Casa della salute anteprima

Salute e assistenza al centro del webinar Parma 22 32

Si è svolto mercoledì sera il secondo dei tre webinar tematici dedicati al welfare di Parma 22 32, il laboratorio aperto che promuove l’elaborazione di alcuni tra i temi chiave per la Parma del futuro, coordinato da Caterina Bonetti, Chiara Bertogalli e Manuel Marsico.

Dopo il primo incontro dedicato al tema delle persone con disabilità, nella serata di mercoledì è stato affrontato l’argomento Case di quartiere – Case della salute con la partecipazione di Erika Mattarella, della rete Case di quartiere di Torino, il dottor Bruno Agnetti, medico e consigliere comunale, l’architetto Michele Ugolini, docente del Politecnico di Milano con il coordinamento di Caterina Bonetti.

Erika Mattarella ha introdotto l’argomento illustrando la case history delle case di quartiere: dalla loro nascita, in ottica di riqualificazione e attribuzione di nuove funzioni di spazi dismessi cittadini, ai servizi erogati al loro interno. Una storia di spazi aperti a tutta la cittadinanza, polifuzionali, dove trovare corsi di formazione, attività di doposcuola, appuntamenti ricreativi per tutte le età, servizi di prossimità, dove potersi incontrare per un caffè o un pranzo, ma anche per utilizzare una sala adibita ad auditorium per uno spettacolo o un incontro pubblico. Fra i servizi erogati da una di queste case anche quello delle docce pubbliche, un’esperienza fra le poche in Italia, che consente a tanti cittadini di fruire di un servizio essenziale garantito, in piena sicurezza, anche durante il periodo Covid.

L’argomento della pluralità delle funzioni è stato affrontato anche dall’intervento dell’architetto Michele Ugolini, che ha esposto alcune buone pratiche legate alla realizzazione di case della salute nel territorio emiliano, confrontando le esperienze e sottolineando come scelte improntate all’inserimento, all’interno dei "contenitori" di servizi di prossimità non solo di tipo sanitario, sia fondamentale per rendere davvero efficaci gli interventi e dare un senso a questi spazi.

"La salute è una nuova questione identitaria che tocca tutte le persone e si deve coniugare con la salubrità dell’ambiente in cui viviamo. L’obiettivo deve essere quello di ridefinire l’approccio alle Case della Salute per la comunità, in particolare quelle urbane: non più solo centri di erogazione di servizi sanitari ma nuove e importanti occasioni di rigenerazione sociale, urbana e ambientale dove coltivare salute nei quartieri in raccordo con un vasto mix funzionale di attività pubbliche. Nodi di innovazione sociale e sanitaria, nuovi spazi in città più salubri per rispondere alle tante fragilità fatte emergere dalla pandemia. Luoghi identitari, aperti ai cittadini, integrati con il volontariato e le associazioni. Potremmo definirle biblioteche di cultura della salute in cui promuovere il benessere psicofisico delle persone e corretti stili di vita. Con il Politecnico, attraverso il programma Polisocial Award, stiamo elaborando una ricerca dal titolo Coltivare_Salute.Com che vuole rispondere alle lacune e alle vulnerabilità di tipo spaziale, sociale, organizzativo e comunicativo delle Case della Salute per la Comunità al fine di rafforzare, attraverso la loro localizzazione e una ridefinizione degli spazi interni, nuove centralità urbane nelle periferie delle nostre città. Lo shock provocato dalla pandemia ne costituisce l’occasione fondamentale, anche dal punto di vista dei finanziamenti".

Il dottor Bruno Agnetti ha poi illustrato, grazie alla sua esperienza ormai di lungo corso nella progettazione di servizi sanitari di prossimità, le principali caratteristiche delle case della salute di grandi, medie e piccole dimensioni. Le attività che possono trovare spazio al loro interno, legate non solo alla cura, ma anche alla prevenzione e alla educazione ai corretti stili di vita, le opportunità che una gestione condivisa degli spazi e delle attività può offrire anche in ottica di un cambio di modalità relazionale fra medico e paziente.

"La riforma dell’assistenza territoriale di base nonostante l’importante innovazione culturale delle Case della Salute non è ancora compiuta, come anche la pandemia ha dimostrato, soprattutto per quanto riguarda la co-operazione tra le varie professionalità e l’inserimento nelle comunità di riferimento. In effetti trovare un’innovazione organizzativa territoriale della medicina di base contestuale alla comunità di riferimento corrisponderebbe a scoprire un nuovo farmaco efficace per la cura dei tumori o allo sbarco sulla luna" ha sintetizzato in chiusura  Agnetti, auspicando che un lavoro efficace, ma soprattutto di ampie vedute possa essere realizzato quanto prima, anche sulla scorta delle esperienze maturate in questo periodo pandemico.


Vaccinazione_nteprima articolo

No, non siamo messi bene…

Gentile Direttore,
il suo intervento sulla “soluzione all’italiana” per il vaccino Astra Zeneca ha dato prova di coraggio. A volte esprimere qualche dubbio sulla “comunicazione” (ma la comunicazione si fa così?) in merito al sistema vaccinale a questo punto era necessario. In alcuni casi riferire incertezza in questo ambito può produrre il rischio di essere tacciati di tendenze no-vax.
 
E’ però palese, considerate le continue informative contrastanti, che sia in atto una sperimentazione (superate la fase III necessaria per la commercializzazione) che evolve durante la stessa vaccinazione di massa.
 
La richiesta che la campagna vaccinale possa svilupparsi nel rispetto di tutti i criteri di sicurezza e di sollecitudine dovrebbe suggerire di scegliere il modello operativo detto hub and spoke che richiede la realizzazione di un centro vaccinale maggiore (aziendale/ospedaliero) e di molti altri centri, ad esempio di quartiere, definiti o autorizzati dalle aziende sanitarie e che siano in grado di replicare in tutto e per tutto i centri hub. In questi presidi possono operare medici volontari e USCA così come potrebbero dedicarsi alle vaccinazioni anche a livello domiciliare. 
Questo “semplice” sistema operativo favorirebbe il conseguimento degli obiettivi ipotizzati e limiterebbe al massimo, se non eliminerebbe, lunghe file, caos o conflitti.
 
L’adesione volontaria può raccogliere una numerosa platea di medici (mmg di CA, mmg di AP, mmg Corsisti, medici specializzandi, medici dell’emergenza territoriale, Medici dei Servizi, medici pensionati …) più che sufficiente per assicurare una vaccinazione di massa senza creare confusione tra chi “può aderire” e chi “deve aderire” causa di possibili differenziazioni e difformità professionali e assistenziali in grado di creare possibili conflitti tra assistiti e medici di base.
 
Non da ultimo questo schema operativo può prevedere la partecipazione volontaria dei medici di base alla campagna vaccinale molto più efficace di quella detta “obbligatoria” in quanto il medico di Assistenza Primaria “può partecipare” alla campagna eseguendo l’attività vaccinale vera e propria ma può anche scegliere di supportare gli assistiti nella compilazione dei moduli, nel perfezionare una anamnesi soprattutto se critica, nell’individuare elenchi particolari (fragili e non deambulabili), nel segnalare casi che per qualche motivo sono rimasti fuori dagli elenchi dedicati alla vaccinazione così da avvantaggiarsi della vaccinazione di massa per una azione di integrazione dell’intera popolazione presente sul suolo italiano, nell’osservazione e nel monitoraggio prudente di eventuali effetti collaterali o indesiderati o inattesi. Soprattutto il medico di base può partecipare attivamente alla campagna vaccinale continuando a mantenere accessibili gli ambulatori di medicina generale senza interruzioni determinate dalla partecipazione attiva al processo vaccinale.
 
Il valore deontologico ed etico in periodo pandemico del medico di base è pienamente compiuto se il medico assicura l’attività ambulatoriale, se si fa carico delle cronicità non covid, se provvedere per quanto possibile al diradamento dei controlli specialistici, se sostiene le persone quando presentano sintomi psicosomatici causati dalle chiusure e dalle distanze sociali. Potrebbe essere importante aiutare gli assistiti a non fare confusione e a non equivocare l’ambulatorio del medico con un centro vaccinale perché, in questo caso, inevitabilmente sarebbero ridotti i servizi caratteristici della assistenza primaria.
 
Non è stato semplice o possibile convincere le Alte Dirigenze Aziendali sulla opportunità di attivare il sistema hub and spoke per la campagna vaccinale forse perché l’attivazione delle unità Usca potrebbe avere un costo superiore al coinvolgimento dei medici di base ma in questo caso, visto che ci si indirizza verso una vaccinazione di massa prioritaria che deve avvenire nel più breve tempo possibile, non si dovrebbe ragionare in termini economicistici pena una svalutazione della narrazione relativa all’emergenza pandemica stessa.
 
La vaccinazione anti covid non è una vaccinazione antiinfluenzale e la così detta vaccinazione “leggera” svolta negli ambulatori o a domicilio, se in carenza dei carismi di sicurezza garantiti nei centri vaccinali hub o di quartiere/periferici, non sembra aver procurato particolari agevolazioni.
 
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

09 aprile 2021
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