possono reggere.

La embriogenesi/morfogenesi insegna come tante cellule, inizialmente tutte identiche, inizino ad un certo punto a raggrupparsi e a diversificarsi spontaneamente senza nessun coordinamento centrale.  L’indefinito, senza caratteristiche iniziali peculiari può sviluppare numerose trame impreviste.   Fenomeni biochimici possono mostrare autoregolazione spontanea. Un sistema apparentemente ben conosciuto può avere comportamenti imprevedibili anche senza interferenze esterne.

A volte sono sufficienti piccolissime differenze iniziali per provocare grandi modificazioni affrontabili solamente da chi vive ed opera in quel contesto: da una situazione apparentemente molto semplice (es.: un assistito entra in ambulatorio per presentare un problema al mmg; in una comunità si sviluppa una pandemia…) si può produrre una serie di infinite complessità inizialmente inattese...

Occorre essere esperti e inseriti nel territorio (come tutti gli attori delle cure primarie) per comprendere queste complessità, farsene carico, coltivare la prossimità e nello stesso tempo proporre e condividere scelte avvedute.

Giuseppe Campo, Alessandro Chiari,  Alessandro D’Ercole, Bruno Bersellini, Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna

16 maggio 2022© Riproduzione riservata

 


case della salute

Volantini anonimi e lamente del personale: "Forte disagio tra i dipendenti dell’Ausl Parma"

Il consigliere comunale Bruno Agnetti: "Dopo un anno di commissariamento resta ancora allucinante e incomprensibile la decisione calata dal vertice amministrativo regionale finalizzata all'unione o fusione tra le due aziende sanitarie"

Il consigliere comunale Bruno Agnetti ha dato comunicazione, durante la seduta di lunedì 6 dicembre, della comparsa di volantini anonimi ritrovati in questi giorni in diversi punti facilmente accessibili nella sede direzionale dell’azienda Ausl di Parma.

"Non desta meraviglia - osserva Agnetti - che la problematica del commissariamento sanitario della nostra città ed in particolare dell’Azienda Ausl (ricordiamo però che anche il nostro ospedale ha avuto un periodo di commissariamento) riemerga così in modo eclatante.

Proprio perché anonimo e particolarmente preoccupante credo sia preferibile non leggerlo nella sua interezza ma penso sia più opportuno riportare alcuni commenti sui concetti fondamentali espressi.

Dopo un anno di commissariamento dell’Ausl resta ancora allucinante e incomprensibile questa decisione calata dal vertice amministrativo regionale finalizzata, come più volte ricordato dalle alte dirigenze, alla unione o fusione tra le due aziende Ausl e Aou.

Spero, ma non sono proprio sicuro, che questo obiettivo rappresenti un fondamentale bisogno assistenziale della popolazione e che sia condiviso dalla maggioranza dei cittadini e degli assistiti di Parma soprattutto in questo periodo pandemico che non accenna a terminare (nella Finanziaria si pensa di destinare una somma considerevole per una eventuale 4 e 5 dose)".

"Resta misterioso - continua il consigliere - come mai non sia stato possibile reperire in città nessun professionista esperto per condurre in porto quella che viene evidentemente considerata la mission fondamentale cioè la manovra di fusione tra i due enti aziendali sanitari riconoscendo così, implicitamente, che all’interno o nei pressi delle due aziende sanitarie non vi siano competenze in grado di svolgere con diligenza il compito/obiettivo.

Declassata dal punto di vista dirigenziale e manageriale la nostra città ci si sarebbe quindi aspettato che da Bologna arrivasse a Parma l’eccellenza della dirigenza sanitaria emiliano romagnola.

Sono invece aumentate di molto le criticità e il clima organizzativo pare essersi degradato. Il distretto è rimasto per un lunghissimo periodo pandemico senza un direttore (e paradossalmente nessuno se ne è accorto quasi a dimostrarne l’inutilità) così come molti lavoratori del territorio aspettano da numerosi mesi la stipula di contratti fondamentali per poter offrire una continuità assistenziale di pregio alla popolazione.

Giunge quindi un grido di aiuto drammatico e disperato perché il personale dipendente non riesce più a portare il peso di questo clima organizzativo incomprensibile e irreale e si chiede aiuto ai sindacati, ai politici locali, ai sindaci affinché possano intervenire per fare sentire le voci della politica e per riportare, nelle sedi opportune, il pesante disagio dei dipendenti e dei convenzionati.

Restare indifferenti e non agire equivale, per gli estensori del volantino, diventare complici della situazione procurando la perdita di fiducia nelle istituzioni locali fondate sul consenso e che dovrebbero tutelare la dignità delle persone e dei lavoratori senza permettere che si diffonda, sempre di più, la convinzione di essere comunque ai confini dell’impero.

Forse la politica locale - conclude Agnetti - si trova di fronte a un problema, per altro più volte ricordato in questa aula dal sottoscritto, che mette in gioco la propria credibilità, la fiducia e il voto di molti cittadini".

 

Articolo pubblicato su La Repubblica Parma il 6 dicembre 2021


case della salute

La sanità pubblica nazionale e locale dopo il Covid, quale futuro?

Articolo di Bruno Agnetti pubblicato su La Repubblica Parma il 17/11/2021

Il ruolo del Governo Draghi nei fondi per la sanità

La questione sanitaria incalzata da una parte da un governo tecnico di salute pubblica e dall’altra dalle criticità organizzative regionali e aziendali per altro accresciute significativamente dalla pandemia (tuttora in atto).

Quando si legge che vi saranno sostanziosi finanziamenti per il Servizio sanitario nazionale che per effetto del noto titolo V può essere considerato essenzialmente regionale è necessario eseguire una severa azione di ragioneria contabile in quanto la quota a disposizione di regioni e Ausl sarà molto inferiore a quella annunciata in quanto una importante fetta di queste risorse dovrà essere utilizzata per risanare i debiti causati dalla pandemia.

Nella condizione di fuoco in cui il paese si trova questo Governo è costretto a mettere in essere un sistema per distribuire ricchezza ma prima di poterla elargire, questa dovrà essere prodotta.

Un presidente del Consiglio come Mario Draghi non ha particolari interessi a perseguire un consenso politico a breve termine e quindi non è costretto a spendere soldi per procacciarsi voti ma appunto è orientato ad investire per aumentare ricchezza per il paese e così poter governare la ripartizione. Questa è la direzione che pare aver imboccato questo Esecutivo.

Credere quindi che un incremento del Fondo sanitario nazionale corrisponda a realtà significa coltivare un’illusione se si analizza il bilancio passivo creato dal Covid che riassorbirà in larga parte almeno per quest’anno l’incremento previsto di due miliardi.

 

Le tante criticità del sistema sanitario locale

Tutto ciò è palesato dalle continue e incomprensibili scelte organizzative aziendali: apertura e chiusura dei centri vaccinali, ricerca confusa di un coinvolgimento dei medicina di medicina generale per le vaccinazioni domiciliari che in alcuni casi hanno creato l’obbrobrio delle liste d’attesa nella medicina generale per le altre patologie non Covid sia ambulatoriali che domiciliari e intasamento dei Ps, incertezza sul ruolo futuro degli Usca che una lungimirante visione governativa aveva istituito forse per rimediare a mancanze strategiche locali e per proteggere la professionalità olistica dei medici di medicina generale verso tutti gli altri assistiti, ricerca del prezioso contributo strutturale e operativo del privato che pare diventato determinate per i cittadini ora e domani, negligenza nel ricercare suggerimenti operativi variegati ancorché non ufficialmente ricompresi nei tavoli trattanti proprio perché in regime di commissariamento straordinario, completa superficialità e disattenzione che ha condotto a non concludere assetti organizzativi/contrattuali convenzionali fondamentali per poter ottenere una serenità professionale e assistenziale, un commissariamento aziendale ancora oscuro e tuttavia riconfermato quando in momenti di criticità la trasparenza dovrebbe essere imperativa, aziendalizzazione e unione tra le due aziendale cittadine pubblicizzati come se fossero bisogni fondamentali espressi e non espressi dai cittadini e dai clienti interni ed esterni.

 

Il commissariamento dell'Ausl

Alcune delle pregresse osservazioni meritano di essere comunque ri-evidenziate: a Parma ci sono molte problematiche irrisolte, irrisolvibili o confuse riportate in quasi tutti i Consigli comunali od oggetto di numerosi confronti tra maggioranza e minoranza ma nulla rimane più allucinante nella sua incomprensione politica del commissariamento dell’Ausl.

Cosi come inizia a essere tediosa la ripetuta filastrocca spesso centrotavola delle narrazioni delle alte dirigenze delle due aziende cittadine che sostiene che tutto va bene, tutto funziona bene e che le soluzioni organizzative attuate sono le migliori possibili. Sarebbe interessante poter svolgere un referendum popolare su queste affermazioni.

A questo punto con una sanità pubblica che appare smobilitata è lecito supporre che non ci siano risorse e nemmeno strategie per la medicina generale detta di base a livello locale e a livello nazionale in quanto, nella prossima finanziaria non ci saranno le condizioni dignitose per rinnovare i contratti del pubblico impiego, tanto meno quelli del personale sanitario, dei dirigenti medici e, buoni ultimi, dei medici convenzionati che dovrebbero essere il fondamento del servizio sanitario nazionale.

La vacanza contrattuale perdura ormai da otto anni: è una situazione che non si è mai vista nella storia del lavoro e delle professioni e che lascia senza parole. Senz’altro vi saranno interessi opachi atti a mantenere una situazione di questo tipo che permette alle regioni e alle aziende di diramare normative e delibere autonomamente come surrogati di rinnovo di pezzi di contratti lasciati inevasi nella loro completezza.

Un politico che si rispetti e che abbia a cuore il bene comune non si comporta così. Ed è quindi prevedibile che la sfiducia e la delusione possano tradursi in una riduzione dei consensi ( come la drastica diminuzione della partecipazione al voto fa chiaramente comprendere).

Infatti alla fine di questa partita governativa prettamente tecnica e con obiettivi ben determinati al governo del paese succederà inevitabilmente un governo politico. Questi governi e chi li guiderà saranno espressione di maggioranze più o meno composite, potenzialmente anche eterogenee, in un sistema elettorale proporzionale, che comunque guarderanno ai vari interessi economici e sociali rappresentati dal loro elettorato.

Non bisogna dimenticare che il welfare (sicurezza e benessere) e il servizio sanitario nazionale rappresentano la più formidabile macchina di consenso elettorale ancora in mano ai partiti. Nonostante la pessima figura di cui alcuni assessorati e aziende (con distretti e dipartimenti di cure primarie) danno prova, va comunque chiarito che la modifica del titolo V, l’abolizione delle aziende sanitarie, l’autonomia delle aggregazioni territoriali, l’innovazione del sistema assistenziale integrato di tutto il territorio, il riordino delle funzioni degli assessorati perché diventino istituzioni di garanzia dell’universalità dell’accesso al servizio sanitario, non sono al momento all’ordine del giorno.

Al posto di sorpassate certezze di apparato (che potrebbero illudersi di concorrere per ruoli di primo cittadino) occorre diventare illuminati statisti che sappiano costruire strategie e linee politiche molto inclusive e trasversali, prospettive programmatorie di lungo respiro e che sappiano indicare la strada migliore possibile per il futuro del bene comune.

 

Il ruolo della medicina generale di base

Si è dimostrata fasulla l’informativa diffusa come una sorta di strumento di distrazione di massa, o una apparente minaccia, quella di operare al fine di trasferire tutta la medicina generale convenzionata alla dipendenza (comunicazione delle Regioni) ipotizzando così una quadratura del cerchio a soluzione di tutte le disfunzioni territoriali (attribuiti nei documenti alla medicina generale quando in realtà probabilmente dipendono da un disordine organizzativo delle aziende stesse).

Quel documento delle Regioni non solo affermava baggianate offensive insinuando che i disservizi avvenuti durante il Covid dipendessero dalla scarsa governabilità dei medici di famiglia che essendo convenzionati e liberi professionisti non si potevano obbligare a svolgere le mansioni ideate monocraticamente o testardamente o consociativamente dalla regione o dalle aziende (ma quanti medici di medicina generale si sono ammalati di covid e quanti sono morti?).

Anche una persona senza nessun titolo politico capirebbe come possa essere velleitaria il passaggio a dipendenza della medicina generale convenzionata a causa dell’enorme impegno economico che partirebbe dall’allineamento contributivo con l’Inps e proseguirebbe con una revisione della attività dipendente della guardia medica a 38 ore settimanali  e che comporterebbe un costo complessivo a un datore di lavoro di un dipendente medico cioè di un professionista (nella normativa in vigore si definisce dirigente) che può oscillare dai 70mila ai 100mila euro annui per soggetto.

È evidente che l’operazione oggi appare estremamente velleitaria, impossibile e, forse irresponsabilmente provocatoria (causa di disagio sociale) al fine di ipotizzare nel breve periodo una esternalizzazione e una privatizzazione di molti servizi assistenziali di base.

Una illuminata parte pubblica (Governo e Regioni) dovrebbe invece pensare a modelli innovativi e a tappe intermedie che possano fare avvicinare l'organizzazione delle cure primarie e della medicina generale alle risposte necessarie rispetto alle nuove domande di salute.

Nel secondo millennio la conformazione sociale e le esigenze sanitarie o socio-sanitarie sono radicalmente cambiate ed è nozione diffusa quanto i determinanti di salute e il prolungamento dell’aspettativa di vita, spesso in buona salute, abbiano una importanza sostanziale sul benessere stesso e sulla componente economica (Covid docet).

 

La sanità e il Pnrr

Il Pnrr richiama con più precisione il tema della domiciliarità, della fragilità, della presa in carico dei pazienti non autosufficienti.

Encomiabile valutazione che forse, la solita persona senza cariche politiche avrebbe già affrontato ai primissimi segnali di globalizzazione e delle conseguenze che stavano avvenendo proprio sotto casa, nel suo quartiere (glocalizzazione) già dalla fine del primo millennio.

Sorge spontanea una domanda: quale strutturazione organizzativa potrebbe accollarsi questo onere e questa responsabilità?

È innegabile che le soluzioni non possano essere quelle di provvedere a un progetto in conto capitale che prevede presidi ingegneristici architettonici (case della comunità) ma di processi decisionali che mettano in campo spesa corrente cioè finanziamenti strutturati nel tempo, poste di bilancio dello Stato, perché le risorse umane necessarie ad assicurare i servizi di prossimità alla nuova domanda di salute possano condividere saperi ed esperienze in continuo apprendimento e quindi costantemente aggiornate e adeguate al mutare della scienza medica e della complessità sociale.

Le pregresse esperienze delle Case della Salute o di alcuni Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, che potevano rappresentare un pallido esordio di una innovazione assistenziale territoriale e di prossimità, sono stati deludenti.

Non è il luogo per proporre una disanima di questi esiti che richiederebbe ulteriore spazio ma certamente il fallimento di certe prove tecniche dipende da tre-quattro elementi: lo smaccato consociativismo; la cattiva abitudine gestionale culturale di costruire muri e inserire poi i professionisti alcuni si e altri no; la discriminazione o la differenziare che in questo modo si è prodotta in professionisti e assistiti; il non considerare fondamentale la costituzione di aggregazioni che primariamente si scelgano tra di loro (tra professionisti) in base a un patto/progetto iniziale di vera integrazione tra operatori che possa poi gradualmente svilupparsi nel tempo in relazione alle esperienze; la mancata sperimentare di una forte autonomia dei sistemi aggregati; il non aver mai pensato di risolvere storture normative banali che trascinandosi nel tempo hanno impedito lo sviluppo delle potenzialità delle aggregazioni (informatizzazione imperfetta); il non promuovere una forte autonomia delle varie categorie di professionisti nella costruzione dei progetti assistenziali, calando dall’alto normative e regole troppo distanti dal contesto operativo quotidiano.

Come bisogna rispondere alle nuove domande di salute? Che impegno economico comporta? Qual è il modello organizzativo più coerente alla teoria della complessità?

Sono temi che solo una visione sistemica/olistica può affrontare e che può abbozzare una possibile standardizzazione di prodotto che non vagheggia protocolli o algoritmi custodi assoluti di verità ma che siano tracce per costruire percorsi di team in grado di affrontare una complessità assistenziale territoriale impareggiabile proprio in quanto olistica e molto lontano dalle impostazioni riduzionistiche aziendali e regionali (la teoria della complessità, Giorgio Parisi premio Nobel per la fisica 2021).

Di tutta questa problematica non può essere in qualche modo incolpato il Governo attuale a forte trazione tecnica. Quando Draghi legge che l’Italia è al di sotto del 10%, rispetto all’Europa, nell’assistenza domiciliare è inevitabile che deliberi immediatamente un investimento perché si raggiunga la percentuale di riferimento poi, essendo un economista, non ha importanza per lui come questa percentuale europea venga raggiunta oppure esternalizzata o glacialmente protocollata o privatizzata.

Perché non è Draghi che deve indirizzare le scelte di ordine politico sanitario ma è compito di un ministro che eventualmente ascolta con molta attenzione la prima linea operativa.

La piramide gerarchica politica (in particolare regionale e aziendale) oggi fa altro, è distante anni luce da quello che giornalmente affronta la categoria dei sanitari di trincea.

Tutti oggi parlano di ridistribuire la ricchezza ma qual è la finalità di questa distribuzione: quella di rinforzare la Ausl, i distretti, i dipartimenti di cure primarie comunque sideralmente distanti dalla realtà e dispensatori di certezze e verità assolute e lineari?

Queste esperienze in gran parte fallimentari non potrebbero aspirare a designare un sindaco per la città. Occorre uno statista che sia in grado di affrontare la solitudine, la povertà, la famiglie mononucleari eventualmente con disabilità fisiche o mentali, gli appartamenti mono-bilocali inadatti spesso per Adi complesse, le cure palliative, l’assistenza comune quotidiana di attesa e di iniziativa, l’estremo rispetto per gli operatori ed i professionisti.

La strada futura (saranno necessari 2-4-6 anni ma quella sarà la via) dovrà considerare come distribuire la ricchezza all’interno del welfare intercettando in modo adeguato un contesto complesso e non lineare ricercando in piena collaborazione, rispetto reciproco, abolizione completa del consociativismo gli strumenti più adeguati quali autonomia, progettualità condivisa, aggregazioni eccellenti nelle relazioni e nell’apprendimento reciproco.

Come è già capitato con le case della salute anche con le case della comunità ci si potrebbe trovare difronte a cattedrali nel deserto rischiando, ancora una volta, di non rispondere ai bisogni espressi e non espressi e di buttare soldi dalla finestra.

E’ necessario comunque chiarire che questo aspetto non è un problema di questo Governo. All’esecutivo interessa mettere in piedi i canteri, l’edilizia, gli stipendi, l’aumento del Pil e degli occupati che alla fine useranno i loro soldi perché aumenti la ricchezza collettiva, il prodotto interno lordo e conseguentemente la possibilità di redistribuire la ricchezza prodotta in servizi per la collettività.

Per evitare che le risorse che saranno investite, vengano sperperate in operazioni di bassa cucina politica, è necessario coinvolgere gli esperti nel campo della complessità assistenziale (ad esempio i medici di medicina generale) e affidarsi alle loro idee innovative e sempre orientate alla tutela degli interessi comuni.


Direttore Assistenziale: come abbiamo fatto senza questa figura apicale fino ad ora?

26 LUG - Gentile Direttore,
quando si avvicina agosto (meglio se il 14) o dicembre (meglio se il 24) l’esperienza insegna che la tecnocrazia monocratica regionale o nazionale (o chi per esse) puntuali come una cambiale o una bolletta (con gli immancabili oneri aggiuntivi per la medicina generale) determinano modifiche gestionali simili a quelle testè annunciate dall’Assessorato alla Sanità della Regione Emilia-Romagna.

Dopo la storica e forse inimitabile delibera sulle Case della Salute del dicembre del 2016, quest’anno l’Assessore Regionale Donini ha dato il via alle grandi manovre per nominare la figura del Direttore Assistenziale all’interno dell’Alta Dirigenza delle aziende sanitarie.

L’impareggiabile delibera sulle Case della Salute del 2016 ha prodotto il risultato di una paralisi completa del programma assistenziale territoriale svolto attraverso gli strumenti delle CdS a causa di un testo organizzativo incomprensibile, fumoso e borioso che ha ostinatamente rifiutato il confronto e la condivisione conclusiva con i professionisti interessati. Infatti la delibera del 2016 ha creato, se possibile, ancor più differenziazioni professionali ed assistenziali tanto che il PNRR ha “dovuto” modificare almeno la denominazione del progetto strutturale in “conto capitale” con il termine Case della Comunità.

La sostanza non cambia in quanto ciò che conterebbe effettivamente è il “conto corrente” sulle risorse umane ma utilizzando un altro vocabolo ed un nuovo acronimo si è tentato di posticipare il verdetto fallimentare sulle Case della Salute nonostante il radioso esordio (2010) proprio in Emilia-Romagna ed in particolare nella AUSL di Parma. E’ poi mancato la capacità ed il coraggio di innovare e la delibera de 2016 ha definitivamente affossato le potenzialità di sviluppo e di riforma. La recente Mozione del Consiglio Nazionale della FNOMCEO del 23 luglio 2021 ha espresso poi, chiaramente, l’ennesimo parere pesantemente negativo anche sul disegno delle Case della Comunità contenuto nel PNRR.

L’iniziativa dell’Assessorato alla Sanità è stata definita un “discutibile maquillage organizzativo” e ha rimediato una richiesta di dimissioni dell’Assessore stesso (… “a tanta protervia, manifesta miopia e incapacità di svolgere un ruolo istituzionale, l’unica parola che ci sentiamo di opporre è “dimissioni”, subito, senza se e senza ma”) da parte di numerose sigle sindacali. Forse l’Assessore ha confuso l’apparente semplicità sanitaria (“iniziativa che apre l’ennesimo poltronificio ad alto costo”) con la sua “suprema sofisticazione” organizzativa territoriale e professionale che ancora una volta pare spiazzare i verticismi delle piramidi decisionali.

I commenti apparsi su QdS sono stati numerosi: svariate sigle sindacali hanno stigmatizzato le strane manovre relative alla raccolta firme ”spontanee” a sostegno del progetto dell’Assessorato; gli Ordini dei Medici della Regione hanno bocciato l’iniziativa; molti singoli colleghi hanno espresso le loro preoccupate perplessità; “…certi metodi di ricerca del sostegno plebiscitario…ricordano tristissimi tempi passati, non degni della storia di questa regione” (OOSS ospedaliere e territoriali); “ approfittando forse della confusione pandemica,( la Regione ndr) decide di istituire nuove figura apicali e conseguenti nuove strutture ” (Pietro Cavalli).

Non è necessario quindi in questa sede ripetere argomentazioni già pubblicate da vari commentatori anche perché, come gli eventi dimostrano da anni, ci si trova comunque sempre in ambito di “esercizi letterari” che possono incuriosire qualche lettore di nicchia ma che non sono in grado di delineare nessuna influenza nei confronti degli apparati monocratici verticistici e decisionali di un Servizio Sanitario che lentamente ma inesorabilmente scivola verso la privatizzazione anche della medicina territoriale.

“E’ del poeta in fin la meraviglia” apprendere comunque ora, nell’estate 2021, in piena pandemia (l’emergenza sanitaria è stata prorogata fino a 31dicembre 2021 così come lo smart working di uffici e funzioni collegabili all’ambito sanitario) che in tutti questi anni il Servizio Sanitario ha marciato senza questa nuova figura apicale.

Di norma sul territorio i medici di medicina generale da anni cooperano in piena armonia con gli infermieri territoriali nei così detti NCP (Nuclei di Cure Primarie) e dimostrano, quotidianamente insieme, una capacità organizzativa in grado di risolvere autonomamente problematiche impreviste proprio perché medici e infermieri operano in team paritari e nel reciproco rispetto. Da questo punto di vista, modificando i punti di riferimento e di co-operazione l’ipotizzata Direzione Assistenziale potrebbe generare confusioni operative e focolai di conflittualità professionale nell’attività assistenziale territoriale: di questo non se ne sente certo il bisogno.

Attualmente in Regione il Responsabile del Servizio Assistenza Territoriale (la funzione denominata anche “Direzione generale cura della persona, salute e welfare. Servizio di Assistenza Territoriale” è stata da anni ricoperta da Antonio Brambilla e poi, per un breve periodo, da Luca Barbieri) è Fabia Franchi già Direttore dell’Azienda di Casalecchio di Reno, infermiera e caposala.

In ogni AUSL e AO le funzioni di quello che ora si intende far rientrare nel ruolo del Direttore Assistenziale (componente dell’Alta Dirigenza) è da sempre stato svolto dal Direttore Sanitario.

Ogni Azienda include già ora, tra i propri responsabili, il Direttore del Servizio Infermieristico e Tecnico che sovraintende una struttura complessa.
Infine l’Azienda Ospedaliera/Universitaria di Parma ha immediatamente aderito alla sollecitazione dell’Assessorato alla Sanità deliberando in data 23 luglio 2021 l’assunzione di 9 dirigenti le Professioni Sanitarie: due Dirigenti delle Professioni afferiranno alla Direzione Sanitaria (verosimilmente in staff) e sette Dirigenti delle Professioni Sanitarie sono riservati all’assetto gestionale organizzativo dei singoli Dipartimenti aziendali ( non è chiarito nella delibera se dirigeranno strutture semplici o complesse).

L’obiettivo principale è quello di consolidare gli aspetti organizzativi in considerazione dell’unificazione delle due aziende AUSL e Ao tanto che la stessa designazione delle Dirigenze Professionali viene ritenuta “essenziale” per la regia del Dipartimento Assistenziale.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti)
Regione Emilia-Romagna

26 luglio 2021
© Riproduzione riservata


Mascherina

Le potenzialità di un Mmg realmente libero

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità - 09 Giugno 2020

09 GIU - Gentile Direttore,
sarebbe interessante studiare, tra i tanti dati illeggibili di questa pandemia Covid, l’operatività di quei mmg che sono riusciti a fare diagnosi o almeno ipotesi diagnostiche oggettivabili precocissime; a mantenere al domicilio i propri assistiti seguendoli con contatti ripetuti nella giornata portandoli così alla “guarigione”.

Poi, ma dopo, sono arrivate le circolari e le linee guida ufficiali, modificate di settimana in settimana, a complicare ulteriormente ciò che già era difficile. Finché è stato possibile si è assistito ad una piccola innovazione “autonoma” del lavoro medico creata cosi, su due piedi, dai mmg a partire dai primissimi momenti.

Non sono certo esperienze operative circoscritte che possono consolidare un riordino delle Cure Primarie ma in questo periodo molti mmg, silenziosamente, non solo hanno saltato il fosso ma hanno eseguito un balzo in lungo degno di un record mondiale.

Quando i mmg hanno l’occasione di agire in autonomia e riescono a governare il processo decisionale automaticamente creano valore aggiunto, indotto e ricchezza. Modificano necessariamente i paradigmi e i valori di riferimento (empatia, solidarietà, reciprocazione, meritorietà, comunità, welfare) e decretano un patto d’onore tra professionisti e assistiti a sostegno del nuovo sistema valoriale di quella comunità.

In questo caso i “pazienti esigenti” diventano co-operanti perché possono “dire la loro” e ritengono, insieme ai loro medici e a chi pratica quotidianamente l’assistenza territoriale, che la salute è un bene comune e che il rispetto e la considerazione reciproca vanno considerati “beni relazionali” al pari dei servizi assistenziali e di prevenzione.

I mmg hanno quindi sperimentato modalità e luoghi dove poter espletare una innovazione radicale e produrre beni impossibili da realizzare con normative calate dall’alto. La medicina di base (se non sarà condotta alla dipendenza come da normative tutt’ora vigenti) dovrà strutturarsi culturalmente come una impresa che oltre ad offrire professionalità possa garantire continuità nella produzione della qualità dei servizi, dell’efficienza e dell’innovazione basata sull’esperienza.

La Medicina basata sull’Evidenza è utilissima ma deve mescolarsi con la tradizione culturale della medicina altrimenti rischia lo stesso distacco autarchico dalla realtà tipica di alcune istituzioni ed esporsi a svarioni imbarazzanti.

Una società, una comunità che non fosse in grado ora (dopo l’esperienza pandemica, tutt’ora presente) di assicurare una riforma dell’attività lavorativa del medico dove i valori relazionali ritornino ad essere identitari dei territori diverrebbe inevitabilmente una società destinata ad un livello di benessere ancora più incerto di quello che abbiamo sperimentato e tutto ciò indipendentemente da protocolli, algoritmi, statistiche, normative e posti di lavoro che le istituzioni potrebbero riuscire ad assicurare.

Forse uno degli elementi sottesi alla dotta elaborazione inerente la riforma del lavoro medico auspica che l’era covid possa rappresentare l’occasione per poter abbandonare la filosofia del pensiero unico o dei tagli per finalizzato al risparmio aziendale e regionale.

E’ diventato improvvisamente evidente a tutti il motivo della chiusura dei presidi sanitari territoriali che a volte, dal punto di vista medico-assistenziale e sociale erano considerati veramente dei piccoli e preziosi gioielli per le comunità.

Finalmente è apparso chiaro che il nesso che c’è tra economia e salute è indissolubile e una impostazione gestionale orientata al risparmio o a tagli conduce a disastri di cui siamo diretti testimoni. Il momento può favorire una riprogettazione della vita sanitaria territoriale, dell’attività lavorativa ma anche delle competenze gestionali.

Le USL (Unità Sanitarie Locali) potrebbero ritornare ad una nuova vita essendo state più a contatto con i cittadini di un territorio ben definito anche politicamente così da sostituire le AUSL cioè le aziende diventate eccessivamente elefantiache e burocratiche per la loro diretta dipendenza regionale.

A fronte dell’ennesima promessa di ridimensionamento della burocrazia molte professioni o impieghi degli assessorati o delle aziende potrebbero trovarsi in situazioni di lavoro libero e spontaneamente diventare di grande aiuto se inserite nelle aggregazioni mediche territoriali: basti pensare al ruolo del farmacista che potrebbe co-operare con i medici di Assistenza Primaria per un aggiornamento in tempo reale (di team e di briefing) su farmaci e terapie ma avere un ulteriore ruolo fondamentale epistemologico e statistico nella nuova enorme area di ricerca scientifica rappresentata proprio dalla medicina territoriale che potrebbe basare le proprie analisi non su studi di coorte ma live.

Il lavoro del mmg e in generale degli attori coinvolti nell’assistenza territoriale è strettamente collegato alla domanda di qualità della vita, di attenzione, di cura, di servizio, di partecipazione, di relazionalità.

La qualità di questo “lavoro” è pesato non tanto dai prodotti, dai beni o dai servizi offerti per il “consumo” quanto piuttosto per la qualità delle relazioni umane e per l’abilità di comprendere la matrice della società o della comunità di riferimento che a sua volta esprime bisogni diretti o indiretti di stili di vita che dipendono dalla cultura e dalle tradizioni di quel territorio cioè la personalizzazione delle cure come indice di qualità dell’assistenza.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti)
Regione Emilia-Romagna

09 giugno 2020
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